giovedì 1 agosto 2024

"Depressione" e ricerca del filo interno

Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi, anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia, come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere, equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto una rovina, un venir meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere di ogni altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, filo di verità, l'assenza di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il vuoto, bilancio vero e onesto di ciò che è stato  messo assieme in appoggio a altro, per imitazione e per stare al passo col comune procedere, per ben figurare, non è per insane disistima e assenza di calore, ma per lucida visione, per fondata pretesa di "essere" e non di sembrare, per pretesa di invertire radicalmente la rotta, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente sofferente, come chi gli sta attorno, è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire? Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida, a legami e a supporti esterni? Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto, compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più inventato, ha cominciato in realtà, proprio dentro una sofferenza così irriducibile, ad essere tracciato, spazzando via le false costruzioni, le abituali distrazioni. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purché non lo si squalifichi perché doloroso, purché non gli si contrapponga come regola una normalità cui aderire, purché non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello che hanno tutti, potrebbe pur bastare? L'impegno di cercarsi sul sentiero accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la propria vita, che non sia riempita d'altro raffazzonato e preso in prestito, ma finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste parole avranno senso e contenuto seri.

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