Vivere appieno un'esperienza interiore, un'emozione, uno stato
d'animo, un vissuto è certamente la base e la premessa per
intendere, per capire, rendendoti partecipe, lasciandoti segnare da
ciò che senti, condividendolo con la tua interiorità. Il tuo sentire è la base del tuo capire,
sentendo fai intima esperienza, tocchi con mano. Se oltre a
concederti, a farti tutt'uno e a farti segnare dal tuo sentire,
impari a prendere distanza per vedere cosa stai provando, cosa sta
prendendo forma nel tuo sentire, cosa stai intimamente sperimentando
( tutto questo lo possiamo chiamare riflessione), ecco che crei una
situazione del tutto nuova di rapporto con te, non di fuga, non di
pregiudizio, non di scissione tra ciò che pensi e vuoi e ciò che
senti, ma viceversa di unità dialogica con te stesso. Il tuo
sentire, comprensivo di ciò che chiami ansia ( o d'altro che ti è interiormente disagevole) è parte di te, è modo
vivo della tua interiorità di calarti in qualcosa, per farti vedere,
intendere, capire. Se hai un pregiudizio negativo sul tuo sentire,
solo perchè è disagevole e in partenza te ne vuoi sbarazzare, considerandolo inutile, immotivato, dannoso, patologico, certamente chiudi
a qualsiasi possibilità di dialogo, ti privi di un apporto vitale,
che, se sapessi ascoltare e comprendere, potrebbe rivelarsi tutt'altro
che inopportuno, inutile o deleterio. Aggiungo che definire, ad esempio, ansia
un'esperienza interiore è spesso un modo sbrigativo di liquidarla.
Vivere viceversa quel singolo momento e cercare di vedere con
attenzione cosa senti, dandogli il volto che ha compiutamente, con
parole che lo descrivono fedelmente, significa valorizzare
quell'esperienza, non fare di ogni erba un fascio, rendendola uguale
ad altre, banalizzandola. Spesso si è prigionieri dell'idea che
l'esperienza interiore disagevole vada prima di tutto combattuta,
senza tanti indugi con farmaci o che vada evitata, sminuita, con
atteggiamenti di fuga, sostituendola con altro, svagandosi. Tentativi destinati a fallire, l'interiorità, per convinto e insopprimibile senso di necessità, non accetterà di essere zittita o scansata, tornerà a smuovere, a "disturbare". Se il tuo sentire vuole
dirti e calarti in qualcosa, testimoniarti, darti la percezione di
qualcosa da intendere assolutamente, agirgli contro è come voler
soffocare una consapevolezza intima, è come boicottare un modo di
volerti portare con i piedi per terra, nella consapevolezza di
qualcosa che non va oscurato. Lo star bene ad ogni costo, inteso come
liberazione dal sentire attuale e vivo, rischia di tradursi nel non
voler aprire gli occhi, nel bloccare tutto, nel voler solo una quiete
fine a se stessa, che nel tempo non ti darebbe che impotenza e
incapacità di governo della tua vita, uno svuoto di idee e di
consapevolezza, una desertificazione dell'animo capace solo di farti inseguire gli altri, di farti concepire la vita unicamente come uniformità al
solito e comune, come "normalità". C'è chi ammette che il sentire
sofferto possa avere un significato e però lo intende come la
meccanica conseguenza di una causa, pensa che sia il segno, la conseguenza di
qualcosa, esterno a sè, che sta agendo o che ha agito sfavorevolmente contro se stesso. Si parla
spesso e volentieri di stress, del possibile influsso negativo di cause
attuali o, preferibilmente, remote. Anche qui non si cerca quell'incontro aperto, rispettoso e
dialogico col sentire di cui dicevo all'inizio. Si cercano
spiegazioni, si fanno lunghi giri per cercare da qualche parte nella
propria storia una plausibile causa e, una volta scovata, si confeziona il teorema che quello è il motivo dell'ansia, della
sofferenza. Contento il terapeuta, contento il paziente, ma il
sentire eccolo là presto, dopo momentaneo sollievo, intatto e
inascoltato, ancora corpo estraneo con cui non si riesce a entrare in
rapporto aperto, utile, fecondo, ancora incapaci di capirsi dentro e
attraverso il proprio sentire, purtroppo ancora allontanato,
dissociato da sè. Si dice allora che si è imparato a capire il
perchè dell'ansia, a gestirla meglio, ma la fragilità del rapporto
con se stessi e la paura di sè rimangono, l'estraneità rimane,
l'incomunicabilità con se stessi, col proprio sentire, tale e quale
a prima. Il sentire, cui si è cercato di dare una causa, senza
ascoltarlo, voleva e continua a premere e a chiedere ascolto per
proporre, per far capire di se stessi cose essenziali, per far fare passi avanti utili e necessari.
Dunque, se vuoi davvero capirti, è fondamentale che impari ad
aprirti al tuo sentire, ad ascoltarlo per davvero, a lasciarlo dire,
a raccoglierne l'intima proposta, cosa ben diversa dal mettergli
sopra spiegazioni, trattandolo come oggetto temibile da disarmare o
da tenere a bada. Potresti imparare a costruire unità piena e
dialogica con te stesso. Potresti essere aiutato in questo.
lunedì 2 giugno 2014
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