Non è infrequente che, se coinvolti in
esperienze interiori di malessere e sofferenza interiore, si cerchi negli
altri, che siano vicini come amici, conoscenti o parenti o cercati in rete come
dentro forum e spulciando in lungo e in largo opinioni, chi possa aiutare a
capire e soprattutto a trattare ciò che si sta vivendo. C’è poi la tendenza a
cercare sollievo nella constatazione che anche altri sperimenti o abbia
sperimentato qualcosa di simile e a questi, alle loro opinioni si presta più
ascolto e credito. Sembra di trarre utilità da questi apporti esterni,
disarmati come si è nel mettersi autonomamente in rapporto con quanto si vive,
inclini come si è prima di tutto a difendersi e a contrastare ciò che si sta
provando. Va perciò aperta una riflessione su quanto possa offrire e riservare
a sé cercare fuori opinioni e apporti. Raccogliere le opinioni di altri rischia
di non essere una gran soluzione, perché ognuno nel trattare l’esperienza personale
che gli si espone ci mette del suo di preconcetti, di modi, che gli sono
abituali, di trattare la propria esperienza, tipo delegare subito la
comprensione dei propri stati d'animo, questioni scottanti e esperienze alle
valutazioni e teorie dell’esperto di turno o, già prima di ascoltare e di
provare a capirsi, avere cura e premura anche da sé di appiccicare etichette
diagnostiche alle proprie e altrui esperienze , tanto arbitrarie quando si
avvicina un'esperienza interiore, complessa e unica, quanto sterili. Etichettare
non significa conoscere. Se oggi si è entrati in una spirale dell'allarme per
le proprie condizioni di salute, se mille dubbi si aprono sul proprio reale
stato, in tutto questo un senso e uno scopo c'è di certo. E' importante saperlo
cercare e riconoscere. Per far questo è necessario imparare a non ridursi a
agire e a metter sopra l'esperienza ragionamenti che non hanno guida e
fondamento in ciò che si sta provando, è importante smetterla di affannarsi nel
fare e nel cercare soluzioni e cominciare invece a esercitare uno sguardo
diverso volto a riconoscere il senso di ciò che si sta vivendo. Se sinora ci si
è ignorati, se nel proprio procedere solito si è cercato tutto fuori di sè,
diventando estranei o semplici ospiti abitudinari e disattenti in casa propria,
per casa intendo il proprio spazio intimo, se di se stessi più profondamente
non si è frequentato e conosciuto nulla, se non si è riflettuto, guardandosi
come dentro uno specchio, ignorando il vero stato della propria vita, del modo
di condurla, se da una parte si fa, si agisce, si confezionano ragionamenti e
dall'altra si sente e non ci si cura di entrare in sintonia e di ascoltare e
comprendere ciò che si sente, se si tira avanti in una modalità di vita senza
apertura e confronto con se stessi, non è forse vero, non risalta che, seppur
nella forma dell'allarme e del temere le più disparate incognite e sorprese sul
proprio stato, qualcosa sta costringendo a occuparsi di sè, che sta segnalando
con forza e con insistenza la propria lontananza da se stessi, la propria
mancanza di attenzione per la conoscenza, non superficiale e distratta, ma vera
e approfondita, di se stessi, di cura del rapporto con se stessi? Nulla sulla scena interiore accade mai per caso e senza un senso, senza
uno scopo. La porta a cui bussare è dunque quella altrui, che non può dare
se non apporti comunque impropri e fuorvianti, offrire consolazioni che
aumentano la diffidenza e la distanza da ciò che si vive nel proprio intimo o
la propria porta, imparando, casomai con l'aiuto di chi sappia dare contributo
utile a questo scopo, a entrare in relazione aperta e capace di ascoltare
la propria interiorità in ciò, che anche nella forma, che può risultare
difficile e sofferta, sta cercando di dire?
sabato 13 aprile 2024
A quale porta bussare?
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