giovedì 26 giugno 2014

Le ragioni del malessere

Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore, questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o indotto da circostanze e da condizionamenti  sfavorevoli, che sia la manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo, risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto. Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale, chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena, senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia, depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è  traduzione meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè, nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a se stessi e al proprio mondo interiore,  risolversi a cercare rapporto, ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica, all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta l’esperienza interiore disagevole,  per rendersi conto (sempre meglio via via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto, che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri, come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare, senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento, che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali". Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo, come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè, deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate, non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi.  Procedere in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere. Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a  far vedere dov’è la ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito, con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo sentire oggi dice e fa vedere di se stessi.  C'è da intendere ciò che la propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene,  prima di tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni, di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva. Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento della propria salvezza, del proprio vero benessere.

9 commenti:

Unknown ha detto...

Non può esserci soluzione ovvia a ciò che da troppo tempo pervade nella mente e ostacola da anni la normale vita di un individuo. Scavarsi dentro è un azione impossibile! Quindi soffocare le sensazioni con sedativi vari sembra essere l'unica soluzione. Il malessere ci divora da dentro e purtroppo siamo tutti più bravi a gestire le cose esterne, anche se dovrebbe essere il contrario.
Vorrei ci fosse una via di scampo al malessere ma purtroppo non c'è, può essere momentanea o fittizia, ma MAI effettiva!

PIERANGELO LOPOPOLO ha detto...

La ringrazio del contributo. L’azione dello ”scavarsi dentro”, che lei definisce impossibile, se si risolve nell’iniziativa unilaterale della parte conscia ragionante, cui solitamente si è totalmente affidati, che cerca di sviscerare questioni e di arrivare a chiarimenti, facilmente, anzi inesorabilmente è destinata a fallire. Il malessere e tutta quanta l’esperienza interiore sofferta è un linguaggio e un tramite per capire, nulla interiormente è casuale o agitato in modo disordinato e confuso, nulla del proprio sentire è scomposta reazione o segno di malfunzionamento. In genere si pensa, anzi lo si dà per scontato, che ogni esperienza e stato interiore che non produca immediato agio, che non sia coerente con le proprie aspettative e regole di normalità, sia l’espressione di un cattivo funzionamento, al più lo si considera sintomo segno di una anomalia. Si pensa a cause che la abbiano provocata e si perde di vista il sentire, ciò che l’esperienza interiore pur disagevole e penosa sta sotto il proprio naso comunicando, rendendo tangibile. Non si è capaci di avvicinare ciò che si sente, si è abituati, come lei stesso dice, a gestire cose esterne, ma non a ascoltare, a riflettere, a prendere visione con sguardo riflessivo, sguardo che non mette già avanti osservazioni proprie e commenti, spiegazioni o deduzioni, ma che cerca di vedere se stessi, come nella propria immagine riflessa dallo specchio, in ciò che si sta nel vivo provando. Il nostro sentire è esperienza viva, è luogo e mezzo di conoscenza, similmente a come, toccando, impariamo a riconoscere, a come, sentendo ruvido o liscio, caldo o freddo, distinguiamo le caratteristiche di un oggetto. Se rimaniamo affidati alla sola iniziativa del pensare ragionato non possiamo che fallire nell’intento di entrare in rapporto col malessere interiore, reso solo pretesto o oggetto di indagine, problema da spiegare e risolvere. Il malessere è voce, è espressione di iniziativa della nostra componente interiore e profonda, che certamente crea scompiglio, ma non in modo scriteriato e tanto meno perché fuori di senno. Da soli, fondadosi su risorse solite di ragionamento e volontà, è difficile riuscire a instaurare rapporto col profondo, che muove e tiene viva la crisi, insistita e perdurante finchè non ottiene risposta adeguata. Lasciandolo parlare, come fa nel sentire, come fa nei sogni, imparando a entrare in sintonia, in ascolto del profondo è possibile trovare e percorrere la strada della conoscenza approfondita di se stessi e del cambiamento nel verso di diventare coerenti con se stessi e capaci di dare alla propria vita le proprie risposte. Il malessere sta sollevando questioni non da poco, trattiene e vincola per fare una verifica necessaria, per innescare un cambiamento utile, per far sì che non si proceda come capita e casomai su basi e in modi e con destinazioni che non tengono conto di se stessi, di ciò che si potrebbe e vorrebbe se si conoscesse, se ci si conoscesse davvero. Farsi aiutare a costruire rapporto con se stessi, a sviluppare capacità di incontro e di ascolto del proprio sentire, a comprendere il linguaggio interiore, a comprendere i sogni, vera fucina di pensiero vivo, di capacità di guardare con trasparenza, senza il disturbo dei ragionamenti che importano solo idee già fatte, dentro se stessi e a leggere il vivo della propria esperienza, imparare a fare questo è possibile con l’aiuto giusto. Grazie ancora per la testimonianza e il contributo che lei Matteo ha voluto lasciare.

Unknown ha detto...

Eccellente!!! Grazie di cuore... insomma l'inconscio come un bambino che dice sempre la verità. A noi la scelta se dargli retta o ignorarlo...una visione del genere può cambiare la vita! Ancora grazie.

Roberta Barone ha detto...

E cercando con la voce "ritorno del malessere interiore" mi sono "imbattuta" su questa interessante lettura dagli argomenti non poco familiari e veri...
Ma le pongo una domanda: quando dopo tempo di domande a cui finalmente si trovano delle risposte e l aiuto di una figura professionale finalmente si comprendono le cause che portano a tale malessere ma si scopre che la realtà che si vive non è possibile cambiarla, quali sono allora le soluzioni per trovare quanto meno un po di sana rassegnazione che dona la tanto attesa pace sotterrando definitavamente l inquietudine?

PIERANGELO LOPOPOLO ha detto...

Gentile Roberta, grazie dell’intervento e delle domande poste, cui cercherò di rispondere. Cambiare la realtà? La realtà propria, che non è poca cosa, che è decisiva del cammino che si compie, del modo di procedere, è possibile cambiarla, anzi la crisi interiore si è aperta e insiste proprio con questo fine. E’ il cambiamento, non certo ottenibile con uno schiocco di dita, ma con un lavoro paziente e intenso come quello dell’analisi, dallo stato di dipendenza da risposte e da modi già pronti e concepiti di intendere la vita e la cosiddetta normalità, a creazione e sviluppo di pensiero proprio e fondato. Da modo di essere nel rapporto con se stessi, segnato da lontananza e da disunione dal proprio sentire e dal proprio intimo e profondo, è possibile, attraverso il percorso analitico, arrivare a trovare incontro, sintonia, accordo di sguardo con tutto il proprio essere. L’analisi, il lavoro su se stessi che muove da malessere interiore, non cerca le cause, ma il senso dell‘esperienza interiore ardua e sofferta, l’intimo dire e aprire di significati e di verità su se stessi, di cui è portatrice e voce. L’analisi cerca l’intento, lo scopo che la crisi interiore vuole promuovere. Non ci sono cause da indagare per liberarsi del malessere, ma c’è da comprendere il senso di quel malessere e il suo scopo, c’è da ascoltarne la voce, da farlo dire per comprendere di se stessi e per costruire ciò che ancora non c’è. Si vive spesso senza collegamento con se stessi, con la propria interiorità, col proprio sentire, considerati realtà minori o accessorie, in fondo marginali e subalterne. Se il proprio sentire non si accorda con la visione e con i propositi ragionati è subito messo sotto accusa, ritenuto debole, zoppicante, inadeguato, segno di distorto modo o insufficiente di rapportarsi alla vita, alle situazioni. Subito si pensa che ci sia l’evidenza di una insufficienza, si pensa a insicurezza o a eccesso di timore, da sanare, da correggere o da spiegare appunto con la ricerca di qualche causa presa di qua o di là, preferibilmente nella storia familiare, nel passato. Porsi in rapporto col proprio malessere cercandogli le cause è come tapparsi occhi e orecchie e andare, con insensibilità e ottusa insistenza, altrove. L’interiorità viva sta dicendo, col sentire sta parlando e cercando di comunicare, di dire, di trasmettere, di rendere riconoscibile qualcosa di fondamentale e anziché imparare a sintonizzarsi con lei, a ascoltarla, si va altrove con la testa a cercarle dei perché, delle cause. C’è il preconcetto che se si soffre si è vittime di un guasto, di una pena indebita, che da qualche parte avrà il suo perché e il suo responsabile.
( continua )

PIERANGELO LOPOPOLO ha detto...

Si pensa che ci sia sacrosanto diritto di star bene, rimanendo tali e quali, senza intendere che c’è un problema di fondo, di frattura, di lontananza da stessi, di modo di vivere che si è formato più sull’aderenza a altro, esterno e già concepito, che tira e plasma, che di aderenza, scambio, unità e dialogo con se stessi, con la propria interiorità. Lo scopo di un’analisi ben fatta non è di indagare sulle cause del malessere interiore, facendo lunghi giri nel passato per trovare qualche, in apparenza plausibile, motivo di guasto o qualche cattiva influenza e condizionamento, evento traumatico o altro. Lo scopo dell’analisi è di ricomporre l’unità dell’essere, è di far scoprire la vitalità e affidabilità della componente interiore, che nel sentire e nei sogni è propositiva, affidabile guida capace di restituire, se si impara a ascoltarla e a condividerne i processi di pensiero, la propria visione di sé e della vita, le scoperte necessarie per capire prima di tutto il proprio attuale e abituale modo di procedere, senza veli, e per trasformarlo in modo consapevole e coerente con se stessi, valido per realizzare i propri scopi, che nel dialogo analitico col profondo via via diventano chiari e consapevoli. Si ignora spesso che la crisi non viene a dire che qualcosa è andato storto nel garantire quieto e normale sviluppo di cui si avrebbe già pieno diritto, ma che tutto invece è ancora da scoprire e da rifondare su se stessi, su unità con se stessi, portando alla luce e sviluppando visione e pensiero propri, che ancora non ci sono, che non si sono mai formati e cresciuti. La crisi si apre per far nascere se stessi, per far nascere ciò che ancora non c’è e di cui non si è avuta ancora nessuna cura. Non è un caso che dopo aver scovato presunte cause nella speranza di liquidare il malessere, questo torni con vigore a riproporsi, proprio perché la proposta, l’intento racchiuso in esso non è stato recepito. Bisogna imparare a comunicare con la propria interiorità per fare tesoro di ciò che vuole e che sa offrire, del cambiamento di realtà personale di cui è capace e fautrice.

Unknown ha detto...
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Unknown ha detto...

Salve dottor pierangelo,vorrei raccontarle la mia storia,circa 15 anni fa mio padre si è ammalato,ed io ho iniziato a stare male,il mio cervello è entrato in una sorta di protezione forse per non soffrire,lei può dirmi di più?grazie per ora

Unknown ha detto...

Il dolore è un'interessante componente esistenziale di cui io non saprei come privarmi. La felicità ed il benessere proposti come raggiungibili in quanto diritto fondamentale delle persone inducono a maggior confusione e sofferenza. Il nostro contesto socio culturale fatto di tante parole talvolta prive di espressivitá profonda chiude le porte ad un'autentica riflessione. Io starei meglio semplicemente se non fossi costretta ora a comunicare con l'immaginabile perché le persone in carne ed ossa non hanno tempo da perdere, mentre io dedico tutta la mia vita alla riflessione..... eppur soffrendo nella solitudine. Ho scelto di soffrire?....È probabile, ma di certo non voglio perdere il contatto con la mia caverna, con il mio infinitamente profondo vuoto che mi divora ed al contempo mi fa sentir viva.