mercoledì 20 novembre 2024

Il nemico dove sta?

In presenza di malessere interiore, di espressioni di disagio e di sofferenza che non danno tregua, che intralciano, che compromettono e sconvolgono il quieto vivere e il procedere abituale, la prima e spesso l'unica risposta che si mantiene nel tempo è di dare contro uno stato interiore vissuto come nemico e nocivo, come segno di una abnormità che va liquidata, spazzata via, perchè giudicata, senza se e senza ma, lesiva dei propri interessi. In gran parte la cosiddetta cura asseconda questo modo di giudicare l'esperienza interiore così sofferta e fonte di allarme e di preoccupazione. Sia che metta a disposizione psicofarmaci o che offra tecniche di gestione e controllo dell'ansia e di quant'altro vissuto come una mina da disinnescare, sia che con la psicoterapia cerchi di condurre alla ricerca e alla scoperta di presunte cause del malessere in atto, sia che voglia individuare e correggere presunte risposte disfunzionali, sostituendole con altre ritenute valide e proficue, il presupposto di questo ampio ventaglio di cure  è che si sia alle prese con un danno e con una alterazione dello stato psichico cui porre rimedio, da sanare. Tutto questo modo di trattare l'esperienza interiore sofferta pare scontato, la cosiddetta cura pare sapiente e ben fondata, opportuna, benevola, provvidenziale. Il senso comune, la scienza, quella che si autoproclama tale e che come tale è riconosciuta dai più, pronta a soddisfare la richiesta di rimedio e di soluzione, non fanno che confermare le posizioni di autodifesa, di respingimento, di scelta di contrastare, eliminare il presunto nemico interno, lo stato variamente designato come anomalo o patologico, per perseguire il ripristino del modo di condursi abituale malauguratamente minato e compromesso. Rimettere le cose a posto, correggere le storture e le male disposizioni, scovare in traumi pregressi o in cattivi condizionamenti, in mancati sostegni ricevuti, sanare, ridare benessere sgombro da mine interne, sono le dolci parole d'ordine cui prestare fede, cui affidare il compito di provvedere al proprio presunto bene e interesse. Il presupposto di tutto questo modo di giudicare e di intervenire sul malessere interiore è l'ignoranza del significato della vita interiore, di quanto si svolge sul terreno dell'intimo, del sentire, nelle vicende interiori. La visione dell'individuo, che l'individuo ha di se stesso, che il senso comune e la cosiddetta scienza condividono e supportano, fa da base e premessa a tutta questa pratica del trattamento del malessere considerato segno di alterazione da correggere, conseguenza di cause che avrebbero minato e compromesso un presunto sano equilibrio e di una cattiva gestione del proprio benessere. La visione comune dell'essere umano lo concepisce come a un'unica dimensione. E' una concezione in cui è considerata egemone la parte conscia e in cui il resto dell'individuo, fatto di emozioni, di vissuti, di spinte e di corsi interiori, è visto come parte in subordine da gestire con la volontà e da spiegare col ragionamento. Quando non ci si chiude in questa concezione e si sa aprire alla conoscenza dell'individuo fondata su verifica attenta e su analisi dell'esperienza, su  ascolto senza preconcetti dell'interiorità, si scopre ben altro circa la vera natura dell'essere umano, non appiattito in un'unica dimensione. Si scopre che nell'individuo, fatto di parte conscia e di parte intima e profonda, quest'ultima, se la si sa ascoltare, è  parte viva del proprio essere tutt'altro che inferiore e di peso marginale. Solitamente la si considera capace solo di risposte automatiche e, in quanto "irrazionale", la si giudica sostanzialmente inaffidabile sul piano del pensiero e della capacità propositiva. Si scopre, conoscendo l'essere umano senza filtri di preconcetti, non per principio, ma per verifica onesta e attenta, quanto le due parti, cosiddette l'una conscia e l'altra inconscia, siano diverse per intelligenza e per progettualità. Posso parlarne perchè da oltre quarant'anni mi dedico alla ricerca interiore, sono con l'altro aiutandolo nell'ascolto del suo profondo nei vissuti, nelle espressioni del suo sentire, che il suo inconscio anima e plasma e particolarmente nei sogni, che danno guide di riflessione, di pensiero uniche e straordinarie per lucida profondità e affidabilità. Contrariamente a ciò che si pensa dell'inconscio, che sia la parte primitiva e la meno evoluta rispetto alla capacità e a quanto di valido e di evoluto garantirebbe la parte conscia avvalendosi dello strumento di pensiero razionale, quando lo si sa avvicinare e comprendere in tutte le sue originali espressioni e qualità, l'inconscio si rivela essere la più progredita, affidabile e valida fonte di pensiero e la guida irrinunciabile per recuperare autonomia di sguardo e di progetto. Ebbene cosa può accadere quando la parte profonda dell'individuo cerca di coinvolgere l'individuo in un serio ripensamento e verifica circa il proprio stato e modo di procedere, di intendere e di perseguire i suoi scopi? All'individuo può sembrare valido e soddisfacente, può apparire scontato tutto del proprio modo di pensare la sua condizione, in realtà può ignorare il vero significato e le più importanti implicazioni in ciò che sta facendo di se stesso. La parte profonda del suo essere non chiude gli occhi, non è ignara, non per caso interviene, interferisce, pone freni, acuisce e rende tangibili i punti dolenti di un modo di essere e di procedere non consono a se stessi, lacunoso di scoperte originali e proprie, di crescita autonoma, un modo dipendente da altro, da modelli in auge, da esempio e da pensato comune e prevalente, che forma e istruisce e che detta la linea e i pensieri, un modo che certamente vale per essere adeguati e in linea con la cosiddetta normalità, in conformità con altro che dà sostegno e convalida, ma carente di tutto per fondare la propria autonomia e libertà di pensiero e di azione. Il primo passo è entrare in una attenta verifica di come ci si sta conducendo e i passi successivi da compiere sono trovare le proprie ragioni e risposte, i fondamenti del proprio modo di intendere la propria vita e i suoi scopi. La parte profonda se la vede con una parte conscia che esercita il comando delle operazioni indurita nel voler proseguire come al solito, persuasa che non ci sia nulla da capire e da trasformare, da mettere in discussione, da porre in cantiere come costruzione nuova e mancante, come  sviluppo di crescita vera. Il malessere non è nemico, il malessere è il continuo scuotimento esercitato da una parte profonda portatrice e foriera di ben altro che di una patologia. Imparare a ascoltarla, a intenderne il linguaggio e la proposta, condividere con questa parte viva di sè  una ricerca di verità su stessi e il proprio stato e modo di procedere, condividere il proposito di una crescita vera, di una conquista di autonomia che non ha nulla a che fare con quella da messa in scena ben voluta e convalidata da fuori, da mentalità e da senso comune e prevalente, è questo il lavoro necessario da fare, la risposta congrua al malessere interiore, che diversamente non cesserà di intervenire per tirare, per strattonare, per dare segnali di crisi da affrontare nel proprio vero interesse. Ci si può imbottire di farmaci, ci si può inventare tesi di più o meno remote cause che avrebbero intaccato l'equilibrio e il buono stato, ma tutta questa pratica che suppone un nemico, una minaccia interna, una patologia da sanare, una trappola da cui uscire, non farà che prolungare uno stato di incomprensione con se stessi, con la propria interiorità, col proprio intimo e profondo, tutt'altro che invalido e incapace, remissivo e disposto a farsi da parte, tutt'altro che docile, complice, gregario e assuefabile al modo di procedere solito,  che non cesserà di reclamare ascolto, di tenere viva la tensione finchè non gli si dia finalmente retta. In presenza di malessere interiore non c'è nemico interno, non c'è minaccia da cui tutelarsi, il vero nemico sono l'ignoranza del significato di ciò che vive di sè dentro se stessi, sono  il pregiudizio e la chiusura nell'idea che tutto debba andare per il verso solito considerato sano e giusto, così duri a morire.

domenica 10 novembre 2024

La ricerca di aiuto

In difficoltà nel rapporto con se stessi, con l’esperienza interiore di cui si è portatori, si è tentati spesso di applicare a ciò che si vive una lettura tutta coerente con i modelli e col sistema di valori e di giudizi dominanti. Ogni espressione di disagio diventa allora segno di ritardo, di insufficienza, di incapacità di stare nel dritto e nel "normale", diventa guasto, eccesso, vergogna, complicazione assurda rispetto all’idea di un  fluido, lineare, sicuro e fiducioso, oltre che efficace, procedere. Insomma si fa propria l’idea che esista indiscutibilmente una specie di fisiologia dell’essere, del modo di sentire e di condursi, considerato appunto sano, regolare, normale e con questo riferimento e metro si giudica il proprio sentire e ciò che interiormente si prova, ciò che si sperimenta. Non c'è alternativa, in situazioni di malessere interiore solo la normalizzazione sembra  concepibile come buon esito e dovuto, come risposta desiderabile e giusta. Ci si convince dunque di essere in stato di insufficienza e di difetto e l’aiuto che si può cercare già si inserisce in questa concezione stretta, dev’essere aiuto che consenta di recuperare, di rimettersi in sella, di guadagnare finalmente normalità e fisiologico modo di funzionare, togliendo, vincendo quanto interiormente fa da freno, da ostacolo. Su questa strada si può essere tanto comprensivi e concessivi verso se stessi, quanto diffidenti e un po’ riottosi nel cercare aiuto, perché si teme di dover dipendere da quel chi o da quel qualcosa che andrebbe, in vece e in sostituzione di se stessi e dei propri sforzi, a consentire o a favorire la ripresa, la normalizzazione, il superamento di quello scarto tra deficit e normalità. In realtà nel proprio stato di difficoltà interiore c’è ben di più e ben altro che una caduta dalla normalità. C'è una incomprensione con se stessi, c’è la presenza della propria interiorità che preme e richiama, pur ancora incompresa, a guardare ben dentro se stessi, a capire, senza veli, i propri modi e il proprio stato, a comprendere non tanto l’insufficienza o il ritardo rispetto alla normalità, ma lo stato debole e gregario dell’andare dietro alla normalità come riferimento, regola e supporto, lo stato di passività e di povertà di se stessi. La propria interiorità vuole rendere acutamente riconoscibile la condizione di non radicamento dentro se stessi, di non vicinanza e intesa col proprio intimo, il senso di fragilità, non per poca normalità coltivata e raggiunta, ma per mancanza di unità con se stessi, per conseguente mancanza di consistenza propria. E’ tutta un’altra storia costruire il rapporto con se stessi, ritrovare la vita in senso vero, cioè visione, idee e convincimenti, capacità di orientamento a partire da se stessi, imparare a capire ciò che si è davvero, ciò che vive dentro se stessi e non ciò che si muove fuori. Sintonizzarsi con l'esterno (la cosiddetta realtà), seguire i corsi d'esperienza già tracciati, le idee comuni e convenzionali, gli svolgimenti esterni è una cosa, sintonizzarsi col proprio sentire, con il proprio mondo interiore e esperienza interna, per cominciare a vedere tutto con i propri occhi, a capire da sè e in unità con se stessi è un’altra cosa, tutt’altra cosa. Questa di trarre da sè conoscenza e capacità di visione che non sia ingenua, che sia fondata, credibile, valida e affidabile è ipotesi remota, anzi del tutto ignota e neppure concepibile per la maggior parte delle persone. Ai più sembra necessario attingere e avvalersi d'altro per sostenere, formare la propria crescita, lo sviluppo dei propri mezzi per orientarsi, per capire, per realizzarsi, per conoscere ogni cosa, anche se stessi. Dunque che da dentro se stessi arrivi l'invito a entrare in sintonia con sè, a raccogliere dentro il proprio sentire, attingendo alla ricchezza e alla straordinaria capacità propositiva dei sogni, le guide e i percorsi per conoscersi, per trovare risposte e punti base e poi sviluppi di conoscenza essenziali per orientarsi da sè, per non farsi dire ciò che di sè e per sè è valido e possibile, ciò che è ad esempio normale sano e ciò che non lo è, tutto questo pare inconcepibile, tanta forza ha lo stare ormai al traino di idee e persuasioni prese da istruzione e apprendimento, da mentalità comune e da comuni usi e esempi, da fonti altre, da autorità presunte, rese ormai imprescindibili, indiscutibili. Malgrado questo e proprio per rendere questo modo passivo e acquiescente di intendere e di procedere dentro guide e limiti dati, consapevole, per mettere sotto il proprio sguardo ciò che illusoriamente pare pensiero proprio e che in realtà è eco e replica d'altro, la parte intima e profonda interviene e non cessa di interferire, anche con mano decisa. Necessario allora, nel proprio interesse, per non privarsi di un apporto prezioso che viene da dentro, per non opporre rifiuto e pregiudizio negativo sul conto di ciò che può essere valido e prezioso, capace di restituire libertà e autonomia vere, aprire un confronto con questa parte intima di sè, evitando di bollarla subito come espressione di guasto e di anomalia se non di patologia. Per formare unità e dialogo con se stessi, di cui si è spesso totalmente privi, per questo scopo e non per contrastare o per normalizzare il quadro interiore, serve sì un aiuto, che sappia condurre prima di tutto a non fuggire ma ad avvicinarsi a se stessi, alla propria esperienza interiore, al proprio sentire, ai propri sogni, per imparare ad ascoltarli, a comprenderli, a raccoglierne l'originalità e la ricchezza di proposta. E' questo un aiuto non per uniformarsi alla normalità, ma per congiungersi a se stessi, per arricchirsi di se stessi, per formare un nuovo modo di stare al mondo, il proprio autentico e originale, che poggi su proprie scoperte, conoscenze e verifiche, su proprio metro e non su quello comune della normalità, della fisiologia dell’essere. La sofferenza interiore non evidenzia e non testimonia difetto e insufficienza verso la normalità, ma rischio, presente nel proprio modo di essere e di procedere abituali, di distorsione e di mancanza di fedeltà e di unità con se stessi, rischio di fallimento dei propri scopi che, ancora ignorati, potrebbero rimanere sepolti. Cosa serve fare? Si può fare da soli? E' frequente che chi vive difficoltà interiore dica a se stesso e si senta dire che  dovrebbe fare da sè, non dipendere, sforzarsi di "reagire", non farsi dare o sostituire in ciò, volontà e impegno, che potrebbe ben chiedere a se stesso. Se si trattasse di applicarsi a seguire ancora il modello comune e a rientrare nella fisiologia dell’essere, il ragionamento non farebbe una piega. Il problema però è formare e coltivare quel che ancora non c’è. E' uno sviluppo del tutto nuovo quello di cercare e di trovare unità con se stessi, di formare capacità di ascoltare e di capire la propria interiorità, capacità di assecondarla nel proposito di esistere, di trovare il proprio pensiero e visione, il proprio progetto. Per essere normali basta farsi portare e sintonizzarsi col programma comune, condizione provata e riprovata, ben conosciuta nel tempo, basta sforzarsi di rimettersi in pista, mentre per esistere secondo se stessi e per conquistare autonomia vera nel governo della propria vita serve unirsi a se stessi, al proprio profondo, imparare a capirlo, per vedere, col suo supporto e guida, le cose da sé, per trovare la propria consistenza. C’è un aiuto che si può cercare e che non toglie, che non sostituisce quanto si può trarre da sè, ma che favorisce viceversa il proprio andare verso se stessi, l'attingere e il rinascere da se stessi.

domenica 3 novembre 2024

Il dispetto

E' convinzione molto diffusa che ciò che interiormente è in contrasto e non omogeneo con le aspettative di quieto vivere e che procura disagio, che implica sofferenza, che interpone nel cammino stati d'animo, sensazioni che paiono del tutto inopportune e strane, diverse da ciò che si considera, in saldo accordo col senso comune, come ovvio e normale, procuri solo danno e faccia dispetto alle esigenze di buono stato e di favorevole corso. Non si tratta di una opinione più o meno dubbia e da verificare, ma di una persuasione ferma, che diventa presto vessillo e arma di combattimento per contrastare, per debellare il nemico, il presunto nemico interno. La squalifica di ciò che interiormente non asseconda, che pare minacciare il bene proprio, è così ferma e senza discussione, che non resta che affilare le armi dell'intervento, che bonariamente si chiamano cura, terapia. Può trattarsi della cura con mezzi chimici, in modo suadente chiamati medicine, che non tollera, che vuole zittire il sentire non in riga, che vuole rimettere le cose a posto e nel corso di ciò che l'ingegneria del provvedimento considera normale e favorevole. C'è poi il trattamento più morbido e in apparenza accogliente, come in svariate psicoterapie, che, anzichè zittire e manipolare con la chimica,  paiono voler dare retta al disagio come spia di un guasto, di un che di anomalo, che avrebbe prodotto quello stato infelice e compromesso il regolare corso interiore, caricandolo di asperità. L'idea di ciò che interiormente dovrebbe esserci e che coincide con la stabilità, non perturbata da disagi e da segni di sofferenza, del procedere consueto, casomai con una sua corsa più fluida e una resa più efficiente, fa da principio guida e sottende la ricerca delle cause. Si indaga preferibilmente il passato, si cercano fattori di condizionamento, anomalie nell'educazione e nei rapporti con figure significative, si cercano traumi pregressi, esperienze fortemente dolorose e perturbanti, cui fare risalire l'origine di un presunto stato  di instabilità, di precarietà interiore, di tendenza a difendersi e a reagire malamente, per condizionata reattività, anomala e disfunzionale, giudicata cioè non utile e non sensata,  non funzionale a interessi di buon equilibrio e di buona resa. Tutto appare come bene in questo modo di prendersi cura di sè agli occhi di chi è favorevole a intervenire il modo riparatorio sulla presunta azione molesta e dannosa di una condizione interiore vista dal principio come a sè sfavorevole e deleteria, come un disturbo che minaccia e che fa dispetto ai propri interessi di benessere e di buono stato. Cominciamo però, interrompendo il corso fatale del ragionamento, che pare non fare una grinza, a aprire domande. Dove sta realmente il danno e cosa fa dispetto ai propri interessi di crescita e di realizzazione? Quali sono i propri veri interessi? Quanto è affidabile e fondata la posizione, che si autoproclama così certa e sicura, che sostiene l'idea del danno, della necessità, della bontà e del favore ai propri interessi del lavoro di ripristino di normalità, che sorregge l'impianto della cosiddetta cura nelle sue espressioni più diffuse? In una condizione di lontananza abituale dalla propria vita interiore, di attaccamento a ben altre guide e fonti di pensiero rispetto a una visione che scaturisca da sè e alimentata da un lavoro attento sulla propria esperienza, in una condizione di estraneità e di ignoranza di ciò che vive dentro se stessi, di incapacità di intendere ciò che dice e propone la propria interiorità attraverso il sentire, di cui ancora si ignora il linguaggio e di cui facilmente si fraintende l'intenzione, far scattare subito l'idea che la difficoltà che il proprio corso interiore genera equivalga a un disturbo e a un anomalo stato, che ciò che l'interiorità mette in campo sia anomalo, sbagliato, alterato, nocivo, malato è tutt'altro che una reazione da prendere automaticamente per buona, di cui farsi scudo come certezza. La vita interiore è tutt'altro che un corteo di segnali più o meno in accordo con la testa, con quella parte di sè che dirige e che fissa cosa è razionalmente valido e sensato, vero e giusto. La testa, che pure si illude di capire le personali esigenze e interessi, sa pensare prendendo da fuori le guide, tutta quanta la grammatica del vivere, i significati già pronti, che coniuga e combina, che declina senza avere altra capacità se non di stare nel programma già configurato e nella visione già delineata. Interiormente c'è ben altro che l'ossequio a questa testa pensante, capace in apparenza di concepire in proprio e validamente, in realtà muovendosi al seguito e facendo il verso a altro che istruisce il suo pensiero e che lo conduce. Interiormente c'è uno sguardo attento a vedere le implicazioni e il significato vero di ciò che la testa non sa e non vuole vedere e prima di tutto di se stessa e del suo modo di operare. Dunque capita che l'intimo sentire non sia concorde con le attese della testa, che cerchi non già di fare capricci e di sparare risposte anomale e deficienti, conseguenze di un presunto danno o trauma subito, di una irrazionalità che la rende parziale e cieca, ma che viceversa dia segnali intelligenti e ben mirati per aprire lo sguardo, per vedere cosa si sta facendo di se stessi, con quali esiti veri tutt'altro che scontatamente validi. Insomma c'è una parte intima e profonda che non segue docilmente l'andazzo abituale e che cerca di promuovere un risveglio di consapevolezza, di porre le basi di una verifica e di un ripensamento, attento e puntuale, onesto e preciso, che porti a scoprire il vero della propria condizione e modo di procedere, perchè da lì nasca qualcosa di proprio e autentico, di originale che non sia il movimento e l'iniziativa abituale della testa a rimorchio d'altro e di comuni preconcetti. E' in gioco la propria sorte e realizzazione, mica robetta. A fare dispetto a sè e ai propri interessi rischia di essere proprio la testa che sentenzia che è l'interiorità e il suo corso a fare dispetto.

venerdì 1 novembre 2024

Non è spento

Sempre a cercare luce fuori, occasioni e stimoli, come se altrimenti ci fosse un intimo spento, un vuoto interno da colmare. L'intimo di sè appare sempre mancante e oscuro, illuminabile solo da luce riflessa presa da fuori. Quest'idea di se stessi circa la parte che non sta in adesione, in aggancio e debitrice d'altro, è talmente radicata da poter segnare il corso intero d'esistenza, di una vita presa in affitto e appresa, tenuta su da rifornimenti continui di contributi e supporti esterni, da iniziativa incessante volta a non rimanere in stato di abbandono, a luce spenta. E' verità o pregiudizio quello che considera l'intimo di sè e la realtà dell'esserci senza sostegni e rifornimenti esterni come inconsistenti e vuoti? La persuasione che il bisogno d'altro caratterizzi fatalmente, quasi naturalmente, l'esistenza, ha fatto sì che il rapporto con se stessi sia stato presto, nel corso del cammino di vita, segnato da necessità di disinvestimento e di sostanziale fuga dalla presenza a sè e con se stessi, dal rapporto, dall'ascolto e dal dialogo col proprio intimo, caricati invece della necessità di approvvigionamento di risorse prese da fuori, necessità vissuta come bisogno naturale di dipendenza. Seppure spesso camuffata da legge umana, da legge di natura, c'è chi ha detto che siamo animali sociali, dunque capaci di crescere e di realizzarci solo in unità e in relazione a altri, è a tutto tondo una regola di dipendenza. Le dosi vanno di volta in volta procurate e assunte, diversamente c'è rischio di caduta in disgrazia, di pena e di tormento da astinenza, c'è l'incubo di un isolamento segnato da penuria e da vuoto, da gelo e da senso di mancanza, di esclusione, da timore di involuzione e persino di caduta nell'anomalo e malato. Impossibilitati, per pregiudizio recidivo e ben condiviso dai più, a generare e a trarre da sè risposta a necessità vitali di formazione di uno sguardo e di un pensiero, di scoperta di un calore non artefatto, di un senso di vicinanza da contatto vero e rigenerante con la vita, tutto in via sostitutiva è cercato fuori, senza nemmeno avvedersi che è in gioco il ricorso a sostituti, a succedanei, tutto cercato e preso da altro, da altri che soddisfi queste necessità fondamentali. Se questa non è dipendenza cos'altro è? Se l'intimo significato della propria vita non è visto con i propri occhi, compreso da sè e attraverso il proprio sguardo e la propria specifica dotazione umana, se l'essenziale della capacità di pensiero e di orientamento, di scoperta di ciò che vale e del suo perchè, non prende forma e non si genera dentro se stessi e su fondamento e guida del proprio sentire, l'incontro e il rapporto con gli altri cos'altro può diventare se non mutuo soccorso e sostegno nella forma d'esistenza presa a modello e copiata da fuori? E' una forma d'esistenza, senza forza e alimento di radice propria, dove ciò che conta, disciplinandosi a soddisfare le aspettative altrui, casomai mettendo in campo qualche tocco di estro o di originalità teatrale, è ben figurare per ottenere apporto di convalida e di stima da sguardo e da autorità esterna, privi come si è di autonoma comprensione e stima di ciò che merita e vale, di ciò che appassiona e che si ama convintamente, senza secondo fine. Privi della scoperta della propria identità vera, che solo nell'unità con tutto il proprio essere può essere scoperta e compresa, ci si infila nel ruolo, nella figura riconosciuta e riconoscibile dagli altri per darsi volto, il volto di un figurante. Che l'individuo sia, sulla scena sociale e dentro la cosiddetta realtà, figurante comparsa o primattore poco cambia, si tratta comunque di affidarsi a una identità presa e appresa e non di far conto su una identità e su una presenza viva e vera, che solo dal rapporto intimo con se stesso potrebbe generarsi e vivere, in ogni caso l'intimo finisce per essere circoscritto e solo sottomesso alle esigenza di scena. L'intimo, che non ha spazio di esistere davvero, è concepito e accettato solo come luogo di rilancio nella corsa abituale, di preparazione e trucco per nuove prove, come il camerino dell'attore che si prepara e si predispone all'uscita in palcoscenico, diversamente non è certo considerato e vissuto come incontro con parte viva e profonda di se stessi, come intimo in cui sostare, in cui ascoltarsi, in cui comunicare col profondo di sè, con la scoperta di una intimità tutt'altro che fredda e inospitale, dentro cui sentire contatto vivo, dentro cui il vero dell'esperienza vissuta può prendere volto, rompendo il muro dell'inconsapevolezza. L'intimo, l'intimo di sè e con la propria interiorità, non l'intimità con altri, che può esserne il sostituto e che spesso è l'unica forma riconosciuta di intimità, nella idea e nella pratica più comune non esiste se non come luogo di transito fugare, come luogo che altrimenti, se ci si dovesse trattenere oltre, è temuto come arido e vuoto, con cui e dentro cui pare prudente, necessario non stare, non indugiare, pena il rischio di sentirsi in stato di sofferenza da privazione, da abbandono, dentro una solitudine vista come maldetta sorte, infelicemente vuota, a meno di "ravvivarla" riempiendola di faccende, di iniziative che includano altro. C'è chi dice di saper stare da  solo, da solo sì, ma sempre affaccendato e in attaccamento a altro, che sia, per fare qualche esempio, un fare concreto, che sia leggere o ascoltare musica, poco cambia, sempre e comunque in difesa e a porre rimedio al  disagio e alla paura dello stare non fugace, senza supporti e stimolazioni esterne, a tu per tu e in contatto con la propria interiorità, in una intimità con se stesso temuta come vuota e spenta, senza calore e senza luce. L'intimo è spento solo per pregiudizio e per devianza, per quel movimento ripetuto, incessante a deviare da se stessi, come se non ci fosse origine di vita e di crescita se non in relazione, dipendente, con altro. Relazione con gli altri che non va di certo nè negata, nè sottovalutata, perchè l'incontro e il rapporto tra individui ricchi di autonomo pensiero, di identità vera e non da figurante e di capacità di ascolto può essere fecondo, fecondo se i due hanno relazione viva e feconda con se stessi, con la propria interiorità. L'intimo di sè non è nè vuoto, nè spento, a patto che non lo si rifugga. 

sabato 5 ottobre 2024

La serenità

Si fa in genere coincidere l'idea di serenità con quella di tranquillità, di assenza di tensioni, di inquietudini interiori. E' comprensibile che questo accada in un assetto di vita in cui l'esperienza interiore è tenuta in qualche modo in subordine e è considerata al servizio della parte conscia, fatta di ragione e volontà, che si è convinti debba sovrastarla, perché ritenuta in possesso della capacità e investita del compito di esercitare la guida. Non compresa nel suo significato e scopo, la parte intima del sentire e di tutto ciò che prende forma e che si svolge interiormente, diventa oggetto di attese e di pretese di muoversi in accordo e senza opporre ostacoli al raggiungimento delle mete e alla realizzazione dei propositi della parte conscia. Non le è riconosciuto nulla di più se non di portare qualche intuizione, ma sempre nell'ordine delle cose concepite e concepibili dalla parte conscia. Le si attribuisce il compito di vivacizzare gli andamenti, quando richiesto, quando ritenuto utile e attraente, quando si tratti di trarre godibilità e di fare bella mostra di vivacità, di sensibilità, di brio. Le è concesso di essere a volte non concorde con gli intendimenti della parte conscia razionale, attribuendo questo a scarsa lucidità, se non a assenza di intelligenza, a istintività, che non vede se non il proprio immediato soddisfacimento. Il termine e la dicitura di irrazionale dice di questa considerazione rivolta alle espressioni della vita interiore di parte in subordine, non evoluta quanto la razionalità. Dentro un modo di pensare se stessi come questo descritto, che è decisamente comune, la vita interiore non ha modo di svelare le sue qualità vere e capacità, la sua essenzialità per dare compimento a un modo davvero libero e autonomo di essere, di pensare e di procedere. Senza guida e alimento interiore la parte conscia si affida a un pensiero spiantato, svincolato dal dentro e vincolato e istruito da senso comune, da un sistema di significati già codificati, tenuto dentro il recinto di un pensiero condiviso e consolidato, pur con il possibile uso di qualche variante alternativa e non conforme a quello più comune. La vita interiore con tutti i suoi movimenti e mutamenti è terreno vivo per ritrovarsi, per fondare una conoscenza che non sia astratta e avulsa da quanto sperimentato, che non sia tanto ben congegnata quanto insensata. Dentro di noi c'è la continua, incessante spinta e proposta, mossa e guidata dalla nostra parte profonda, di avvicinamento al vero, di scoperta di ciò che ci porta a affrancarci dall'inconsapevolezza e dalla passività dell'andare dietro a richiami e a regola esterna circa ciò che va privilegiato, considerato e seguito per non porsi fuori dalla corsa, dalla logica e dalla intesa comune. Sono le emozioni, gli stati d'animo, le spinte che si declinano interiormente, sono i sogni in modo eccellente e con acume d'intelligenza impareggiabile, che sanno dare spunto, guida e occasione per capire, per capirsi, per sviluppare un pensiero originalmente proprio e autonomo, capace di fare da guida e leva per portare a realizzazione idee e progetti, propositi profondamente sentiti e ben compresi con tutto il proprio essere. Dunque non ha senso, né utilità, l'attesa e la pretesa che l'interiorità si plachi o taccia o trovi un punto di equilibrio immobile, un arresto, non ha senso né utilità, perché equivarrebbe a fermare la spinta vitale e la necessità di aprire gli occhi e di non cessare di sviluppare il pensiero. Si può essere sereni per l'unità e l'accordo trovati con tutto il proprio essere e si può essere contemporaneamente in stato mosso interiormente, perché ogni passo compiuto non è definitivo, perché ogni scoperta non è conclusiva, non è l'ultima finché c'è vita. Motore e anima della ricerca, guida che non recede nella scoperta di sè e del vero, nella conquista di autonomia e di consapevolezza che sono figlie l'una dell'altra, è il profondo, è l'inconscio, che, diversamente dalla parte conscia, che tende a chiudere il cerchio e a consolidare il già conquistato, tiene viva la tensione, la spinta a crescere. Lo fa muovendo i vissuti, il sentire, vera base e terreno di esperienza per capirsi, per capire ciò di cui è di vitale importanza prendere consapevolezza, non lo fa mai per caso o in modo anomalo o patologico, come purtroppo non poche volte, in presenza di momenti e passaggi interiori difficili e sofferti, si è inclini nell'idea comune e non solo, anche nella teoria e nella pratica di non pochi addetti alla cura, a giudicare. Non c'è regola possibile di normalità o simili circa ciò che il sentire può e vuole dire e circa il modo in cui lo dice. Ogni vissuto, ogni esperienza interiore è fatta in quel suo specifico modo proprio perché è l'unico e il migliore per condurre a vedere, per compiere quel passo nuovo e necessario di presa di coscienza. Se il vissuto è arduo e doloroso quello è il veicolo, il luogo giusto dove stare, dove calarsi per prendere contatto e visione, per sperimentare in modo sensibile ciò che vuole essere riconosciuto e compreso. La nostra interiorità non è stupida o inaffidabile, non è primitiva e poco evoluta o meno evoluta della parte conscia, che si vale di pensiero razionale sconnesso dal sentire. Quando si impara a ascoltare e riflessivamente a vedere quanto ogni esperienza interiore comunica e porta a vedere, si scopre di quanta intelligenza sia dotata la propria interiorità. Se si impara a farsi dire e portare a comprendere dai sogni si scopre a quali livelli di intelligenza e di ricchezza d'animo è capace di condurre il proprio profondo. Che tutto dentro di sé si plachi è pretesa sciocca e insensata, che nasce dal non comprendere il senso della vita, dal non sapere ancora di cosa si compone il proprio essere nella sua totalità. 

domenica 18 agosto 2024

Le conquiste per procura

Gli eroi sportivi, che siano numeri uno, che vincano medaglie di metallo vario, che comunque competano in gare imprese di qualunque genere, messe sullo schermo o in prima pagina e osannate, sanno facilmente sedurre, cioè portare a sè quella voglia di riuscita, di conquista che, non costruita e coltivata da sè, finisce per passare loro per delega e mandato, appassionatamente. L'impresa non ha volto proprio riconoscibile e distinto, non è frutto di sviluppo e di crescita originali e proprie, ma poco importa, è come se, tifando l'eroe di giornata nella sua impresa, ci fosse l'esaltazione e il gaudio della conquista propria. Ma c'è di più che la fascinazione per l'impresa dell'eroe di turno rivela. Il successo del campione, che riscuote il plauso generale, che ottiene il trionfo celebrato, dà compimento a ciò che più ammalia. Quando non si ha esperienza e conoscenza di cosa significhi generare qualcosa tratto integralmente da sè, da un lavoro su se stessi, che messo al mondo ha il volto originale e unico di una creatura profondamente propria, di cosa sia la passione nel vederlo vivere e nel farlo crescere, non si conosce la gioia vera, che non è legata a nulla di spettacolare da ostentare, con cui stupire e soddisfare il gradimento del pubblico, degli altri. Ciò che si genera è meraviglia per i propri occhi nel vedere nascere da sè e vivere ciò che non è stato concepito per avere per destinazione il palcoscenico, per scopo la classifica, il podio, la medaglia con la celebrazione pubblica che commuove, che dà ebbrezza, che è conquista tutta alimentata e sostenuta da fuori. Se si conosce la vera gioia della creazione, si scopre che questa gioia non ha bisogno di pompa e di grancassa, di fama, di pubblica celebrazione e encomio, che ha in sè la sua forza e la sua ricchezza, che non c'entrano nulla col successo. La sua forza e la sua ricchezza sono legate all'aver sostenuto sviluppi e percorsi d'esperienza originali, all'aver assecondato aspirazioni riconosciute dentro di sè, in intesa e in accordo con il proprio intimo e profondo, come significative e importanti, altre da quelle già fissate e predisposte come valide e degne, dentro cui incanalarsi per misurare le proprie capacità e dare prova di bravura e di prestanza per riceverne approvazione e plauso. Ebbene gli eroi da stadio e da primato olimpico e di ogni altra specie, danno volto all'aspirazione massima di chi ha scambiato il desiderio di realizzazione col successo, di chi conosce solo la gioia venduta  e da fuori alimentata, la gioia del pubblico riconoscimento, della fama, degli applausi, della riuscita nella corsa su corsie prestabilite dove dimostrare di non essere da meno di altri, dove cercare con ogni sforzo di primeggiare. Va solo aggiunto che qualcosa di analogo a ciò che è riservato ai campioni sportivi, della stessa pasta e matrice, accade che sia rivolto ai campioni che in ogni ambito e espressione, che sia quella cosiddetta artistica o culturale o di chi fa impresa che fa soldi o di chi fa carriera o arriva a rivestire una carica in una gerarchia pubblica o privata o nell'ambito politico, appaiano come gli eroi di quel successo, di quel modo di intendere la realizzazione personale che ha dalla sua il credito e l'ammirazione comune, la fama e le onorificenze. In ogni caso ci si beve tutto quando si è abituati a seguire in modo credulo e gregario, a farsi dire, a non portare a maturazione autonomia di pensiero e di scoperta originale di cosa sia la realizzazione scaturita e interamente formata e alimentata da sè.

sabato 17 agosto 2024

L'originale e l'artefatto

Questa della natura originale o della costruzione artificiale del proprio modo di essere e di realizzarsi è la questione centrale da tenere presente se si vogliono capire le ragioni del malessere interiore, il significato di tutta quanta l'esperienza interiore e lo scopo della iniziativa dell'inconscio che per intero la plasma e la dirige. Solitamente si pensa che i disagi interiori abbiano origine da condizionamenti esterni sfavorevoli, che siano il prodotto ad esempio di traumi pregressi, di distorsioni o di carenze nella cura e nell'educazione ricevuta, in ogni caso si pensa che ci sia un difetto di funzionamento che si auspica di correggere, di sanare, perchè il corso della propria vita prenda una piega regolare. Si è già dentro l'idea che tutto debba procedere nell'unica direzione e senso conosciuto. In realtà la questione è ben altra e se non la si intende si rischia solo di spingere a senso unico, di insistere ciecamente perchè tutto proceda senza vedere come e su quali basi. Totalmente vincolati alla pretesa del regolare e efficiente funzionamento, non ci si dà la capacità di capire cosa sta accadendo quando il proprio profondo prende forte iniziativa e apre crisi e impegna in un corso si sensazioni e di esperienze interiori difficili e che non danno tregua. La questione della natura e della qualità del proprio modo di condursi, del proprio modo di pensare se stessi, di intendere la propria realizzazione è fondamentale. E' proprio lì che l'inconscio ha portato lo sguardo, è lì che prende posizione e cerca di intervenire per coinvolgere l'insieme dell'individuo per aprire gli occhi, per cominciare a assumere una diversa prospettiva. Occupiamoci dunque di questo nodo fondamentale, imprescindibile per comprendere il significato del malessere interiore e di ciò che vuole perseguire l'iniziativa del profondo. L'impianto naturale o viceversa l'innesto artificiale di una vita ne rendono profondamente diversi gli svolgimenti, gli sviluppi e gli esiti. Tenersi uniti alla propria matrice vera, al proprio intimo e profondo e da lì sperimentare cos'è scoprire, conoscere, orientarsi, procedere per guida interna, coltivare, far maturare e nascere, decidere e realizzare in unità e in accordo con la propria capacità di vedere e di comprendere è una cosa, affidarsi a altro per formarsi, che significa fatalmente uniformarsi a questa nuova matrice, per formare capacità di pensiero, per crescere e per dare compimento non più al proprio frutto e progetto, ma a un disegno, a una realizzazione già e diversamente da sè concepita, è tutt'altra storia e destino. Imboccata la strada del farsi portare e formare, ben istruiti e educati a credere che quella soltanto sia la via per dare crescita e realizzazione a se stessi, il senso dell'artefatto va via via smorzandosi fino al compimento di quella mutazione per cui, pur assumendo e riproducendo nello sguardo e nei pensieri altro da sè, ci si convince che lì dentro ci si è, si vede, si intende e si dice la propria, si dà espressione alla propria volontà, si mettono in luce le proprie capacità, si vive di propria sensibilità. E' il capolavoro della alienazione, di un processo di estraniazione da sè, di rinuncia a fondare su di sè, sul rapporto con la propria interiorità, col proprio sentire e con tutta la propria risorsa interiore, la formazione del proprio pensiero, di delega e di trasferimento a altro della funzione e della capacità di darne le basi, gli indirizzi, di garantirne la validità. E' un processo che mette in gioco mica poco, la rinuncia alla creazione e allo sviluppo della propria autonomia, prima di tutto di pensiero, di scoperta autonoma di significati e di capacità di concepire percorsi, finalità e scelte, guidandosi da sè, che non ha nulla a che fare con l'illusoria autonomia del dibattere e del prendere posizione  su questo o quello con argomenti pro o contro, del mettere in atto questo o quello, in apparenza originali. E' il capolavoro dell'alienazione perchè è un processo del cui significato e delle cui implicazioni non si prende visione, di cui si eclissa la consapevolezza (a parte che nel proprio profondo, che, non per caso, consapevole del significato e della portata di ciò che accade, non cessa di dare segnali, di intervenire e di interferire). E' il matrix perfetto, che una volta avviato si auto alimenta, è il ritrovarsi non nel legame con la propria originale matrice, è il trovare (seconda) natura dentro un'altra matrice, dentro un altro stampo, fino a considerarla propria, fino a difenderla con le unghie e con i denti. Ci si ritrova così a difendere il valore di una vita dove si è riposto tutto, dove si vale per la buona prova offerta che trova apprezzamento, dove l'intelligenza prende la forma del sapere che ottiene abbraccio e lode, dove i sentimenti, i più graditi e voluti sono quelli che sanno di buono, che sono ben considerati, che nel catalogo sono i più virtuosi. L'accordo con altro che dà conferma e plauso sostituisce l'accordo con se stessi, con ciò che da dentro il proprio intimo e profondo sarebbe capace di dare indirizzo e alimento alla scoperta fatta con i propri occhi, alla comprensione dei significati non per suggerimento, ma per intima esperienza, verificata, toccata con mano, dove la passione, quella vera e secondo natura, non è di essere applauditi, ma di generare, di creare, di far vivere e realizzare qualcosa di autentico, di originale, fedele a sè, che origina da sè, dal legame con la propria matrice vera, con il proprio intimo e profondo. Fatta propria la seconda natura, quella assistita e tenuta in piedi da altro che la forma e sostiene, è fatale che si diffidi della propria, che non si dia credito alla possibilità che dal rapporto con se stessi, con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, possa nascere ciò che conta e vale, che si sminuisca ciò che l'interiorità può dare, che lo si riduca, che le si voglia assegnare solo il ruolo di coda, di ombra, di seguito gregario. Cos'altro è riconosciuto al proprio sentire e a tutta la risorsa interiore se non di accodarsi e di accordarsi con le pretese della parte conscia ormai venduta, affiliata all'altra matrice, affittata al compito di sostenere e di riconoscersi soltanto nelle capacità realizzative impiantate nella matrice della mentalità, dei modi di concepire comuni e organizzati a cui ci si è rifatti per trovare tutto? Da se stessi, dal legame, dal rapporto con la propria interiorità ci si convince che non è pensabile che possa nascere e formarsi il fondamento e il necessario per essere individui pensanti in proprio, capaci di mettere la propria vita su guide e su impianto proprio, in modo valido e credibile. La seconda natura oscura e rende improbabile ogni alternativa, anzi è pronta a denigrarla, a screditarla dove si provasse a darle credito. La scelta di staccarsi dall'insieme per dare spazio e occasione all'incontro e al dialogo interiore, sempre ammesso che lo si sappia rispettare prima di tutto come ascolto dell'interiorità e non come monologo della parte conscia, se non hanno corso limitato nel verso del ricaricarsi e in tempi rapidi  per ripartire nei modi consueti, sono visti e giudicati come segnali preoccupanti e insani di isolamento, di distacco dal reale, di vizio capitale di egoismo, di egocentrismo e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso è considerato velleitario staccare dalla fonte esterna, dalla matrice che alimenta la seconda natura, spacciata per vera natura. La tesi dominante è che dal rapporto con se stessi, se preso sul serio, se investito di attese, non si può che trarre illusioni e ingenue persuasioni, non certo qualcosa di credibile, non certo il fondamento di una crescita autentica, forte e valida, di ampio e valido respiro e affidabilità. Se però si dà credito a ciò che è bollato come l'impossibile, se lo si coltiva, come accade dentro una valida esperienza analitica, si scopre che dal rapporto col proprio profondo, che rimettendo assieme, ritrovando le radici del proprio essere, ritrovando la vera autentica matrice, è possibile generare ben altro che la solita lezioncina, i soliti collaudati incastri di ragionamento a cui si è affidato l'esercizio del proprio pensiero, che gira e rigira tornano sempre all'ovile della visione della vita solita e già orchestrata e impartita. Può compiersi così e non certo magicamente e in un attimo, perchè è un vero parto con i suoi tempi di gestazione, la mutazione inversa, quella che riporta l'essere a trovare le sue vere radici, la sua capacità vitale, il suo respiro, la sua consapevolezza e capacità di visione, le sue originali qualità e potenzialità. E' una vera profonda trasformazione quella che si compie, stavolta per il verso giusto, del rientro a casa, al proprio da cui si rinasce con le proprie forme e sostanza, abbandonando via via, non senza difficoltà e contrasti interni (la seconda natura, con i suoi apparenti agi di aver già le risposte e le soluzioni pronte e apparecchiate, con la sua presa e capacità di inglobare in sè orgoglio personale e senso di riuscita, non ci sta facilmente a farsi mettere in discussione e da parte), quella parvenza di essere, artificialmente formata su altro impianto e matrice, cui ci si era consegnati. E' proprio la parte viva e profonda di se stessi, è proprio l'inconscio a pilotare, a alimentare, principalmente con i sogni, questo processo di trasformazione nel verso del ritorno a se stessi, del nuovo radicamento e della rinascita da se stessi. Dando spazio e credito al dialogo interiore, alla capacità che ha di far ritrovare il contatto e lo scambio vivo con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, ciò che si può vedere nascere e formarsi è davvero unico e sorprendente. La natura, quella vera, sa dare il meglio, che è l'originale, l'autentico di sè che ha capacità vera e autonoma di vivere, di crescere e di dare frutto. La seconda natura, a cui ci si è aggrappati e legati come se non fosse tale, può solo produrre l'artefatto, che senza sostegno esterno di plauso e di conferma non può esistere e stare su, che altro non può fare che riprodurre ciò da cui artificialmente è scaturita. 

sabato 10 agosto 2024

Basta un poco di zucchero e...

Basta il contentino della promessa di essere sollevati dal disagio interiore, che è voce della propria interiorità, mica una infezione da virus o un disordine da causa nociva o una patologia da insana predisposizione, per essere ben disposti a mandare giù uno o più farmaci, a sottoporsi a una cura psicologica che, analogamente al farmaco, cerchi di trattare e di "aggiustare" lo stato interiore, di indagare le presunte cause di un presunto guasto, con l'auspicio di liberarsi di una condizione interiore difficile e sofferta, vissuta come anomala e ostile, che comunque si vuole  mettere a tacere, mettendo in realtà a tacere parte intima di sè che non si vuole e non si sa ascoltare. Tutto brillerà di più?  In realtà  la promessa di liberarsi del malessere interiore, è destinata assai spesso a rivelarsi fragile e illusoria, perchè la parte di sè intima e profonda, che ha mosso la crisi, che ha alimentato il disagio con uno scopo tutt'altro che insano o ostile, non è affatto docile e disposta, se inascoltata, se non compresa e condivisa nelle sue proposte, a farsi da parte, a rinunciare a farsi ancora avanti, pur rischiando nella sua iniziativa di essere ancora fraintesa e diagnosticata come una ricaduta di malattia. Va comunque precisato che ciò che ho definito come il contentino della promessa di liberarsi del disagio interiore non è certo considerato tale, gode viceversa di ampio e incondizionato credito, è considerato come il meglio desiderabile, dunque non come una banale gratificazione, ma come il bene massimo da procurare a se stessi, come lo scopo prioritario da perseguire, su cui non possono esserci dubbi. Questo è il frutto di una abituale lontananza dal proprio intimo, di un modo di condursi in cui la relazione con gli altri e con ciò che è presente al di fuori di sè è stata e è il fulcro dell'esistenza, da salvaguardare, in cui la relazione con se stessi, con la propria interiorità, è ipotesi più che remota, neanche concepita e di fatto sconosciuta, di scarso se non di nullo interesse. Il rapporto con se stessi, se così vogliamo chiamarlo, è inteso nell'unica accezione di trovare dentro di sè la leva della capacità di riuscita, di trarre da sè l'espressione da portare fuori capace di ottenere la migliore considerazione degli altri. Più cresce e è abituale il vincolo e il riferimento alla cosiddetta realtà, a quell'assoluto, "la realtà", cui rimanere ben adesi, con cui pare sempre fondamentale e necessario non perdere i contatti, che di fatto è l'insieme di abitudini e di pratiche comuni, di eventi e di temi messi all'ordine del giorno e da seguire, a cui rimanere intenti, di modelli, di risposte e di soluzioni predisposte, di canali messi a disposizione dal sistema organizzato per fare, per conoscere, per gioire e per svagarsi, per impegnarsi in cause nobili più o meno, per riceverne, se si dimostra su quelle basi di essere validi e prestanti, senso di conquista e fondamento di autostima, più si consolida questo vincolo dipendente e più contemporaneamente diventa ai propri occhi  naturale, "normale" la propria condizione di gregari, che tengono il passo, che, illusi di dire la propria, di prendere iniziativa, assecondano e si accordano con altro che dirige, che regola e istruisce, facendo consumo di temi, di risorse, di opportunità, di guide e di pensieri messi a disposizione, gentilmente messi nel piatto da masticare bene e da mandare giù. L'effetto è di ignorare la possibilità, la necessità, la passione di essere individui veri e singolari e non esseri addomesticati e replicanti. L'effetto è di considerare assurda la pretesa, tutt'altro che assurda, ma profondamente umana, di alimentare da sè la conoscenza, di trarre da sè la scoperta autonoma di significati, lavorando su di sè, sulla propria esperienza, di non avere necessità vitale per conoscere di prendere istruzioni e supporti da fuori, ma di poter scoprire con i propri occhi, di poter generare conoscenza, in unità con la propria interiorità, raccogliendone i suggerimenti e le guide, di poter aprire percorsi e dare corso a  sviluppi di realtà che non siano quello spettacolo messo in scena e quella pappa comune messa di continuo a disposizione. Generare è ben più impegnativo che consumare, che fare il verso a altro, che ragionare in accordo con altro già definito, che limitare le proprie aspirazioni a dare buona prova e prestazione in ciò che è ben considerato per ricevere plauso e apprezzamento. Generare, che è possibilità aperta a ognuno e non certo un'esclusiva dei  cosiddetti "creativi" di professione, che non di rado, a parte l'etichetta e la fama, di creativo vero non hanno proprio nulla, è ben più appassionante che consumare, cambia il volto della propria vita e dona vera libertà. E' la libertà di seguire se stessi, che si fonda sulla capacità di veder le cose a modo proprio e di non farsi dettare e dire da qualche presunta o pretesa autorità cosa sia o non sia la cosa vera, l'idea giusta, il pensiero corretto, è la libertà di difendere e di far vivere ciò che da sè, in unità piena con se stessi,  fino in fondo si è compreso, in cui davvero si crede e che si ama, senza il bisogno e l'interesse di chiedere a altri di concordare, di applaudire. Per tutto questo è fondamentale e irrinunciabile  l'accordo e l'unità col proprio profondo, che è anima e guida validissima di questa ricerca di autonomia e libertà di pensiero, sia fornendo le guide della ricerca del vero attraverso il sentire, sia  fornendo lumi di conoscenza in modo sublime con i sogni, profondo che, non per caso, col malessere e la crisi muove e agita le acque interiormente, proprio per spingere a un percorso di cambiamento radicale, da passivi e inconsapevoli a soggetti creatori e consapevoli. Senza legame con la propria interiorità non c'è  possibilità di pensiero che non sia di adeguamento, di  docile accordo e fruizione d'altro, anche se questo non lo si sa e soprattutto non lo si vuole vedere. Dove niente sia scaturito da sè, niente di visione riflessiva che prima di tutto faccia vedere cosa si sta facendo di se stessi, mossi e vincolati a quali imperativi, regole e modalità, si è solo al traino d'altro, anche se illusi di dire la propria. Senza scambio e raccolta di spunti e di guide provenienti dal proprio profondo, capaci di rendere liberi e autonomi nel pensiero, non si può che rimanere vincolati a una forma di pensiero che segue e asseconda, che ripete e riproduce il pensato comune (non importa se facendo gli oppositori, sempre però trovando sponda in qualcosa di già concepito), che allontana dalla conoscenza di se stessi e dalla scoperta di significati altri da quelli presi da fuori, introiettati e ripetuti. Se dunque l'interiorità col malessere punge e pungola a prendere contatto con sè, a aprire gli occhi, a avviare un percorso di presa di coscienza, di recupero di unità piena con se stessi, di scoperta del significato della propria vita interiore, di recupero delle ragioni e delle potenzialità proprie e originali da sviluppare, ecco che la reazione è di scacciare il richiamo che pur difficile è portato dal disagio interiore, di rimettere prontamente in moto la fuga da sè per salvaguardare la capacità di stare in unità e al passo con gli altri. Ecco che basta quel pò di zucchero, di dolce e gradevole gusto della promessa di una possibile ripresa del vivere senza intralci interiori in attaccamento a altro, per mandare giù la pillola della cura che spacca il vincolo a sè, che il malessere interiore stava cercando di far recuperare, per rinsaldare e non compromettere la simbiosi con altro, come se quella, presa in prestito, pilotata e impartita da fuori, fosse vita propria e bene da non perdere.

mercoledì 7 agosto 2024

Le ragioni del malessere

(Rimetto in primo piano questo mio scritto di alcuni anni fa.)                                             Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore, questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo, risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto. Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale, chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena, senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia, depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è  traduzione meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè, nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto, ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica, all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta l’esperienza interiore disagevole,  per rendersi conto (sempre meglio via via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto, che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri, come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare, senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento, che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali". Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo, come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè, deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate, non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi.  Procedere in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere. Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito, con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo sentire oggi dice e fa vedere di se stessi.  C'è da intendere ciò che la propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene,  prima di tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni, di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva. Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento della propria salvezza, del proprio vero benessere.

La cosiddetta scienza

Quando la scienza della psiche, lo fa spesso, mette in campo teorizzazioni circa gli svolgimenti interiori, che a un attento esame si avvalgono di preconcetti e di discriminanti, di distinguo tra ciò che è sano o insano, funzionale o disfunzionale, si rivela essere quanto di più lontano dalla vera scienza, che ha come scopo di aprire lo sguardo, di riconoscere, senza pregiudizio e rispettosamente, il senso di ciò che la vita interiore propone, scienza come ricerca, mai definitiva, soprattutto mai fondata su affermazioni di principio e su attribuzioni di significato date per scontate. Chi, non importa con che titolo di esperto, presume di sapere già e che, rivolgendosi all'intimo, pretende di stabilire sul suo conto cosa sia valido o funzionale, cosa vada interpretato come alterazione e come tale spiegato, messo sotto trattamento e raddrizzato per renderlo conforme alle aspettative e alle pretese di buona resa e perchè comunque non intralci, in nulla mostra di aver capacità di rapporto e di comprensione del significato e del valore della vita interiore. Possono essere varie e sofisticate le elaborazione di questa presunta scienza psicologica, che di volta in volta se ne esce con le sue mirabolanti scoperte circa i perchè e l'origine chessò dell'ansia, piuttosto che della depressione o altro. Tutto l'elaborato si muove nelle guide di ciò che si dà per scontato. Sono i trucchi di una scienza non scienza, che sa come farsi forte delle affermazioni che fa, poggiando su premesse e su postulati mai messi in dubbio. I teoremi questa scienza pseudoscienza sa come metterli assieme e rifinirli dando loro la veste di scoperte ben solide e provate, lo fa con agio e avendo vita e credito facile dove prevalga, come accade assai spesso, nel pensato comune l'ignoranza e la lontananza dalle vicende interiori, dove già lì, nella testa dei più, ci siano le basi di quei principi di normalità e di ricerca delle soluzioni, che paiono più che legittimi, fuori discussione, della correzione trattamento di ciò che appare come guasto e disturbo, ostacolo e anomalia. La scienza pseudoscienza sposa per intero queste premesse presenti nel pensato comune, fa un lavoro fine di elaborazione, ma elaborando il senso comune. L'interiorità, ciò che vive nell'intimo di ognuno, non è un oggetto, non è un congegno da indagare, da gestire e controllare, piegato nel suo essere alle aspettative d'ordine e alle pretese di gestione della parte conscia e di chi se ne fa portavoce, l'interiorità è presenza viva e intelligente, propositiva e dotata di un attributo fondamentale, che è la capacità di ricerca e di riportare di continuo al vero, di salvaguardare libertà di giudizio e di pensiero. Se la parte conscia pensa che tutto stia nelle sue capacità di discernimento e non vede che il suo orizzonte è già delimitato, che il suo pensiero è già incardinato su basi mai verificate di attribuzioni di significato prese per buone e ripetute, se non vede che non ha possibilità se non di girare in tondo, di allinearsi ai criteri di riuscita e di realizzazione correnti e prevalenti, la parte profonda è sempre pronta nel sentire a dare richiami, spinte e spunti, interferenze per portare lo sguardo a cercare dell'esperienza e del modo di procedere il senso e il vero, a spaccare la crosta del preconcetto che fa comodo, che blinda ciò che si preferisce credere di se stessi, per comodo, per inerzia. Se non si comprende il vero significato della vita interiore, se viceversa si presume di sapere già e di mettere tutto in subordine di idee e di aspettative che vogliono solo spingere tutto di se stessi nella solita direzione del dare prova, del mettere in atto capacità di riuscita nel verso preso per buono da esempio e prassi comune, come se in quest'unica accezione e verso andasse intesa la realizzazione di sè, ecco che sull'interiorità si compiono solo azioni di pregiudizio, di manipolazione e di, più o meno grossolana, presa e controllo. Non si comprende che senza la parte intima di se stessi, di cui spesso non si conosce nulla, si è ciechi e in balia di andamenti affatto liberi e consoni a sè, di un procedere dove a farla da guida e da garante è altro da sè che nell'esempio e nei modelli comuni dà le guide così come le convalide. La scienza pseudoscienza ben omogenea al credo dominante, alla concezione e visione a senso unico dell'uomo e della sua realizzazione, sorda e indisponibile a comprendere il significato e il valore dell'esperienza intima e della componente interiore profonda, che fraintesa e piegata al ruolo di componente che deve stare in ordine e al passo con la concezione a senso unico, rischia di essere strumento di travisamento, comunque di rinforzo della incomprensione e della mancata intesa dell'individuo con la sua  parte profonda. Senza il contributo della sua parte profonda, che sola ha la capacità di liberare il suo pensiero dall'incastro del preconcetto, monco di questo contributo fondamentale, l'individuo è senza guida propria e capacità di affrancarsi dalla visione a senso unico, di vedere con i propri occhi e di costruire, di generare e far vivere il suo autentico.  

lunedì 5 agosto 2024

Dialogo col sordo

L'inconscio interviene di continuo per stimolare la presa di coscienza. Vuole promuovere consapevolezza dove regna la pretesa di saper già e il circuito chiuso del preconcetto, dove il pensiero della parte conscia si arresta difronte alla ricerca del vero, non se ne cura di veder chiaro e di approfondire, pensa di saperne a sufficienza e, quando interiormente incontra qualche intralcio, si inventa ogni argomento per superare l'ostacolo senza guardarci dentro, facendo sua ogni svista e distrazione pur di confermare e di far proseguire il consueto. Cosa fa l'inconscio lavorando sul sentire, su tutta la vicenda interiore che per intero modula e dirige, proponendo i sogni, cosa vuole ottenere? Vuole correggere la tendenza della parte conscia a darsi il convincimento di esserci con padronanza, di avere parte attiva e consapevole, dove invece c'è sostanziale passiva adesione e riproduzione di schemi e di tendenze comuni e prevalenti. L'inconscio interviene dando gli spunti appropriati e gli stimoli più accorti e intelligenti per aprire riflessione sull'esperienza e sui propri modi di condursi, per svelare cosa sta accadendo, su quali basi e in quali modi, con quali vincoli, si sta procedendo. La psicologia corrente, sia quella diffusa nelle teste e nelle idee comuni, sia quella professionale e cosiddetta scientifica, ignorano, non riconoscono in tutto ciò che si muove interiormente la presenza di una dialettica interiore, i segni di una iniziativa della parte profonda che di continuo e con intelligenza  interviene, stimola, interroga la parte conscia e le dà richiami, perchè esca dal sonno e dalla nebbia della falsa coscienza, dei ragionamenti che ottundono la mente, che illudono di capire, che in realtà non sanno vedere il vero, cosa realmente si sta facendo di se stessi con le lacune, le inadempienze circa la realizzazione vera di se stessi, pur in presenza di apparenti risultati raggiunti, costruiti però e resi credibili in aderenza e in appoggio a credo comune. Se, come quando compaiono segnali tipo ansia o altri, facilmente etichettati come sindromi o malattie, che possono apparire sfavorevoli e preoccupanti, ma che mai per caso e senza uno scopo smuovono la scena interiore, si finisce in genere per considerare anomalo e espressione di disfunzionalità da combattere e correggere ciò che invece è richiamo e allarme del profondo per cominciare a prendere atto dell'equilibrio precario e insostenibile su cui si fonda il proprio modo di essere e di procedere, per prendere sul serio la necessità di veder chiaro, di conoscere se stessi e di comprendere il vero della propria condizione, con tutti gli sviluppi nuovi e diversi che ne possono nascere e su cui lavorare, significa che la visione di se stessi continua a essere parziale e distorta, che del significato e del valore dell'esperienza e della vita interiore non si è compreso nulla. D'altra parte la visione dell'individuo  più diffusa dà la priorità e lo restringe nelle parti di capacità di iniziativa e di testa che ragiona, che servono per destreggiarsi e stare in corsa nel solito procedere, ma che sono le meno valide per fondare la ricerca del vero, assegnando al resto dell'individuo, che non è volontà e pensiero ragionato, un ruolo subalterno, una sorta di meccanica delle emozioni e del sentire che va in qualche modo tenuta sotto controllo, gestita. Dei sogni c'è chi, spacciandola per verità scientifica, dice che sono scarica notturna di ciò che nel corso della giornata ha sovraccaricato di stimoli il cervello e altre fesserie del genere. I sogni, se si analizzano con rispetto e cura, se li si fa parlare, sono una risorsa di pensiero formidabile, pensiero riflessivo e non piattamente operativo e che osserva la superficie, ma che sa guardare dentro l'esperienza e svelarne i modi, i significati, pensiero che interroga cosa si sta facendo di se stessi, dentro quali vincoli e con quali limitazioni e perdite di capacità di crescita e di autonomia. I sogni sono guide per conoscersi, per prendere visione e per elaborare il vero, indispensabili per generare un pensiero che non sia quello razionale, che nella conoscenza di se stessi, visto da vicino e analizzato, ragionando chiude, che, dando spiegazioni, occulta, che difronte a ogni difficoltà e momento interiormente critico punta prima di tutto a risolvere e a far proseguire le cose, che, quando ci prova a approfondire, per troppi limiti, per dipendenza dall'uso di attribuzioni di significato e dall'impiego di schemi comuni e abituali, in realtà si rigira su se stesso e non vede oltre. L'inconscio non demorde mai, preme, interferisce, dice nelle trame e nelle pieghe di emozioni, di stati d'animo, di rilievi continui messi in campo nel corso dell'esperienza, l'inconscio offre nei sogni le migliori guide, mette in campo i simboli che hanno capacità di rendere visibili i modi e i volti della propria verità umana, che la testa ragionante non sa e non può concepire. L'inconscio parla, interviene, richiama, ma il resto è spesso e volentieri chiuso sulle sue. E' un dialogo che avrebbe straordinarie possibilità di risultare fecondo se condiviso dall'insieme dell'individuo, se riconosciuto e rispettato, se valorizzato il contributo della parte profonda, ma troppo spesso è un dialogo col sordo.

sabato 3 agosto 2024

I campioni della giusta causa

E' modalità che seduce, che appassiona, che infervora, soprattutto che conviene, quella che carica e spinge la critica tutta all'esterno, perchè il negativo sia solo roba altrui, perchè a sè spetti solo di splendere di virtù morale e di pensiero illuminato, casomai col desiderio di impartire lezione, di educare, di fissare per tutto e per tutti cosa sia valido, corretto, evoluto. E' una gara sui principi più giusti portata avanti da chi di sè non vuole vedere se non la purezza più immacolata, di chi gongola di presunta superiorità di pensiero e di morale, di chi mai si è preoccupato e occupato di conoscersi, di fare chiarezza, al di là di quel che vuole farsi credere, su cosa sente davvero, su cosa lo muove nelle sue affermazioni e prese di posizione, su ciò a cui mira e che vuole procurare a se stesso, di chi non ha perso e non perde mai occasione per mettere in moto giri di ragionamento, badando bene a tenere lo sguardo lungi da sè, per ottenere il mirabile risultato di farsi coscienza critica di ogni negativo, di chi ha fatto e fa uso di ogni pretesto, preso da vicende e da esperienze altrui, per darsi la patente e la tempra di persona giusta che più giusta non si può, che denuncia, che afferma le idee più valide, le più corrette. Sempre pronti a dare prova di possedere i giusti principi e valori, fanno una gran tenerezza questi campioni del pensiero più progredito e giusto. Bravi bambini da dieci in condotta, non perdono occasione per alzare la manina per dire che sanno, per segnalare alla maestra che conoscono la risposta giusta, il comportamento giusto. Hanno infatti antennine ben sviluppate, con cui sanno captare qual'è il comandamento di giornata, il decalogo dei valori del momento e lì si sintonizzano e prontamente, docili e disciplinati, allineano il loro pensiero per farsene convinti e accesi paladini, per dare, impeccabili sempre, buona e eccellente prova di merito. Peccato che, assieme a tutto questo buon odore di purezza e di virtù, portino dentro di sè il fiele del bisogno, per garantirsi posizione elevata, di denigrare, di sminuire, di stigmatizzare chi deve svolgere la parte del retrivo, dell'infimo, dell'ignorante. Li si vede ovunque i campioni della giusta causa dall'impeccabile fiero orgoglio, li si vede in modo esemplare in politica, li si vede in tv, sui giornali, in rete, quotidianamente attorno a sè, ma, quel che più conta, non è da trascurare la possibilità di vederli mettendosi allo specchio, impresa, che, se da un lato può risultare ingrata, dall'altro offre le migliori possibilità di analisi attenta e di fedele scoperta del vero.

giovedì 1 agosto 2024

"Depressione" e ricerca del filo interno

Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi, anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia, come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere, equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto una rovina, un venir meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere di ogni altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, filo di verità, l'assenza di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il vuoto, bilancio vero e onesto di ciò che è stato  messo assieme in appoggio a altro, per imitazione e per stare al passo col comune procedere, per ben figurare, non è per insane disistima e assenza di calore, ma per lucida visione, per fondata pretesa di "essere" e non di sembrare, per pretesa di invertire radicalmente la rotta, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente sofferente, come chi gli sta attorno, è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire? Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida, a legami e a supporti esterni? Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto, compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più inventato, ha cominciato in realtà, proprio dentro una sofferenza così irriducibile, ad essere tracciato, spazzando via le false costruzioni, le abituali distrazioni. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purché non lo si squalifichi perché doloroso, purché non gli si contrapponga come regola una normalità cui aderire, purché non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello che hanno tutti, potrebbe pur bastare? L'impegno di cercarsi sul sentiero accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la propria vita, che non sia riempita d'altro raffazzonato e preso in prestito, ma finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste parole avranno senso e contenuto seri.

sabato 27 luglio 2024

L'inconscio, maestro di vita e di pensiero

Ciò che caratterizza l'esperienza analitica e che la differenzia da tutte le altre esperienze psicoterapeutiche è la funzione guida riconosciuta all'inconscio, cui è dato il compito di indirizzare, di condurre la ricerca. E' una scelta che ha fondamentali e solide ragioni. E' infatti dall'inconscio, dalla parte profonda di se stessi, che origina e è regolata tutta quanta la propria esperienza interiore, fatta di emozioni, di stati d'animo, di spinte, di tutto ciò che spontaneamente, fuori dal controllo e dalle aspettative di volontà e ragione, si svolge nel proprio intimo. Il malessere interiore, quell'intima esperienza disagevole, nelle sue diverse espressioni, al pari di ogni altro movimento del sentire, origina e è modulato dal profondo. Non è un guasto, uno stato di alterazione psichica, un disordine, è esperienza intima e assai coinvolgente, certamente non facile e non agevole, voluta, plasmata, per intero guidata dall'inconscio. Non è mai casuale ciò che l'intima esperienza, pur disagevole, pur strana e accidentata, propone. Attraverso le particolarità dell'esperienza interiore l'inconscio dà indicazioni molto precise e pertinenti per cominciare a vedere la propria condizione, per cominciare a capirsi. Smuovendo e caricando di intensità l'esperienza interiore, l'inconscio attrae e sposta con forza l'attenzione dell'individuo, solitamente rivolta all'esterno, sul suo stato interiore, sui suoi vissuti, per avvicinarlo su queste basi e tracce vive alla consapevolezza intima. Per non divergere e per assecondare la richiesta che arriva dal proprio profondo, per cogliere l'opportunità che l'inconscio con tanta decisione sollecita e propone, è necessario porsi in rapporto aperto e disponibile col proprio sentire, non rifuggirlo o contrastarlo, non trattarlo come disturbo, ma come voce, come esperienza da ascoltare, da comprendere. E' assolutamente necessario dotarsi di vera capacità riflessiva (che, lo dico spesso nei miei scritti, non ha nulla a che vedere con il modo corrente di intendere e di svolgere la riflessione come ragionamento, come costruzione di ipotesi e di spiegazioni sul conto di ciò che si prova, della propria esperienza) per raccogliere e riconoscere fedelmente ciò che il proprio sentire dice. Perchè l'inconscio possa spiegare per intero le ragioni e il fine della sua iniziativa, del malessere che sostiene e che muove con tanta incisività, è fondamentale comunque rivolgersi ai sogni. Nei sogni l'inconscio introduce e guida l'individuo in un percorso di riflessione e di ricerca, che gli fa via via  capire (i sogni vanno attentamente e pazientemente analizzati perchè possano dare tutto il loro originale contributo di pensiero) sia le ragioni del malessere, che lo scopo, ciò cui è necessario dare svolgimento e compimento per trovare se stesso, per uscire da una condizione di inconsapevolezza e di alienazione. Parlo di alienazione per dire di una condizione, non importa se ritenuta in genere normale, in cui l'individuo cerca di conformarsi, di soddisfare indicazioni e pretese più esterne che interne a se stesso, in cui, aderendo a qualcosa di altro da sè e prevalente, già modellato e detto, si illude di capire, di pensare autonomamente, in realtà finisce invece, pur inconsapevolmente, per ricalcare idee, per riprodurre definizioni e attribuzioni di significato comuni e convenzionali. Riproducendo e sostenendosi su altro già concepito, ordinato e promosso, l'individuo si illude di scegliere, di dare proprie risposte, di realizzarsi. Si esprime senza rapporto con se stesso, senza aver tratto da sè la conoscenza e le guide necessarie per capirsi, per fondare le sue scelte, per averne chiaro il significato, il motivo vero. L'inconscio vuole rimettere l'individuo piedi a terra e in piedi, vuole prima di tutto ricongiungerlo a se stesso, al suo sentire, all'interiorità con cui non ha rapporto. Solo il suo sentire ascoltato e intimamente compreso, solo il dialogo con la sua interiorità può dargli la base vera e affidabile per capirsi, per conoscersi, per accertare e concordare con se stesso scoperte di significato e di valore, per sfuggire, pur gradualmente, al governo d'altro, che lo orienta e regola. L'inconscio, dentro i sogni,  mostra all'individuo il suo modo di procedere attuale e abituale, cosa sta seguendo e inseguendo, spesso la sua lontananza da se stesso, la sua dipendenza dallo sguardo e dal giudizio esterno, la sua ignoranza di ciò che profondamente gli appartiene, di ciò che potrebbe vedere con i suoi occhi, sulla base e attraverso ciò che sente, che vive interiormente, che invece abitualmente mette tra parentesi o sottovaluta, che al più fa oggetto di commenti e di spiegazioni ragionate e non di rispettoso ascolto. E' l'inconscio e non la parte conscia a volere per l'individuo la sua piena libertà, la sua vera, non illusoria, autonomia, la sua capacità di autodeterminazione. L'inconscio "soffre" qualsiasi tradimento di se stessi e non lo tace. Non tace all'individuo l'ignoranza del proprio, lasciato inerte, incompreso, non cercato e non coltivato. L'inconscio non accetta la passività, l'incuria, la non preoccupazione per la propria reale sorte. Anche un'esistenza di apparente riuscita e normale può essere infatti ritenuta soddisfacente in appoggio e in consonanza col senso comune, ma in realtà fallimentare per sè, tradite le proprie vere e intime ragioni e potenzialità, lasciate incomprese e incolte. Lo scopo della propria vita può essere dunque sviato, disatteso. Non è implicazione da poco. L'inconscio non agita mai le acque per questioni da poco. Lo fa con insistenza, lo fa per tempo, lo fa con l'intenzione e con la capacità, che dentro il percorso analitico si manifesta appieno, di sostenere, di alimentare soprattutto con i sogni, il processo di trasformazione che conduce via via l'individuo a sostituire il posticcio con l'autentico, il preso in prestito con l'originale creato da sè. Purtroppo raramente l'inconscio è capito, anzi il suo agitare interiormente le acque è spesso bollato come disturbo, come danno, come patologia. L'inconscio non desiste, non tace, è la parte profonda, attenta, intelligente di se stessi, che non rinuncia a sollevare i problemi, a tentare di guidare la presa di coscienza, contro la tendenza a permanere nel solito dei propri (illusori) convincimenti, a preoccuparsi più di stare al passo con altro e con altri che di trovare aderenza e accordo con se stessi, a non preoccuparsi di veder davvero chiaro. L'inconscio non tollera i bluff, gli autoinganni, la falsa coscienza, la rinuncia a vedere, ad aprire, costi quel che costi, gli occhi, l'incomprensione del senso vero di ciò che si fa, che si vive. L'inconscio è insopportazione per tutto ciò che è stasi, chiusura, fuga dal proprio sentire, non volontà di confrontarsi con se stessi. L'inconscio è risveglio dell'umano, chiamato prima di tutto alla consapevolezza, alla conoscenza del vero, stimolato a non essere presenza anonima e vana, ma a esistere, a scoprire, a generare e a mettere al mondo il proprio. L'inconscio è un interlocutore certamente impegnativo, persino scomodo, ma affidabile, come lo è l'amico che non manca di dirti il vero, anche se spiacevole, di stimolarti a prendere coscienza, per il tuo bene. L'inconscio è cura assidua e indomita volontà di perseguire il proprio bene, che non è conformarsi, incuranti di sapere, di vedere, ma è aprire gli occhi, trarre da sè l'originale con cui si è venuti al mondo, il potenziale cui si può dare forma e compimento. Nulla è più vitale e nel verso della vita dell'inconscio. Paradossalmente l'inconscio, la vita interiore, ciò che produce, sono spesso ritenuti ostacoli alla vita. E' davvero un paradosso, che sta in piedi solo in virtù di pregiudizi, di ignoranza. Quando si va a scoprire, come dentro una valida esperienza analitica, cos'è davvero l'inconscio, cosa propone, di cosa è capace, ci si può rendere conto di quanta magistrale sapienza e di quanta umanità e volontà d'umano ci sia  nel profondo. Ci si rende conto della distanza che purtroppo separa spesso gli individui dalla scoperta di ciò che, prezioso e enorme, il loro profondo potrebbe dare loro.

domenica 21 luglio 2024

Centralità del dialogo interiore

Il dialogo interiore è la risposta più consona al malessere interiore. Quando, come accade in situazioni di crisi e di sofferenza interiore, la parte intima e profonda prende iniziativa e smuove il quadro interiore, cosa va fatto se non cercare di aprire il dialogo con questa parte, cosa va fatto se non ascoltare e cercare di intendere cosa sta dicendo, cosa vuole far capire e mettere in primo piano? Il dialogo con la propria interiorità oltre a essere la risposta giusta e consona al malessere è anche il fulcro necessario di un'esistenza che voglia essere indipendente e autentica, che, mettendo al centro l’ascolto e la guida dell’interiorità, non voglia consegnarsi alla guida più che imperfetta della parte razionale, che, agendo, come fa in genere, da sola nella conoscenza di se stessi e dei significati della propria esperienza, a un attento esame si rivela decisamente inadeguata a perseguire conoscenza vera di se stessi e inaffidabile. La parte del nostro essere che ci garantisce l’accesso al vero è quella interiore. La parte conscia razionale, priva del supporto e della guida della componente intima e profonda, non può, per quanta inventiva cerchi di mettere in campo, che tessere e riproporre tesi e costrutti che si basano su definizioni, su attribuzioni di significato consuete, date per scontate, prese in prestito dal pensato comune, convenzionale. Accade poi che, non interrogandosi su ciò che dice e su ciò che vuole ottenere, la parte razionale finisca per fare da garante per l'individuo della conservazione, della conferma di idee di comodo e di salvaguardia di ciò che vuole tenere in piedi, degli equilibri cui non vuole rinunciare. Dunque l’apporto della parte intima è decisivo per rimettere il discorso nel vivo e su base vera, per ritrovare, anche se a volte scomoda e imbarazzante, la visione veritiera. La parte conscia vuole in genere sistemare le cose, trovare soluzioni, in sostanza soddisfa l'esigenza di proseguire senza interrogarsi su cosa si sta facendo e cercando, mossi da che cosa e perseguendo quali scopi. La parte intima che si esprime nel sentire tocca e punge, anima, complica, si potrebbe dire, il quadro, a volte, come nelle situazioni di crisi e di malessere interiore, in modo molto marcato, ma per mettere in primo piano la percezione e la visione di ciò che si sta facendo di se stessi, per spingere a passare dal piano dell’agire, soltanto rivestito da spiegazioni di comodo e nella sostanza cieco e inconsapevole, al pensare riflessivo, attento e mirato a capire cosa si sta facendo, come si sta procedendo e con quali nodi finora ignorati, incompresi e perciò insoluti. Senza rapporto aperto con la propria interiorità, senza approccio che riconosca nelle vicende interiori, nelle espressioni del proprio sentire, anche se sofferto e in apparenza contorto e anomalo, un messaggio e una proposta da capire, senza capacità di ascolto e di comprensione di ciò che la propria interiorità dice e muove, si è privi di una guida e di una capacità di visione e di conoscenza necessarie per trovare orientamento e intesa con se stessi, costretti altrimenti, pur se inconsapevoli di questo, a  muoversi e  a stare invece dentro le coordinate e le guide di un pensiero che sta in appoggio a altro preso da fuori e che non garantisce certo di dare corso e realizzazione alle proprie vere ragioni d’esistenza.  Purtroppo è spesso e in genere incompreso il significato vero e il valore della vita interiore, degli svolgimenti intimi, di ciò che si muove nel sentire, nelle emozioni, nel succedersi degli stati d'animo, nelle spinte, in tutto ciò che, passo dopo passo, si propone interiormente, di ciò che realmente significano i sogni, che sono l'espressione più alta dell'intelligenza profonda di cui si dispone. Non c’è in genere capacità e propensione all’ascolto e al dialogo interiore, non si prende neppure in considerazione la necessità di trovare intesa e accordo con l'intimo e il profondo di se stessi, la si considera comunque irrilevante, data la priorità invece riconosciuta alle relazioni e alle iniziative esterne, alla necessità di non perdere contatto e intesa con altri e col fuori. Questo segna una lontananza dall’intimo. Nel malessere interiore, nelle diverse espressioni della sofferenza interiore l’interiorità sensatamente esercita una forte presa e coinvolge, vuole comunicare, dire della propria condizione, del proprio stato, dei nodi decisivi che è importante che siano riconosciuti. Lo fa in modo puntuale e attento, intelligente e pertinente. Nelle iniziative che prende, nelle sue espressioni, anche in quelle meno facili da reggere, anche in quelle più tormentose e insistenti, anche in quelle più sconquassanti come nel caso degli attacchi di panico, non segnala di certo di essere in stato di alterazione e di malattia, come subito si è pronti a giudicare, peraltro in questa persuasione ben supportati dalle affermazioni di una presunta scienza psicologica che è più la somma e la risultante di idee e di preconcetti comuni, che vera scienza che vuole e sa cercare il senso senza preconcetti. Solo imparando a dialogare con il profondo si può scoprire che non c'è anomalia, ma capacità di dire in modo significativo in ogni espressione del sentire e della vita interiore. Parlare di normalità o di alterazione è criterio di selezione e di giudizio, tanto rapido e sbrigativo, quanto semplicistico e ottuso, che appartiene a chi non ha capacità di intendere, a chi non si cura di capire con rispetto, con intelligenza, con sensibilità e con cura. Il dialogo interiore, fatto di ascolto e di attenzione a riconoscere ciò che l'interiorità dice e propone, non è facile e immediato da instaurare. L'ostacolo primo è proprio il pregiudizio negativo verso il sentire che si presenti spiacevole o arduo, visto già in partenza come minaccia, come guasto, come alterazione di una presunta normalità, come ferita da sanare, cercando più fuga e sollievo immediato che concedendo apertura piena. La ferita è sempre un fatto intimo e in quel che geme c'è più verità e possibile conoscenza di se stessi che altro, considerato anomalo e di cui considerarsi vittime,  ipotizzando di essere colpiti da un che di sfavorevole e nocivo che risalirebbe a altro, a qualche accidente o causa o trauma  che abbia agito o che agisca da fuori. La domanda che ci si può rivolgere per non stare in opposizione e in fuga da ciò che intimamente risulta doloroso: cosa mi dice questa pena, cosa di me soffre? L'opportunità di andare verso se stessi e di essere accompagnati dal proprio soffrire a vedere, a scoprire qualcosa di sè, a lavorare creativamente su di sè si può aprire proprio lì, nella ferita che geme, in modo più sensibile e privilegiato, perché nel dolore sono toccati punti decisivi, perche lì c’è garanzia di non evadere sterilmente, ma di avvicinarsi a sé, al vero. Ogni volta il nostro sentire acutizza e illumina qualcosa, ciò che intimamente proviamo non è conseguenza obbligata e scontata, automatica e riflessa, dell'agire sfavorevole di qualcosa di esterno che ci procura patimento, ampi sono viceversa i margini di iniziativa e di scelta, di proposta di quella parte di noi, intima e profonda, che accende la risposta, che casomai col dolore e con la ferita vuole renderci visibile qualcosa di noi principalmente. In ogni caso è meglio, per aprire a noi e alla conoscenza capace di farci crescere, non avere pretese d'ordine circa ciò che ci deve accadere. Ogni esperienza interiore, occasione per aprire alla scoperta di qualcosa di noi stessi, ci arriva non casualmente o a sproposito. Renderci disponibili, non rifiutarci a noi stessi, è condizione per non creare finti equilibri e rigidi. Quel che s'accende nel sentire, non importa se doloroso e arduo, se inconsueto e incalzante, quel che prende viva forma in noi è la via per entrare in rapporto con noi, per fare un altro passo e significativo, importante e necessario, del nostro cammino di conoscenza. Capita invece assai spesso che cercando un rapporto col sentire pur con le migliori intenzioni di capire, ma spesso l'intenzione sottesa è comunque di farlo fuori, come roba che disturba, che non va bene, si torni (questo capita ahimè anche e non di radio in psicoterapia) a parlargli sopra piuttosto che ascoltarlo, a confezionare ipotesi di cause risalenti a questo o a quello del passato principalmente, a influenze negative subite, a mancanze e responsabilità di altri, a eventi e traumi, che trarne l'intima proposta fedelmente. Ascoltare richiede l'acquisizione della capacità riflessiva, che non ha nulla a che fare col ragionare sull'esperienza, traendo dal cassetto delle elaborazioni pronte o inventando col ragionamento ipotesi e spiegazioni che si adattino all'esperienza, a sensazioni, a stati d'animo, o che cerchino in qualche modo di spiegarla. Facilmente per una simile via si ricade nel già conosciuto, ci si ingarbuglia nei soliti schemi e riferimenti. La riflessione non è lavorio per far rientrare il vissuto nello stampo di un'idea già formata o rimodellata o partorita col ragionamento, ma è dar luce e riconoscimento a ciò che il sentire porta, genera, fa incontrare nel vivo. Come guardandoci allo specchio, che ci restituisce la nostra immagine riflessa, la riflessione ci consente di vedere cosa nell'esperienza viva dei nostri stati d'animo e sensazioni sta prendendo forma, cosa ci stanno comunicando, esprimendo. La conoscenza vera e fondata si forma così, passo dopo passo, senza mai fare aggiunte indebite, senza estrapolazioni, senza deduzioni, senza cedere all'impazienza di capire tutto subito, senza concedere a nulla che non sia scoperta fedele. Aprire alla propria interiorità significa lasciarla davvero parlare e impegnarsi ad ascoltarla, senza parlarle sopra, significa trovare questo nostro filo interno e tesserlo così come l'esperienza interiore via via consente. La nostra interiorità ha capacità di dire e di dirigere/orientare la ricerca su di noi, ricerca attentissima e fondata, che ci mostra chi siamo, senza evitamenti o sconti, come procediamo, cosa è possibile attingendo a noi e lo dimostra non solo in ciò che il nostro sentire di continuo propone, ma anche e in una forma eccellente nei sogni. I sogni che in analisi, in una vera analisi, sono il vero motore della ricerca, non sono robetta, ma laboratorio di idee e di pensiero che il profondo sa generare e proporre e che come nient'altro hanno capacità di abituarci a metterci allo specchio, a leggerci nell'intimo, a farci trovare il nostro sguardo, prigionieri come siamo di luoghi comuni e di pensiero preso in prestito, di propensione più a trovare accomodamenti che visione. In sintesi, il rapporto con la nostra interiorità bisogna imparare a costruirlo, con rispetto dell'interiorità e imparando a farci dare tutto ciò che, nel sentire e nei sogni, è capace di darci. Non si è in genere abituati a trattare il rapporto con l'interno e nemmeno a valorizzarlo, anzi in genere ci si aspetta poco o nulla da lì. Si è abituati a prendere o inseguire tutto all'esterno, a mettere al centro sempre la relazione con l'esterno. Per aprire al proprio mondo interno può diventare necessario farsi aiutare a farlo, a costruire questa capacità e fiducia, ma seriamente e da chi questo aiuto lo sa dare davvero.