A volte affiora appena, altre volte dilaga. E' la paura rivolta alla parte intima di se stessi, parte che resta per molti una sconosciuta, un mistero. L'intento abituale, che presto nel personale percorso di vita si afferma e via via si rafforza, è di disciplinare questa parte intima di sè, di renderla docile e conforme alle aspettative di ordinato procedere, subordinandola all'esigenza di ben figurare, di ottenere buone prestazioni, di essere, quando si abbia voglia di vacanza e di liberatorio sfogo, leva e mezzo di appagante ristoro o godimento. Tutto meno che intendere che il proprio sentire e tutto il corso della propria vita interiore non sono un docile cagnolino da ammaestrare e da usare come si vorrebbe, ma ben altro di valido e capace, oltre che, nelle sue espressioni e nell'intelligenza che lo guida, autonomo dalle attese e pretese della parte conscia, perchè finalizzato a rendere visibile la verità e non ad assecondare la ricerca della prestazione e a darle manforte. Ciò che non trova rispettoso riconoscimento è la propria interiorità, parte essenziale e non certo marginale del proprio essere, parte viva di se stessi e non congegno o accessorio al traino. La mancanza di rapporto, di vicinanza e di familiarità di scambio, di capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità non sono però motivo di interesse e di preoccupazione, non sono nodo o questione rilevante, quel che nel tempo è diventato rilevante, ciò che conta è non essere fuori dai giochi e indietro nella competizione per dare prova, per non essere da meno degli altri. Il paragone con gli altri predomina sull'interesse di avvicinarsi a sè, di conoscersi, di capirsi apertamente e lealmente, senza mettere subito in campo pretese o pregiudizi. Il distacco da sè, il mancato sviluppo del rapporto con la propria interiorità, relegata e considerata solo parte subalterna da tenere a bada e da piegare alla logica e al predominio della parte conscia razionale, che si considera l'unica valida funzione cui affidarsi e di cui fidarsi, ha conseguenze rilevanti. Ciò che non trai da te, che non coltivi e generi coinvolgendo la totalità del tuo essere, fatalmente lo vai a prendere, già confezionato, da un'altra parte, fuori. E' conseguente dunque la consegna a altro, che fuori è organizzato e che si propone come agenzia apposita e autorità specifica per darne soddisfazione, del compito e della capacità di essere fonte di conoscenza, guida sicura e alimento a pronto uso e consumo per ogni possibile esigenza e sviluppo di sè. Ciò che da sè potrebbe e dal profondo vorrebbe generarsi come pensiero e consapevolezza, come scoperta di significati e di valore, come alimento della propria crescita come individui e non come allievi e scolaretti più o meno meritevoli e distinti, è bloccato, chiuso. L'ipotesi di far conto su di sè, sul rapporto con la propria interiorità, per generare da sè pensiero e ciò che è fondamento necessario e alimento della propria realizzazione umana, è considerata velleitaria, non credibile, impossibile. Diventa allora possibile soltanto istruirsi e prendere da fuori guide e contenuti, argomenti e senso di realtà, una realtà intesa in assoluto come "la realtà", l'unica riconoscibile come tale, fatta coincidere con ciò che è rappresentato e concepito comunemente, che ha forma concreta e collaudata. Ci si cala allora, come attori in scena, nella parte che la sceneggiatura del pensato, della pratica e del senso comune consegna come ruolo da rivestire, da interpretare e replicare, cercando, a volte con qualche guizzo personale, di farlo comunque in modo fedele al copione, facendo proprie le modalità e le scelte di vita prese e apprese da lì, facendosi istruire a dovere e guidare dal manuale del pensato comune e prevalente, che dice come intendere le capacità e la realizzazione personale, i modi e i tempi, le cadenze e le scadenze. A una determinata età spetta di fare questo per formarsi, quello per gioire e divertirsi, a un'altra si deve compiere il passo importante, sinonimo scontato di crescita e di maturità e via di questo passo, dentro un cammino regolato, ritmato da fuori, reso indice di normalità. Più che individui, che hanno necessità di trovare dentro sè e, facendo conto sulla totalità del proprio essere, nel dialogo interiore la propria fonte, le risposte che contano, il senso e le ragioni della propria vita, si diventa parte di un aggregato e lì dentro si cerca di affermare e di salvaguardare il proprio merito e di ottenere riconoscimento e sostegno nella considerazione altrui, nell'autorità esterna che di volta in volta sovrintende. Tutto senza vedere, senza riconoscere nitidamente questa condizione di dipendenza e di un procedere nella sostanza eterodiretto, con preoccupazione di non rompere l'intesa col giudizio comune e con l'autorità esterna, badando a ricavarne comunque sempre conferma, supporto e guida, cercando lì appoggio e sponda, anche quando si voglia andargli contro e fare gli alternativi, gli antagonisti o i ribelli. L'illusoria persuasione che in questa pappa dipendente ci sia invece espressione di volontà e di capacità propria ben si regge sul lavorio della parte razionale, pronta a sfornare pensiero, che applicato a se stessi, persuade di ciò che fa comodo attribuirsi, lavorio che si rivela superlativo nel mistificare, nel far credere ciò che non è, nell'occultare ciò che è. Ebbene in questa condizione e dentro questo modo di procedere, celebrati come normali, mantenuti e tutelati ad ogni costo, malgrado a tratti si sia avvertito un senso vago di mancanza di unità con se stessi e di mancato fondamento saldo nelle proprie scelte e modi di stare al mondo, la realtà personale vera che ha nel tempo preso piede è di una sostanziale distanza o dissociazione dal proprio intimo. Al proprio intimo nel tempo si è voluto assegnare la funzione di gregario o comunque di tacito assenso e sostegno, al proprio intimo, se non assecondava questa pretesa, si è stati pronti a guardare con sospetto o in cagnesco, così come si è stati pronti a attribuirgli patente di incapace quando non si rendeva funzionale ai propositi che si sarebbero voluti realizzare, senza chiedersi mai il perchè di queste aspirazioni e propositi, spinti da cosa e a quale scopo. Se l'interiorità a un certo punto, per far sì che si faccia finalmente profonda verifica e chiarezza sul proprio stato, alza il tiro e fa la voce grossa, cosa non rara, ecco che dal sospetto e dalla diffidenza abituali, dal latente e onnipresente timore, che ha accompagnato tutto il cammino d'esperienza, che le cose intimamente non procedessero a dovere, che potessero tradire le aspettative e riservare brutte sorprese, ecco che, in presenza di crisi e di segnali forti di malessere interiore, agitati e messi in campo dalla propria parte profonda, la paura verso se stessi, verso l'intimo di se stessi, prende presto il predominio. A quel punto la prima reazione al malessere è spesso la fuga, il tentativo di allontanamento e di distrazione da quel sentire difficile e sofferto. Se con questo espediente, tra l'altro incoraggiato dal pensiero comune, non c'è modo di neutralizzare l'intimo, ecco il ricorso a mezzi più diretti e forti per farlo recedere, per zittirlo, camuffati da cura. Se non sono gli psicofarmaci a intervenire, scendono in campo, anche in combinazione con l'uso dei farmaci, i tentativi di trovare spiegazioni, casomai col supporto di una psicoterapia. Al seguito dell'idea che in ciò che interiormente accade ci sia un'anomalia e un disturbo, che malauguratamente affligge e con l'auspicio che in questo modo venga debellato, ci si dedica volentieri alla ricerca della presunta causa del malessere, causa cercata sempre altrove da sè in qualcosa che avrebbe arrecato danno, che come trauma patito avrebbe minato la sicurezza e l'intimo quieto vivere, che per responsabilità o colpa di qualcuno, genitori e non, non avrebbe dato il dovuto e necessario apporto per crescere serenamente e per stare bene, per non essere esposti al malessere che ha preso piede. L'intimo è visto come una piaga da sanare, come un meccanismo da raddrizzare e da regolare, ma, su queste basi, le solite consuete basi, con queste premesse, la paura è destinata a non sparire. D'ora in poi si imporrà la necessità di vigilare perchè l'intimo non torni a inquietare, a smuoversi, a preoccupare. Sulla difensiva e in regime di paura verso se stessi si penserà, dove il malessere persista o si ripresenti, di essere malati a rischio di cronicità, da tenere sotto vigilanza e cura, esseri sfortunati cui è negato il diritto di stare bene. Le distorsioni nel considerare ciò che sta accadendo dentro se stessi come una patologia da sanare o come l'esito malaugurato di cause e di responsabilità altrui e non come lo stimolo e il richiamo che la parte profonda di se stessi (che non è un che di alieno e lontano, ma che è componente organica del proprio essere da sempre presente nella propria esperienza e attiva nel sentire, nei sogni e in tutto ciò che si svolge interiormente) sta esercitando per prendersi davvero cura di sè, per capire lo stato del rapporto con se stessi e per riconoscere la necessità di un radicale cambiamento, finiranno per avere il prevalere. La paura di se stessi rischierà così di diventare la norma dentro un modo dissociato di vivere e di viversi, mai riconosciuto come tale, rischierà, dopo la crisi o le crisi ripetute, non comprese nel loro significato e intento non di certo ostile o distruttivo, di prendere ancora più forza. La paura regnerà sovrana almeno fino a quando non si riconoscerà la necessità di un profondo cambiamento nel rapporto con se stessi, che metta prima di tutto al centro del proprio interesse, non il ripristino della normalità solita, ma la ricerca del vero.
domenica 1 ottobre 2023
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