Tutto si vuole includere nella propria vita perchè le dia più opportunità di sviluppo, meno che ciò che vive dentro se stessi. Si vuole che questa parte di sè fondamentalmente non disturbi, che intervenga come si gradisce che faccia, che si disciplini e si corregga se non fa da buon gregario per i propositi che si vogliono perseguire, che taccia e si levi di torno se gli crea ostacolo. Le si mettono sopra le spiegazioni e i commenti in apparenza più ragionevoli, in realtà i più strampalati, che come tali si rivelano quando si ha la bontà e l'intelligenza di ascoltarla, di intendere fedelmente ciò che dice. In modo rigido e ottuso, senza prestare ascolto, si riversano sul conto di ciò che si vive interiormente i luoghi comuni, si dà per scontata la logica comune. Tutto deve procedere in un'unica direzione. Se insorgono segni discordanti di malessere rispetto all'istanza che tutto si svolga senza ostacoli, interviene prontamente il fai da te dei tentativi di controllo, di ricerca del rimedio, sia nel verso di provare a allontanare e dissolvere ciò che interiormente risulta spiacevole, dell'evadere, del cercare qualche distrazione e investimento sostitutivo, sia del tenere sotto tutela e controllo fin che si può, l'esperienza intima da subito intesa come ostile e inopportuna, indesiderata, tutto per non compromettere la marcia abituale. Se non bastano questi espedienti ecco il ricorso alle cure, le solite e più convenzionali del metterci qualche farmaco per sedare o per tirar su, in ogni modo per manipolare ciò che si sente. C'è poi il ricorso alle psicoterapie, a partire da quelle, oggi più in voga e diffuse, che vantano pretese di scientificità, di impronta direttiva, di tipo cognitivo comportamentale, che ribadiscono il ruolo egemone della parte conscia razionale chiamata a intervenire, sotto la guida del terapeuta, per prendere atto del carattere disfunzionale, a sè sfavorevole, di modalità di pensiero e di conseguenti vissuti e risposte emotive (tipo ansia, paure, insicurezza, sfiducia e bassa autostima ecc.), ritenute distorte e irrazionali, da correggere, sostituire e riplasmare con l'apprendimento di modi di pensiero più valido e razionale, a supporto di risposte emotive, giudicate sane e adeguate, funzionali a un procedere che, nelle coordinate di ciò che è solitamente concepito come valido e normale, voglia essere favorevole e soprattutto indisturbato. Le stesse psicoterapie che vorrebbero essere introspettive e, con varie denominazioni, analitiche non mettono spesso in forse il ruolo egemone della parte pensante razionale chiamata a indagare, spiegare, interpretare fino a scovare nell'intimo, nel profondo presunte cause ignote di un malessere che lì troverebbe la sua origine. Arrivano poi annunciate con colpi di festosa grancassa le cure di ultimo grido, le nuove pensate, presentate come ultimissime scoperte e risultato dei progressi della scienza. Sono le nuove tecniche che promettono di liberare da intoppi, da conseguenze nefaste di traumi, da accidenti vari, casomai di incrementare il rendimento, ingegnose pensate che tutte partono dal presupposto, mai in discussione, che il meccanismo, che il presunto meccanismo della psiche, se in salute, debba girare a dovere, che, se c'è crisi e malessere interiore, da qualche parte si sia inceppato, che in qualcosa per qualche causa nefasta non renda come dovrebbe. Americanate del cavolo, spacciate per progressi e mirabolanti scoperte scientifiche, che hanno comunque il buon supporto e che trovano pronta credula accoglienza nell'idea comune che se c'è malessere significa che c'è guasto e necessità di rimedio, possibilmente facile e veloce, fatte salve dunque e fuori discussione tutte le condizioni del procedere, mai oggetto di riflessione, di attenta comprensione e verifica. L'intimo, ciò che si fa sentire, che interiormente accade, non ha significato se non per il contributo che dà o che non dà al procedere che si vuole far girare a senso unico e persistere. Non c'è alternativa. L'interiorità si spende per dare segnali di necessità di verifica. L'inconscio mette a disposizione l'intelligenza di cui dispone, che non venduta al senso comune e alla necessità di tenere su l'edificio di una realizzazione di se stessi tutta da verificare e capire nei suoi fondamenti, vuole spingere a guardare con attenzione nel proprio modo di procedere, per non perdersi nell'illusorio, per non fallire i propri veri scopi, tutti casomai da riscoprire. Questa parte del proprio essere, che scuote, che nel sentire dà segnali tutt'altro che di malfunzionamento o di preoccupante dissesto, ma mirati a aprire spazi di ricerca, a avvicinare e portare lo sguardo su di sè e non come è abituale all'esterno, non ha ascolto rispettoso, nemmeno è riconosciuta nella natura del suo essere, che guarda caso è essere parte fondamentale del proprio essere e non un che di alieno, che non è compresa nel suo valore, nel suo potenziale, nella sua capacità. E' vista solo come un'appendice minore, una coda, che, come tale, dovrebbe solo scodinzolare a comando. Se non sta nei ranghi ecco il trattamento, perchè si rimetta in riga, perchè non rompa i piani e i propositi abituali. Nell'idea comune sotto il livello del ragionare e dell'esercizio del volere nell'individuo esiste solo un qualcosa che deve assecondare e che per pregiudizio è parte meno affidabile e evoluta da tenere a bada e da vigilare e nel caso da disciplinare e da rieducare. Diventa normale in risposta a esperienze e spinte interiori, particolarmente se non piacevoli e sgradite, opporre principi, valutazioni e giudizi, selezionare ciò che varrebbe e ciò che no, spiegare, interpretare, sostanzialmente non accogliere e non ascoltare, non intendere il contributo interiore, pregiudizialmente considerato solo come parte da tenere sotto controllo e da regolare. Si finisce, senza capire la gravità della sostanza e delle implicazioni di ciò che si sta facendo, per bistrattare ciò di cui si è portatori, per trattare da subalterna e da incapace la parte intima e profonda del proprio essere, la parte in realtà più vigile e dotata di intelligenza che sa vedere cosa si sta facendo di se stessi, che, mobilitando il sentire e con i sogni notturni, vuole contagiare e coinvolgere la parte del proprio essere in cui si è confinati per riportare il pensiero a essere da ottuso ripetitore di schemi e di attribuzioni di significati correnti a pensiero utile e fecondo, a pensiero riflessivo, aderente al vero dell'esperienza, capace di interrogare e riconoscere cosa si sta facendo e come si sta procedendo, se al seguito d'altro e in posizione docile e preoccupata solo di dare buona prova e di riscuotere gradimento e plauso o se viceversa capace di coltivare e di generare il proprio. La parte profonda reclama l'umano, che non è dare prova, ma trovare le proprie ragioni d'esistenza e le proprie risposte, i propri scopi da realizzare per intima persuasione e passione e non per avere in qualche modo successo o per cercare adattamento e quiete nel vedersi e nel dirsi normali. La parte profonda del proprio essere non è la presenza oscura da tenere a bada, non è l'ospite indesiderato cui porre limiti e condizioni, in alcuni casi da estromettere, è semmai il meglio di sè su cui imparare a fare conto e da cui tanto, tantissimo si può ricevere e imparare.
mercoledì 13 marzo 2024
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento