Riprendo il discorso sugli attacchi di
panico, tenendo conto della frequenza con cui simili esperienze si
propongono, anche e non casualmente in individui giovani. Proverò a dare,
tratto da lunga pratica analitica, qualche ulteriore spunto di riflessione. Chi
subisce un attacco di panico auspica soltanto che non si ripeta, vuole tornare
al più presto alla normalità, al consueto, anche se si sente molto segnato da
un'esperienza così estrema, anzi continuamente si sente in apprensione, sul chi
va là per la possibile ripetizione dell'attacco, eventualità tutt’altro che
rara. In realtà all'attacco di panico non vuole dare retta, non ha come primo
interesse quello di capire cosa significhi, a che scopo si sia prodotta dentro
di sè una simile esperienza. Il fatto che abbia avuto un carattere così
sconvolgente, che abbia investito il corpo in modo così forte e significativo,
favorisce l'idea che sia stato un guasto, un evento anomalo assai temibile, una
pericolosa minaccia da scongiurare e da debellare. Dopo l'attacco o i ripetuti
attacchi le indagini cercate con insistenza sul terreno medico, con esami
clinici innumerevoli, con visite specialistiche varie, con test diagnostici
ripetuti, alla ricerca di disfunzioni e di patologie possibili nel corpo,
vorrebbero da un lato scongiurare l'esistenza di gravi problemi organici e
dall'altro soddisfare l'attesa di scovare cause ben definite e circoscrivibili,
utili per riuscire a ridurre a problema fisico e a dominare in qualche modo, a
porre sotto controllo un'esperienza così inquietante e misteriosa. La
lontananza perdurante, anche se poco o nulla riconosciuta, ancora meno
considerata questione importante, dal proprio intimo e l'incomprensione
abituale della propria esperienza interiore, non aiutano certo chi lo vive a intendere
l'attacco di panico non come espressione di un disordine e di una anomalia,
come potrebbe apparire, ma come esperienza significativa, non nefasta e capace
solo di fare danno, ma propositiva e con un senso e una finalità utile nelle
intenzioni del profondo che la scatena. Va subito detto che chi subisce
l’attacco di panico ha di se stesso l’immagine di un individuo sostanzialmente,
per ciò che più vale e su cui far conto, definito nei confini della sua parte
cosiddetta conscia, pensando il resto che vive, che sperimenta dentro se stesso
di emozioni e di stati d’animo, di sensazioni e di pulsioni come un corteo di
svolgimenti interni, visti in gran parte come risposta automatica e reattiva a
stimoli e a circostanze esterne, considerato nell’insieme come una sorta di
realtà inferiore, fatta di meccanismi, di espressioni involontarie che vanno
possibilmente regolate e tenute a bada, della cui intelligenza e validità come
guida di pensiero e di conoscenza non c’è idea e considerazione. Anzi,
assecondando l’idea comune, facendo rientrare il sentire e l’esperienza intima
nelle espressioni cosiddette irrazionali, assegna loro il limite della scarsa o
nulla affidabilità. Dunque che ci sia nell'intimo, fuori dai confini della
propria parte conscia razionale, una parte del proprio essere, niente
affatto irrilevante, anzi decisiva, che ha capacità di offrire, come fa
continuamente nel corso dell'esperienza, attraverso il sentire e tutti gli
svolgimenti interiori, stimoli e proposte su cui (imparando a ascoltare
e a intendere il linguaggio della propria interiorità, del proprio sentire,
anzichè avere presunzione e impazienza di dargli spiegazioni e soluzioni,
anzichè parlargli sopra e bistrattarlo con i ragionamenti) si può fare conto,
cui non si può rinunciare per ritrovarsi, per avere terreno valido e
fecondo per orientarsi, per capirsi, è scoperta di là da venire. Accade
così che se qualcosa dentro di sé fa la voce grossa e ricorre alle maniere
forti per far sì che si porti l'attenzione e la preoccupazione su di sé e sul
proprio stato, non lo stato fisico, ma ben altro attinente il proprio modo di
procedere e la sostanza di ciò che si sta facendo di se stessi, questo non
venga inteso, che invece si pensi solo a un meccanismo in avaria, a qualcosa di
rotto, di anomalo, di cui diffidare, da cui cercare di proteggersi, che ci si
convince rapidamente arrecare solo danni. Il grosso turbamento, le limitazioni
imposte al quieto procedere, all’andare fuori, all’intrattenere le solite
attività di relazione con l’esterno, con gli altri, preoccupa, angustia, sono
il motivo di preoccupazione principale, unito alla nube oscura di disagio e di
paura crescente nello stare in contatto con se stessi. Chi subisce
l'attacco di panico tende abitualmente, come già accennavo, per orientarsi e
per capire a affidarsi a altro che non siano i suoi vissuti, le sue sensazioni
vere, a accontentarsi di ipotesi e di tesi costruite col ragionamento, in
apparenza coerenti e verosimili, a cercare sponda in idee e comportamenti
comuni, vuoi aderendo e conformandosi ad essi, vuoi provando a differenziarsi,
trovando comunque sempre supporto, anche se in contrapposizione, in altro da sè
già concepito, cercando confronto e intesa con altri piuttosto che con se
stesso, con la propria interiorità. Si muove seguendo un'idea di vita e di
autorealizzazione date per acquisite, prese comunque da fuori e non cercate e
maturate dentro se stesso. Segue e asseconda più l'interesse e l'istanza di
stare al passo con altri, di tenere a bada e di rendersi favorevole lo sguardo
altrui, che di cercare il proprio, di non perdere terreno piuttosto che di
fermarsi a capire, ascoltando e coinvolgendo tutto il proprio essere. Non mette
al primo posto, non concepisce come essenziali e necessarie, né la vicinanza e
l'intesa con se stesso, con la parte intima, profonda di sé, niente affatto
riconosciuta come presenza e parte viva e affidabile di se stesso, né di
conseguenza la ricerca del proprio sguardo fondato sull'ascolto e sulla
comprensione attenta del proprio sentire. Chi subisce l'attacco di panico crede
che basti ciò che racconta a se stesso di sapere di sé e della propria vita, in
apparenza credibile e pertinente, in realtà più raffazzonato e fatto di
supposizioni che compreso in profondità e con rispondenza piena con ciò che
sente, che vive dentro se stesso. Non per tutto il suo essere però conta e
basta ciò che l'individuo vuole continuare a illudersi di sapere, ciò che
continua imperterrito a inseguire, a fare, a ripetersi in testa. Per una parte
di se stesso, quella intima e profonda, questa maschera di sapere e questa
parvenza di vita propria, altra e lontana da ciò che di vero potrebbe conoscere
e da ciò che potrebbe far nascere da sè, non è certo un bene da difendere a
denti stretti. Per il profondo è rilevante e inaccettabile la condizione di
lontananza dell'individuo da se stesso, di separazione e di sconnessione dal
proprio intimo, di rinuncia a cercare risposte vere e fondate su di sé, a
conoscere prima e a far vivere poi il proprio. Insomma, proseguire come d'abitudine
ritenendolo sufficiente e normale è una cosa, capire e vedere nitidamente come
si sta procedendo, cosa c'è o non c'è di proprio, di scoperto e generato da sé
in ciò che si fa, verificare cosa realmente si conosce di se stessi, cosa si
sta facendo della propria vita, è un'altra. Individui giovani, che non di
rado, come dicevo all'inizio, patiscono attacchi di panico, hanno il problema
di quanto sono equipaggiati o meno di consapevolezza e di sguardo proprio, di
comprensione di ciò che vogliono tradurre e realizzare nel loro futuro. Il
rischio, privi ancora di capacità di incontro e di dialogo con la loro
interiorità, facendo leva per capire, per capirsi solo sul ragionamento, che
lavorando da solo, senza stretto legame e guida del sentire, non dà capacità di
vedere dentro sé, ma solo di ripetere e di rimasticare il già detto e
comunemente concepito, è di farsi portare e di andar dietro a guide esterne, di
uniformarsi a idee e a modelli prevalenti. Il rischio, ignari di ciò che da se
stessi potrebbero trarre e far vivere di originale e di sentito, digiuni di
conoscenza propria, fondata e vera, è di mal intendere e di fallire gli scopi
della loro vita, pur con l'illusione di essere attivi e autonomi nel formare e
nel governare le loro idee e scelte. E' un rischio di non trascurabile
importanza, è un rischio non certo trascurato dal loro profondo. Perciò il loro
inconscio interviene, interferisce, dando segnali forti, perentori, capaci di
bloccare e di rendere insostenibile l’abituale corso e modo di procedere che
punta tutto all’esterno, segnali che, per la loro potenza e invasività, non
vogliono essere assolutamente ignorati e messi da parte. Nulla di ciò che
accade interiormente avviene per caso. In presenza di malessere interiore,
seppure nella forma drammatica e sconquassante degli attacchi di panico,
leggere e spiegare tutto in termini di disturbo, di anomalia di funzionamento,
di meccanica conseguenza di sovraccarico di tensione da cause esterne aiuta
solo a non capire nulla, a stravolgere il senso delle cose. Cercare e ricevere
come aiuto sul piano psicologico quello di attrezzarsi nella difesa dalla paura
montante fino al panico e perseguire come scopo il superamento dell’attacco o
degli attacchi per tornare, come fosse il traguardo più ovvio e desiderabile,
allo stato solito e al consueto modo di procedere, significa non intendere il
significato e la finalità di ciò che drammaticamente è accaduto, che peraltro
spesso ha un seguito e che lascia una scia che non si dissolve. Dentro di noi
c'è una parte profonda, ben più interessata, piuttosto che alla difesa e alla
prosecuzione dell'abituale, a cosa di noi stessi stiamo e sapremo realizzare o
meno, a quanto siamo vicini e coerenti con noi stessi, a quanto di idee nostre
abbiamo coltivato e generato davvero e non semplicemente finto di possedere, in
realtà ripetendo modi e atteggiamenti, risposte e valori comuni. Se l'attacco
di panico alimenta in modo improvviso e impetuoso l'allarme sulla prosecuzione
della vita, del regolare battito cardiaco, del respiro, se catapulta nella
paura di ciò che imprevedibile potrebbe accadere, è per far capire che non c'è
solidarietà interna, della propria parte profonda verso l'andare avanti nel
solito modo, è per fare toccare con mano lo stato di non unità con se stessi.
L'attacco di panico non è una sciagura o una patologia da vincere, è un
potentissimo richiamo da ascoltare e da capire, da prendere sul serio per il
proprio vero bene.
giovedì 25 aprile 2024
Ancora sugli attacchi di panico
mercoledì 24 aprile 2024
Capire i sogni
Ho già scritto sui sogni, ma voglio tornare
sull'argomento, perchè i sogni sono ciò di cui è impossibile fare a meno per
conoscere se stessi, a meno di consegnare la conoscenza a ipotesi ragionate e a
spiegazioni, che, pur se in apparenza coerenti e verosimili, raccontano di se stessi ciò che
sembra, ma che non è. Nei sogni c'è la più stretta aderenza a noi stessi, nulla
è taciuto. I sogni sono diario di bordo e bussola di un ininterrotto viaggio di scoperta, sono il prodotto di un lavorio di ricerca di consapevolezza, di un'attività di pensiero della parte
profonda di noi stessi, che non sta ferma, che non rimbambisce nell'adattamento
e nel far proprio ciò che non ci corrisponde, che ci dà solo illusoria
convinzione di esistere e di capire. Si pensa a volte che nei sogni confluisca,
quasi in automatico e meccanicamente, l'esperienza diurna, rimasugli, pezzi, un
che di disaggregato senza nesso e senza senso, oppure che rimangano le tracce
di ciò che più ci ha colpito, che ha turbato la nostra mente. Altri pensa che nei
sogni ci siano desideri inconfessati. Altri ancora pensa che i sogni facciano previsioni
e sappiano dare indizi sul futuro. Soprattutto si pensa che i sogni parlino di
noi unicamente in relazione e in rapporto con altro, con altri. I sogni parlano
di noi e svelano, configurano uno scenario inaspettato, danno corpo e
consistenza, rendono visibile e mettono in primo piano qualcosa che per molti
non esiste, che non è concepito, cioè il rapporto che abbiamo con noi stessi,
quanto accade nella relazione col nostro intimo. Tutto il dire dei sogni è un
dire di noi, di come siamo, di come ci rapportiamo a ciò che sentiamo e che
continuamente vive dentro di noi, di come procediamo nell'esperienza, mossi da
che cosa, affidati o vincolati a che cosa. Lo sguardo dell'inconscio è
riflessivo, guarda all'interno, coglie e riconosce il vero dell'esperienza, non è appiattito sulla sua superficie, non è tenuto
imbrigliato dal comune modo di pensarla. Nei sogni c'è la rappresentazione
attenta non dei fatti, non la ripresa e la conferma delle costruzioni di
pensiero che si è abituati a mettere sopra i fatti, sopra gli accadimenti dell'esperienza
per spiegarla, ma l'attenzione è rivolta a come si conduce l'esperienza,
osservando e chiarendo, dando volto a ciò da cui si è mossi, da quali istanze,
in che modo, a che scopo, con quali eventuali contrasti interni, in definitiva nei sogni è ritratto il cuore dell'esperienza, ciò che rivela più in profondità di noi stessi, il vero, non l'apparenza e ciò che fa comodo vedere. Tutte le presenze e le
figure che compaiono nei sogni, siano essi persone, animali o cose, danno
simbolicamente volto a parti di noi, a modalità, a espressioni, a istanze e a
potenzialità che ci appartengono. I sogni dicono del nostro modo di procedere,
della strada che stiamo seguendo. I sogni segnalano non di rado lo stacco dalla
"terra", la lontananza cioè dell'individuo dal terreno vivo del suo
intimo sentire e dell'esperienza interiore che in ogni istante lo
accompagna, parlano perciò non di rado di esperienze di volo, di
vertigine e di sensazioni improvvise di precipitare. Per descrivere
l'iniziativa del profondo, che cerca di raggiungerlo e la percezione timore che
l'individuo ha di ciò che vive profondamente dentro se stesso,
parlano di assalti e di inseguimenti di figure che paiono
"malintenzionati" o ladri (per cominciare a capirsi è necessario
essere privati, derubati di convinzioni e di certezze tanto rassicuranti quanto
ingenue e improprie), parlano di acqua che incute timore, di acqua che avanza
minacciosa, che dilaga...sono solo esempi di una rappresentazione del
rapporto/non rapporto dell'individuo con se stesso, con la propria interiorità,
di come sia viva e presente la questione del confronto col proprio profondo, di
come il proprio profondo non rinunci alla propria iniziativa, a farsi avanti.
Il respiro e l'orizzonte di ricerca e di sguardo dei sogni è ampio a comprendere
e a farci comprendere cosa stiamo abitualmente nei modi del nostro
procedere facendo di noi stessi, che l'inconscio vuole spingerci a chiarire, a
vedere senza veli, nello stesso tempo, aprendo la strada a ciò che potremmo, onorando il nostro essere individui potenzialmente capaci di pensiero autonomo,
di sviluppo di qualcosa di originale e consono a noi stessi. L'inconscio nei
sogni è guida ispiratrice e motivante un profondo cambiamento, da individui
passivamente al seguito e consumatori di moduli di pensiero già pronti e in
uso, non importa se con qualche parvenza di originalità, sostenuti e guidati da
tutto ciò che già pronto e concepito può dare supporto e indirizzare scelte e
modi di vivere e di realizzarsi, a individui, a esseri umani invece capaci, non
in un batter di ciglia, ma lavorando con pazienza e cura il proprio terreno, in
stretta unità col proprio profondo, di generare proprio pensiero, scoperte di
significato e di valore e, su queste basi, di dare compimento a percorsi e a
realizzazioni proprie e davvero originali, autentiche e coerenti con se stessi,
non dettate da imitazione, da paragone o competizione con altri. I sogni, lo si
vede, lo si vive e constata nel cammino dell'analisi, di un'analisi ben fatta,
sono capaci di indirizzare la ricerca e la trasformazione nel verso di passare
da essere copia d'altro (può sembrare drastica e impietosa questa affermazione, ma di se stessi cos'è possibile mettere e ritrovare, agendo dentro uno stampo di idee e di riferimenti, di attribuzioni di significato, di grammatica di pensiero, di guide alla espressione e realizzazione di sè ben apprese, assimilate e nel tempo esercitate, se non qualcosa che comunque riempie quello stampo e ne riproduce i limiti e la forma?) a divenire pienamente se stessi, con tutti gli attributi umani
originali e autentici che si posseggono e che si ignorava che risiedessero
dentro se stessi, con tutta la ricchezza di una visione e di un pensiero proprio che si ignorava di poter generare. Ridurre i sogni a desideri irrealizzati o a ricettacolo di
esperienze quotidiane più o meno incisive significa non capire la portata
dell'iniziativa e del pensiero profondo. L'inconscio è intelligenza pura, nel
senso che non ricalca stancamente il già detto e concepito, ma viceversa dà volto
e riscatto al pensiero riflessivo, autonomo e fondato, che vuole vedere cosa la propria esperienza dice e rivela di se stessi, che non rinuncia mai a cogliere
il vero, a cercare il senso in profondità, costi quel che costi, che combatte
l'eclissi dell'intelligenza, unica leva della autonomia e della libertà
dell'individuo. Capire un sogno significa intenderlo nel suo verso, nelle sue
intenzioni, nei suoi modi di formare e di tradurre il pensiero. Se lo si
incanala e costringe dentro i soliti riferimenti, dati per scontati, se lo si
incastra nel già pensato e nella logica abituale, gli si fa dire ciò che piace
e che si suppone, in sostanza lo si travisa e lo si mortifica. Purtroppo lo si
spreca. L'inconscio non cesserà certo di dire ciò che pensa, non si
assoggetterà alla rigidità, alla presunzione e all'inerzia del pensiero conscio
ragionato, ma non capire i suoi messaggi peserà come una grande occasione persa
per ritrovarsi e per cominciare a vedere chiaro dentro se stessi.
domenica 21 aprile 2024
La scienza e la pseudoscienza
La scienza nel suo significato più autentico
si nutre di pensiero critico, del rigore della ricerca, che, non imbrigliata
nel già concepito e consolidato, libera da preconcetti, da impazienza e da
bisogno di trovare risposte pronte e di comodo, vuole vedere chiaro e
verificare ogni cosa, senza limitazioni e riduzioni, senza approssimazioni,
senza semplificazioni, senza concedere all'idea dell'ovvio e dell'inconfutabile
mai. Tutto questo senza posa. La ricerca di verità e di conoscenza non è una
prerogativa e una esclusiva di nessuno, per ognuno la possibilità e il compito
di esercitare pensiero critico e attento, impegnato nella ricerca del vero, la
facoltà di sviluppare conoscenza. Non è accettabile, è in totale contrasto con
ciò che è e che persegue, sacralizzare la scienza, chiudendola nel santuario
delle verità definitive e che non ammettono dubbi, rese tali dalla supposta
autorevolezza e dall’ossequio a loro concesso di esperti, che pretendano e cui
sia attribuita l’autorità di dettare cosa sia l'indiscutibile della conoscenza.
Sul terreno psicologico non sono poche le insidie della scienza, sarebbe meglio
dire della pseudoscienza, che si auto consacra come autorevole fonte di teorie,
spiegazioni e soluzioni, che si pretendono scientificamente provate, da
applicare a questo individuo e a quello. E' in gioco per ognuno la sorte della
propria vita, la conoscenza di se stesso e la scoperta del senso e del
potenziale della propria vita sono il fulcro, la bussola e sono il patrimonio
vero di una vita, su cui fare conto per non lasciarsi portare da altro, sono
qualcosa di singolare non equiparabile a altro, sono scoperte da coltivare con
cura, col massimo di apertura a se stessi, di disponibilità all’ascolto
della propria interiorità, sono scoperte originali e inedite, non riportabili,
se non attraverso forzature e manipolazioni, nello stampo di questa teoria o di
quell’altra. Le esperienze interiori, le verità da scoprire, i modi e i
percorsi per raggiungerle sono unici, diversi per ognuno, non rientrano in niente
di già detto e spiegato e concepito. Non ci si può permettere di essere passivi
e al traino di pensieri altrui, anche dei presunti accreditati esperti, di
essere illusi o creduloni, ne va della propria sorte e del valore compiuto e
soprattutto ancora incompiuto della propria vita. Nulla va dato per scontato.
L'esperienza interiore di ognuno è patrimonio e risorsa di straordinario
valore, unica e originale, merita perciò attenta considerazione e verifica il
modo in cui è considerata e trattata. L'esperienza interiore è esposta infatti
troppo spesso al rischio di essere oggetto di spiegazioni e di trattamenti a
dir poco inappropriati. Lo è nel modo comune di pensare e di trattare
l'esperienza e il disagio interiore, lo è non di meno e non raramente nel modo
professionale dei cosiddetti esperti e delle scuole di pensiero a cui si
affidano. La sofferenza interiore è specchio di se stessi, è lievito di verità
e pungolo alla presa di coscienza, senza più rimandi e fughe, senza rifugio
nell'abitudinaria lontananza da se stessi. L'esperienza interiore sofferta e
che non concede agio e distensione, quieto vivere e andamento indisturbato e
sciolto al passo con l'insieme, è crogiolo di verità da riconoscere, è presa
decisa sull'individuo esercitata dal suo intimo e profondo, che non gli
concede più rinvii, che non vuole stare in ombra e alla periferia del suo
essere, che vuole consegnargli e mettergli in primo piano sotto gli occhi non
la cronaca e le invenzioni del ragionamento, ma il suo stato e modo di procedere,
i nodi veri e insoluti della sua vita. Il profondo, che con decisione smuove la
situazione interiore, che la orienta e plasma, vuole sostenere e promuovere,
non la corsa per dare buona prova, non la tenacia del rimanere incollati agli
eventi esterni, pronti a rimasticare i discorsi in auge, a non farsi sfuggire
ciò che in genere si giudica importante e irrinunciabile, ma la necessità della
personale crescita, non di immagine, ma di sostanza, del cambiamento per non
essere solo un ruolo, una parte ben svolta e una parvenza d'essere, ma
un'identità definita e originale, vera. Ebbene, se la tribolazione interiore è
espressione dell'iniziativa di una componente intima e profonda dell'individuo
che vuole, senza se e senza ma, dargli occasione di vedere chiaro in se stesso,
per non proseguire incurante di verifiche attente e serie, accontentandosi del
corso dell’esistenza secondo cosiddetta normalità, perdendo di vista la
necessità di aprire gli occhi, di formare pensiero proprio e ben piantato
sull'intima esperienza, di realizzare davvero se stesso per non fare sciupio
della propria vita, pago soltanto di essere ben conforme all'insieme e
confermato da sguardo e da giudizio comune, è sconfortante vedere come una
simile esperienza interiore, così carica per chi la vive di significati e di
potenzialità importanti e decisive, è spiegata e trattata abitualmente. La
difficile e sofferta esperienza interiore è spesso letta come segno di
malfunzionamento da correggere, come disturbo che nuoce da mettere a tacere,
come patologia da sanare, come malaugurata conseguenza di questo o di quello
che nel passato o nel presente avrebbe fatto danno. Ogni espressione della vita
interiore, tutt'altro che secondaria a un danno patito, ben altro che
espressione di malfunzionamento, sa e vuole dire e rendere tangibile una
questione vera, rendere riconoscibile il modo d'essere e di procedere, di
condurre la propria vita, di cui si è attori e responsabili verso se stessi,
rendere più che fondata e comprensibile la necessità di adoperarsi per un
profondo cambiamento. Nulla di ciò che si prova e si patisce interiormente,
anche se difficile, doloroso e spiacevole, è privo di senso, anzi è carico di
capacità di svelare, di far capire, non in modo freddo come con i ragionamenti,
ma tangibile e toccante, acuto, qualcosa di centrale di se stessi, che riguarda
il proprio stato e modo di procedere. Sia che, per fare qualche esempio, con
l'ansia, dove si abbia la pretesa di procedere, anche se totalmente privi di
conoscenza vera e fondata di se stessi e delle vere ragioni e implicazioni per
sé del proprio modo di condurre la propria vita, segnali la verità di un
traballante equilibrio, di un terreno fragilissimo e per nulla affidabile su
cui si sta poggiando e muovendo i propri passi, sia che col vissuto depressivo
spinga alla percezione cruda e dolorosissima del vuoto e dell'inconsistente,
dell'anonimo e incolore, del volto spoglio di una vita, ora quasi
insopportabile e opprimente, costruita solo sulla dipendenza da altri, sul far
proprio ciò che altro da fuori, nell’esempio e nel pensato comune, ha indicato
come strada da seguire e come realizzazione da cercare, senza nulla di generato
e tratto da sè capace di dare alla propria vita volto, ricchezza e luce
proprie, sia che con l'incastro ossessivo dei mille e disparati ragionamenti e
dei controlli minuziosi, delle azioni preventive per tenere tutto in ordine e
sotto controllo sveli impietosa che l'istanza di stare ben al sicuro e al
riparo dalle proprie incognite e da se stessi ha fatto da fulcro dell'intera
vita, tutto ciò che l'esperienza e la sofferenza interiore dice è
significativo. Dare addosso al disagio, al malessere interiore per metterlo
sotto cura e trattamento, affinché taccia e si normalizzi, facendo proprio il
contributo di una pseudoscienza pronta a dare sostegno, credito e
manforte a simili propositi, anziché imparare, casomai con l’aiuto di chi
sia capace di dare valido contributo in tal senso, a ascoltarlo, a farne
tesoro, a riconoscerlo come terreno fertile seppur impegnativo per coltivare
conoscenza di se stessi e nascita di qualcosa di proprio e di autentico, svela
solo l'ignoranza di cui si è vittime, l'ottuso e pervicace attaccamento a far
girare le cose nell'unico verso conosciuto e ritenuto normale e dovuto, reso
scioccamente indiscutibile e assoluto.
sabato 20 aprile 2024
Gli attacchi di panico, qualche spunto di riflessione
L'attacco di panico è la soluzione estrema,
l'arma più potente e incisiva che l'inconscio sa impiegare. Non per fare danno,
non sconsideratamente, non per dissestare e basta, l’inconscio interviene per
perseguire uno scopo, per dare forma, pur drammaticamente, a uno scenario
nuovo, per far intendere subito, per intima e sconvolgente esperienza, qualcosa
di importante, anzi di fondamentale. Le iniziative dell'inconscio sono sempre
profondamente pensate e concepite, sensatamente e intelligentemente finalizzate.
Capita infatti che la lontananza da sé, che il mancato riconoscimento di ciò
che l’intimo di sé sa e vuole dire, essenziale per la conoscenza del vero e
dell’autentico di se stessi, interiormente non passino inosservate e che non
vengano accettate nel proprio profondo. Ciò che si dava per scontato, che
l'interiorità seguisse e assecondasse, che fosse garantito il sostegno vitale e
la continuità al procedere abituale tutto proteso all’esterno, a seguirne i
tempi, le attese e le pretese, a coglierne le apparenti opportunità, è
improvvisamente messo in forse. Capita che l'inconscio prenda decisa iniziativa
e sopravvento, che dia modo con l’attacco di panico di sperimentare nella forma
della vertigine emotiva, del senso di totale smarrimento e di angosciosa
fragilità, fino alla paura che tutto si spezzi, che gli organi e le funzioni
vitali cessino di funzionare, fino all'angoscia di morire, che la vita, in
quella forma abituale e conosciuta, data per scontata e così tenacemente difesa
dalla parte conscia, non è affatto dalla parte più intima e vitale
concordemente sostenuta, fino a essere drammaticamente percepita come a rischio
di non esserne garantita. Non solo, ma in quel momento di stacco, via via più
drastico e impetuoso, dalla continuità del fare e del procedere abituale,
l'inconscio fa sperimentare cosa significhi, per chi non abbia cercato legame
con se stesso, con la propria interiorità, essere improvvisamente strappati via
e distolti da tutto, soli, in presenza di sé soltanto, legati al proprio intimo
soltanto. Abituati a stare attaccati ad altro e a farsi tutt'uno con altro,
quasi a negare la percezione di sé, abituati a disperdersi nel fare, a rinviare
sine die la sosta, il momento del fermarsi in aderenza e in ascolto sincero e
attento della propria interiorità, ecco che nel momento dell'improvviso e
inaspettato stacco dal fuori e dell'affaccio sul dentro, si è colti da allarme
e da sorpresa, totalmente smarriti, sgomenti. La vita, l’incontro con la vita,
questo è il potente richiamo dell’inconscio, è dentro, nel legame e nello
scambio col proprio intimo, lì la radice, lì la scoperta del senso, lì la
matrice del pensiero e dell’esistenza, lì la base, la radice viva e vitale del
proprio essere, lì e non nel fare e nel ragionare disgiunti dal sentire e dal
corso della propria esperienza interiore, non nel tenersi in simbiosi con
altro, come se ci fosse in quel legame e in quella presa sul fuori l’unica
possibilità di tenersi legati alla vita, a ciò che si considera reale, come se,
senza la continuità di quel legame e di quella presa, ci fosse solo il rischio
di perdere terreno e senso di presenza, di perdere le opportunità che contano,
di perdere e di perdersi. Questo dell'essere catapultati improvvisamente
nell'intimo delle proprie sensazioni, del veder costretto il proprio sguardo
verso il dentro di sé, del sentire bruscamente incatenate la preoccupazione e
l'apprensione a sé e al proprio stare in vita, è l'esperienza, lo scenario
nuovo che si spalanca nell'attacco di panico. La propria interiorità, da gran
tempo trascinata nel fare, nell'inseguire, nel pensare senza aderenza al
proprio sentire vero, da gran tempo sottovalutata, resa nelle intenzioni docile
e conciliante, muta all'occorrenza, dà all'improvviso (ma non tanto, perché
precedenti segnali a starci attenti ce ne sono stati a bizzeffe) segnali
vigorosi, impone i tempi, detta i contenuti dell'esperienza. Sensazioni
sconquassanti di smarrimento, di pericolo, di insicurezza totali, impetuose.
Parrebbero maligne, così oscure, terribili, travolgenti. Anche se la presa
dell'inconscio è così decisa e quasi brutale, tutte queste improvvise e
impetuose sensazioni e tutto il drammatico inaspettato corso d'esperienza
vogliono spingere a vedere, a prendere coscienza di ciò che si è nell'incontro
con se stessi: smarriti, perché mai abituati a cercarsi, sempre inclini a
evadere, a stare fuori e "assenti". I temutissimi attacchi di panico
vogliono, nelle intenzioni dell'inconscio, marcare con forza una frattura, una
discontinuità decisa nel corso dell’esperienza, nella modalità consueta di
procedere, che non le consenta di proseguire intatta, sia attraverso il
cataclisma dell'attacco, sia con la scia di fortissima insicurezza e di
non facilmente cancellabile turbamento che in seguito permane. Potrebbero, se raccolto
e ben inteso il potente richiamo, essere gli attacchi di panico davvero
l'inizio di una svolta nella direzione della riscoperta di sé, partendo dal
proposito nuovo di avvicinarsi a sé, dalla presa di coscienza dell'importanza
di non essere stranieri dentro se stessi, altro da se stessi, coinquilini di un
essere, il proprio essere, che non si conosce, con cui si rischia di convivere
fino alla fine senza incontro, senza ascolto e senza scoperta, senza trarne,
della propria esistenza, le ragioni vere, i quesiti e le potenzialità. Un
inizio quello voluto dal profondo, una spinta potente rivolta all'individuo,
perché riconosca la necessità e l'urgenza di imprimere una svolta decisa alla
propria esistenza, mettendo al centro la ricerca e la costruzione di un rapporto
con se stesso, con quella parte di sé finora ignorata e trattata da appendice
subalterna. Ci si potrebbe chiedere se il modo, che pare così terribile e
devastante, di intervenire dell’inconscio non sia eccessivo, sconsiderato. In
realtà non c’è nulla di esagerato e fuori misura. Se l'inconscio non agisse
all'occorrenza con tale fermezza, durezza e asprezza nel dire all'individuo
della sua lontananza e non familiarità con se stesso, della sua mancanza di
contatto e di radice dentro sé, della sua sostanziale inconsistenza, così
estraneo a ciò che solamente può dargli la scoperta del vero e dell’autentico
di se stesso, avrebbe qualche possibilità di interromperne la marcia solita e
l'inerzia del pensiero, di coinvolgerlo e di farsi ascoltare? Intendiamoci, la
risposta più comune all'attacco di panico è di considerarlo un evento abnorme,
anomalo, uno sciagurato impedimento alla prosecuzione solita, un turbamento
così forte da essere sciaguratamente capace di compromette il procedere e la
fiducia che si riteneva di possedere, una iattura che pare intralciare la
possibilità di insistere nel modo di vivere solito, nell'attaccamento a
abitudini, a cose, al fare. Tanta offerta di cura è proprio rivolta a trattare
simili esperienze come disturbo e patologia da sanare e correggere, con farmaci
o con consigli, prescrizioni, esercizi volti a superare paure considerate
irrazionali. Se c’è un tentativo di spiegazione del perché dell’attacco di
panico lo sguardo si dirige subito all’esterno a cercare possibili cause in sovraccarichi
di tensione, in cosiddetto stress, parolina magica che tutto pare dire e che
non svela nulla. L'ignoranza del significato degli eventi interiori non ha
limiti e confini. Capita però che ci siano individui che riconoscono
nell'esperienza degli attacchi di panico e nel seguito interno di turbamento e
di insicurezza che lasciano, un segnale importante, che avvertono la necessità
di una riflessione approfondita, di una ricerca finalmente di avvicinamento a
sé e di conoscenza di se stessi. Ho visto iniziare esperienze analitiche su
queste basi e premesse. In questi casi l'inconscio, come era stato
perentorio e drastico nel segnare, attraverso gli attacchi di panico, una
frattura drammatica rispetto al solito procedere (frattura segnata dagli attacchi
e dal seguito di forte allarme e apprensione che avevano lasciato), così e con
altrettanta forza di partecipazione e di presenza è stato pronto a dare, fin
dall'inizio del cammino analitico, attraverso i sogni, indicazioni lucidissime
e guida sicura sul percorso da seguire, sulle scoperte da fare, sul lavoro
necessario per ridare all'individuo finalmente consapevolezza vera, vicinanza e
unità con se stesso, conoscenza di ciò che gli apparteneva. Se prima c'era
solo la rincorsa di un che di normale e di paragonabile ad altri, di concepito
e di tenuto in ordine col ragionamento, che spesso e in genere non sa vedere,
ma solo organizzare e imitare, dopo la brusca interferenza del profondo, che ha
costretto l'individuo a prendersi cura di sé, a spostare l'attenzione su di sé,
è potuto iniziare un nuovo cammino e un divenire, del tutto inattesi e
inconcepibili prima, ma possibili. Se all'inizio all'individuo, sotto le
bordate del profondo, era parso che la sua salvezza stesse unicamente
nel far cessare quell'assalto, nella libertà di proseguire indisturbato nei
modi soliti e verso le mete conosciute, dopo, a confronto aperto e
approfondito, gli è risultato via via sempre più chiaro che ciò che aveva a
disposizione prima della crisi e che tanto aveva cercato di difendere era
poca cosa e impropria, che tanto e tutto di sé gli mancava, che un cambiamento
radicale, a partire dal capire ciò che di sé stava facendo, si era reso non
solo utile, ma necessario, pena il rischio di non vivere, di non far vivere se
stesso. Posso solo aggiungere che chi, dando risposta al forte richiamo
dell’inconscio, ha messo in atto il percorso di avvicinamento a se stesso, ha
visto cessare gli attacchi di panico, essendo venuta meno la loro ragione
d’essere, avendo raggiunto il loro scopo.
giovedì 18 aprile 2024
Cos'è l'inconscio? Entità impalpabile e misteriosa o presenza viva e vicina?
Accade spesso che l'interiorità non sia
compresa in ciò che vuole dire e proporre. L'errore nasce prima di tutto dal
rimanere prigionieri della visione comune e prevalente, che afferma che tutto
interiormente dovrebbe svolgersi secondo una presunta normalità, il che
predispone a trattare come sospette anomalie le esperienze interiori complesse
e difficoltate di disagio. Non solo, ma in presenza di una condizione di
malessere interiore, succede spessissimo che il malessere sia riferito e
principalmente letto come un problema di rapporto con l'esterno, che la ricerca
si indirizzi subito in questa direzione. Il malessere interiore in realtà, per
quanto metta nella condizione di sentire un legame stentato e critico con
l'esterno, con gli altri, forza il coinvolgimento e spinge l'attenzione
dell'individuo verso l'interno, verso l'intimo di se stesso, produce una sorta
di ripiegamento, di introversione forzata, di caricamento e di polarizzazione
di sensazioni e di stati d'animo (ad esempio di paura, smarrimento, apprensione,
di scoramento e sfiducia), che collocano comunque dentro se stesso il cuore
pulsante della sua esperienza. Cosa vuole questo malessere, cosa dice, cosa
intende proporre? Questo è il punto. Lasciare dire alla parte profonda cosa
dentro e attraverso il malessere sta sollevando e proponendo, imparare ad
ascoltarla e a comprenderla nel sentire che anima e nei sogni, è la scelta da
fare, ma già riconoscere che c'è nel proprio intimo una parte profonda capace
di dire, di proporre è una novità senza precedenti. Solitamente infatti si
tende a circoscriversi nella percezione e nel riconoscimento del proprio
essere nella parte conscia, abituata a tenere in pugno tutto, parte che ragiona
e che decide, il resto, l'intimo, il sentire, gli svolgimenti interiori, i
sogni, sono intesi e trattati come appendice più o meno trascurabile, da cui
non ci si aspetta di poter ricevere granché di utile e di sostanziale per
capirsi, per orientarsi. Si pretenderebbe viceversa che la componente interiore
si accodi e si accordi, giudicando che, dove non si accordi con gli
orientamenti e con i propositi razionali, ciò accada per qualche sua bizzarria
o, dove acuisca i toni, per un suo anomalo stato. Gli stessi terapeuti in non
pochi casi hanno un'idea dell'essere umano che poco si discosta da questa
visione comune, al più pensano che l'inconscio, ammesso che ne tengano conto,
sia (oltre che origine di pulsioni e di risposte immediate, emotive, che se a
volte paiono rivelatrici, spesso invece sono considerate inaffidabili perché
"irrazionali") un ricettacolo o serbatoio di ricordi, di esperienze
più o meno spiacevoli. C'è un'idea ricorrente per spiegare le origini e le
ragioni del malessere attuale, che piace sia a chi vive malessere interiore che
a non pochi curanti, che ritiene che la vita interiore possa essere stata
turbata e segnata da episodi traumatici del passato, da esperienze e da
condizionamenti subiti, sfavorevoli e con effetti distorcenti il normale
sviluppo atteso, che di conseguenza l'esperienza interiore attuale ancora ne
risenta, ripetendo anche nel presente, come un disco rotto, errori e segni di
alterato funzionamento. L'inconscio riproporrebbe come un automa simili
distorsioni e resterebbe ancorato a quei precedenti storici. Si ritiene insomma
che la vita interiore sia rimasta nel tempo, fino al presente, come congelata,
inchiodata a quei passati episodi traumatici e condizionamenti sfavorevoli. E'
un teorema, che non appartiene solo a chi soffre interiormente, che gli vale
una spiegazione vittimistica del proprio disagio e malessere interiori (la
sofferenza attuale come conseguenza di remoti accidenti sfavorevoli subiti
e di colpe altrui), ma spesso anche a chi gli si mette a fianco per aiutarlo.
Il malessere, considerato senza esitazioni un'espressione di malfunzionamento,
di alterazione della normalità, è consegnato subito a cause e a ipotetici condizionamenti
esterni, così come a possibili soluzioni esterne, senza intendere che sia
espressione di intervento e di presa di posizione, di richiamo e di iniziativa
del profondo e che dunque col proprio profondo sia da cercare finalmente un
incontro e da coltivare un dialogo. E' così abituale pensarsi solo e unicamente
in relazione ad altro e ad altri, che tutta l'attenzione e la ricerca si
concentrano in questa direzione, saltando a pie pari, ignorando l'esigenza di
un rapporto con se stessi, come necessità prioritaria, come punto saldo,
decisivo per cominciare a ritrovarsi. Per comprendere la voce del malessere
interiore, il suo richiamo, è necessario non sovrapporgli congetture e
spiegazioni circa la sua causa cercandole a destra e a sinistra, in questo o in
quello esterni a sé, ma è necessario sintonizzarsi con l'intimo, imparare ad
ascoltarlo, scoprirne la voce nel sentire e nei sogni, che tanto sanno dire e
far comprendere, che tanto sanno avvicinare a se stessi. Non si è certo dotati
di capacità di ascolto e di dialogo col proprio intimo, non se ne conoscono il
linguaggio, il modo di comunicare, l'intenzione e la capacità di pensiero che
sa animare, la tensione a vedere, a entrare, al di là delle apparenze, nel
profondo, a cercare il senso vero, essenziale da far propria, per non
continuare a dire senza intendere, a pensare senza comprendere. Prezioso e
necessario si renderebbe un aiuto per imparare a trovare rapporto e intesa col
proprio intimo. Accade però che oltre all'individuo, abituato a assorbire e a
chiudersi nella concezione comune e prevalente dell'esistenza, intesa prima di
tutto come legame con altro e con altri e come ricerca rivolta al fuori, gli
stessi terapeuti, in non pochi casi, pensino che il centro dell'esistenza
dell'individuo sia il rapporto con l'esterno, con gli altri, con quella che
volentieri chiamano, come fosse un'entità univoca e assoluta, la
"realtà". Puntano subito l'attenzione in quella direzione, per
indagare la presenza nell'individuo, portatore di malessere interiore, di
insufficienti o errati ( li chiamano disfunzionali) modi di intendere e di
affrontare il rapporto con gli altri e con l'esterno, cercano di stimolare,
incoraggiare e portare a nuove, ritenute più normali e felici, soluzioni per
interpretare e gestire il rapporto con l'esterno, come fosse lì l'essenza
dell'individuo e il punto d'origine e il fulcro del suo conoscersi e
realizzarsi. Spesso manca completamente, non è acquisizione presente nel
pensiero non solo di chi soffre disagio, ma sovente anche di chi se ne prende
cura, che esista una parte del proprio essere, quella profonda, non solo
influente e decisiva nel muovere e nel plasmare l'esperienza interiore (non
sono fattori esterni ma è il profondo a plasmare e a "qualificare" la
risposta, anzi la proposta del sentire), ma anche fortemente propositiva e
creativa, capace già nelle espressioni della sofferenza interiore, tutt'altro
che casuali e disordinate, di sollevare in modo acuto e puntuale questioni
decisive e fondamentali riguardanti il proprio modo di procedere, di stare in
rapporto (spesso in non rapporto) con se stessi, col proprio intimo. Non si
comprende che il malessere interiore, che la crisi è espressione di un
intervento del profondo, che vuole risvegliare la presa di coscienza, che vuole
interrompere il procedere cieco, un modo di pensarsi e di vedere la propria
esperienza, che non vede su quali basi e in che modo si sta impegnando se
stessi, la propria vita. Non si comprende che è con se stessi, con la propria
interiorità che è in atto un confronto, che è con la propria interiorità, che
muove il malessere e gli dà forza e ne dirige i modi e l’andamento, che va
trovato un rapporto e va aperto un dialogo, cercato un approfondito chiarimento,
una nuova intesa. Tutto il malessere interiore infatti, visto abitualmente
come guasto, vuoi provocato da cattive interferenze e condizionamenti esterni,
vuoi legato a un modo scorretto o inadeguato di procedere, non regolare, non
secondo normalità, che come tale non procurerebbe benefici e benessere, un
procedere che nella sostanza e nei suoi fondamenti e presupposti non è in
discussione, è in realtà segno e espressione della presa di posizione della
parte profonda dell’essere, che non può e non vuole tacere la propria visione dello
stato delle cose, la propria consapevolezza, che vuole “contagiare“ di questa
l‘individuo nel suo insieme, nei suoi pensieri, nei suoi umori, nei suoi
propositi. Non è una presenza dentro di noi estranea e aliena quella del
profondo, l’inconscio siamo noi nel nostro tenere lo sguardo, al di là delle
apparenze e senza sviste, su di noi, nel riconoscere il vero della nostra
condizione e del nostro modo di procedere, che vede spesso il disaccordo e il
mancato incontro tra sentire e pensare, tra esperienza intima e coscienza di
noi stessi. L'inconscio siamo noi nel nostro non rinunciare a noi stessi, nel
nostro voler essere non copia d’altro, passivi (per inerzia e per comodo, per
adesione e soggezione al modo appreso e dominante) nel consumare ciò che c'è, ipotesi,
soluzioni e scelte che la cosiddetta realtà offre confezionate e pronte,
passivi nel pensare secondo idee e parametri comuni, guidati e regolati più di
quanto non si voglia ammettere dall'esterno, dalla conferma esterna dipendenti,
ma soggetti, portatori e artefici di un originale pensiero e progetto,
certamente non già fruibili e pronti, ma da generare e scoprire, come possibile
con la guida del profondo. L'inconscio siamo noi nella volontà di non procedere
incuranti di capire, di sapere, di affrontare il vero, pur difficile o
doloroso, senza omissioni, equivoci e contraffazioni, concentrandoci sulla
nostra esperienza, affidandoci non alle spiegazioni solite e comuni, ma al
nostro sguardo, cercando risposte non costruite col ragionamento, ma fondate
sul vissuto, sul confronto aperto e sull'ascolto fedele del nostro sentire
senza tagli, senza fughe. L'inconscio è la parte di noi che vuole questo
impegno e sforzo di ricerca e di costruzione, che non asseconda le illusioni di
avere già autonomia e originalità di pensiero, se formati su basi inconsistenti
o facendo il verso ad altro da noi stessi che lo ispira e lo sostiene.
L’inconscio è la parte di noi stessi che ci vuole instradare e sostenere nella
nostra ricerca di consapevolezza vera, senza veli, senza semplificazioni,
salda, affidabile e capace. L’inconscio non cerca la normalizzazione, ma la
verità e la realizzazione autentica, perché diversamente non c’è vita.
L’inconscio è vita. Tutto lo sforzo per cercare di stare nelle guide di un modo
di vivere e di intendere la vita dato per scontato, conforme al già concepito e
comunemente inteso, modellandosi nella cosiddetta normalità, facendosi bastare
e dando credito a soluzioni fragili, a illusorie rappresentazioni di se stessi,
tutta la strategia curativa che vuole ricondurre il malessere se non a semplice
patologia, a insufficiente o infelice adattamento, che vuole ricucire e che di
fatto incoraggia e forza a stare dentro il già dato e conosciuto, urta contro
la scelta del profondo, non la considera e non la comprende. Anzi, l’idea che
il malessere sia un disturbo, un ostacolo da superare, al più da spiegare come
conseguenza di qualche infelice precedente e influenza negativa di un genitore
piuttosto che di qualcun altro o di qualcos’altro, è un enorme travisamento e
incomprensione delle espressioni della vita interiore, del profondo, delle sue
intenzioni. Per il profondo vivere è far vivere se stessi, è formare visione,
pensiero propri, base e leva della libertà e della capacità di mettere al mondo
la propria idea e realizzazione, di compiere il proprio originale cammino. La
posta in gioco è essere adattati, passivi e silenti (non importa se,
illusoriamente, convinti di avere personalità spiccata e cose da dire, però
senza radice, fondamento e sostegno in se stessi) oppure presenza consapevole e
feconda, capace davvero di autonoma visione e di autonomo progetto, questo
l’inconscio vuole porre e tenere viva come questione, purtroppo non compresa,
spesso misconosciuta, oltre i confini della testa ragionante, del modo di
pensare consueto e prevalente. Quando l’inconscio ha occasione di essere
ascoltato e rispettato, seriamente valorizzato, fedelmente compreso (sia nel
sentire, che anima e che plasma, che nei sogni, dove dà il meglio di sé), come
accade in una valida esperienza analitica, il contributo che sa dare di
pensiero, di risveglio di umanità, di gioia e di passione di conoscere e di far
vivere se stessi, è enorme.
mercoledì 17 aprile 2024
I sogni formano il pensiero autonomo
I sogni hanno un ruolo fondamentale nella
conoscenza di se stessi, sono decisivi nel rovesciare la tendenza a rimanere
sulle tracce e sui binari del pensare abituale, dentro una modalità di pensiero
che non permette di vedere, che, pur argomentando e ragionando, non consente di
capire. E' una forma di pensiero, quella solita affidata all'uso dello
strumento razionale, che fa rimanere adesi a modalità e a schemi soliti, senza
stacco riflessivo che permetta di capire il senso di ciò che si sta dicendo, di
interrogare quale sia il suo scopo vero, di verificare su cosa poggino le
proprie affermazioni, se ci sia fondamento valido e compreso ai propri
pensieri. I sogni, creature di intelligenza rara e sublime, sanno educare al
pensiero riflessivo. Non è affatto immediato entrare in sintonia e in accordo
di sguardo e di visione con l'inconscio, con ciò che propone dentro e
attraverso i sogni. La tendenza più comune è di leggere il sogno come se fosse
uno sguardo sul fuori, su ciò che accade nella relazione con situazioni e
soggetti esterni. Se nel sogno compaiono una o più persone si pensa che il
sogno parli di loro e di quanto c'è in atto o potrebbe esserci nel rapporto con
loro, nei loro confronti e viceversa. In realtà questi altri danno volto e
espressione a propri modi di essere e di procedere. L'inconscio vuole aprire
proprio lo scenario interno, stimolare e favorire la scoperta e conoscenza di
se stessi, di tutto ciò che risalente a sè è stato sinora ignorato, omesso,
vista la tendenza a aver cura e attenzione tutte rivolte agli svolgimenti
esterni, al rapporto con gli altri e con tutto ciò che sta fuori. Se nel sogno
ci sono svolgimenti difficili, inquietanti la prima idea è che l'inconscio
voglia mettere l'accento o segnalare l'imminenza o la presenza di condizioni
difficili legate a pressioni, a minacce esterne, questo perchè l'atteggiamento
di fondo è spesso quello vittimistico e deresponsabilizzante, di ricondurre ad
altro e a altri la responsabilità del proprio disagio, delle difficoltà, delle
insoddisfazioni, di quanto è vissuto come irrisolto o negativo. L'inconscio fa
recuperare tutto ciò che risale a se stessi, indirizza lo sguardo su di sè,
rende visibile lo scenario interiore e lì dentro cosa accade nel rapporto con
se stessi, nel modo di trattare ciò che vive e che si propone nel proprio
intimo, nei propri stati d'animo e vissuti. Nella vita interiore, resa spesso
marginale e ampiamente trascurata, quindi ignorata e misconosciuta, resa
subalterna a altro, vista la centralità riconosciuta al legame e a quanto agito
nel rapporto con l'esterno, trovano riconoscimento vivo i punti focali
dell’esperienza, è questo che i sogni vogliono rendere visibile. Lì dentro c'è
lo specchio per vedere di se stessi cosa realmente dentro l’esperienza e il
proprio procedere si cerca, in che modo, condizionati da quali pretese,
indirizzati da quali aspettative, in quale tipo di vincoli. E' abituale ad
esempio non vedere quanto nel proprio agire e spendersi risale a esigenze di
ben figurare, di dare allo sguardo comune prove di adeguatezza e di capacità,
come è abituale non riconoscere il ricorso a quanto già formato e concepito e
che finisce per fare da base e da confine a un pensiero che si illude di essere
di costruzione propria e capace di portare a nuovi sviluppi di conoscenza. La
dipendenza, la mancanza di guida e di elaborazione autonoma passa inosservata,
nemmeno è questione. Ciò che interiormente dà stimoli e basi vive per capire in
che modo ci si sta muovendo, si sta pensando e ci si sta dirigendo, ciò che nel
sentire offre proprio questi spunti e guide per soffermarsi a capire, a
capirsi, non è messo al centro del proprio sguardo, tutta la macchina razionale,
cui è affidata la propria attività di pensiero e la guida del proprio procedere, se la racconta senza stare al
vincolo stretto col sentire, senza farlo parlare, senza impegnarsi a
ascoltarlo, a intenderlo attentamente e fedelmente. I sogni recuperano tutto
questo lavorio inutilizzato o travisato dall'attività di pensiero consueta per
ridare le coordinate di un pensiero autenticamente riflessivo, che mette al
centro l'esigenza di capire i propri modi di essere e di procedere, senza appiattirsi
a dare invece contributo al pensato abituale, senza dare implicita conferma e sostegno
al tirare avanti dritto sulle solite basi e con la solita inconsapevolezza. Ciò
che si muove nell'intimo di emozioni, di stati d'animo, di sensazioni e di
spinte ha la stessa matrice dei sogni, non è un susseguirsi di risposte
meccaniche, di reazioni banalmente e automaticamente sollecitate e condizionate
da questo e da quello che accade fuori, è ben altro, è risposta e
iniziativa intelligente, è terreno vivo di presa di visione di se stessi e di
quanto ha capacità di condurre a conoscere se stessi. Nei sogni l'inconscio
perfeziona lo sguardo, crea le basi per prendere la migliore visione possibile
di se stessi e di quanto sta accadendo nel proprio modo di condursi, di
condurre la propria vita. La componente intima è resa finalmente riconoscibile,
ampliando la percezione dei confini del proprio essere, rompendo lo schema
abituale, che vede il proprio essere a una sola dimensione del pensare e
dell’agire razionale e volitivo. Se in un sogno si creano situazioni difficili
o inquietanti, se si viene alle prese con figure che appaiono minacciose, con
pericoli anche estremi, non è per ribadire o per segnalare che si è sotto
pressione di minacce esterne, casomai invece per rendere riconoscibile che è
dentro se stessi che si aprono tensioni, che è da dentro se stessi che si fanno
avanti pressioni e pretese diverse rispetto alla prassi abituale, che ignora
qualsiasi relazione con l'intimo e il profondo del proprio essere. La parte
profonda non sta ferma e zitta, si fa avanti e vuole introdurre qualcosa di
nuovo, di radicalmente diverso, non per fare danno o sconquassare malamente, ma
semmai per sollecitare mutamenti e trasformazioni, prima di tutto di sguardo e
di pensiero, valide e necessarie, per rompere tendenze che chiudono e
impediscono di aprire gli occhi, di conquistare nuova consapevolezza, che
liberi nuova vita, nuove e ben diverse prospettive. Se, per fare un esempio, in
un sogno compaiono ladri, che minacciano di derubare cose proprie o in casa propria
o che lo fanno, può questo dire delle iniziative di una parte intima e profonda
di se stessi, niente affatto altra da se stessi, che vuole togliere false
credenze e possesso di idee e convinzioni che non hanno attendibilità e che
chiudono piuttosto che garantire la propria crescita e realizzazione umana
personale. Ciò di cui parlano i sogni non è sulla lunghezza d'onda del
pensato abituale, ma è un pensiero, quello cui danno forma, che sa entrare nel
cuore della verità, che sa animare e rianimare un individuo troppo adagiato su
una visione di se stesso inautentica e niente affatto favorevole ai suoi
interessi di crescita vera. I sogni non sono di immediata comprensione, non
parlano il linguaggio abituale, non puntano lo sguardo e l'attenzione nella stessa
direzione dello sguardo convenzionale e consueto, i sogni parlano di se stessi
e aprono a una visione della vita centrata su di sé, non a rimorchio di altro
che fa da modello e guida, non confinata in abitudini e interessi soliti. I
sogni accendono una visione, guidano alla formazione di un pensiero autonomo
fondato su esperienza e ricerca proprie, che, se compreso e condiviso
dall'individuo, sa renderlo libero e capace di concepire a modo proprio il
senso e lo scopo della sua vita, di riconoscere, apprezzare e utilizzare le
sue autentiche e complete risorse umane.
domenica 14 aprile 2024
Il rapporto col sentire: luoghi comuni, manipolazioni e trucchi sottili
Per capire se stessi è decisivo il rapporto con le emozioni e con tutto ciò che si muove interiormente. Se si vuole prendere contatto col vero, se si vuole conoscere se stessi e ciò che, al di là delle apparenze, accade nella propria esperienza, è necessario rendersi capaci di rapporto aperto e dialogico col proprio sentire, imparando a ascoltarlo in ciò che dice. E' tendenza frequente porre in secondo piano e sotto tutela ciò che l'esperienza interiore propone, dando prevalenza e consegnando funzione guida al pensiero razionale, riconoscendogli il compito e il diritto di giudicare l'opportunità e di stabilire la congruità del sentire. In non poche circostanze, credendo nella superiorità e nella affidabilità dello sguardo razionale, si ritiene utile, anzi necessaria, come condizione per capire le cose al meglio, la messa in disparte delle emozioni, viste come fattore perturbante la visione lucida e obiettiva. Viceversa capita che in alcune circostanze si invochi la messa in pausa del ragionamento e dell'istanza di capire per liberare le emozioni, per quel "lasciarsi andare" liberatorio e libero da intralci, che colori e permei al meglio e piacevolmente la propria esperienza, convinti che ci sia solo da vivere le emozioni e non da capirle. Si conferma la tendenza a tenere separati il sentire e il pensare, come fossero antagonisti e inconciliabili, come dovessero operare in campi separati. Se da un lato la preoccupazione di salvaguardare il sentire dall'intervento del capire è comprensibile, considerato il carattere non dialogante, l'atteggiamento di fondo non rispettoso verso il sentire, l'attitudine a porre regole e condizioni e a stabilire dall'alto ragioni e spiegazioni, in sostanza la mancanza di capacità d'ascolto e riflessiva del modo usuale di esercitare il pensiero nella forma razionale, dall'altra, ritenere in assoluto inopportuno l'intervento del pensiero nel rapporto col sentire, significa fraintendere il potenziale e lo scopo del sentire. Il sentire evidenzia e detta i contenuti su cui portare l'attenzione, apre in modo sensibile la strada alla conoscenza, il sentire non disdegna affatto di essere compreso, di veder raccolto fedelmente e attentamente ciò che vuole dire, suggerire, evidenziare, anzi negargli ascolto e impegno di comprensione significa vanificarne la proposta e l'intenzione. La questione fondamentale è la forma di pensiero messa a disposizione e rivolta al proprio sentire. Al sentire, alle emozioni, agli stati d'animo, ai moti interiori, non va riservato un pensiero che si senta in diritto di commentarlo, di giudicarlo, in chiave negativa o positiva poco cambia, è sempre un pregiudizio, come abitualmente fa il pensiero razionale, con la sua pretesa di far valere la sua intelligenza sopra emozioni e vissuti, di fatto applicando loro le sue categorie e i suoi codici di significato già pronti, senza dare loro voce, senza raccoglierne il messaggio. Al proprio sentire va viceversa garantito un pensiero autenticamente riflessivo, capace di riconoscerne l'intimo volto, come quando, guardando la propria immagine riflessa dallo specchio, si può vedere nei propri occhi e nel proprio volto ciò che svelano, che comunicano. Le emozioni, i moti interiori, ciò che prende forma nel sentire va saputo cogliere e riconoscere nelle sue specificità e sfumature, perchè diversamente si spreca questa risorsa interiore, il suo potenziale propositivo. Facciamo un esempio per capire meglio. Un moto di invidia rivolto a qualcuno può essere facilmente trattato da chi lo vive o come un segno ovvio di desiderio di avere per sè ciò che l'altro possiede o manifesta come qualità, ovvio perchè pare possedere il meglio, o come espressione di sè disdicevole e sconveniente, perchè l'invidia ha caratteri in sè poco piacevoli, disagevoli, un pò amari, ma anche facilmente considerati da idea e etica comune indegni e riprovevoli. Ebbene quel moto si è pronunciato non per caso per dare l'occasione di prendere visione di qualcosa di importante, di cruciale di se stessi su cui portare l'attenzione. Ciò che mostra di sè, lo dicono proprio le particolarità e le sfumature del sentire, è un senso di insufficienza, di inadeguatezza, di mancanza di un proprio su cui contare e di cui sentirsi soddisfatti. A dirlo quella sottile pena disagio, imbarazzo riservato a sè che accompagna il moto di invidia. Dunque lo sguardo su se stessi comincia a rivelare che ci si sente carenti e che dalla propria non c'è qualcosa che si consideri davvero valido, qualcosa che si sia generato e che si senta e riconosca davvero caro a se stessi e valido ai propri occhi. Se scatta il paragone e se da altri ci si fa dire cosa vale e andrebbe perseguito ecco rendersi visibile attraverso quel sentire che si è al traino, che altro da sè ha già deciso cosa vale e cosa va perseguito per concedere stima a se stessi e per raggiungere un senso di capacità, di riuscita. Il proprio sentire disegna lo stato delle cose e crea il terreno di ricerca su cui riflettere, dove lo sguardo, l'attenzione sono portati e centrati su di sè, un terreno estremamente preciso, attendibile, capace di portare alla verità di se stessi, capace di permettere ricerca utile per non rimanere schiacciati nell'inconsapevolezza e costretti negli automatismi del pensiero e delle scelte. Il sentire è intelligente e intelligentemente delinea, evidenzia ciò che serve per entrare in rapporto più approfondito con se stessi, per lavorare su questioni vere e toccanti. Ma torniamo a riflettere su quanta corrispondenza e rispetto sono concessi al proprio sentire. Circa la libera espressione del sentire, va osservato che, a dispetto della loro presunta genuinità e spontaneità, sulle emozioni e sulle spinte interiori cala non di rado da parte di chi le vive una presa sottile, che le vuole comunque pilotare, in qualche modo selezionare e riplasmare. Sul conto delle emozioni, del sentire, si tende infatti non poche volte, anche se in modo non appariscente, a svolgere un controllo e una regia che vuole che si esprimano e si declinino accontentando canoni di normalità, di buona resa e di buon gradimento: commuoversi, stupirsi, piangere, gioire e entusiasmarsi, come fosse positiva o dovuta quella particolare espressione, "normale" in determinate circostanze e condizioni, come fosse sinonimo di sana sensibilità e vitalità, come se in caso contrario ci fosse sospetto di freddezza, di mancanza di sensibilità, di qualcosa che non va. Per alcuni può anche vigere regola diversa, ritenendo espressione di debolezza provare turbamento, paura, inquietudine, come se forza d'animo e maturità consistessero nel rimanere saldi e sicuri. Non è raro comunque che ci si ponga, in subalternità a regole condivise, il dubbio circa la propria idoneità, circa se stessi, quando non risulti a se stessi naturale e spontaneo provare ciò che culturalmente è ritenuto ovvio, valido e normale. Fare delle proprie emozioni, del proprio sentire il mezzo per risultare adeguati e ben accetti, per ben figurare e in modo più esplicito farne l'arma per sedurre, per stupire favorevolmente, non è cosa così rara. Il sentire autentico, che sinceramente, senza filtri, correzioni e manipolazioni, possiamo riconoscere dentro di noi, in realtà è autonomo rispetto a ogni pressione, non rispetta nessun convenevole, non si subordina a nessuna azione regolatrice, a nessuna disciplina e pretesa, è imprevedibile, mai scontato, mai docile alle attese. Il nostro sentire vero, non oscurato, non filtrato e non rifatto a nostro e altrui uso e piacimento, è la voce del nostro profondo, che, incurante delle convenienze, sfuggendo a qualsiasi tentativo di addomesticamento, con precisione e con intelligenza vuole a ogni passo guidarci a entrare nelle pieghe della verità che ci riguarda. Il sentire non è una bella decorazione, un fiore da portare all'occhiello e neppure è risposta automatica a questo stimolo o a quello. Il nostro sentire è funzione intelligente, è traccia e guida per entrare in rapporto con la verità di noi stessi, il sentire spontaneo e naturale è ogni volta spunto intelligente, spunto, evidenziatore, scintilla di conoscenza. C'è chi, più spiccata questa convinzione nel sesso femminile, ritiene di avere apertura naturale e più spiccata confidenza con le emozioni, col sentire, coi sentimenti e con tutto ciò che non è nel governo di volontà e ragione. Se è vero che l'uomo è spesso più lontano della donna dalla vita intima e più avvezzo all'azione e al pensare razionale che viaggia disinvolto in alta quota ben staccato dal suolo degli svolgimenti interiori, non è detto che quest'ultima abbia davvero capacità di rispettosa apertura e rapporto con la vita interiore, col sentire. La presunta e apparente apertura e vicinanza al sentire, se esposta a uno sguardo più attento può infatti lasciar vedere che su emozioni e sentimenti può esercitarsi, come dicevo, niente affatto raramente, una sottile manipolazione. Senza che si renda visibile smaccatamente l'artefatto, pur senza teatralità o più scoperta ambiguità o ipocrisia dei sentimenti, si può in una forma più lieve e sottile caricare, enfatizzare, si può fare selezione, filtro sul sentire, dando riconoscimento all'interno delle proprie sensazioni e stati d'animo, a ciò che più è gradito e piace, rendendo così l'accesso e il rapporto col proprio sentire più controllato e conveniente, assai meno aperto, fedele e spontaneo di quanto non appaia e non si voglia credere e far credere. C'è poi l'istanza, di cui già dicevo, che vuole, per il proprio sentire o presunto tale, per ciò che muove le proprie scelte e espressioni, libertà da interrogativi stringenti, da necessità di verifica attenta, che chiede di non insistere con le domande di chiarimento, invocando quella leggerezza, che oggi nel pensato e nel linguaggio comune gode di buon credito. In questi casi il significato dichiarato, che spesso si rifà al più in uso e condiviso, è considerato sufficiente per la conoscenza di sé e della propria esperienza, anzi esaustivo. Succede allora che espressioni esaltanti come innamoramento, passione, attrazione o altre, meno esaltanti, come avversione, disagio, dolore, siano trattate come affermazioni che non necessitano di chiarimento ulteriore e di approfondimento rispetto a ciò che pare già implicito e scontato, perché considerate in sé sufficienti per dire il bello e il brutto, per colorire e qualificare il significato e il valore, la bontà o il negativo di un'esperienza. Quante volte, per fare un esempio, per chi vive il cosiddetto innamoramento, questo è, senza dubbi e esitazioni, sinonimo di un trasporto e di un forte sentimento amoroso verso l'altro, non curandosi di mettere in luce che quel cosiddetto innamoramento può essere espressione e collante di un legame dipendente (con reciprocità interdipendente), dove l'altro è mezzo e occasione per portare a sé, prontamente, qualcosa, il sostituto di qualcosa di essenziale e necessario non ancora cercato dentro se stessi, non ancora coltivato, generato e fatto vivere da sé, quante volte pare via di completamento (trovare la propria cosiddetta metà) e di realizzazione, quando invece è rinuncia a cercare vera completezza di individuo e vera auto realizzazione, quante volte è illusoria rinascita e risalita di autostima, perché l'altro o l'altra riempie di attenzioni e sembra porre se stessi al centro del suo interesse! Vedere chiaro cosa ci si spinge a cercare e a fare proprio, riconoscere dentro le proprie spinte i significati veri, aprendo confronto attento e trasparente con se stessi, è scelta frequentemente omessa e evitata, perché, assumendo per vero il significato apparente, perché affidandosi alla retorica dei sentimenti, tutto sembra girare al meglio e favorevolmente, salvo nel tempo, come nell'esempio di prima, patire, non di rado, la stretta del legame dipendente e ritrovarsi a corto di autonomia e di crescita personale vera, salvo giungere, in non pochi casi, a disillusioni cocenti. La retorica, rivestire di qualità e di significati che piacciono e che fanno comodo, ricorrendo e andando dietro a modi di intendere di largo uso e ben considerati, è nel rapporto col proprio sentire un espediente che torna assai gradito, in apparenza vantaggioso. La manipolazione del sentire e l'utilizzo sul suo conto di attribuzioni di significato e di valore più comuni e imperanti, offre vantaggi di immagine, copre responsabilità, aiuta a trovare scorciatoie, a darsi un'identità che piace, persuade e trova facile consenso negli altri, appoggio, complicità. Se trucca le carte, lo fa in modo così sottile da passare inosservato. Non del tutto però, perché la parte profonda di se stessi non si fa né incantare, né persuadere dalle apparenze, perché di tutto ciò che si muove sullo scenario dell'esperienza sa riconoscere e vuole far risaltare il senso vero. E' tutt'altro che infrequente cadere nella trappola del sentire che si pretende genuino, delle spiegazioni e delle rappresentazioni sul suo conto che vorrebbero essere appropriate e consone, in realtà sovrapposte, arrangiate, a proprio uso e beneficio, per diletto, per convenienza, per quieto vivere. Per fortuna l'inconscio è presenza vigile e può, se gli si dà ascolto nel sentire autentico e nei sogni, aiutare a districare, a svelare i trucchi, a trovare il vero, per non farsi irretire da ciò che, pur piacendo e dando immediato agio, pur trovando appoggio e conferma in altri e nel comune modo di pensare, non dà occasione di conoscere se stessi e di crescere.
sabato 13 aprile 2024
A quale porta bussare?
Non è infrequente che, se coinvolti in
esperienze interiori di malessere e sofferenza interiore, si cerchi negli
altri, che siano vicini come amici, conoscenti o parenti o cercati in rete come
dentro forum e spulciando in lungo e in largo opinioni, chi possa aiutare a
capire e soprattutto a trattare ciò che si sta vivendo. C’è poi la tendenza a
cercare sollievo nella constatazione che anche altri sperimenti o abbia
sperimentato qualcosa di simile e a questi, alle loro opinioni si presta più
ascolto e credito. Sembra di trarre utilità da questi apporti esterni,
disarmati come si è nel mettersi autonomamente in rapporto con quanto si vive,
inclini come si è prima di tutto a difendersi e a contrastare ciò che si sta
provando. Va perciò aperta una riflessione su quanto possa offrire e riservare
a sé cercare fuori opinioni e apporti. Raccogliere le opinioni di altri rischia
di non essere una gran soluzione, perché ognuno nel trattare l’esperienza personale
che gli si espone ci mette del suo di preconcetti, di modi, che gli sono
abituali, di trattare la propria esperienza, tipo delegare subito la
comprensione dei propri stati d'animo, questioni scottanti e esperienze alle
valutazioni e teorie dell’esperto di turno o, già prima di ascoltare e di
provare a capirsi, avere cura e premura anche da sé di appiccicare etichette
diagnostiche alle proprie e altrui esperienze , tanto arbitrarie quando si
avvicina un'esperienza interiore, complessa e unica, quanto sterili. Etichettare
non significa conoscere. Se oggi si è entrati in una spirale dell'allarme per
le proprie condizioni di salute, se mille dubbi si aprono sul proprio reale
stato, in tutto questo un senso e uno scopo c'è di certo. E' importante saperlo
cercare e riconoscere. Per far questo è necessario imparare a non ridursi a
agire e a metter sopra l'esperienza ragionamenti che non hanno guida e
fondamento in ciò che si sta provando, è importante smetterla di affannarsi nel
fare e nel cercare soluzioni e cominciare invece a esercitare uno sguardo
diverso volto a riconoscere il senso di ciò che si sta vivendo. Se sinora ci si
è ignorati, se nel proprio procedere solito si è cercato tutto fuori di sè,
diventando estranei o semplici ospiti abitudinari e disattenti in casa propria,
per casa intendo il proprio spazio intimo, se di se stessi più profondamente
non si è frequentato e conosciuto nulla, se non si è riflettuto, guardandosi
come dentro uno specchio, ignorando il vero stato della propria vita, del modo
di condurla, se da una parte si fa, si agisce, si confezionano ragionamenti e
dall'altra si sente e non ci si cura di entrare in sintonia e di ascoltare e
comprendere ciò che si sente, se si tira avanti in una modalità di vita senza
apertura e confronto con se stessi, non è forse vero, non risalta che, seppur
nella forma dell'allarme e del temere le più disparate incognite e sorprese sul
proprio stato, qualcosa sta costringendo a occuparsi di sè, che sta segnalando
con forza e con insistenza la propria lontananza da se stessi, la propria
mancanza di attenzione per la conoscenza, non superficiale e distratta, ma vera
e approfondita, di se stessi, di cura del rapporto con se stessi? Nulla sulla scena interiore accade mai per caso e senza un senso, senza
uno scopo. La porta a cui bussare è dunque quella altrui, che non può dare
se non apporti comunque impropri e fuorvianti, offrire consolazioni che
aumentano la diffidenza e la distanza da ciò che si vive nel proprio intimo o
la propria porta, imparando, casomai con l'aiuto di chi sappia dare contributo
utile a questo scopo, a entrare in relazione aperta e capace di ascoltare
la propria interiorità in ciò, che anche nella forma, che può risultare
difficile e sofferta, sta cercando di dire?
venerdì 12 aprile 2024
Il circuito della seduzione
La seduzione è il motore e è il vincolo su cui si avvita l'esistenza che ha preso forma e ha svolgimento dentro il legame di dipendenza da fonte e da guida esterne, un'esistenza e un modo di procedere in cui tutto è stato preso a modello e continua a essere preso e appreso da fuori. Non c'è vincolo allora più potente e decisivo, per stare dentro questa forma di esistenza, di quello di dare traduzione alla propria vita che onori e rispecchi quanto preso da fuori. Il vincolo fondamentale nel segno della seduzione, del portare a sè convalida e plauso a condizione di compiacere, è di dare prova e dimostrazione di adeguatezza e di possesso di attributi di valore ben codificati e ampiamente condivisi per ricevere conferma e sostegno di considerazione e di approvazione e nello stesso tempo ribadire e dare assenso e prova di fedeltà a ciò che da fuori può fornire quei sostegni e benefici. E' un circuito chiuso di compiacenza che costringe l'esistenza a declinarsi e a muoversi su questo binario, che non offre altra possibilità, a meno che dall'adesione cieca e supportata da illusorie attribuzioni di significato, che vogliono travestire di espressione di volontà, di intelligenza e di capacità proprie ciò che invece è espressione e conseguenza di docile passività nel seguire e interpretare un copione già scritto, non si passi alla riflessione per vedere cosa c'è in realtà in gioco nel proprio modo di procedere, cosa lo muove e cosa implica davvero per se stessi. E' questa la spinta che arriva dal profondo. L'inconscio infatti è pronto a mettere in luce cosa si sta facendo di se stessi, dentro quali vincoli e a che prezzo si sta impegnando se stessi in quella forma d'esistenza, in quel modo di procedere. L'inconscio è difesa delle proprie ragioni autonome d'esistenza, del proprio potenziale che in quella modalità di procedere rimane incolto, non riconosciuto e dunque sacrificato. L'inconscio è portatore e stimolo all'intelligenza vera, che è volontà e sviluppo di capacità di cercare e di leggere il vero, per non rimanere intrappolati nella nebulosa della falsa coscienza, dell'ingenuo stare al passo con l'illusione. Rendersi compiacenti, assecondare le attese di buona resa, per averne in cambio la gratificazione di essere ben considerati, prestarsi a questo e continuare a rendere omaggio a criteri guida e di valore che sono fedelmente onorati e serviti, questo circuito chiuso della seduzione comporta bilancio zero di scoperta autonoma e di costruzione di qualcosa di originale, compreso da sè, ben coltivato nella ricerca e nel dialogo con se stessi, bilancio zero di gioia autentica di scoperta con i propri occhi del vero e corrispondente a sè, di gioia di farlo vivere e crescere con passione. Questo non lascia indifferente l'inconscio, la parte profonda di se stessi, che non per caso smuove le acque interiormente, provoca crisi, alimenta malessere per toccare questi punti, questi nodi della propria esistenza. Il bilancio zero di costruzione crescita vera non lascia indifferente la parte che non accetta simile esito, che prima di tutto lo vuole segnalare, rendere riconoscibile. Bilancio zero perchè il presunto patrimonio realizzato, le presunte mete raggiunte altro non sono che prove date e ben inscritte nell'ideale e nella logica comune e data, di cui sono debitrici le presunte conquiste, che, senza quel supporto e quelle convalide da fuori, svanirebbero, non starebbero su. L'inconscio è l'unica parte viva di se stessi che non sta al gioco, che viceversa lo vuole smontare pezzo su pezzo, che vuole coinvolgere per intero l'individuo in questa ricerca del vero, guidandolo attraverso i vissuti e con i sogni, a prendere visione passo dopo passo, dei veri fondamenti del modo di procedere in cui si è coinvolto e di quanto ci sia di implicato di perdente per sè anche dove c'è apparente riuscita. La seduzione non è a misura e degno dell'essere, dell'individuo, che abbia desiderio e volontà di condurre avanti delle scelte di vita non per averne il contentino di essere apprezzato, ma per credo proprio e per passione sincera, avendo cura non di dare dimostrazione, ma di creare, di dare vita, di far di tutto per far esistere ciò che da sè abbia saputo trarre.
mercoledì 10 aprile 2024
E' possibile cambiare?
Si è quello che si è e nella sostanza è
difficile cambiare o c'è possibilità di cambiare veramente e profondamente?
Portiamo dentro di noi le possibilità del cambiamento, anzi di un cambiamento
radicale nel nostro modo di essere e di pensare, portiamo nel nostro profondo
tutta la volontà oltre che la capacità di alimentarlo, di condurci a produrlo.
Il problema è che molto spesso non c'è intesa e convergenza tra il volere del
profondo, la strada che propone e la mentalità e le pretese della parte conscia.
Quest'ultima si illude che i cambiamenti siano ottenibili con l'inventiva del
ragionamento, assumendo e professando nuovi credi, abbracciando nuovi principi
di valore e di comportamento, oppure consegnando l’attesa del cambiamento a
cambi di situazioni, prendendo da fuori, utilizzando il corredo di risorse
esterne già pronte e confezionate, mutando abitudini e luoghi, frequentazioni o
partners, come se da lì possa sgorgare nuova vita. La proposta interiore, che
traduce la volontà del profondo di coinvolgere l'individuo e di condurlo al
cambiamento vero, è viceversa del tutto ignorata e incompresa nel suo
significato e valore. La vicenda interiore, ciò che l'interiorità propone nel
sentire, nei vissuti, che in avvio di processo di cambiamento e proprio allo scopo
di aprirlo assume frequentemente carattere di crisi, di esperienze
interiori, di vissuti che possono risultare disagevoli e sofferti, non è riconosciuta
dall'individuo che la vive come forte richiamo e come primo segnale valido di
avvicinamento a se stesso e spinta al cambiamento vero, anzi è guardata
con preoccupazione, con timore e diffidenza. Sembra ai suoi occhi minacciosa e
avversa ai suoi interessi e con i suoi parametri di giudizio, presi da senso
comune, prontamente la parte conscia dell'individuo giudica la proposta
interiore, ciò che interiormente si fa così acutamente vivo dentro di lui nel
sentire, un che di inaffidabile, volto più a fargli danno, a togliergli
potenzialità, a debilitarlo e a invalidarlo che a dargli opportunità. Come
credere da parte di chi è abituato alla regola del presto sistemato e
soddisfatto, di chi ha come faro ciò che per i più è valido e desiderabile, che
ad esempio ansia, senso di fragilità, caduta di interesse e di fiducia in se
stessi, possano racchiudere delle opportunità, possano valere come terreno di
presa di coscienza e come primo passo sulla via del cambiamento? Tutto lo
sforzo della parte conscia è di tenere da subito alto il tono dell'umore, la
sicurezza, convinta di alimentare così lo "star bene", la capacità di
non perdere terreno, di non privare se stessi di ciò che pare normale e naturale
possedere. Se tutto del proprio modo di pensare e di concepire la vita si è
formato andando a rimorchio, seguendo l'educazione del così fan tutti,
facendosi dire e spiegare, facendosi bastare nei propri ragionamenti di
ripetere nella sostanza la lezioncina appresa, pur con qualche pretesa di
originalità, badando solo a stare al passo con gli altri, la reazione a ciò che
interiormente in realtà, se fedelmente e ben compreso, segnala con forza non i
sintomi di una poco valida capacità di procedere e di essere adeguati, bensì la
mancanza di aderenza a se stessi, l'assenza di radice nel proprio procedere e
pensare, la sostanziale mancanza di visione propria e di autonoma guida e
capacità di condursi, è di giudicare tutto questo che si muove interiormente
come guasto e pericolosa deriva, come disturbo da combattere, come patologia da
aggiustare. Ciò che interiormente, in modo assolutamente sensato e
intelligente, coinvolge e investe senza tregua con i vissuti d'ansia di un
senso di fragilità, di precarietà, di apprensione e di smarrimento, di
allarme e di pericolo, chi procede incautamente senza aderenza e intesa
profonda con se stesso, ciò che interiormente avvilisce e disarma con i vissuti
di scoramento e di mancanza di fiducia e di stima di se stesso, chi, al di là
delle apparenze (che possono convincere l'opinione comune, ma non la parte
profonda se stessi), non si è provvisto dell'essenziale, di un bagaglio di
conquiste proprie e di autonome scoperte, è tutt'altro che l'espressione di un
disturbo e il segno di un guasto, di un anomalo modo di sentire. La proposta
interiore, anche se difficile e dolorosa, contro ogni facile pregiudizio che la
considera nociva e malata, segno evidente di cedimento, è viceversa guida
provvida e intelligente per prendere contatto col vero, con se stessi. Se ci si
lavora con cura e seriamente, se ci si fa aiutare a farlo, come accade dentro un percorso di analisi ben fatta, lo si scopre,
lo si verifica, lo si comprende. L'iniziativa interiore, pungolando nel vivo,
non concedendo tregua, persegue uno scopo assolutamente positivo, vuole
spingere a vedere senza trucchi e senza veli il significato e il fondamento del
proprio modo abituale di procedere e di pensare, spesso sostenuti e confermati
più da fuori che da dentro se stessi, a riconoscere lo stato del rapporto con
se stessi, spesso segnato da lontananza e da estraneità al proprio mondo
interiore, per muovere da lì alla costruzione di qualcosa di autentico, allo
sviluppo di un pensiero e alla scoperta di una progettualità che abbiano
origine e radice dentro se stessi. L'incomprensione del senso, del significato
di ciò che interiormente si svolge e preme, non è casuale, è conseguenza della
mancata formazione e crescita della capacità di relazione col dentro, visto che
tutto l'impegno nel proprio corso di vita fino al presente è stato destinato a
prendere da fuori, a istruirsi, a interagire con l'esterno e con gli altri, a
prendere da lì le opportunità, a apprendere dalla fonte esterna contenuti,
guide e capacità di orientamento. L'esperienza interiore, il rapporto con
sensazioni, emozioni, stati d'animo non è stato oggetto di cura, non ha preso
forma, non è stata coltivata e sviluppata la capacità di ascolto e di dialogo
con la propria interiorità, anzi via via si è creata lontananza, distanza e
distrazione, disaffezione verso il dentro, sminuito, visto solo come eco banale
e piatto delle vicende esterne e come un seguito che doveva armonizzarsi e
seguire docilmente le petizioni di principio e i calcoli e le attese della
parte conscia razionale, chiamata a essere il motore trainante, la guida.
Partendo da queste premesse, rimasta incolta la parte che riguarda il rapporto
con se stessi, col proprio intimo, capaci solo di forte connessione col fuori e
scollegati e estranei alle vicende interiori, sottovalutate e messe semmai
sotto tutela della parte conscia, ecco l'incapacità di intendere cosa la
proposta interiore vuole e sa offrire. Il cambiamento di cui proprio la parte
profonda può essere promotrice e guida capace e che ha nel profondo di ognuno,
nell'inconscio il suo promotore, non è certo considerato possibile dalla parte
conscia, non è nell'ordine delle sue idee e aspettative, che la rendono più
incline e pronta a bloccarne l'avvio e lo sviluppo, invalidando come anomalo e
da correggere ciò che la proposta interiore avanza, che di riconoscerlo come
guida valida su cui fare conto. L'inerzia e la chiusura della parte conscia, la
sua incapacità di intendere le vicende interiori e di comprenderne il valore,
la sua ottusa salvaguardia del solito a cui affida tutta se stessa, il suo
dirsi persuasa di avere e di sapere già, il suo dar credito solo alle risorse
esterne e già pronte, il suo affezionarsi solo alle conquiste spendibili per
dare buona prova di sè agli altri, per riscuoterne l'apprezzamento, finisce per
stroncare e far cadere i richiami interiori, la proposta e l'opportunità del
cambiamento vero mosso dall'intimo, dal profondo. E’ dato invece credito a
ipotesi ingenue e sterili di cambiamento fondate sul niente, su soluzioni
esterne e mal concepite, che non possono che riportare sempre all'uguale. Non
si cambia per procura, affidando il cambiamento di sé a altro, non si cambia
con un cambio di abitudini e di pratiche esterne, non si cambia per petizioni
di principio. L'unica possibilità di cambiamento è legata al profondo di sè,
che non intende certo offrire un cambio d'abito. Cambiare significa seguire la
traccia viva segnata dalla propria interiorità, facendo un lavoro di presa di
coscienza, di verifica senza risparmio, lucida e onesta, imparando a coltivare
con la guida del profondo scoperte e idee fondate. La parte profonda di se
stessi, l'inconscio ha talento e capacità di indirizzare la ricerca, di guidare
il processo vivo di trasformazione mettendo in campo il sentire e tutta la
trama dei vissuti, che vogliono far fare esperienza viva per conoscere
nell'intimo la verità delle cose, mettendo a disposizione i sogni,
insostituibili fari per vedere dentro se stessi, per formare nuova visione, non
artefatta ma aderente, strettamente aderente al vero. Se i cambiamenti fatti di
invenzioni e di acrobazie della mente conscia e razionale, affidati a cambi di
ingredienti esterni sono solo ingenui diversivi e illusori, cambiare veramente
si può. Si può, cambiando profondamente se stessi, diventando se stessi,
assecondando la spinta profonda a aprire gli occhi, a generare il proprio
pensiero, a trovare le proprie risposte e la propria visione della vita, a
comprendere le proprie ragioni d'esistenza. Il cambiamento vero e radicale non
è un frutto già maturo e pronto da cogliere e da consumare come si è abituati a
fare, è un cambiamento da coltivare, è una trasformazione graduale da
condividere col proprio profondo, è una nuova vita da generare e da cui essere
rigenerati.
sabato 6 aprile 2024
L'analisi: chi conduce chi?
Premetto che si impiega il termine analisi
per definire una varietà disparata di approcci e di esperienze assai diverse
tra loro. Nel mio scritto parlo dell’analisi e del percorso analitico, come da
tanti anni da analista propongo e pratico, che mette al centro il rapporto col
profondo, che riconosce a questa parte del proprio essere un ruolo essenziale e
decisivo nella conoscenza di se stessi e nel promuovere la propria autentica
realizzazione. E’ motivo di sorpresa per chi inizia questo percorso analitico
ritrovarsi non già nella posizione di chi col ragionamento cerca di condurre il
discorso, di dirigere l’attenzione verso ciò che considera importante e
centrale per capire se stesso, ma nella posizione di chi è guidato nel percorso
di conoscenza da una parte di se stesso, parte intima e profonda, fino ad
allora trattata e pensata più come oggetto di indagine che come soggetto di
discorso. Compiere questa inversione è fondamentale e apre uno scenario
totalmente nuovo. Chi arriva in analisi è convinto di poter definire già il
campo di ricerca, i punti cruciali, le questioni che lo riguardano.
L’aspettativa è di indagare più attentamente e in profondità, preferibilmente
nel passato remoto, per arrivare a mettere in luce i fattori condizionanti e le
presunte cause, fatte risalire a responsabilità di altri preferibilmente, del
proprio malessere. L’idea, se presente, circa l’inconscio è che possa
attraverso l'analisi rendere finalmente riconoscibili episodi critici e verità
della propria biografia nascoste, rimosse e tenute dentro questa sorta di
contenitore, di strato profondo della psiche, perché troppo dolorose o
inammissibili alla coscienza, che dove finalmente emerse e riportate alla
consapevolezza segnerebbero una svolta, la liberazione da blocchi e da trappole
interiori limitanti e distorcenti il proprio sviluppo e benessere. Sottesa
all'impiego di questa teorizzazione, al favore per questa rappresentazione
dell'inconscio, la posizione vittimistica, la tesi, del tutto conservativa e
deresponsabilizzante verso se stessi che dice: se non ci fossero state
condizioni avverse e sfavorevoli, se non avessi subito questo o quell'altro per
traumi o accidenti, per negligenze o per negativa opera e influenza d'altri e
d'altro, non mi sarebbe toccato di patire sino a oggi disagi, di rimanere
invischiato nel malessere e tutto di me e del mio procedere (che non è in
discussione) sarebbe filato liscio e con garanzie per il mio benessere e la mia
libertà di espressione. L’inconscio, chiamato dentro una simile tesi a dare sostegno
coerente a questa posizione vittimistica verso se stessi, in realtà è ben altro
e di ben altro è portatore e capace. Nel percorso analitico di cui parlo lo si
può nitidamente vedere, toccare con mano e apprezzare. L’inconscio è prima di
tutto laboratorio e genesi di pensiero, non spiantato e aggregato al pensato
comune, ma riflessivo e capace di vedere nell’esperienza i significati veri, il
senso. L’inconscio è la risorsa interiore di cui si dispone e del cui valore e
potenziale si è in genere ignari, in grado di indirizzare in modo del
tutto nuovo e inatteso la conoscenza di se stessi, portandola fuori dal
labirinto dei soliti convincimenti e ragionamenti, per condurla sul terreno
fecondo della scoperta del vero. Se gli si dà spazio e parola l’inconscio sa
dire e orientare la ricerca con sapienza incomparabile. Lo fa magistralmente
con i sogni. Esercita inoltre la sua funzione guida regolando tutto il corso
del sentire, della vicenda interiore. Nulla di ciò che viviamo interiormente è
casuale, è accidentale, dettato e condizionato, in una meccanica relazione di
causa e effetto, da eventi e da stimoli esterni e basta. In ciò che proviamo,
in ciò che prende forma nel sentire c’è sempre un intento e una capacità di
segnalare, di dire. Se si porta attento sguardo sul sentire, si può
vedere ciò che il vissuto, lo stato d’animo, l’emozione scrive e descrive,
delinea, sa portare a riconoscere, toccandolo con mano, sensibilmente. Fare
intima esperienza, sentire è il modo più efficace di conoscere, se una cosa la si
vive la si può comprendere. A far la differenza quando, con l'intento di
capirsi, ci si mette in rapporto col sentire è la capacità di osservazione, di
tenere a freno il commento e la spiegazione, per arrivare viceversa e
gradualmente, proprio con la guida del sentire, alla scoperta, alla
comprensione. L’inconscio modula il sentire, lo plasma, lo indirizza offrendo
così basi e terreno vivo e efficace di scoperta di verità, compensando le
insufficienze, spesso le distorsioni del pensiero e dello sguardo cosciente,
non raramente parziale e astratto, incline alla ripetizione e al preconcetto,
catturato dalla superficie degli accadimenti, in difficoltà nella messa a fuoco
dei significati più intimi e profondi dell'esperienza. L'inconscio, spingendo
avanti le emozioni, il sentire, che se ascoltato sa rendere visibili le
implicazioni più vere dell'esperienza, sa aprire nuove trame e sviluppi di
conoscenza, corregge i fraintendimenti, spesso di comodo, funzionali a dare a
se stessi rassicurazione e conferma nelle proprie convinzioni e tesi, messi in
campo dalla parte razionale, che pure si illude di essere molto affidabile, in
contrapposizione con la presunta cecità e irrazionalità delle emozioni, nel
chiarire le cose, nel garantire obiettività. L'inconscio non solo interviene
nel sentire, nella regolazione di tutto il succedersi degli eventi interiori,
delle emozioni, degli stati d'animo, delle pulsioni, per dare base e terreno
sicuro di ricerca e di scoperta del vero, ma offre per la conoscenza di se
stessi un contributo eccellente nei sogni, dove esalta la sua funzione guida.
Lì mostra capacità mirabile di condurre a vedere dentro se stessi, lì trova
espressione tutta la sua autonomia, maturità e profondità di sguardo e di
pensiero. L’inconscio non è appiattito sulle cose, sulla visione preconcetta, è
autonomo da vincoli, dalle aspettative della parte razionale, non è
intrappolato dentro i circuiti di pensiero soliti e automatici. L’inconscio ha
saputo e sa compiere lo stacco riflessivo, vedere ciò che è coinvolto nella
nostra esperienza e nel nostro procedere, i modi, i perché, ciò che ci spinge,
anche in ciò che tentiamo di eclissare o camuffare. L’inconscio non è
interessato a risolvere, a far procedere le cose senza intoppi, a far venir a
capo in fretta di eventuali difficoltà pur di procurarsi beneficio immediato,
vuole la visione nitida di quel che c’è in gioco, il senso, vuole che non ci
nascondiamo a noi stessi. C’è nell’inconscio una tempra e una forza di
iniziativa che possono davvero sorprendere chi non lo conosce, chi non si
conosce in questa parte profonda di se stesso. Posso dire che l’inconscio, che
da tanti anni ascolto in svariate vicende interiori e percorsi analitici,
mostra una sorta di proprietà e di tratto che ricorre, pur nella diversità dei cammini,
sempre unici da individuo a individuo. L’inconscio non accetta la fatalità del
diventare passivi, dell’andar dietro, del modellarsi secondo altro,
dell’insistere nella simbiosi con l’esterno come unica idea di vita. Si parla
infatti spesso di realtà, di senso di realtà, riconoscendo come tale solo ciò
che è esterno, concreto, già concepito, in qualche modo già sistemato,
ordinato, fruibile, percorribile e dato. Reale è però qualsiasi movimento di
presa di coscienza, di nuova conoscenza che partorisca qualcosa di nuovo, che
faccia vivere qualcosa di inatteso. Siamo realtà noi stessi, se non ci
mortifichiamo nella ripetizione d’altro, siamo realtà in ciò che possiamo
generare nella presa di coscienza, far vivere dentro di noi e che da lì
possiamo progettare, sviluppare. L’inconscio, che è la nostra stessa matrice,
ciò che siamo e che abbiamo potenziale di comprendere, di tradurre, di
percorrere, di far vivere, di mettere al mondo, non compie la rinuncia, non
accetta un’esistenza che non tenga conto di questa capacità di pensiero
originale e di questa tensione creativa propria, un'esistenza che si riduca a
fare il verso ad altro già detto, concepito e organizzato, a venerarlo come la
Realtà cui aderire e su cui plasmarsi. Tanto malessere interiore che in varie
forme scuote, disturba il quieto vivere di non pochi, nasce da questa tensione
profonda a non rinunciare mai a guardare dentro se stessi, a non dare nulla per
ovvio, a non rinunciare a riconoscersi come soggetti, come artefici della
propria vita. L’inconscio non dà comunque ricette pronte e ingenue di
cambiamento. L’inconscio non induce a compiere salti, non asseconda affatto la
tendenza ad aggirare la difficoltà, l'interrogativo, a semplificare o a
omettere. Il processo conoscitivo deve essere completo, maturo, responsabile,
davvero capace di aprire gli occhi, di non ignorare, di trovare risposte valide
e complete, per non fare illusori passi avanti o semplici fughe. L’inconscio
non promuove cambiamenti fragili e contradditori, ambigui o insostenibili,
nulli nella sostanza. L’inconscio è maestro e, sogno dopo sogno, svolge
un’analisi completa, guida in un percorso conoscitivo originalissimo e nello
stesso tempo di straordinaria lucidità, veridicità e profondità. Nulla, come
l’inconscio nei sogni, sa essere altrettanto libero da ripetitività e da
preconcetto, nulla sa coniugare in pari modo acume di sguardo, libertà e forza.
L’inconscio esalta la vita, perchè esalta il pensiero, che sa cercare e
riconoscere l'intimo significato vero, senza posa. L’inconscio è infaticabile e
non cessa mai di dare spinta alla conoscenza, alla conoscenza che fa ritrovare
il senso, che avvicina a se stessi, che rende capaci di incontro col respiro e
con la complessità ricca della vita. Non ho mai incontrato tanta indomabile voglia
di aprire e di conoscere come nell’inconscio. L’inconscio non fa sconti,
non culla illusioni e autoinganni, la verità è sempre al centro delle sue cure,
la verifica attenta passo dopo passo, combinata a eccezionale lungimiranza. Chi
si affida al proprio inconscio ha la più affidabile delle guide e il miglior
maestro per conoscersi, per conoscere, per arricchirsi. Una fonte interna,
propria e straordinaria. Ignorarlo, vuoi per ignoranza del suo potenziale, vuoi
per diffidenza, senza avere l’occasione di conoscerlo come può accadere in una
buona esperienza analitica, è davvero una occasione persa, l’occasione di
arricchirsi di sé. Nel percorso analitico tutto, proprio tutto si scopre e si
genera a partire dalla proposta e dall’iniziativa della parte profonda di se
stessi. Qual'è il compito dell'analista? L’analista svolge bene la sua funzione
quando, consapevole di cosa può offrire all'altro aprendolo al rapporto col suo
profondo, lo sa accompagnare nella ricerca, incoraggiando e favorendo in lui il
formarsi e la crescita della capacità di ascolto e di dialogo con la sua
interiorità, mettendo al centro sempre la proposta che viene dall’inconscio,
cui prima di tutto spetta parola e guida. E’ una funzione delicata quella svolta dall’analista, vista
l’importanza della posta in gioco, che è far sì che l’altro si congiunga alla
sua interiorità e ne rispetti la proposta, ne comprenda e ne traduca fedelmente
gli intenti, senza favorire invece costruzioni di pensiero e travisamenti utili
solo a riportare tutto nel giro abituale dei convincimenti soliti e opachi al
vero, nella presa della pratica dipendente, della adesione e rincorsa cioè di
ciò che è dato comunemente per scontato, nell’imbuto del dare prova in cambio
del sostegno esterno e del premio di considerazione e approvazione degli altri.
Il lavoro dell’analista, se ben svolto nel rispetto e a garanzia dell’altro,
non si avvale del ricorso a spiegazioni e a interpretazioni già pronte, facili
da usare, ma improprie e fuorvianti. Per l'analista c’è un lavoro artigianale
da fare, che certamente richiede non poco impegno di tempo e di energie e che
nello stesso tempo ripaga di scoperte uniche e feconde, un lavoro consono a una
ricerca che rispetti e rispecchi l’originale della proposta interiore di
ognuno, che sappia accompagnare l’altro a stabilire un rapporto sempre più
aperto e intimo, un ascolto e un dialogo sempre più sintono con la sua parte
profonda. L’inconscio traccia, guida con mano ferma e capace, il percorso di
scoperta e di trasformazione, che conduce l’individuo a diventare se stesso,
non una immagine da mostrare, non una copia d’altro. L’analista ha il compito,
passo dopo passo, di dare all’altro spunti di ricerca consoni a ciò che il suo
profondo intende proporgli sia nei sogni che nei vissuti, coinvolgendo l’altro
nella ricerca, facendo sì che via via se ne renda sempre più partecipe attivo e
capace. Coltivare con cura con la guida del proprio inconscio e
portare a maturazione, lungo un percorso unico, la scoperta della verità di se
stesso, diverrà per l’individuo il fondamento della sua personale
autonomia, della capacità e della passione di mettere al mondo e di far vivere
il proprio, originale e autentico.