domenica 3 novembre 2024

Il dispetto

E' convinzione molto diffusa che ciò che interiormente è in contrasto e non omogeneo con le aspettative di quieto vivere e che procura disagio, che implica sofferenza, che interpone nel cammino stati d'animo, sensazioni che paiono del tutto inopportune e strane, diverse da ciò che si considera, in saldo accordo col senso comune, come ovvio e normale, procuri solo danno e faccia dispetto alle esigenze di buono stato e di favorevole corso. Non si tratta di una opinione più o meno dubbia e da verificare, ma di una persuasione ferma, che diventa presto vessillo e arma di combattimento per contrastare, per debellare il nemico, il presunto nemico interno. La squalifica di ciò che interiormente non asseconda, che pare minacciare il bene proprio, è così ferma e senza discussione, che non resta che affilare le armi dell'intervento, che bonariamente si chiamano cura, terapia. Può trattarsi della cura con mezzi chimici, in modo suadente chiamati medicine, che non tollera, che vuole zittire il sentire non in riga, che vuole rimettere le cose a posto e nel corso di ciò che l'ingegneria del provvedimento considera normale e favorevole. C'è poi il trattamento più morbido e in apparenza accogliente, come in svariate psicoterapie, che, anzichè zittire e manipolare con la chimica,  paiono voler dare retta al disagio come spia di un guasto, di un che di anomalo, che avrebbe prodotto quello stato infelice e compromesso il regolare corso interiore, caricandolo di asperità. L'idea di ciò che interiormente dovrebbe esserci e che coincide con la stabilità, non perturbata da disagi e da segni di sofferenza, del procedere consueto, casomai con una sua corsa più fluida e una resa più efficiente, fa da principio guida e sottende la ricerca delle cause. Si indaga preferibilmente il passato, si cercano fattori di condizionamento, anomalie nell'educazione e nei rapporti con figure significative, si cercano traumi pregressi, esperienze fortemente dolorose e perturbanti, cui fare risalire l'origine di un presunto stato  di instabilità, di precarietà interiore, di tendenza a difendersi e a reagire malamente, per condizionata reattività, anomala e disfunzionale, giudicata cioè non utile e non sensata,  non funzionale a interessi di buon equilibrio e di buona resa. Tutto appare come bene in questo modo di prendersi cura di sè agli occhi di chi è favorevole a intervenire il modo riparatorio sulla presunta azione molesta e dannosa di una condizione interiore vista dal principio come a sè sfavorevole e deleteria, come un disturbo che minaccia e che fa dispetto ai propri interessi di benessere e di buono stato. Cominciamo però, interrompendo il corso fatale del ragionamento, che pare non fare una grinza, a aprire domande. Dove sta realmente il danno e cosa fa dispetto ai propri interessi di crescita e di realizzazione? Quali sono i propri veri interessi? Quanto è affidabile e fondata la posizione, che si autoproclama così certa e sicura, che sostiene l'idea del danno, della necessità, della bontà e del favore ai propri interessi del lavoro di ripristino di normalità, che sorregge l'impianto della cosiddetta cura nelle sue espressioni più diffuse? In una condizione di lontananza abituale dalla propria vita interiore, di attaccamento a ben altre guide e fonti di pensiero rispetto a una visione che scaturisca da sè e alimentata da un lavoro attento sulla propria esperienza, in una condizione di estraneità e di ignoranza di ciò che vive dentro se stessi, di incapacità di intendere ciò che dice e propone la propria interiorità attraverso il sentire, di cui ancora si ignora il linguaggio e di cui facilmente si fraintende l'intenzione, far scattare subito l'idea che la difficoltà che il proprio corso interiore genera equivalga a un disturbo e a un anomalo stato, che ciò che l'interiorità mette in campo sia anomalo, sbagliato, alterato, nocivo, malato è tutt'altro che una reazione da prendere automaticamente per buona, di cui farsi scudo come certezza. La vita interiore è tutt'altro che un corteo di segnali più o meno in accordo con la testa, con quella parte di sè che dirige e che fissa cosa è razionalmente valido e sensato, vero e giusto. La testa, che pure si illude di capire le personali esigenze e interessi, sa pensare prendendo da fuori le guide, tutta quanta la grammatica del vivere, i significati già pronti, che coniuga e combina, che declina senza avere altra capacità se non di stare nel programma già configurato e nella visione già delineata. Interiormente c'è ben altro che l'ossequio a questa testa pensante, capace in apparenza di concepire in proprio e validamente, in realtà muovendosi al seguito e facendo il verso a altro che istruisce il suo pensiero e che lo conduce. Interiormente c'è uno sguardo attento a vedere le implicazioni e il significato vero di ciò che la testa non sa e non vuole vedere e prima di tutto di se stessa e del suo modo di operare. Dunque capita che l'intimo sentire non sia concorde con le attese della testa, che cerchi non già di fare capricci e di sparare risposte anomale e deficienti, conseguenze di un presunto danno o trauma subito, di una irrazionalità che la rende parziale e cieca, ma che viceversa dia segnali intelligenti e ben mirati per aprire lo sguardo, per vedere cosa si sta facendo di se stessi, con quali esiti veri tutt'altro che scontatamente validi. Insomma c'è una parte intima e profonda che non segue docilmente l'andazzo abituale e che cerca di promuovere un risveglio di consapevolezza, di porre le basi di una verifica e di un ripensamento, attento e puntuale, onesto e preciso, che porti a scoprire il vero della propria condizione e modo di procedere, perchè da lì nasca qualcosa di proprio e autentico, di originale che non sia il movimento e l'iniziativa abituale della testa a rimorchio d'altro e di comuni preconcetti. E' in gioco la propria sorte e realizzazione, mica robetta. A fare dispetto a sè e ai propri interessi rischia di essere proprio la testa che sentenzia che è l'interiorità e il suo corso a fare dispetto.

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