venerdì 1 novembre 2024

Non è spento

Sempre a cercare luce fuori, occasioni e stimoli, come se altrimenti ci fosse un intimo spento, un vuoto interno da colmare. L'intimo di sè appare sempre mancante e oscuro, illuminabile solo da luce riflessa presa da fuori. Quest'idea di se stessi circa la parte che non sta in adesione, in aggancio e debitrice d'altro, è talmente radicata da poter segnare il corso intero d'esistenza, di una vita presa in affitto e appresa, tenuta su da rifornimenti continui di contributi e supporti esterni, da iniziativa incessante volta a non rimanere in stato di abbandono, a luce spenta. E' verità o pregiudizio quello che considera l'intimo di sè e la realtà dell'esserci senza sostegni e rifornimenti esterni come inconsistenti e vuoti? La persuasione che il bisogno d'altro caratterizzi fatalmente, quasi naturalmente, l'esistenza, ha fatto sì che il rapporto con se stessi sia stato presto, nel corso del cammino di vita, segnato da necessità di disinvestimento e di sostanziale fuga dalla presenza a sè e con se stessi, dal rapporto, dall'ascolto e dal dialogo col proprio intimo, caricati invece della necessità di approvvigionamento di risorse prese da fuori, necessità vissuta come bisogno naturale di dipendenza. Seppure spesso camuffata da legge umana, da legge di natura, c'è chi ha detto che siamo animali sociali, dunque capaci di crescere e di realizzarci solo in unità e in relazione a altri, è a tutto tondo una regola di dipendenza. Le dosi vanno di volta in volta procurate e assunte, diversamente c'è rischio di caduta in disgrazia, di pena e di tormento da astinenza, c'è l'incubo di un isolamento segnato da penuria e da vuoto, da gelo e da senso di mancanza, di esclusione, da timore di involuzione e persino di caduta nell'anomalo e malato. Impossibilitati, per pregiudizio recidivo e ben condiviso dai più, a generare e a trarre da sè risposta a necessità vitali di formazione di uno sguardo e di un pensiero, di scoperta di un calore non artefatto, di un senso di vicinanza da contatto vero e rigenerante con la vita, tutto in via sostitutiva è cercato fuori, senza nemmeno avvedersi che è in gioco il ricorso a sostituti, a succedanei, tutto cercato e preso da altro, da altri che soddisfi queste necessità fondamentali. Se questa non è dipendenza cos'altro è? Se l'intimo significato della propria vita non è visto con i propri occhi, compreso da sè e attraverso il proprio sguardo e la propria specifica dotazione umana, se l'essenziale della capacità di pensiero e di orientamento, di scoperta di ciò che vale e del suo perchè, non prende forma e non si genera dentro se stessi e su fondamento e guida del proprio sentire, l'incontro e il rapporto con gli altri cos'altro può diventare se non mutuo soccorso e sostegno nella forma d'esistenza presa a modello e copiata da fuori? E' una forma d'esistenza, senza forza e alimento di radice propria, dove ciò che conta, disciplinandosi a soddisfare le aspettative altrui, casomai mettendo in campo qualche tocco di estro o di originalità teatrale, è ben figurare per ottenere apporto di convalida e di stima da sguardo e da autorità esterna, privi come si è di autonoma comprensione e stima di ciò che merita e vale, di ciò che appassiona e che si ama convintamente, senza secondo fine. Privi della scoperta della propria identità vera, che solo nell'unità con tutto il proprio essere può essere scoperta e compresa, ci si infila nel ruolo, nella figura riconosciuta e riconoscibile dagli altri per darsi volto, il volto di un figurante. Che l'individuo sia, sulla scena sociale e dentro la cosiddetta realtà, figurante comparsa o primattore poco cambia, si tratta comunque di affidarsi a una identità presa e appresa e non di far conto su una identità e su una presenza viva e vera, che solo dal rapporto intimo con se stesso potrebbe generarsi e vivere, in ogni caso l'intimo finisce per essere circoscritto e solo sottomesso alle esigenza di scena. L'intimo, che non ha spazio di esistere davvero, è concepito e accettato solo come luogo di rilancio nella corsa abituale, di preparazione e trucco per nuove prove, come il camerino dell'attore che si prepara e si predispone all'uscita in palcoscenico, diversamente non è certo considerato e vissuto come incontro con parte viva e profonda di se stessi, come intimo in cui sostare, in cui ascoltarsi, in cui comunicare col profondo di sè, con la scoperta di una intimità tutt'altro che fredda e inospitale, dentro cui sentire contatto vivo, dentro cui il vero dell'esperienza vissuta può prendere volto, rompendo il muro dell'inconsapevolezza. L'intimo, l'intimo di sè e con la propria interiorità, non l'intimità con altri, che può esserne il sostituto e che spesso è l'unica forma riconosciuta di intimità, nella idea e nella pratica più comune non esiste se non come luogo di transito fugare, come luogo che altrimenti, se ci si dovesse trattenere oltre, è temuto come arido e vuoto, con cui e dentro cui pare prudente, necessario non stare, non indugiare, pena il rischio di sentirsi in stato di sofferenza da privazione, da abbandono, dentro una solitudine vista come maldetta sorte, infelicemente vuota, a meno di "ravvivarla" riempiendola di faccende, di iniziative che includano altro. C'è chi dice di saper stare da  solo, da solo sì, ma sempre affaccendato e in attaccamento a altro, che sia, per fare qualche esempio, un fare concreto, che sia leggere o ascoltare musica, poco cambia, sempre e comunque in difesa e a porre rimedio al  disagio e alla paura dello stare non fugace, senza supporti e stimolazioni esterne, a tu per tu e in contatto con la propria interiorità, in una intimità con se stesso temuta come vuota e spenta, senza calore e senza luce. L'intimo è spento solo per pregiudizio e per devianza, per quel movimento ripetuto, incessante a deviare da se stessi, come se non ci fosse origine di vita e di crescita se non in relazione, dipendente, con altro. Relazione con gli altri che non va di certo nè negata, nè sottovalutata, perchè l'incontro e il rapporto tra individui ricchi di autonomo pensiero, di identità vera e non da figurante e di capacità di ascolto può essere fecondo, fecondo se i due hanno relazione viva e feconda con se stessi, con la propria interiorità. L'intimo di sè non è nè vuoto, nè spento, a patto che non lo si rifugga. 

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