Se parlare di rapporto con gli altri risulta
realtà immediatamente riconoscibile e comprensibile, parlare di rapporto con se
stessi appare ai più cosa sfuggente, di scarsa visibilità e consistenza. Eppure
è quotidiano l'intervento che ognuno fa su e verso se stesso, ascoltando o meno
ciò che prova, offrendo a se stesso guida più o meno consapevole dei perché delle
sue scelte e risposte. Contemporaneamente, guardando dall'altro lato del
rapporto, è ben tangibile l'influenza che la parte intima di se stessi esercita
in ogni momento, mettendo in campo emozioni, spinte, stati d'animo e non solo,
se consideriamo che la notte, quando tutto fuori tace, quando la componente
conscia recede, lì accade il meglio e il più vistoso dell'iniziativa che
l'inconscio prende rivolta al resto del proprio essere, che in quel momento può
solo lasciarsi prendere e condurre, come accade nei sogni. Dunque il rapporto
con se stessi non è cosa astratta e impalpabile, è realtà viva. E’ una costante
in svolgimento attimo dopo attimo, ben riconoscibile e consistente. Semmai è il
rapporto con gli altri a essere comunque sporadico e discontinuo. E'
quest'ultimo però che ha riconoscimento e cui sono rivolte le più assidue
attenzioni e preoccupazioni come se fosse il centro e il luogo decisivo dell’esistenza.
Del rapporto con se stessi, di come si svolge, di quel che racchiude poco o
nulla ci si occupa e preoccupa. Nei frangenti critici, come accade in presenza
di disagi interiori, di pieghe non facili e inattese che prende il proprio
sentire, la risposta è spesso sorda e ruvida, sbrigativa e intollerante,
facendo prevalere la voglia di disfarsi della difficoltà e del momento critico
su quella di ascoltarsi, di confrontarsi con pazienza e con attenzione con se
stessi, con la propria interiorità. In queste circostanze ciò che la propria
interiorità rende acuto è visto più come intralcio, come cattivo funzionamento
da superare e possibilmente spazzare via, come accidente da temere e combattere
che come momento vivo di incontro con la parte intima di se stessi. Nessuna
fiducia che ciò che si sta provando possa dire qualcosa di importante, di
centrale, che sappia e che voglia comunicare, nessuna idea di rapporto, di
possibile dialogo con la propria interiorità. D’altra parte si è così abituati
a procedere tenendo in posizione marginale e subalterna tutto ciò che di se
stessi esula da ragionamenti e da iniziative della parte che funge da testa che
conduce, che è comprensibile che la risposta a ciò che interiormente si è reso
più difficile sia di cacciare via e mettere a tacere come una molestia o come
un preoccupante cattivo stato ciò che si sente, che si è convinti possa solo
recare a se stessi danno. Dunque il rapporto con se stessi prende spesso una
forma, ha un suo svolgimento, a ben vedere, tutt'altro che esaltante e però non
pare questione rilevante, non la si riconosce come tale, perciò non diventa tema
di attenzione e di riflessione. Non solo non è una priorità, ma non è motivo degno
di attenzione, ancora meno di preoccupazione e di cura. Quel che conta è non
perdere il legame con la cosiddetta realtà, che è sempre cosa che sta là fuori.
Più importante e di interesse vitale è occuparsi del rapporto con gli altri, visto
appunto come teatro principale della propria esistenza, luogo dove si addensano
le personali attese, gli entusiasmi, anche se fugaci, oltre che le
recriminazioni, le pene e i tormenti. E' del rapporto con gli altri, con altro
che sta fuori che ci si ostina a occupare e a discutere, è lì che si riconduce
tanto o tutto di se stessi, come se la propria vita e la propria personale
cifra fossero lì raccolte e messe in gioco. Addirittura c'è un'etica, non da
pochi condivisa e propugnata, che biasima il dare peso, il rivolgere interesse
al proprio stato e l'occuparsi troppo di se stessi, il tutto giudicato come
segno di egoismo e di egocentrismo, di rimuginazioni sterili e di ripiegamenti
insani, per esaltare viceversa il valore morale e ideale del dare interesse e
attenzione agli altri. Si ignora che ciò che si rivolge all'altro è della
stessa pasta e qualità di ciò che si rivolge a se stessi, che ciò che si fa
verso l'altro è né più né meno ciò che si è abituati a fare verso se stessi. Se
si è incuranti di ascoltare e incapaci di intendere cosa il proprio sentire
dice, se gli si mette sopra, spacciandosele per riflessione e chiarimento,
spiegazioni costruite razionalmente, spesso di comodo, che, dando peso e
centralità a condizioni e a condizionamenti esterni e a responsabilità altrui,
chiudono lo sguardo su se stessi, anziché aprirlo, come si potrà essere capaci
con l'altro di ascoltarlo e di incoraggiarlo a ascoltarsi e a riconoscere con
trasparenza e fedelmente ciò che il suo sentire vuole fargli sensibilmente
riconoscere e capire di se stesso? Se si è ostili a ciò che interiormente
risulta doloroso, se si è in fuga e pronti a cercare ogni mezzo per evadere,
per aggirare o per dissolvere il proprio sentire spiacevole, sostenuti
dall'idea che stare bene significhi (affermato come un principio di salute e
rivendicato come un diritto) non portare pesi interiori e non patire tensioni,
come si potrà dare all'altro, se a sua volta proporrà disagi e esperienze
interiori difficili, risposta diversa dal cercare di sostenerlo nello sforzo e
nella petizione di trarsi presto fuori e al riparo dal suo sentire disagevole e
sofferto, di cui si considera vittima e che vive come ostile? Nel dialogo con
l'altro, come si è abituati a fare con se stessi, sarà fatale assecondare e
dare manforte alla tendenza dell'altro a costruire spiegazioni del suo
malessere, in apparenza logiche e coerenti, che, puntando lo sguardo più
all'esterno che all'interno, spiantate e senza accordo con ciò che il suo
sentire vorrebbe fargli comprendere, lo aiuteranno soltanto a procurarsi
temporanee rassicurazioni e conferme di ciò che è solito e che gli è gradito
credere, non certo a avvicinarsi a se stesso e a prendere coscienza del vero.
Quel che si fa con l'altro è né più né meno quello che si fa con se stessi, non
si cambia magicamente, non ci si può inventare in presenza dell'altro qualcosa
di diverso da ciò che si è prodotto nel confronto vivo con se stessi, con la
propria esperienza. Dedicarsi a se stessi, lavorare su se stessi, portare a
maturazione un rapporto aperto e dialogico con la propria interiorità, è
prioritario e decisivo, muta la qualità delle proprie risposte possibili a se
stessi e di conseguenza anche all'altro, ben contro e diversamente dall'ingenuo
credo di chi, non pochi, sostiene che occuparsi di se stessi sia angusto e
sterile e che viceversa occuparsi di altri o del prossimo liberi chissà quali
migliori sentimenti e orizzonti di pensiero e ideali.
giovedì 4 aprile 2024
Il rapporto con se stessi
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento