domenica 14 aprile 2024

Il rapporto col sentire: luoghi comuni, manipolazioni e trucchi sottili

Per capire se stessi è decisivo il rapporto con le emozioni e con tutto ciò che si muove interiormente. Se si vuole prendere contatto col vero, se si vuole conoscere se stessi e ciò che, al di là delle apparenze, accade nella propria esperienza, è necessario rendersi capaci di rapporto aperto e dialogico col proprio sentire, imparando a ascoltarlo in ciò che dice. E' tendenza frequente porre in secondo piano e sotto tutela ciò che l'esperienza interiore propone, dando prevalenza e consegnando funzione guida al pensiero razionale, riconoscendogli il compito e il diritto di  giudicare l'opportunità e di stabilire la congruità del sentire. In non poche circostanze, credendo nella superiorità e nella affidabilità dello sguardo razionale, si ritiene utile, anzi necessaria, come condizione per capire le cose al meglio, la messa in disparte delle emozioni, viste come fattore perturbante la visione lucida e obiettiva. Viceversa capita che in alcune circostanze si invochi la messa in pausa del ragionamento e dell'istanza di capire per liberare le emozioni, per quel "lasciarsi andare" liberatorio e libero da intralci, che colori e permei al meglio e piacevolmente la propria esperienza, convinti che ci sia solo da vivere le emozioni e non da capirle. Si conferma la tendenza a tenere separati il sentire e il pensare, come fossero antagonisti e inconciliabili, come dovessero operare in campi separati. Se da un lato la preoccupazione di salvaguardare il sentire dall'intervento del capire è comprensibile, considerato il carattere non dialogante, l'atteggiamento di fondo non rispettoso verso il sentire, l'attitudine a porre regole e condizioni e a stabilire dall'alto ragioni e spiegazioni, in sostanza la mancanza di capacità d'ascolto e riflessiva del modo usuale di esercitare il pensiero nella forma razionale, dall'altra, ritenere in assoluto inopportuno l'intervento del pensiero nel rapporto col sentire, significa fraintendere il potenziale e lo scopo del sentire. Il sentire evidenzia e detta i contenuti su cui portare l'attenzione, apre in modo sensibile la strada alla conoscenza, il sentire non disdegna affatto di essere compreso, di veder raccolto fedelmente e attentamente ciò che vuole dire, suggerire, evidenziare, anzi negargli ascolto e impegno di comprensione significa vanificarne la proposta e l'intenzione. La questione fondamentale è la forma di pensiero messa a disposizione e rivolta al proprio sentire. Al sentire, alle emozioni, agli stati d'animo, ai moti interiori, non va riservato un pensiero che si senta in diritto di commentarlo, di giudicarlo, in chiave negativa o positiva poco cambia, è sempre un pregiudizio, come abitualmente fa il pensiero razionale, con la sua pretesa di far valere la sua intelligenza sopra emozioni e vissuti, di fatto applicando loro le sue categorie e i suoi codici di significato già pronti, senza dare loro voce, senza raccoglierne il messaggio. Al proprio sentire va viceversa garantito un pensiero autenticamente riflessivo, capace di riconoscerne l'intimo volto, come quando, guardando la propria immagine riflessa dallo specchio, si può vedere nei propri occhi e nel proprio volto ciò che svelano, che comunicano. Le emozioni, i moti interiori, ciò che prende forma nel sentire va saputo cogliere e riconoscere nelle sue specificità e sfumature, perchè diversamente si spreca questa risorsa interiore, il suo potenziale propositivo. Facciamo un esempio per capire meglio. Un moto di invidia rivolto a qualcuno può essere facilmente trattato da chi lo vive o come un segno ovvio di desiderio di avere per sè ciò che l'altro possiede o manifesta come qualità, ovvio perchè pare possedere il meglio, o come espressione di sè disdicevole e sconveniente, perchè l'invidia ha caratteri in sè poco piacevoli, disagevoli, un pò amari, ma anche facilmente considerati da idea e etica comune indegni e riprovevoli. Ebbene quel moto si è pronunciato non per caso per dare l'occasione di prendere visione di qualcosa di importante, di cruciale di se stessi su cui portare l'attenzione. Ciò che mostra di sè, lo dicono proprio le particolarità e le sfumature del sentire, è un senso di insufficienza, di inadeguatezza, di mancanza di un proprio su cui contare e di cui sentirsi soddisfatti. A dirlo quella sottile pena disagio, imbarazzo riservato a sè che accompagna il moto di invidia. Dunque lo sguardo su se stessi comincia a rivelare che ci si sente carenti e che dalla propria non c'è qualcosa che si consideri davvero valido, qualcosa che si sia generato e che si senta e riconosca davvero caro a se stessi e valido ai propri occhi. Se scatta il paragone e se da altri ci si fa dire cosa vale e andrebbe perseguito ecco rendersi visibile attraverso quel sentire che si è al traino, che altro da sè ha già deciso cosa vale e cosa va perseguito per concedere stima a se stessi e per raggiungere un senso di capacità, di riuscita. Il proprio sentire disegna lo stato delle cose e crea il terreno di ricerca su cui riflettere, dove lo sguardo, l'attenzione sono portati e centrati su di sè, un terreno estremamente preciso, attendibile, capace di portare alla verità di se stessi, capace di permettere ricerca utile per non rimanere schiacciati nell'inconsapevolezza e costretti negli automatismi del pensiero e delle scelte. Il sentire è intelligente e intelligentemente delinea, evidenzia ciò che serve per entrare in rapporto più approfondito con se stessi, per lavorare su questioni vere e toccanti. Ma torniamo a riflettere su quanta corrispondenza e rispetto sono concessi al proprio sentire. Circa la libera espressione del sentire, va osservato che, a dispetto della loro presunta genuinità e spontaneità, sulle emozioni e sulle spinte interiori cala non di rado da parte di chi le vive una presa sottile, che le vuole comunque pilotare, in qualche modo selezionare e riplasmare. Sul conto delle emozioni, del sentire, si tende infatti non poche volte, anche se in modo non appariscente, a svolgere un controllo e una regia che vuole che si esprimano e si declinino accontentando canoni di normalità, di buona resa e di buon gradimento: commuoversi, stupirsi, piangere, gioire e entusiasmarsi, come fosse positiva o dovuta quella particolare espressione, "normale" in determinate circostanze e condizioni, come fosse sinonimo di sana sensibilità e vitalità, come se in caso contrario ci fosse sospetto di freddezza, di mancanza di sensibilità, di qualcosa che non va. Per alcuni può anche vigere regola diversa, ritenendo espressione di debolezza provare turbamento, paura, inquietudine, come se forza d'animo e maturità consistessero nel rimanere saldi e sicuri. Non è raro comunque che ci si ponga, in subalternità a regole condivise, il dubbio circa la propria idoneità, circa se stessi, quando non risulti a se stessi naturale e spontaneo provare ciò che culturalmente è ritenuto ovvio, valido e normale. Fare delle proprie emozioni, del proprio sentire il mezzo per risultare adeguati e ben accetti, per ben figurare e in modo più esplicito farne l'arma per sedurre, per stupire favorevolmente, non è cosa così rara. Il sentire autentico, che sinceramente, senza filtri, correzioni e manipolazioni, possiamo riconoscere dentro di noi, in realtà è autonomo rispetto a ogni pressione, non rispetta nessun convenevole, non si subordina a nessuna azione regolatrice, a nessuna disciplina e pretesa, è imprevedibile, mai scontato, mai docile alle attese. Il nostro sentire vero, non oscurato, non filtrato e non rifatto a nostro e altrui uso e piacimento, è la voce del nostro profondo, che, incurante delle convenienze, sfuggendo a qualsiasi tentativo di addomesticamento, con precisione e con intelligenza vuole a ogni passo guidarci a entrare nelle pieghe della verità che ci riguarda. Il sentire non è una bella decorazione, un fiore da portare all'occhiello e neppure è risposta  automatica a questo stimolo o a quello. Il nostro sentire è funzione intelligente, è traccia e guida per entrare in rapporto con la verità di noi stessi, il sentire spontaneo e naturale è ogni volta spunto intelligente, spunto, evidenziatore, scintilla di conoscenza. C'è chi, più spiccata questa convinzione nel sesso femminile, ritiene di avere apertura naturale e più spiccata confidenza con le emozioni, col sentire, coi sentimenti e con tutto ciò che non è nel governo di volontà e ragione. Se è vero che l'uomo è spesso più lontano della donna dalla vita intima e più avvezzo all'azione e al pensare razionale che viaggia disinvolto in alta quota ben staccato dal suolo degli svolgimenti interiori, non è detto che quest'ultima abbia davvero capacità di rispettosa apertura e rapporto con la vita interiore, col sentire. La presunta e apparente apertura e vicinanza al sentire, se esposta a uno sguardo più attento può infatti lasciar vedere che su emozioni e sentimenti può esercitarsi, come dicevo, niente affatto raramente, una sottile manipolazione. Senza che si renda visibile smaccatamente l'artefatto, pur senza teatralità o più scoperta ambiguità o ipocrisia dei sentimenti, si può in una forma più lieve e sottile caricare, enfatizzare, si può fare selezione, filtro sul sentire, dando riconoscimento all'interno delle proprie sensazioni e stati d'animo, a ciò che più è gradito e piace, rendendo così l'accesso e il rapporto col proprio sentire più controllato e conveniente, assai meno aperto, fedele e spontaneo di quanto non appaia e non si voglia credere e far credere. C'è poi l'istanza, di cui già dicevo, che vuole, per il proprio sentire o presunto tale, per ciò che muove le proprie scelte e espressioni, libertà da interrogativi stringenti, da necessità di verifica attenta, che chiede di non insistere con le domande di chiarimento, invocando quella leggerezza, che oggi nel pensato e nel linguaggio comune gode di buon credito. In questi casi il significato dichiarato, che spesso si rifà al più in uso e condiviso, è considerato sufficiente per la conoscenza di sé e della propria esperienza, anzi esaustivo. Succede allora che espressioni esaltanti come innamoramento, passione, attrazione o altre, meno esaltanti, come avversione, disagio, dolore, siano trattate come affermazioni che non necessitano di chiarimento ulteriore e di approfondimento rispetto a ciò che pare già implicito e scontato,  perché considerate in sé sufficienti per dire il bello e il brutto, per colorire e qualificare il significato e il valore, la bontà o il negativo di un'esperienza. Quante volte, per fare un esempio, per chi vive il cosiddetto innamoramento, questo è, senza dubbi e esitazioni,  sinonimo di un trasporto e di un forte sentimento amoroso verso l'altro, non curandosi di mettere in luce che quel cosiddetto innamoramento può essere espressione e collante di un legame dipendente (con reciprocità interdipendente), dove l'altro è mezzo e occasione per portare a sé, prontamente, qualcosa, il sostituto di qualcosa di essenziale e necessario non ancora cercato dentro se stessi, non ancora coltivato, generato e fatto vivere da sé, quante volte  pare via di completamento (trovare la propria cosiddetta metà) e di realizzazione, quando invece è rinuncia a cercare vera completezza di individuo e vera auto realizzazione, quante volte è illusoria rinascita e risalita di autostima, perché l'altro o l'altra riempie di attenzioni e sembra porre se stessi al centro del suo interesse! Vedere chiaro cosa ci si spinge a cercare e a fare proprio, riconoscere dentro le proprie spinte i significati veri, aprendo confronto attento e trasparente con se stessi, è scelta frequentemente omessa e evitata, perché, assumendo per vero il significato apparente, perché affidandosi alla retorica dei sentimenti, tutto sembra girare al meglio e favorevolmente, salvo nel tempo, come nell'esempio di prima,  patire, non di rado, la stretta del legame dipendente e ritrovarsi a corto di autonomia e di crescita personale vera, salvo giungere, in non pochi casi, a disillusioni cocenti. La retorica, rivestire di qualità e di significati che piacciono e che fanno comodo, ricorrendo e andando dietro a modi di intendere di largo uso e ben considerati, è nel rapporto col proprio sentire un espediente che torna assai gradito, in apparenza vantaggioso. La manipolazione del sentire e l'utilizzo sul suo conto di attribuzioni di significato e di valore più comuni e imperanti, offre vantaggi di immagine, copre responsabilità, aiuta a trovare scorciatoie, a darsi un'identità che piace, persuade e trova facile consenso negli altri, appoggio, complicità. Se trucca le carte, lo fa in modo così sottile da passare inosservato. Non del tutto però, perché la parte profonda di se stessi non si fa né incantare, né persuadere dalle apparenze, perché di tutto ciò che si muove sullo scenario dell'esperienza sa riconoscere  e vuole far risaltare il senso vero. E' tutt'altro che infrequente cadere nella trappola del sentire che si pretende genuino, delle spiegazioni e delle rappresentazioni sul suo conto che vorrebbero essere appropriate e consone, in realtà sovrapposte, arrangiate, a proprio uso e beneficio, per diletto, per convenienza, per quieto vivere. Per fortuna l'inconscio è presenza vigile e può, se gli si dà ascolto nel sentire autentico e nei sogni, aiutare a districare, a svelare i trucchi, a trovare il vero, per non farsi irretire da ciò che, pur piacendo e dando immediato agio, pur trovando appoggio e conferma in altri e nel comune modo di pensare, non dà occasione di conoscere se stessi e di crescere.

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