Il termine dissociazione è abitualmente riservato a stati psicologici considerati anomali, patologici, ben difficilmente si è disposti a applicarlo per descrivere la condizione base e la costante del modo di procedere e di stare al mondo considerato normale e sano. In realtà la dissociazione è espressione tutt'altro che impropria per descrivere la condizione cosiddetta normale, in cui il rapporto con la parte intima e profonda, per mancanza di incontro e di vicinanza, di capacità di ascolto, di dialogo e di intesa con la propria interiorità, con ciò che si sente, che vive dentro se stessi, è di sostanziale disunione. Un vero stato di disunione e discordanza tra parte conscia e intimo profondo. Mica è poco, perché, senza un simile legame e intesa, senza trarre da lì, dalla connessione col proprio intimo e dall'ascolto di ciò che si muove in se stessi, dal proprio sentire, guida e ispirazione, nutrimento e sostanza per capire, per capirsi, si è solo affidati all'iniziativa isolata della propria testa che, dissociata dal sentire, impiega i ragionamenti per capire e che, priva di guida interiore, altrove cerca e trova indirizzo e che da altro che sta fuori nel pensato e nei modelli comuni prende ispirazione e suggerimenti, guida e sostanza di pensiero. Conseguenza di questa dissociazione dal proprio intimo e profondo? Non conoscere nulla di vero e di fondato di sè, non scoprire traendolo da se stessi e comprendendolo davvero e su basi di sguardo e di verifica propri cosa è importante per sé e perché, non avere prima comprensione dei propri modi di procedere abituali e poi e via via del significato autentico e delle ragioni della propria vita, non avere su queste basi la capacità di condursi autonomamente e di governarsi. La conseguenza è ritrovarsi di fatto al traino di ciò che da fuori definisce ciò che vale e che si può o deve perseguire e dimostrare, di cui si deve dare prova. Poco importa che si cerchi di sfuggire all'omologazione e al conformismo nei modi di pensare e di agire, in mancanza di una visione sincera e autentica di se stessi e del proprio modo di procedere, ogni tentativo di differenziarsi e di dire la propria rischia di ancorarsi a nuova ideologia, di trarre forza solo dal contrasto e dall'opposizione, dunque in appoggio e trovando sponda in ciò che è largamente già concepito. Le cause e le soluzioni per la propria emancipazione e per il desiderio di dire la propria finiscono per essere più cercate all'esterno che dentro, il terreno di lavoro è già dislocato fuori e non dentro. Se il profondo interviene con decisione sul piano intimo, se insiste nel tenere se stessi sulla corda e nel vincolare al proprio malessere è per fare intendere che è di se stessi che ci si deve occupare e prendere cura, che l'attenzione ad altro non è la priorità, che allo stato attuale si è davvero in cattivo stato finché non si arrivi a formare solida base propria, superando la dissociazione che rende monchi di una parte vitale e fondamentale di se stessi con cui invece si ha necessità di costruire un rapporto. Questo rapporto, questa ricomposizione dell'unità con se stessi è imprescindibile e essenziale per diventare individui consapevoli, per avere una visione propria della propria vita e di se stessi, per non essere solo individui a norma e copia di altro, cioè normali, semplicemente adeguati e al passo con ciò che si sostiene essere giusto e valido comunemente, per non darsi illusione di essere liberi solo per assunzione di un credo diverso, solo per assunzione di idee, il più spesso di ideologie, contro. In presenza di segnali intimi di tensione e di malessere però o tutto viene ricondotto a cause e a pressioni esterne o liquidato come una propria anomalia da correggere, da curare, nel verso del provare a metterla a tacere e raddrizzare. Squalificare come espressione di insufficienza e di inadeguatezza, se non addirittura di patologia, ciò che interiormente dà l'allarme e invita a provvedere a apprestarsi a profondi quanto utili cambiamenti, a conquiste di consapevolezza fondamentali e non rinviabili, è un'ingenuità assai poco favorevole ai propri interessi, è l'espressione di un pensiero dissociato, anche se ben sostenuto e convalidato da esempio e mentalità comune, da apporti di cosiddetta scienza medica o psicologica, come attendibile e giusto. L'individuo affidato al governo della parte pensante razionale, dissociato dal legame col proprio intimo, pretende, persuaso di perseguire il proprio bene, di agire sull'intimo imponendogli la sua logica, ben indirizzata e corroborata da fuori, dalla mentalità e dalla pratica comuni e da tutto il pensato e organizzato circostante. Su queste basi chi è alle prese con segnali di crisi e di malessere interiore invoca e persegue come scopo valido il ripristino dello stato solito, ricacciando nell'anomalo ciò che interiormente vuole invece spronarlo e condurlo a salvarsi, a lavorare efficacemente su di sé per prendere davvero in mano la propria sorte. Solo lavorando su se stessi e in unità col proprio profondo è possibile avere visione veritiera di sé, vedere ciò che risale a sé nel portare avanti modi di essere e di procedere tutti in appoggio e in dipendenza da altro. Solo in stretta unione e ascolto della propria interiorità è possibile portare a maturazione la visione propria autonoma e ben compresa e verificata di ciò che è importante e che si ha potenzialità di far vivere, di realizzare. Solo la parte profonda di se stessi ha capacità di essere la propria fonte ispiratrice e guida di pensiero nuovo e vitale, fondato e autonomo, senza il quale non si può che infilarsi nelle corsie del pensato comune, pur con tutte le apparenti alternative. Solo in unità con il proprio profondo è possibile rompere il legame di dipendenza da ciò che fuori fa sì da supporto, ma anche da limite e da incastro della propria realizzazione umana.
lunedì 1 aprile 2024
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