E' spesso oggetto di preoccupazione, è vista come un deficit cui trovare possibilmente pronto rimedio. Si pensa che sia non solo augurabile ma anche normale non averne. L'insicurezza fa invocare subito il possesso del suo opposto, di una determinazione, di una fiducia in se stessi salda e prima ancora di una capacità di scelta senza tanti tentennamenti o difficoltà di capire e definire l'obiettivo da perseguire, la cosa da fare. Si vorrebbe essere operativi nel modo più efficace, si vorrebbe essere assistiti e sostenuti da dentro da ben altro che da ciò che pare solo un equipaggiamento interiore scarso e scadente. Si vogliono dettare le regole al proprio intimo, facendo appello alla presunta normalità, portando a sè l'esempio degli altri che parrebbero ben più sicuri. Ci si strugge, ci si spazientisce, ci si lagna per la malasorte di essere infelicemente combinati. Si recrimina, si vanno a cercare le cause e le responsabilità di chi non ha favorito, incoraggiato, alimentato la fiducia in se stessi, di chi anzi l'ha osteggiata, minata, compromessa, di chi non ha dato esempio di approccio fiducioso e saldo all'esperienza e ha messo in campo troppi timori di sbagliare, di chi viceversa ha imposto un modello inarrivabile o esclusivo, che al confronto non si poteva che sentirsi e vedersi inadeguati, incapaci, perdenti. Tutto si cerca di spiegare pur di contrastare seccamente quel proprio modo d'essere che pare solo una dotazione sbagliata e fallimentare. L'educazione ricevuta è il principale imputato. Sempre a vedersene oggetto di questa benedetta o maledetta educazione e mai soggetto possibile, in grado di scoprire da sè cosa significa questo e quello, cosa valgono davvero e perchè, valendosi del proprio sguardo, trovando da sè risposte, fornendo a se stessi criteri di valutazione e guide, nutrendo da sè la propria crescita, la propria capacità di condursi. Entriamo così nel merito dell'insicurezza, segnale onesto e attendibile di ciò che abbiamo portato autonomamente a maturazione, senza farcelo dire e dare. E' il termometro della autonomia sviluppata, coltivata, fatta crescere. Non solo, ma così stupida e da prendere a calci l'insicurezza non è, se segnala che prima dell'agire c'è il pensare, il veder chiaro, il tener conto della necessità di orientarsi, di sintonizzarsi con le incognite presenti, perchè non c'è mai nell'esperienza nulla di scontato se non nella testa che si intestardisce della presunzione di sapere già. Vanno cercate ogni volta le basi di intesa con se stessi, va rispettata e onorata la necessità di comprendere le ragioni di ogni scelta, le implicazioni presenti, i perchè di ciò che si cerca e che si vorrebbe perseguire. La sicurezza come dispositivo e modo di funzionare a pronto uso, a prescindere e senza tener conto delle necessità che ho detto, è una pretesa discutibile, da fare oggetto di attenta e proficua riflessione. Oggi le tecniche per allenare e irrobustire la forza di determinazione, la fiducia in se stessi promettendo di fare il proprio bene e di procurare il proprio vantaggio di riuscita, tecniche del rendimento e della prestazione, hanno sempre più largo mercato. Discendono da una mentalità e da una visione dell'uomo appiattito e risolto nella meccanica della prestazione, ridotti il suo desiderio e passione alla brama di riuscita, dove la riuscita segue la traiettoria del successo. L'insicurezza dunque è un valido punto di partenza per cercare da sè ciò che si vuole favorire, se la corsa gregaria a inseguire la presunta normalità e il beneficio della riuscita comunemente celebrata come tale o se la propria ricerca di ciò che vale in stretto legame e accordo con se stessi, con la propria interiorità. E' la propria interiorità, è il proprio profondo che onestamente e saggiamente mette in campo l'insicurezza per segnalare il punto critico e nodale su cui riflettere e lavorare, per non perdere la testa, per riconsegnarsi il compito di capire ciò che va garantito e cercato per tutelare e favorire la propria crescita e realizzazione vera. La sicurezza può essere frutto di attento lavoro su stessi. Se non si coltiva il proprio terreno non c'è sicurezza che abbia fondamento valido e senso, radice viva e scopo corrispondente a se stessi, a ciò di cui si è portatori singolarmente, che profondamente si ama, c'è solo emulazione e ricerca affannosa quanto ingenua della buona prova, della bella figura.
martedì 26 dicembre 2023
domenica 24 dicembre 2023
Le ombre del passato
Si dice spesso che le ombre del passato
oscurano il presente, che lo rendono difficile, compromettendo il proprio stato
interiore con disagi e pene non sopite. Il proprio passato può aver lasciato
sospese molte cose in realtà. Anche se il sentire di oggi non è, come si ama
credere e far credere, eco e conseguenza di accidenti passati, di esperienze
dolorose, responsabili di continuare a provocare risposte interiori anomale e
una scia di malessere nel presente, è vero che ciò che non si è portato a consapevolezza
ha lasciato intatti nodi e questioni, che oggi si ripropongono. Non c'è da
vittimizzarsi, da considerarsi dentro il proprio disagio come parte lesa di
torti, di influenze negative, di inadempienze altrui, di traumi patiti. C'è
viceversa da considerare quanto per proprie scelte, per propri modi di
procedere, che hanno privilegiato la rincorsa e l'adeguamento a modelli e a
modalità comuni e prevalenti, non accompagnati o non seguiti da impegno
riflessivo, da ricerca di senso e di verità senza veli, hanno contribuito a
rendere sterile e infruttuosa la propria esperienza, non resa occasione di
presa di coscienza, ma manipolata con spiegazioni e lavorio, più o meno
tanto, del ragionamento, affinché non desse incomodo, l'incomodo della verità,
rimasta in ombra. Ecco le ombre che non danno quiete e agio, che chiedono di
essere finalmente rischiarate, che mettono in conto oggi al proprio presente un
lavoro da fare finalmente per non essere ignari di se stessi e per non
procedere oltre in uno stato di inconsapevolezza, di inautenticità per
omogeneità e privilegio dell'accordo con gli altri e con l'esterno rispetto
alla vicinanza e all'intesa col proprio intimo e profondo. Nulla del passato
pesa di più del mancato lavoro su se stessi, della fuga dall'intimo, dal
sentire che da sempre dice, nulla pesa di più della mancata unità dialogica con
la propria interiorità, che da sempre non tace, che interroga, che coinvolge
dando nel vivo le basi per incontrare il vero di se stessi, nulla pesa di più
del costruire pensieri e idee che, confezionate a mezz'aria e nell'orbita delle
attribuzioni di significato prese in prestito e preconcette, valgono solo a
tappare le falle, a confermare quanto si ama credere di se stessi e a
rinsaldare la continuità di un procedere senza verifiche attente e
approfondite, sincere e senza trucchi. Pensare che il disagio che si fa sentire
nel presente sia la conseguenza di qualche torto o pecca o infortunio patito e
messo in conto a altro e a altri, genitori e simili, è una grossa ingenuità, è
soprattutto una risposta di comodo e confermativa della volontà di proseguire
senza aprire riflessione su di sè, è volontà di essere lasciati in pace, è
richiesta impudica di essere risarciti piuttosto che ben più degna, onesta e
matura ammissione di essere in debito con se stessi. Debito di ricerca di
verità e di lavoro serio su se stessi per una crescita vera e non d'immagine e
fasulla. La proposta del sentire in qualsiasi forma si presenti non è mai
automatica conseguenza di questo o di quell’altro, è sempre richiamo
intelligente, definisce sempre il terreno vivo su cui ritrovarsi, su cui
interrogarsi, su cui lavorare momento dopo momento. Il sentire di oggi, anche
nella sua forma sofferta e disagevole, non è un’anomalia che trae origine da
qualche distorsione o guasto che si è prodotto nel passato, è viceversa spunto
e richiamo che ha forza e capacità, se ascoltato e ben inteso, di promuovere
nel presente una presa di coscienza decisiva, un punto di partenza per capire
se stessi e il proprio stato. Le tesi che fanno del sentire, quando difficile e
sofferto, un’alterazione, un guasto risultato e conseguenza di una causa
passata, non riconoscono il carattere, la natura propositiva, carica di sottile
e matura intelligenza, dell’esperienza interiore di cui il profondo è
ispiratore e regolatore. Si continua a concentrare tutte le attese e le pretese
di capacità e di affidabilità sulla parte conscia, considerando il resto una
appendice meno evoluta, registro passivo di esperienze vissute, luogo di
scarico di tensioni e di patimenti, motore di reazioni elementari che non
sottostanno alle regole del discernimento, per presunta mancanza da parte della
componente interiore e profonda dei requisiti di intelligenza e di affidabilità
pregiudizialmente e assai generosamente riservati e riconosciuti alla parte
conscia. L’esperienza analitica, quando ben fatta, consente di scoprire
quanto valga davvero, per prova provata e non per pregiudizio, l’iniziativa e
la proposta del profondo. L’inconscio dà prova di essere la salvezza dal
rischio dell’inconsapevolezza, della traduzione in omologazione della propria
vita. L’inconscio si rivela essere promotore e leva insostituibile del recupero
a sé delle proprie vere ragioni d’esistenza, della capacità di pensiero
originalmente proprio, che non fa il verso a nulla di appreso e studiato, ma
che scaturisce da esercizio del proprio sguardo ben calato nell’esperienza, ben
orientato dai propri vissuti. Nulla interiormente accade senza un perché di
ricerca e uno scopo di crescita personale. Non ci sono ombre del passato che
non siano punti di ricerca toccati nel proprio cammino d’esperienza e non
approfonditi, che comunque nell’oggi trovano occasione di essere recuperati in
un movimento di ricerca di verità, che è la ragione di vita del profondo, che
in questo movimento vuole contagiare e coinvolgere l’intero essere. La
sofferenza interiore ha questo scopo, vuole e può essere il punto di incontro
di ognuno con la profondità del proprio essere e da lì, in stretto legame col
profondo, l’inizio di un percorso di rinascita, di rinascita dal profondo di se
stessi.
mercoledì 13 dicembre 2023
Lo scudo
Di quante cose ci si fa scudo per difendere ciò che di se stessi non si vuole mettere in discussione! La critica che proviene dall'esterno può lasciare il tempo che trova. Se infatti a volte, direi raramente, è disinteressata e ben mirata, capace di toccare in modo appropriato punti nodali, di non essere giudicante, ma di stimolo alla riflessione, spesso invece non è libera da interessi di parte e di comodo di chi la pronuncia, conforme e di conferma al suo modo di pensare, perciò inattendibile come valenza critica, di fatto del tutto arbitraria. Altra cosa è la critica che proviene dall'interno, messa in atto dal proprio profondo. Purtroppo, visto il poco credito dato a tutto ciò che si sperimenta nell'intimo, nel sentire, nelle emozioni, negli stati d'animo, nelle spinte che si provano, considerati se non totalmente inaffidabili perlomeno non attendibili come intelligenza, in genere definiti viscerali, irrazionali, aggettivi usati come sinonimi di movimenti incontrollati, istintivi poco o tanto ciechi, privi delle capacità viceversa attribuite al pensiero razionale, che, a mente fredda, saprebbe garantire visione lucida, con queste premesse tutto ciò che accade nell'intimo non è compreso e valorizzato in ciò che dice, adeguatamente stimato nella funzione e nella capacità di critica, sempre diretta alla ricerca del vero, che sa e che vuole esercitare sulla propria esperienza e modalità di procedere. La critica che origina dall'interno dunque spesso non è riconosciuta come tale, oppure, quando si avverte che ciò che si frappone nell'intimo, sollecita dubbi, apre qualche crepa nelle proprie convinzioni, in ciò che si vuole credere e che ci si dice, è facilmente sminuita, messa in ombra o neutralizzata con qualche giro di ragionamento. E' un peccato, è una perdita non da poco, perchè è la sola critica che vale veramente, perchè affidabile, puntuale, intelligente, assolutamente priva di preconcetti e di arbitrarietà, così come di malanimo e di distruttività, viceversa risorsa preziosa e essenziale per la propria crescita. Proviene da una parte di se stessi che conosce al meglio e nell'intimo ciò che si è, che muove le proprie scelte, che è insito nei propri modi, ciò che li detta e che perseguono. Niente e nessuno ci conosce come il nostro profondo, che è presenza attenta in ogni momento del nostro procedere, della nostra esperienza. Non solo, la critica, gli spunti di riflessione e di ricerca offerti dal proprio intimo nascono da una capacità di visione che tiene conto non solo dell'immediato dell'esperienza, ma di una condizione di insieme, di un modo di procedere, di un assetto del proprio modo di stare in rapporto con gli altri e, che è l'aspetto più trascurato, con se stessi, che la parte profonda spinge a rendere riconoscibile, per comprenderne le ragioni, per averne più chiare le conseguenze e gli sviluppi. E' una critica che vuole portare alla presa di visione della verità, mettendo in crisi e in discussione convincimenti di comodo, alibi o vere e proprie mistificazioni costruite col ragionamento, che valgono a difendere e a ribadire idee su se stessi e convinzioni funzionali solo a proseguire sulle basi consuete. Nel corso dell'esperienza il sentire, ciò che interiormente si muove, interviene per aprire spazi di riflessione, per dare spunti di ricerca e di approfondimento, che spesso sono tenuti in secondo piano, non sono raccolti o che, se fatti oggetto di considerazione, sono distorti nel loro significato, piegati nell'interpretazione applicata col ragionamento a dare solo convalida, a sostenere e a consolidare idee su se stessi e sui propri propositi, che non si vogliono mettere in discussione. L'orizzonte, l'idea di ciò che va perseguito rimane quello predefinito e che va a senso unico nel verso di una rincorsa dell'adeguamento ai criteri di valore e di normalità vigenti, per non rimanere indietro, per non perdere occasioni di buona riuscita e prestazione, per non compromettere legami dentro cui c'è più l'istanza di tenere assieme ciò che conviene, che ci si vuole tenere stretto e fruibile, che desiderio di verità, che desiderio di offrire a sè e all'altro sincera presenza, anche perchè di sè non si è ancora compreso nulla di vero, di attendibile. Non ci si è spesi per questo scopo, l'interesse prioritario è stato e continua a essere la riuscita, il mantenimento di posizione, anche perchè l'affaccio sulla verità pare azzardato, persino temuto. Pseudo verità di volta in volta rabberciate col ragionamento, in qualche modo rafforzate tengono banco e, un pò per inerzia e un pò per spregiudicata convenienza, le si tiene in auge. Lo scudo entra in opera e pare essere valida difesa dei propri interessi. L'inconscio, il proprio inconscio, è l'unica presenza discorde, che non si accorda col disegno di tenere su e di far valere l'ignoranza del vero. La verità richiede coraggio, vuole passione nuova, passione di conoscenza, di ricerca di intesa profonda con se stessi e non di conservazione. Dal sentire arrivano le note discordanti, le sensazioni inattese, gli imbarazzi, le esitazioni e gli impacci, le strane note di umore imprevisto, l'ansietà improvvisa, la caduta di interesse, la fiducia in se stessi che scricchiola e declina, note tanto sgradite quanto sapienti, tutt'altro che insensate o negative, note discordanti rispetto a ciò che si vorrebbe credere e ottenere, che cercano nuovo accordo all'insegna di guardare con più attenzione dentro l'esperienza, di mettersi allo specchio, di conoscersi in modo trasparente, di comprendere non la superficie ingannevole, ma il nucleo vero delle proprie scelte e espressioni, per mettere in luce ai propri occhi il proprio modo di procedere, ciò che lo determina, la direzione in cui porta. Nei sogni l'inconscio si spende al meglio per dare impulso e per fornire guide per capire in profondità se stessi, per comprendere ciò che è in atto nel proprio modo di procedere e ciò che va costruito per non essere passivi a rimorchio di pensiero, di attribuzioni di significato e di valore, di perseguimento di scopi già definiti e imperanti, per mettere al primo posto e per compiere passi nuovi nella ricerca e nella presa di visione del vero, nella scoperta di ciò che è autenticamente e originalmente proprio. Nuove scoperte quelle guidate dall'inconscio nei sogni di tutt'altro peso e valore rispetto a quanto prodotto e messo in campo dal proprio pensiero abituale di cui cominciano a evidenziarsi i vuoti di comprensione vera e fondata, gli artifici e le costruzioni di comodo, pensiero razionale di cui ci è sempre valsi e che, a dispetto del credito che gli è stato dato come garante della propria capacità di capire e di condursi, si scopre, non senza difficoltà di ammissione, aver garantito a se stessi in realtà solo il proprio stare al di qua del vero. La critica che proviene da dentro se stessi purtroppo è spesso ignorata. Anche se non manca in molti la percezione della fragilità dei propri convincimenti, della loro inattendibilità, della necessità di una conoscenza più approfondita e fondata di se stessi, il rinvio e il riaccredito dato a ciò che è abituale continua a prevalere, per non perdere posizione, per non darsi un incomodo di scoperta di verità, che pare così impegnativo, che non dà garanzie di quieto vivere e procedere. Non deve stupire se l'inconscio fa allora ricorso, come in non pochi casi accade, a soluzioni più incisive. Il malessere, l'esperienza interiore tribolata e sofferta vuole allora esercitare un forte richiamo a guardare dentro se stessi, vuole creare terreno interiore vivo, di più forte presa, su cui stare, da cui non evadere facilmente, dentro cui riconoscere la necessità di occuparsi di se stessi, di capirsi, di conoscersi, di vedere chiaro. E' un invito, una pressione decisa del profondo che a volte trova ascolto e felice corrispondenza, che in non pochi casi invece non incontra la disponibilità a desistere dal proposito di tirar dritto e di tornare a imbracciare lo scudo di autodifesa, che dice che nulla va messo in pericolo e in discussione, che il malessere va debellato e messo possibilmente a tacere, autodifesa che in realtà rischia di garantire e tutelare soltanto la propria lontananza da se stessi.
domenica 3 dicembre 2023
La grande seduzione
Quanto è seducente affermarsi e ben figurare agli occhi degli altri, riscuotere apprezzamento, riconoscimento di valere! E' tale l'entusiasmo che suscita che è completamente omesso, non visto, nemmeno messo in possibile conto, che tutto questo credito di valore personale che ci si concede sta in piedi solo a condizione di offrire al palato altrui ciò che piace, che gli è gradito e che, a sua volta, sta in piedi e in auge nel gusto così come nella testa altrui a partire dal loro dare ossequio e passivo seguito a stime e a giudizi di valore presi in prestito da senso comune e dati per scontati. Un circolo vizioso, dove ciò che circola appunto è solo il consenso, il mancato pensiero proprio, fondato su esperienza, riflessione e scoperta autonoma di significati e comprensione di ciò che vale, vedendone con i propri occhi il fondamento, il suo perchè. Basta davvero poco per rendersi contenti e persuasi che il riciclo di preconcetti belli e buoni sia moneta spendibile preziosa, affidabile. Capita così che una parte tanto scomoda di se stessi quanto intelligente e saggia, tanto impertinente quanto appassionata alla verità, che sola può spingere e guidare a rendersi liberi e cresciuti, non dia manforte alla celebrazioni degli allori, che viceversa ci metta lo zampino per rendere tangibile che l'edificio del successo, dell'autoaffermazione nei modi e sulle basi dette prima, non sta su, che se sta su lo fa solo poggiando su basi di ingenuità e di credulità imbarazzanti quando viste da vicino e lucidamente. Non aprire gli occhi implica portarsi dietro l'idea che la propria vita stia realizzandosi, quando tutto si regge su conferme esterne a loro volta tutt'altro che intelligenti e fondate su capacità autonoma di giudizio. L'inconscio, la parte che diverge e non dà manforte, è spesso la sola parte dell'individuo che ha intenzione e capacità di vedere oltre la patina bella fatta di illusioni, è la sola parte dell'essere che non dà tregua, che cerca di aprire falle, di dare spunti per capire, per aprire gli occhi finalmente. L'inconscio è il guastafeste che nello svolgersi dell'esperienza mette ostacoli, che a volte mette il freno, l'intralcio di una ben sgradita ansietà, di un impappinamento, di una amnesia improvvisi, di un malumore inaspettato, di una caduta di interesse e di entusiasmo che paiono incomprensibili, di un imbarazzo improvviso che sotto lo sguardo esaminante altrui pare il peggio da mostrare. L'inconscio fa vedere da un lato quanto quello sguardo altrui, così cercato e ben gradito quando applaude, è così tanto temuto quando rischia di decretare l'insuccesso, la magra figura e dall'altro, non solidarizzando e anzi mettendo intralci e freni alla foga della buona riuscita, vuol far capire che c'è qualcosa che conta di più della buona o perfetta riuscita. Cosa può valere di più? L'inconscio non ha dubbi, ciò che vale e che è all'altezza dell'essere individui, dell'essere umani compiuti, è prima di tutto aprire gli occhi, primo passo, tanto importante quanto impegnativo e anche non immediatamente piacevole, per prendere visione della condizione dipendente, pur ben addobbata e travestita da capacità di autoaffermazione, in cui ci si è incastrati, una condizione, tutt'altro che matura e di cui compiacersi, come di bravi bambini impegnati a recitare bene e a produrre ciò che vale per meritarsi il ben volere e l'apprezzamento altrui. Lo scopo che ha in testa e in animo l'inconscio è di rendere ben visibile all'individuo il rischio di vendersi, casomai fino al termine del suo cammino di vita, eventualità non così remota, all'illusione di una vita ben spesa e realizzata prestando fede e facendo conto su ciò che altri e il pensiero comune considerano valere, per aprire la strada invece alla scoperta del significato, del fascino e della validità di una vita spesa per sviluppare pensiero proprio e autonomo, per far vivere ciò che, in unità col proprio profondo, si è riconosciuto da sè e con i propri occhi come valore da difendere e da realizzare.
sabato 25 novembre 2023
Alla radice della possessività
Si parla in questi giorni un gran tanto di
cause che starebbero all'origine di legami uomo donna caratterizzati da preteso
possesso e dominio dell'uomo sulla donna, fino all'estremo della violenza e
della soppressione della vita di lei. Ogni storia di relazione è singolare,
come è singolare la vicenda personale di ognuno, ma si insiste,
probabilmente per fornire a se stessi la persuasione di disporre di ampia
capacità di critica e di comprensione, in non pochi casi per affermare buoni
principi che consentano di apparire, in contrapposizione ad altri, come
virtuosi e senza macchia, nel parlare di incidenza del fattore mentalità, del
peso, ritenuto rilevante e decisivo, di condizionamenti culturali e di modelli
di tipo patriarcale ad esempio, che indurrebbero nel maschio senso di
superiorità e di maggior diritto e che inchioderebbero la donna al ruolo
subalterno. Ancora, si parla di necessità di educazione ai sentimenti che non
siano di possessività, di pretesa superiorità e di dominio, che portino a una
visione diversa dell'altro, per fondare una diversa mentalità e costume.
Insomma pare che tutto nei modi di vivere i rapporti possa cambiare combattendo
cattivi principi, diffondendo invece e educando a idee, a modelli, a principi
di valore capaci di sradicare quella pretesa maschile di dominare e di disporre
della vita altrui, di pensare la donna come subalterna o inferiore o destinata
quasi per vocazione naturale a soddisfare, a sottostare a pretese di controllo,
di dominio, persino di appartenenza. Si vorrebbero educare in primo luogo i
ragazzi, i giovani a sentimenti di altra natura all'insegna del rispetto,
dell'attenzione, del considerare l'altro, particolarmente l'altra, non come
oggetto d'uso e che assecondi le proprie attese e pretese, ma come valore di
individuo da conoscere e riconoscere come degno di attenzione, di
considerazione, di rispetto, di stima, la cui libertà va riconosciuta come
valore invalicabile. Tutto giusto e lodevole nelle intenzioni, ma le radici
della possessività non sono legate solo a condizionamenti culturali, a cattivi
modelli e principi o a scarsa educazione sentimentale e alla relazione, che
affermi e dia risalto all'idea che il rapporto umanamente valido e giusto è
quello aperto e rispettoso e non quello di presa e di preteso possesso
sull'altra, idea e principio alla base della possibile degenerazione
dell'esercizio della sopraffazione, dell'abuso, della violenza. Quando l'individuo
non è veramente completo e capace di autonomia, non quella delle apparenze e
dell'apparire, della capacità di fare, che illudono che l'autonomia sia
garantita, ma quella vera di chi ha saputo sviluppare la capacità di ascoltarsi
e di non fuggire da se stesso, dal proprio sentire, anche quando difficile, la
capacità di trovare vicinanza con se stesso e comprensione intima dei
significati veri dentro la propria esperienza, cercando senza veli e senza
sconti la verità di se stesso, arrivando così a vedere con i propri occhi e in
unità con se stesso, senza andar dietro a suggerimenti e a guide esterne, senza
sostegno di convalide e apprezzamenti esterni, ciò che vale e che dà gioia e
pienezza, passione e forza di persuasione, ebbene in queste condizioni di
mancata autonomia e completezza di crescita personale, che richiede impegno e
esercizio di responsabilità propria per essere conquistata, a colmare il vuoto
di crescita, di sviluppo, cui non si è provveduto e cui non si intende
provvedere, chiedendo a se stessi e non aspettandosi da altro, la
tendenza, tutt'altro che rara, è di cercare in altro, attraverso altri ciò che
interiormente manca e che non è stato coltivato e fatto vivere. La presa va su
un sostituto verosimilmente analogo, che sembra fatto apposta, in realtà un
succedaneo rispetto a ciò che potrebbe formarsi di proprio, che comunque pare
capace o destinato a garantire quel bene vitale mancante, capace di dare
riempimento e soddisfacimento, di garantire un completamento. L’effetto, che
passa ai propri occhi volentieri inosservato, è di bloccare in questo modo
qualsiasi processo di ricerca e di crescita personale, che giustamente e per
natura sarebbe affidato a sè e di cui peraltro la parte profonda del proprio
essere è anima, è fautrice e matrice essenziale (tant’è che spesso con i
segnali di malessere, che produce interiormente, fa sentire l’insostenibilità
di un modo di essere e di procedere così parziale e mal fondato), che richiede
conquiste di consapevolezza, scoperte, verifiche e cambiamenti interni
impegnativi e necessari. Il legame dipendente a pronto uso apre una
scorciatoia, sostituisce il vero processo di crescita che richiede lavoro su di
sè, impegno e tempo. Tende a un simile legame dipendente il maschio, spesso
mancante di accesso all'intimo, di creazione di intimità con se stesso, di
capacità di ascolto e di comprensione intima di se stesso, di calore di
vicinanza, di scambio e di condivisione con la propria interiorità, che vede
nella donna l'occasione per portare a sè, per includere nella propria vita e in
modo stretto e vincolante ciò che gli manca per essere individuo vero,
individuo intero e completo, autonomo, indipendente. La dipendenza, la presa su
altro che dia il sostituto di ciò di cui si manca e della cui ricerca e crescita
non si riserva a sè il compito, non è, come dicevo, modalità così rara e i
rapporti interpersonali sono spesso di interdipendenza. I due reciprocamente
mettono per così dire le mani l'uno sull'altro per portare a sè ciò che
desistono dal riservare a sè come ricerca e costruzione vera e ben fondata,
come esigenza di sviluppo umano, come scoperta e conquista da coltivare e far
crescere dentro se stessi e in modo autonomo. Lo stesso rapporto dell'individuo
con l'insieme, con la cosiddetta realtà che sta attorno è spesso di natura
dipendente dove si concede a modalità consolidate, a soluzioni e percorsi
già ben definiti e organizzati, a pensiero e a esempio comune di essere guida e
veicolo per istruire il proprio pensiero, per indirizzare la propria vita, per
deciderne i modi, le tappe, i traguardi, gli sviluppi, tutto in vece, in
sostituzione della ricerca di formazione di una propria capacità di guida
autonoma, di vero autogoverno. Nel rapporto di coppia il legame interdipendente
trova grande opportunità di compiersi, di svolgere la funzione di dare
pseudo completamento ai due, non lavorando ognuno su di sè, ma prendendo
dall'altro. Allora i vuoti, le lacune di crescita, le pseudo conquiste, di
facciata e in realtà inconsistenti, hanno modo di trovare una sorta di
riempimento e di assestamento, il mutuo soccorso e la comune ideologia
dell'unione e dell'amore (quale amore è possibile nella dipendenza?) fa
sì che la coppia trovi e garantisca ai due una promessa di idilliaco compenso e
assestamento. La visione che propongo e che cerca il vero oltre la superficie e
il recinto della retorica dei sentimenti, ovviamente non coincide con la
lettura convenzionale che esalta il sentimento, l'innamoramento o altro come
spiegazione di ciò che i due mettono assieme e cui danno compimento nella loro
storia e nel legame che vanno a instaurare. Ciò che accade e non di rado è che
l'uomo che, come già dicevo, è in non pochi casi spiazzato e lontano rispetto
all'intimo della propria esistenza, a ciò che vive dentro se stesso, povero di
familiarità e di capacità di rapporto col suo sentire, di dialogo intimo e
caldo, di conoscenza vera di sè non rattoppata e costruita razionalmente e in
astratto, abituato a gestire e a dare prova di prestanza nel ragionare, a
cercare la prova del proprio valore nell'operare e risolvere su piano concreto
e del fare, del primeggiare come prestanza di testa e di capacità di successo
concreto, porti in sè disattesa una necessità fondamentale, una mancanza non di
poco conto, dentro una condizione complessiva che, fatte salve le illusioni,
non è certo di individuo autentico e completo. Non è insolito che, dove non
riconosca la necessità di una profonda revisione del proprio stato, di un
lavoro su se stesso per colmare quei vuoti, cosa non frequente, la spinta
dell'uomo sia di percorrere la scorciatoia di cercare la fonte di calore, di
gioia, di un che di amorevole che lo sorregga, che gli dia conferma e
rassicurazione in una forma più intima, che gli dia vicinanza, nella
donna, che pare potergli rappresentare e dare simili risorse cui attingere, da
portare a sè. Dall'altra parte la donna, che parrebbe più vicina alla
dimensione intima del sentire e degli affetti, ma che non è affatto detto che
con questi abbia un rapporto sincero e rispettoso e non strumentale, lei stessa
spesso in fuga dal suo sentire vero, soprattutto se difficile e sofferto e
lontana dall’aver sviluppato capacità di ascolto e di dialogo con la sua
interiorità, ha dalla sua la difficoltà di trovare risposte alla necessità di
prendere in mano fino in fondo la propria vita, di trovare, di generare e di
riconoscere da sè il proprio valore, di tenere ben salda nelle proprie mani la
guida della propria vita senza appoggi, rassicurazioni o garanzie prese da
altri come da un uomo, che, dove le offra valorizzazione come oggetto di
desiderio, di predilezione, di investimento di interesse e di ricerca di
legame, parrebbe offrirle un grosso alimento alla propria autostima, oltre che
la garanzia di dare più salda e garantita realizzazione o sistemazione alla
propria vita, perlomeno secondo i canoni e i modelli di realizzazione più
diffusi e vigenti. Il rapporto uomo donna, che oggi è oggetto di tanto
dibattito, si forma, prende avvio spesso all'insegna della disattenzione a
conoscersi veramente e in profondità e dell'equivoco reciprocamente messi in
campo, perchè la istanza e la modalità dipendente, non riconosciute come tali,
ben camuffate e equivocate dalla lettura retorica dei sentimenti, lavorano
proprio per rendere possibile quell'unione di reciproco interesse a
stabilizzare e a completare seppur in modo surrettizio, oltre che fragile e
posticcio, la propria vita. Le sorprese sono di conseguenza dietro l'angolo e
chi nella fase del cosiddetto innamoramento appariva questo l'indomani si
rivela essere quello, sempre più simile a un individuo che di sentimento
vero non ne ha proprio per nulla, ma che pretende solo attaccamento e esercita
presa dipendente con tutti i risvolti anche degeneri del caso. Preso e portato
a sè come bene essenziale dall'altra persona ciò che non è stato sviluppato
dentro di sè, ecco che l'altra diventa come proprietà da cui non ci si può, ma
soprattutto non ci si vuole separare, che, in quel vissuto di appartenenza a
sè, non ha diritto di vita e di espressione propria, di andarsene se lo crede.
Prendere da fuori ciò che non ci si è dati da sè, come invece sarebbe naturale,
necessario e valido impegnarsi a fare, prendere da un altro essere e caricarlo
della funzione e della capacità di offrire ciò di cui si ha vitale necessità, fa
sì che chi ha supplito alla mancanza diventi, sia vissuto come parte di sè
essenziale, in assenza della quale si profila la disperazione di perdere
qualcosa di vitale, che si accompagna all'accendersi fino all'esplosione di un
sentimento di rivolta e di rancore nel vedersi privare, come per un torto
inflitto inaccettabile, di qualcosa che si considera dovuto a sè, che non si
accetta che si stacchi, che vada via e che viva casomai legandosi a altri.
Crescere in autonomia è crescere in completezza umana, che richiede
lavorare su di sè, costruire ciò che nessun altro può e è legittimo che debba
offrire, un sostituto, un succedaneo, una risposta che non è ciò che spetta a
sè coltivare e generare perchè abbia forma viva, vera, originale. Solo
individui interi, che si sono assunti la responsabilità di fondare su di sè e
di costruire la loro completezza umana, compito, desiderio e aspirazione non
delegabili a niente e a nessuno, possono tra loro dare vita a rapporti che
siano trasparenti, rispettosi e fecondi, dove il riconoscimento della dignità e
della libertà dei due non è un principio o un dovere astratto da
osservare per legge esterna, un valore semplicemente assimilabile e inducibile
con l'educazione o il cambiamento culturale, come oggi non pochi vogliono far
credere, ma un convincimento interno maturo, frutto genuino di un approfondito
lavoro su se stessi, un che di fortemente sentito, un credo e una passione
sinceri e profondamente fondati.
sabato 18 novembre 2023
Quando la psicologia è incapace di comprendere la centralità del profondo
Una psicologia che ignora il peso e il valore del profondo, dell'inconscio, che riconduce e riconsegna tutto alle capacità della parte conscia e alle sue magnifiche sorti, che ne ribadisce l'egemonia, che vuole il resto dell'essere sottostante alla sua guida, manca della conoscenza e della dovuta considerazione di ciò che è essenziale e irrinunciabile per capire il significato degli svolgimenti della vita interiore. Non è una mancanza di poco conto. Una psicologia che implicitamente riconosce e ribadisce solo la concezione abituale dell'uomo, l'idea dell'individuo sostanzialmente monco, senza necessità vitale di recuperare un legame forte e una relazione il più possibile aperta e autenticamente dialogica con la sua parte intima e profonda, che semmai, anziché proporsi di ascoltarla e di intenderla in ciò che vuole dire, si arroga di spiegarla, di variamente interpretarla con argomenti logici razionali, perché continui, illusoriamente, a stare sotto il governo della parte conscia, che psicologia è, quale ricchezza di contributo può dare? Una psicologia, che prima di tutto vede l'individuo nella necessità di continuare a funzionare, facendo leva sulle capacità di guida della sua parte conscia, non sa, quando questi è messo in difficoltà dalla sua parte profonda, che, attraverso crisi e malessere interiore, vuole risvegliare in lui la capacità di riflessione, di ricerca del vero della propria condizione e del modo di condurre la propria vita, non sa che offrirgli la conferma della necessità di tenere a bada la vicenda interiore sofferta e critica. Gli fornisce a questo scopo e lo incoraggia nella ricerca di spiegazioni sul conto di ciò che di difficile sta vivendo interiormente, letto, arbitrariamente, come segnale di difettoso, di disturbato e comunque sfavorevole andamento. Allo scopo di individuare le presunte cause del presunto guasto e anomalo sviluppo, ecco la ricerca nel passato di traumi o di condizionamenti nocivi, con l'idea e l'intento di risanare il tutto, per tornare a spingere verso gli scopi predefiniti come normali o validi, mettendo al primo posto il beneficio del superamento della crisi, senza averne ascoltato e compreso le vere ragioni e le finalità, tutt'altro che insignificanti. Una psicologia che, ben il linea col pensato e con le aspettative comuni, concepisce e fa tutto questo, che grado di intelligenza della vita interiore rivela e che contributo alla conoscenza di se stesso e alla sua vera realizzazione e crescita è capace di offrire all'individuo? Una psicologia che cerca spazi di elaborazione e di iniziativa che non vanno al di là del recinto del cosiddetto senso di realtà, che altro non è che ciò che lo sguardo, già abituato a puntare e a vincolarsi al fuori, può vedere e intendere guardando in quella direzione esterna, rendendosi incapace di dare credito a ciò che potrebbe vedere e intendere rivolgendosi al dentro se stesso, fuori che coincide con ciò che si ritiene abitualmente essere normale e possibile, utile e necessario, realtà unica e imprescindibile, che capacità ha di di favorire ricerca autonoma del vero e dell'autentico di se stessi? Una psicologia che ignora quale sia l'origine e il senso, lo scopo del malessere interiore, che lì dentro ignora e non riconosce l'azione propositiva del profondo e ciò che persegue, che non mette al primo posto la necessità di imparare a intenderla fedelmente, che capacità ha di favorire visione nuova, ben fondata su esperienza vissuta e originale, ben oltre i confini di quella visione di realtà generalmente concepita? Che capacità ha di favorire nell'individuo consapevolezza che non sia ripetizione degli schemi soliti pur in qualche modo resi più efficienti, fluidi e riadattati? E' una psicologia che ignora il valore e la profonda necessità, per non rimanere monco di una parte essenziale di se stesso, di sviluppare da parte dell'individuo capacità di ascolto e di dialogo con la sua interiorità, scoprendo quanto gli sia essenziale e prezioso, cosa ne possa scaturire. E' una psicologia che ignora cosa nella crisi e nel malessere interiore di assolutamente necessario e favorevole, di veramente salutare, sotto la spinta e la guida del profondo, vuole formarsi e nascere. Può solo ribadire e dare più spazio, confortandola di nuove argomentazioni, all'iniziativa della parte conscia, al suo monologo, parte conscia che presume di saper definire gli scopi e gli interessi fondamentali dell'individuo, di saper dire sul conto dell'interiorità, leggendo a priori tutto, quando ci sono segnali di crisi e di disagio, in termini di alterazione e di necessità di ricostituzione, pur con qualche aggiustamento o innovazione, di un ordine solito, ma non concepisce certo di ascoltarla e di raccoglierne e valorizzarne le proposte, di riconoscerne la funzione guida. E' una psicologia che non vede il nodo decisivo, che sottostà e che è reso sensibile dalla crisi, dal malessere interiore, di una scissione, di una mancata unità dell'individuo con una parte essenziale del suo essere, col suo profondo, senza il quale non ha possibilità di trovare proprie risposte consone a se stesso, di arrivare a conoscenza del vero di se stesso, di accedere a una visione e a una scoperta di significati e di valori fondata su propria intima esperienza, su proprio sguardo e non in adesione a altro, non al seguito di ciò che la cosiddetta realtà dice e impartisce. Una psicologia di rincalzo, che soccorre la parte che, messa sotto pressione dal profondo per cominciare a prendere visione dello stato delle cose, spesso di un procedere gregario e al seguito di modelli e di guide esterne, per dotarla finalmente di capacità di visione e di pensiero autonomi e fondati, in realtà dà sostegno all'individuo nell'anomalia, questa sì è un'anomalia dell'umano, del suo essere scisso dall'intimo, del voler, col superamento della crisi, ripristinare questa condizione. L'esito, pur salutato come di positiva ripresa e presa di coscienza, è infatti di mantenere e anzi di rafforzare la lontananza dal suo intimo e l'incapacità dell'individuo di ascoltare e di comprendere fedelmente quanto la sua interiorità nei vissuti, nel sentire e in tutto ciò che vive e prende forma nell'intimo sa e vuole dirgli, di rendere ancora più saldo lo squilibrio di posizione, che tiene al vertice la mente razionale, incapace e per nulla incline a riconoscere quanto sia necessaria e fondamentale la funzione del profondo, il solo in grado di restituire all'individuo la capacità di capirsi veramente. Solo l'inconscio è capace attraverso tutte le sollecitazione del sentire, anche nelle sue espressioni più difficili e sofferte, attraverso i sogni in modo ancora più efficace e nitido, bisogna ovviamente imparare a intenderne il linguaggio, di guidare l'individuo alla scoperta e all'esercizio del pensiero vivo e fondato, di uno sguardo riflessivo su se stesso, ben dentro la sua esperienza, le sue scelte e modi di procedere, di dotarlo così della capacità di conoscere e di conoscersi, che è il fondamento della sua vera autonomia. Una psicologia che non intenda questo e che non abbia intento e capacità di promuovere nell'individuo la ricerca dell'avvicinamento alla sua interiorità, lo sviluppo della capacità di ascolto e di dialogo col suo profondo, essenziali per generare pensiero e capacità di orientamento autonomi, lo mantiene e lo riconsegna fatalmente, malgrado le illusioni d'aver capito con le interpretazioni e le spiegazioni del pensiero ragionato e di potersi muovere ora con più libertà e padronanza, alla dipendenza, alla modalità, rimasta nascosta e non resa riconoscibile ai suoi occhi, del farsi dire e istruire da altro, di assecondare ciò, che, già configurato e pronto nell'esempio e nel pensato comune e prevalente, continua a essere la sua guida, l'autorità di riferimento da cui farsi orientare, convalidare e dirigere. La parte conscia razionale, equivocando il significato e il valore delle proprie iniziative e produzioni, ritenendole espressione di capacità di pensiero autonomo e originale, di fatto, senza la guida del profondo, che è il solo a sapergli dare le basi e tracce vive, a rimettergli sotto i piedi il terreno su cui conoscersi nel segno del vero, non può che continuare a prendere in prestito e a rimasticare idee, attribuzioni di significato prese da pensato comune, da ciò che è stato già concepito come valido, affidabile e sensato, non può che rimanere ingabbiato in una falsa idea di se stesso e in una visione distorta di ciò che vive interiormente. Senza il recupero della unità di tutto il proprio essere, senza il riconoscimento del significato della propria vita interiore e del suo valore fondamentale, della funzione e della capacità del proprio intimo e profondo di alimentare pensiero proprio e autentico, l'individuo non può che rimanere in uno stato di inconsapevolezza e di falsa coscienza, perciò di impotenza a recuperare a sé il significato e lo scopo della propria vita, di formare, di assaporarne il gusto e di far crescere la sua vera autonomia.
domenica 29 ottobre 2023
Il cambiamento
Spesso il cambiamento è cercato fuori, affidato a soluzioni esterne da cui ci si aspetta che mutino il proprio stato, in genere pensando che siano le condizioni esterne a provocare disagi. Mutare il giro di relazioni, cambiare luogo da frequentare o dove vivere, aderire e condividere con altri un nuovo credo, sono esempi di cambiamenti che sembrano racchiudere la promessa di una vita diversa, fatta di nuovo respiro di libertà, di fruizione di opportunità migliori, di risveglio di consapevolezza, di leggerezza da pesi e carichi interiori sgraditi, di senso di benessere. Da cosa parte questa istanza di cambiamento? Spesso c'è un senso di restrizione di possibilità, di vuoto e di mancanza, di irrigidimento di abitudini, di malessere che segnala e rende acutamente disagevole e sofferta una sensazione di stasi e di oppressione, di illibertà e di insoddisfazione. Sono tutte sollecitazioni interiori, che vogliono portare a stare e non a andare via, a coinvolgersi sul terreno della scoperta del vero. Purtroppo è tale la mancanza di legame e di familiarità con la vita interiore, l'incomprensione del suo significato e valore, che, quando accade che la propria interiorità eserciti una presa più decisa e consegni vissuti capaci di indurre con più forza a fermarsi e a riflettere, senza pretesa di liquidare la questione in pochi istanti, la risposta è di insofferenza. Come si fosse vittime di un torto, di una pena indebita, la reazione è di cercare di uscire al più presto da quelle sensazioni, anzichè rendersi disponibili a rimanere, visto che è voce intima quella che sta parlando attraverso e dentro quegli stati d'animo. Anzichè ascoltare questa propria intima voce per cominciare a trovare sintonia con la propria interiorità e visione più veritiera di se stessi e del proprio modo di procedere, consapevolezza dei nodi decisivi e delle questioni importanti, che richiedono un lavoro riflessivo su stessi e non una critica e una reazione ad altro visto come causa di un malessere a cui trovare rimedio, si mobilita subito il dispositivo razionale, che tutto pensa di poter fare in orgogliosa solitudine, meno che congiungersi al sentire e da lì trarre guida e occasione per aprire gli occhi. Il dispositivo di pensiero razionale cerca cause fuori e prende a inventarsi soluzioni, sempre cercando all'esterno la via del cambiamento. Così come attinge a idee comuni per spiegare le cause, così il pensiero razionale assorbe idee e suggerimenti da mentalità e da esempio comune per individuare le vie d'uscita e le soluzioni possibili. Questo lascia già prevedere quanto incongruo, inappropriato e lontano da sè, da corrispondenza con la propria intima verità e da ciò che aprirebbe e spingerebbe a realizzare come vero cambiamento, possa mettere in campo il proprio dispositivo di pensiero razionale. False strade, illusori cambiamenti, copia d'altro preso a modello dalla pratica e dal pensato comuni, finiranno per lasciare incompreso e immutato ciò che il richiamo interiore voleva portare a vedere, a trovare come terreno di ricerca e occasione, questa sì felicemente appropriata, di trasformazione personale, tutto sulla base di scoperte di validi punti di riferimento ritrovati e di prese di consapevolezza ben fondate e verificate e non di belle pensate, ispirate da fuori e in adesione a altro, che sia un credo o un altro poco cambia. Il cambiamento messo assieme e impacchettato dalla mente razionale non farà che garantire visione miope, ma soprattutto distorta, che non potrà che prolungare e ingarbugliare ulteriormente gli equivoci, che allontanare ulteriormente da chiarimenti e da intese valide con se stessi. Solo la valorizzazione e l'attento ascolto e comprensione delle proposte interiori, nella forma in cui sono e in cui si manifestano interiormente, mai casuale o sbagliata, sempre mirata e intelligente, anche se disagevole e sofferta, potrà permettere di comprendere le ragioni vere del disagio, più legate a modi di procedere e di rapportarsi a se stessi e alla propria esperienza, che risalenti al fuori, di coltivare le basi vive e di portare a maturazione le premesse valide del cambiamento di se stessi e dell'apertura di percorsi non di fuga e di illusoria novità, ma di vera e affidabile nuova vita.
domenica 8 ottobre 2023
I sogni son desideri?
E' proprio vero che i sogni sono desideri? Mi riferisco ai sogni fatti dormendo. E' idea diffusa, seguendo le orme del pensiero psicoanalitico originario freudiano, che i sogni racchiudano, che diano espressione a desideri non riconosciuti o non ammessi dalla parte conscia, desideri dunque insoddisfatti. Sono facilmente intesi come desideri traducibili in cose o iniziative o modi cui sinora sarebbe stata negata aperta ammissione e soddisfazione. E' proprio questo che i sogni vogliono portare a far emergere? C'è in realtà un desidero di fondo non riconosciuto dalla parte conscia, che ne fa e di cui farebbe volentieri a meno, che non considera affatto necessario e irrinunciabile. E' il desiderio di fare chiarezza, di cercare il vero di se stessi e del proprio modo di interpretare la propria vita, di condurla. La parte conscia, malgrado non ignori del tutto le fragilità o le incongruenze del suo modo di pensare, di pensarsi e di procedere, cui mancano basi salde, cui non si fa sentire la convalida e il sostegno della parte intima, che spesso nelle sensazioni e negli stati d'animo che ingenera non dà conferma e solidarietà a quanto essa persegue e a come se la spiega e se la racconta, non ritiene sia il caso di dubitare più di tanto dei suoi convincimenti e propositi. La parte conscia cui l'individuo si affida, ritenendola la più capace, non ritiene sia necessario e prioritario dare rilievo e soddisfazione all'esigenza, al desiderio di vederci chiaro, per accertarsi con scrupolo e apertamente dello stato delle cose della propria vita, con piena disponibilità a mettere la ricerca della verità al primo posto, per non correre il pericolo di procedere ciecamente o illusoriamente, per non rischiare di commettere errori capitali circa la comprensione e la realizzazione dello scopo della propria vita. L'inconscio sul desiderio di fare chiarezza, di aprire gli occhi, di evitare l'illusione e il fraintendimento, il rischio di muoversi a rimorchio di idee e di ideali presi in prestito da esempio e da mentalità comune, di proseguire più preoccupati di darsi conferma, di rinforzare e di blindare i convincimenti soliti e persistenti che di interrogarsi e di capirsi nelle proprie scelte e responsabilità, senza alibi, senza impiego di schemi di preconcetti e di sentito dire, su questo desiderio l'inconscio c'è e non demorde. L'inconscio non fa altro che sollecitare la presa di visione di cosa c'è nel proprio modo di pensare abituale e di procedere, di cosa gli fa da appoggio e con quale intento, sollevando il velo della falsa coscienza, dei pensieri che razionalmente chiudono e non svelano, che valgono più a darsi conferme che a chiedersi cosa si sta dicendo, in forza di che cosa, con quale vera e fondata comprensione e per ottenere quale scopo. L'inconscio è attentissimo a mettere le cose in chiaro, a far riconoscere le falle del sistema di pensiero di cui ci si fa forti, non con spirito inquisitore o per far male, ma per trarre in salvo, per affrancare lo sguardo dell'individuo dalla passività, dall'inerzia del dire sempre, gira e rigira, le stesse cose, del non chiedersi mai cosa ci sia davvero dentro la propria esperienza e cosa sveli di se stesso. L'inconscio ben svela all'individuo che non ha possibilità e mai avrà capacità di vedere, fino a che starà, come gli è abituale, arroccato nei ragionamenti, alla larga dal suo sentire e da ciò che gli si muove interiormente, che diversamente dalle congetture razionali, dice e dà traduzione, rappresentazione la più fedele e fondata, la più affidabile del vero. Al sentire è tendenza assai diffusa dare poco peso o relativo, giudicandolo poco affidabile, tant'è che è ritornello dato per buono che per avere visione lucida è necessario tenere da parte le emozioni, il sentire. Quando finalmente ci si degna o si ha urgenza, se le cose interiormente si fanno inquiete o turbolente, di occuparsi di ciò che si sente, si tende, spacciandosela come riflessione, che di riflessivo non ha nulla, a mettergli sopra con la parte razionale spiegazioni e interpretazioni, anziché imparare a ascoltare e a farsi condurre e dire da ciò che l'intima esperienza ha capacità e intenzione di comunicare, di far vedere, di far toccare con mano e intendere. C'è anche chi si riconosce o si vede facilmente riconoscere familiarità col sentire, più spesso donne, si ritiene nel pensato comune per natura e per educazione tramandata, ma ci sono anche uomini che si attribuiscono spiccata sensibilità. In tutti i casi è da vedere quanto ci sia di apertura, di ascolto fedele e di valorizzazione di ciò che il sentire, quello autentico, senza filtro e selezioni, senza artefatti, vuole condurre a conoscere di se stessi e quanto invece ci sia di interesse e di tendenza a fargli dire ciò che piace, che si vuole credere e far apparire. L'inconscio in ogni caso, né si lascia dissuadere dalla presa di distanza e dall'arbitrio razionale, né si lascia incantare dai tentativi di rappresentarsi sensibili, ricettivi e profondi per proprio agio e vantaggio, a proprio uso e consumo. L'inconscio agisce senza discontinuità e parla, suggerisce e stimola la presa di visione e di consapevolezza attraverso il sentire che anima, attraverso emozioni e stati d'animo, spinte e freni che induce e che, passo dopo passo lungo l'esperienza, si fanno avvertire interiormente, di cui è promotore e regolatore, che sono terreno vivo, sempre e senza distinzione di sensazioni positive o negative, per portarsi vicino a se stessi e alla visione del vero. Magnificamente l'inconscio dice e suggerisce ricerca di consapevolezza e di puntuale verità attraverso i sogni, preziose guide e insostituibili per conoscersi, di acume e intelligenza impareggiabili. I sogni sono sì desideri dunque, che si riassumono nel desiderio del profondo di far crescere l'individuo in consapevolezza, di coinvolgerlo nella passione per la verità, senza altro vincolo che questo.
domenica 1 ottobre 2023
Paura di se stessi
A volte affiora appena, altre volte dilaga. E' la paura rivolta alla parte intima di se stessi, parte che resta per molti una sconosciuta, un mistero. L'intento abituale, che presto nel personale percorso di vita si afferma e via via si rafforza, è di disciplinare questa parte intima di sè, di renderla docile e conforme alle aspettative di ordinato procedere, subordinandola all'esigenza di ben figurare, di ottenere buone prestazioni, di essere, quando si abbia voglia di vacanza e di liberatorio sfogo, leva e mezzo di appagante ristoro o godimento. Tutto meno che intendere che il proprio sentire e tutto il corso della propria vita interiore non sono un docile cagnolino da ammaestrare e da usare come si vorrebbe, ma ben altro di valido e capace, oltre che, nelle sue espressioni e nell'intelligenza che lo guida, autonomo dalle attese e pretese della parte conscia, perchè finalizzato a rendere visibile la verità e non ad assecondare la ricerca della prestazione e a darle manforte. Ciò che non trova rispettoso riconoscimento è la propria interiorità, parte essenziale e non certo marginale del proprio essere, parte viva di se stessi e non congegno o accessorio al traino. La mancanza di rapporto, di vicinanza e di familiarità di scambio, di capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità non sono però motivo di interesse e di preoccupazione, non sono nodo o questione rilevante, quel che nel tempo è diventato rilevante, ciò che conta è non essere fuori dai giochi e indietro nella competizione per dare prova, per non essere da meno degli altri. Il paragone con gli altri predomina sull'interesse di avvicinarsi a sè, di conoscersi, di capirsi apertamente e lealmente, senza mettere subito in campo pretese o pregiudizi. Il distacco da sè, il mancato sviluppo del rapporto con la propria interiorità, relegata e considerata solo parte subalterna da tenere a bada e da piegare alla logica e al predominio della parte conscia razionale, che si considera l'unica valida funzione cui affidarsi e di cui fidarsi, ha conseguenze rilevanti. Ciò che non trai da te, che non coltivi e generi coinvolgendo la totalità del tuo essere, fatalmente lo vai a prendere, già confezionato, da un'altra parte, fuori. E' conseguente dunque la consegna a altro, che fuori è organizzato e che si propone come agenzia apposita e autorità specifica per darne soddisfazione, del compito e della capacità di essere fonte di conoscenza, guida sicura e alimento a pronto uso e consumo per ogni possibile esigenza e sviluppo di sè. Ciò che da sè potrebbe e dal profondo vorrebbe generarsi come pensiero e consapevolezza, come scoperta di significati e di valore, come alimento della propria crescita come individui e non come allievi e scolaretti più o meno meritevoli e distinti, è bloccato, chiuso. L'ipotesi di far conto su di sè, sul rapporto con la propria interiorità, per generare da sè pensiero e ciò che è fondamento necessario e alimento della propria realizzazione umana, è considerata velleitaria, non credibile, impossibile. Diventa allora possibile soltanto istruirsi e prendere da fuori guide e contenuti, argomenti e senso di realtà, una realtà intesa in assoluto come "la realtà", l'unica riconoscibile come tale, fatta coincidere con ciò che è rappresentato e concepito comunemente, che ha forma concreta e collaudata. Ci si cala allora, come attori in scena, nella parte che la sceneggiatura del pensato, della pratica e del senso comune consegna come ruolo da rivestire, da interpretare e replicare, cercando, a volte con qualche guizzo personale, di farlo comunque in modo fedele al copione, facendo proprie le modalità e le scelte di vita prese e apprese da lì, facendosi istruire a dovere e guidare dal manuale del pensato comune e prevalente, che dice come intendere le capacità e la realizzazione personale, i modi e i tempi, le cadenze e le scadenze. A una determinata età spetta di fare questo per formarsi, quello per gioire e divertirsi, a un'altra si deve compiere il passo importante, sinonimo scontato di crescita e di maturità e via di questo passo, dentro un cammino regolato, ritmato da fuori, reso indice di normalità. Più che individui, che hanno necessità di trovare dentro sè e, facendo conto sulla totalità del proprio essere, nel dialogo interiore la propria fonte, le risposte che contano, il senso e le ragioni della propria vita, si diventa parte di un aggregato e lì dentro si cerca di affermare e di salvaguardare il proprio merito e di ottenere riconoscimento e sostegno nella considerazione altrui, nell'autorità esterna che di volta in volta sovrintende. Tutto senza vedere, senza riconoscere nitidamente questa condizione di dipendenza e di un procedere nella sostanza eterodiretto, con preoccupazione di non rompere l'intesa col giudizio comune e con l'autorità esterna, badando a ricavarne comunque sempre conferma, supporto e guida, cercando lì appoggio e sponda, anche quando si voglia andargli contro e fare gli alternativi, gli antagonisti o i ribelli. L'illusoria persuasione che in questa pappa dipendente ci sia invece espressione di volontà e di capacità propria ben si regge sul lavorio della parte razionale, pronta a sfornare pensiero, che applicato a se stessi, persuade di ciò che fa comodo attribuirsi, lavorio che si rivela superlativo nel mistificare, nel far credere ciò che non è, nell'occultare ciò che è. Ebbene in questa condizione e dentro questo modo di procedere, celebrati come normali, mantenuti e tutelati ad ogni costo, malgrado a tratti si sia avvertito un senso vago di mancanza di unità con se stessi e di mancato fondamento saldo nelle proprie scelte e modi di stare al mondo, la realtà personale vera che ha nel tempo preso piede è di una sostanziale distanza o dissociazione dal proprio intimo. Al proprio intimo nel tempo si è voluto assegnare la funzione di gregario o comunque di tacito assenso e sostegno, al proprio intimo, se non assecondava questa pretesa, si è stati pronti a guardare con sospetto o in cagnesco, così come si è stati pronti a attribuirgli patente di incapace quando non si rendeva funzionale ai propositi che si sarebbero voluti realizzare, senza chiedersi mai il perchè di queste aspirazioni e propositi, spinti da cosa e a quale scopo. Se l'interiorità a un certo punto, per far sì che si faccia finalmente profonda verifica e chiarezza sul proprio stato, alza il tiro e fa la voce grossa, cosa non rara, ecco che dal sospetto e dalla diffidenza abituali, dal latente e onnipresente timore, che ha accompagnato tutto il cammino d'esperienza, che le cose intimamente non procedessero a dovere, che potessero tradire le aspettative e riservare brutte sorprese, ecco che, in presenza di crisi e di segnali forti di malessere interiore, agitati e messi in campo dalla propria parte profonda, la paura verso se stessi, verso l'intimo di se stessi, prende presto il predominio. A quel punto la prima reazione al malessere è spesso la fuga, il tentativo di allontanamento e di distrazione da quel sentire difficile e sofferto. Se con questo espediente, tra l'altro incoraggiato dal pensiero comune, non c'è modo di neutralizzare l'intimo, ecco il ricorso a mezzi più diretti e forti per farlo recedere, per zittirlo, camuffati da cura. Se non sono gli psicofarmaci a intervenire, scendono in campo, anche in combinazione con l'uso dei farmaci, i tentativi di trovare spiegazioni, casomai col supporto di una psicoterapia. Al seguito dell'idea che in ciò che interiormente accade ci sia un'anomalia e un disturbo, che malauguratamente affligge e con l'auspicio che in questo modo venga debellato, ci si dedica volentieri alla ricerca della presunta causa del malessere, causa cercata sempre altrove da sè in qualcosa che avrebbe arrecato danno, che come trauma patito avrebbe minato la sicurezza e l'intimo quieto vivere, che per responsabilità o colpa di qualcuno, genitori e non, non avrebbe dato il dovuto e necessario apporto per crescere serenamente e per stare bene, per non essere esposti al malessere che ha preso piede. L'intimo è visto come una piaga da sanare, come un meccanismo da raddrizzare e da regolare, ma, su queste basi, le solite consuete basi, con queste premesse, la paura è destinata a non sparire. D'ora in poi si imporrà la necessità di vigilare perchè l'intimo non torni a inquietare, a smuoversi, a preoccupare. Sulla difensiva e in regime di paura verso se stessi si penserà, dove il malessere persista o si ripresenti, di essere malati a rischio di cronicità, da tenere sotto vigilanza e cura, esseri sfortunati cui è negato il diritto di stare bene. Le distorsioni nel considerare ciò che sta accadendo dentro se stessi come una patologia da sanare o come l'esito malaugurato di cause e di responsabilità altrui e non come lo stimolo e il richiamo che la parte profonda di se stessi (che non è un che di alieno e lontano, ma che è componente organica del proprio essere da sempre presente nella propria esperienza e attiva nel sentire, nei sogni e in tutto ciò che si svolge interiormente) sta esercitando per prendersi davvero cura di sè, per capire lo stato del rapporto con se stessi e per riconoscere la necessità di un radicale cambiamento, finiranno per avere il prevalere. La paura di se stessi rischierà così di diventare la norma dentro un modo dissociato di vivere e di viversi, mai riconosciuto come tale, rischierà, dopo la crisi o le crisi ripetute, non comprese nel loro significato e intento non di certo ostile o distruttivo, di prendere ancora più forza. La paura regnerà sovrana almeno fino a quando non si riconoscerà la necessità di un profondo cambiamento nel rapporto con se stessi, che metta prima di tutto al centro del proprio interesse, non il ripristino della normalità solita, ma la ricerca del vero.
mercoledì 20 settembre 2023
Autostima sì, ma...
Non si può fare stima corretta di qualcosa se non la si conosce. Non ci può essere autostima, affidabile e fondata, se non ci si conosce, se non si vede e verifica con i propri occhi ciò che di sè e di prodotto da sè vale davvero. Quante volte ci si sente dire e incoraggiare a nutrire stima e a credere in se stessi, perchè questo può dare forza e fiducia e procurare benessere! D'accordo, ma per la stima, di importanza ancora più rilevante quando rivolta a se stessi, dev'esserci valido, ben consapevole e accertato motivo e fondamento, diversamente ogni attribuzione di merito e di valore è fragile e gonfiata, assai poco affidabile, persino illusoria, diversamente non resta che affidare il compito di giustificarla e di sostenerla al consenso esterno e al plauso altrui, in una forma diretta o indiretta, con platea e giuria esterne o senza platea e giuria presenti, pensando di essere adeguati o ben realizzati, concordemente con i criteri e i modelli comuni, ogni volta che si dà o ci si dà prova di riuscita e si forniscono prestazioni ad essi corrispondenti. Ci si abitua così a una autostima incassata, fatta propria a scatola chiusa, una stima affidata a altro che la giustifica, che la promuove e che la sostiene, senza vedere con i propri occhi, senza scoperta autonoma delle ragioni e senza stima di valore autonoma di ciò che si porta avanti e in cui ci si spende, spesso, quando si accetti di ascoltarsi attentamente, senza ricevere da dentro se stessi segnali di consenso e di sostegno intimo, senza concorde giudizio di tutto il proprio essere. Non è raro infatti che, a dispetto degli sforzi di ben figurare e di qualche, poca o tanta che sia, conferma ricevuta da fuori, l'autostima dentro di sè vacilli e non trovi conferma e conforto in stati d'animo che sembrano dire che non c'è fiducia salda, che non c'è dentro se stessi credo intimo e profondo circa il proprio valore. La parte intima e profonda del proprio essere non si fa persuadere dalle apparenze, non si fa incantare dalle convalide e dai tributi esterni, saggiamente vuole portare a vera e fondata autostima, affidabile, ben sostenuta e giustificata. E' un terreno questo dell'autostima decisivo e dove sono frequenti l'equivoco e l'illusione. Si ama credere infatti che nelle proprie realizzazioni e scelte ci sia mano propria indipendente e prova convincente di merito e di capacità personali, così come all'inverso ci si affanna e angustia a pensare di non essere all'altezza e ci si giudica incapaci di merito su prove e misure di capacità che si pensano scontate e indiscutibili, in ogni caso è ben nascosta e volentieri nascosta la dipendenza, è occultata la consapevolezza circa ciò che tira i fili di quelle scelte e di quelle aspirazioni, di quel fare e dei risultati che si sono voluti e che si vorrebbero perseguire, spesso definiti e regolati non autonomamente, ma da senso comune, da modelli e da idee prevalenti a cui ci si affida e da cui ci si fa portare. L'inconscio non per caso proprio su questo terreno fondamentale e decisivo interviene con insistenza e incisività, lo fa mettendo segnali nel sentire, lo fa mirabilmente attraverso i sogni, proprio per sfatare tesi e convincimenti infondati e mai verificati, per far vedere chiaro, per non celare il vero. La posta in gioco è grande, verità su se stessi e sull'impiego della propria vita. Vivendo affidati a guide e a conferme esterne ci si abitua a pensarsi, a valutarsi cercando appoggio e passando per lo sguardo altrui e comune. Non ci si conosce e spesso nulla di sè, che non sia ciò che è riconosciuto e riconoscibile da fuori, si conosce, nulla si costruisce che non sia risposta conforme a quanto promosso, guidato e regolato da fuori e spendibile sulla scena esterna, nulla si coltiva e si genera da sè, che abbia linfa e sostanza proprie e che perciò risulti ben riconoscibile ai propri occhi, che rappresenti davvero un valore di cui essere convintamente fieri e felici. Senza conoscenza di sè, rompendo i limiti e la trappola seduttiva di ciò che di se stessi è riconoscibile e apprezzabile da altri e da fuori, non c'è accesso, incontro e scoperta di ciò che di se stessi è più originale, di risorse e potenzialità umane a sè connaturate e che rischiano di rimanere ignote, non coltivate, sepolte. La parte profonda del proprio essere, l'inconscio spinge, da un lato per rendere tangibili e per far si che si prenda chiara visione dei propri modi di procedere abituali, spesso più regolati da fuori che da dentro se stessi, dall'altro per rendere finalmente riconoscibile ciò che è proprio e fedele a se stessi, per far sì che al suo sviluppo ci si appassioni, smettendo di consegnare il pregio e il senso della propria vita al dare prova, alla corsa per non sfigurare o per ben figurare, corsa tracciata da altro e che pretende altro da ciò che di proprio potrebbe essere scoperto, coltivato e fatto vivere. Non prende valore una vita svolta nelle guide pronte e rassicuranti di altro che dice il come e il quando di scelte e di impegni, di tappe e di traguardi da perseguire, nell'inseguimento di applausi e di convalide esterne. Non sa e non può alimentare autostima vera, affidabile e salda una simile ricerca del valore di sè e della propria vita come pagella e bel voto da farsi dare. L'autostima richiede riflessione e ricerca attente, ne va del cuore e del pregio della propria vita. Non è un caso che l'autostima sia spesso terreno di disagio e di sofferenza, tasto dolente, reso cocente dall'azione del profondo, ben consapevole che lì si gioca la verifica e la presa di coscienza del modo di condurre la propria vita, di come si pensa e si fa impiego di se stessi. Purtroppo la risposta più frequente, in presenza di autostima che vacilla e che stenta, è di chiudere la questione nel cerchio delle responsabilità da trovare e da imputare ad altro e ad altri, che non avrebbe dato sostegno, che avrebbe condizionato in negativo la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità e possibilità. Schiere di psicologi non si scostano da questo solco, da questo modo di leggere il disagio e sono pronti a dare manforte a simili elaborazioni. Non mancano i tentativi poi, attraverso tecniche e strategie varie, come se si fosse in presenza di un meccanismo che non funziona a dovere, di un atteggiamento sbagliato da correggere, di stimolare, di sostenere e addirittura di potenziare l'autostima, dove quel che conta è spingere verso la riuscita e la miglior prestazione secondo i criteri soliti e i traguardi altrettanto soliti e predesignati. Non per caso si tratta spesso di teorie e di tecniche di provenienza nord americana, dove la mentalità dominante, cui certo non siamo estranei, è spiccatamente quella che punta prima di tutto e su tutto alla riuscita nel verso del successo, della prestazione, della competizione in cui non essere mai lasciati indietro. Su queste basi si moltiplicano nuove figure professionali (counselor, mental coach), portatrici di promesse di pronto sostegno e rimedio, di suggerimenti, di tecniche all'ultimo grido e di soluzioni per risollevare e per accrescere l'autostima, in apparenza foriere di benefici e di buoni e appetibili risultati, in realtà capaci solo di allontanare dalla presa di coscienza che sul terreno dell'autostima non è in gioco un deficit da sanare o la necessità di una possibile nuova leva di pronto benessere, di riuscita personale dentro la solita corsa e rincorsa, ma ben altro. La ricerca a testa bassa e a senso unico nel verso del rimedio e della correzione della sfiducia nel proprio valore e capacità di riuscita, ignora e neppure lontanamente intende che il tasto dolente e la spina nel fianco patita sul terreno dell'autostima non è una anomalia conseguente a cattiva impostazione, a condizionamenti negativi, a traumi subiti, a errori cognitivi o a altri accidenti simili, ma che prima di tutto nasce dall'iniziativa, tutt'altro che insana o scriteriata, del profondo dell'individuo, perchè questi cerchi non una rassicurazione o un allenamento da palestra per credere di più nelle proprie capacità di prestazione, ma ben altro, come ho cercato di chiarire. Si tratta di non essere miopi e di saper intendere la natura del problema dell'autostima e della posta in gioco. Non ci si può porre come vittime di un torto ricevuto dove l'autostima sia intimamente sofferta, non c'è da rivendicare nulla come se dovesse esserci ben altro dentro se stessi e a propria immediata disposizione. L'autostima non può essere un diritto da rivendicare, non è un requisito gratuito e garantito da possedere a priori e a prescindere dall'averne o meno compreso il significato, dall'averne o meno coltivato e creato le basi e fatto conquista. Non può esserci autostima se non ha al proprio vaglio valide basi, se non c'è stata, a darle fondamento, autonoma creazione di pensiero, scoperta in accordo e in intesa con la propria interiorità e perseguimento con tutte le proprie forze di scopi fedeli a sè, crescita personale autentica. Questo soltanto può sostenere e alimentare autostima salda e su cui tutto il proprio essere concorda, autostima che non ha bisogno e necessità vitale, per stare in piedi, di apprezzamento e di convalida esterna, perchè generata e nutrita da sè, perchè con fondamento vero.
mercoledì 6 settembre 2023
Lo scopo non è il sollievo, ma il pensiero
Di fronte alla crisi, alla sofferenza interiore, la risposta data da chi la vive e spesso da chi si propone di offrire aiuto punta abitualmente alla ricerca del sollievo. La crisi e quanto si mobilita interiormente e non per caso, non per effetto di un guasto, ma per precisa volontà profonda, vuole indurre a aprire lo sguardo su di sè, a portare l'attenzione abitualmente rivolta all'esterno al dentro, a porsi in atteggiamento riflessivo, a aprire una non certo sbrigativa, vista la posta in gioco e la materia coinvolta, la conoscenza di se stessi e del vero della propria condizione, fase di riflessione, un tempo di impegno di ricerca, in cui ci sia mobilitazione di ogni energia per capire, per capirsi. Lo scopo è l'esercizio del pensiero, non per agire, per operare, per trovare soluzioni e adattamenti a situazioni concrete e contingenti o per arrangiare una spiegazione di tipo razionale, ma per vedere dentro se stessi e la propria esperienza, per cogliere il senso, rompendo con luoghi comuni, con spiegazioni di superficie o con vere e proprie omissioni di sguardo e di attenzione. Insomma c'è da impegnarsi per dare risposta a ciò che interiormente interroga la propria vita, il proprio modo di interpretarla e di condurla. E' giunto il tempo. L'interiorità, con il malessere interiore, non dà segnali di logorio e di cattivo funzionamento, nemmeno segnala il costo e le conseguenze della esposizione o del sovraccarico di fattori nocivi. Che si chiami in causa lo stress o si punti il dito contro altro o altri più definito cui imputare la responsabilità di tutto il proprio disagio, la tesi vittimistica è comunque prevalente, tesi tanto confortante e comoda, quanto fuorviante e di intralcio alla conoscenza di se stessi e alla crescita personale. L'interiorità in realtà, attraverso il malessere, che esercita così forte presa, che non può essere ignorato, chiama a raccolta la propria attenzione e interesse per capire cosa di sè è stato finora dato per scontato e che invece ora è da dentro se stessi richiesto di chiarire, di conoscere senza approssimazione e soprattutto senza distorsioni, cercando con onestà e coraggio, senza veli, senza costruzioni di comodo, frutto di acrobazie o di sofismi del ragionamento, la verità di se stessi e del proprio modo di procedere. Il profondo è pronto a dare guida e sostegno alla ricerca del vero, fornendo attraverso il sentire la base e il terreno vivo, il più sincero e affidabile, per vedere e capire e attraverso i sogni le guide di ricerca più appropriate e consone. Il malessere interiore, anche nelle sue espressioni più difficili e sofferte, non è una minaccia ostile, non è il segno di una pericolosa fuoriuscita dal sano, ma è un richiamo che viene da parte di sè intima e profonda, è una voce e una traccia viva, mai casuale o insensata, per cominciare a aprire gli occhi, per avvicinarsi a sè, alla consapevolezza del vero, per non essere ignari e lontani da sè, portati da illusioni, guidati e regolati più da idee e da principi comuni che da visione propria e da fedeltà a se stessi. Si tratta di imparare a entrare in rapporto aperto e fiducioso e a intendere il linguaggio della propria interiorità, aiutati in questo da chi abbia capacità di offrire questo aiuto. Chi vive un'esperienza di sofferenza interiore tende però a considerarsi sovraccaricato di peso indebito, si vede vittima e bisognoso di essere sollevato, in diritto di vedere alleviata la propria pena e non è raro che trovi conferma in questo modo di considerarsi nei pareri di chi gli sta attorno e pure nelle proposte d'aiuto di terapeuti vari. E' ben lontano spesso dal voler fare proprio l'impegno di ricerca, dall'intendere che ciò che sta vivendo non è l'effetto di volontà nemica o la conseguenza di qualche malaugurato e casomai remoto trauma (al riguardo non mancano di certo teorie psicologiche e pratiche psicoterapeutiche che contribuiscono a dare credito a simili tesi) che l'avrebbe segnato fino ad oggi, dell'oppressione e della mortificazione provocate da qualche accidente e fattore nocivo esterno, ma è l'espressione di una forte e chiara presa di posizione della sua parte profonda, che non vuole tacere e che vuole porre al primo posto la ricerca, la riflessione su di sè, il lavoro necessario per non procedere senza guida propria, senza cognizione, senza intesa e accordo con la totalità di se stesso. E' soltanto il pensiero, non quello sterile costruito razionalmente, ma quello autenticamente riflessivo, che raccoglie, ascolta e sa vedere ciò che il proprio sentire dice, svolto con pazienza e tenacia, ispirato e reso fecondo dall'iniziativa interiore, che è capace di trasformare il proprio essere e la propria visione, di alimentare la propria crescita personale, di rendere capaci di generare idee e scoperte di valore originali, profondamente sentite e comprese e non di imitare e assecondare tesi e modelli prevalenti, di rendere salda l'unità col proprio intimo, di essere la leva indispensabile di una nuova e davvero autonoma capacità di decidere e di procedere fedelmente a se stessi. Il sollievo, invocato come il miglior beneficio, viceversa lascia tutto intatto com'era, conferma e rafforza soltanto la disunione, il distacco e la fuga dalla propria interiorità e da ciò che propone, non di certo inopportuno o dannoso.
sabato 2 settembre 2023
Senza il contributo e la guida dell'inconscio non si va da nessuna parte.
Senza rapporto, aperto e dialogico, con la
propria interiorità, senza il contributo e la guida dell'inconscio, non si va
da nessuna parte, non si rompe il vincolo di dipendenza da tutto ciò che,
organizzato e strutturato nella realtà esterna e concepito nel pensato comune,
nei modi consolidati di intendere la realizzazione e la crescita personale, di
definire ciò che ha valore e gli scopi da perseguire, offre già pronta ogni
risposta e possibile soluzione e nello stesso tempo, però, rende scontati i
traguardi da raggiungere e disciplina i percorsi da seguire. Senza unità con il
proprio intimo, senza guida interiore non c'è possibilità di affrancarsi da
questa dipendenza, di accedere alla conoscenza di se stessi e al vero della
propria condizione, di scoprire le proprie originali risorse e potenzialità, di
comprendere autonomamente significati e di arrivare alla consapevolezza di ciò
che ha davvero valore per sè e che merita di essere coltivato e perseguito, non
emulando i modelli comuni, non ricevendo istruzioni e convalida da fuori, ma fondando
la conoscenza e la capacità di scelta su propria intima esperienza e su
esercizio del proprio sguardo. Solo le scoperte di significato e di valore
così generate, non certo in un attimo, ma dentro un prolungato e fitto scambio
e ascolto della propria interiorità, sono capaci di dare fondamento e alimento
allo sviluppo della propria autonomia, alla conquista della libertà e della
capacità di fondare su di sè, su propria ricerca e presa di coscienza, le
proprie scelte e prima di tutto il proprio pensiero. Solo l’inconscio sa
guidare e sostenere, alimentare una simile crescita di individui veramente
autonomi e capaci di condurre la propria vita fedelmente a se stessi. Fare leva
e affidamento, come solitamente si fa, in modo unilaterale sulle capacità del
pensiero razionale, scisso, non connesso e non orientato dal profondo, comporta
rimanere intrappolati, inglobati in una visione a senso unico, significa non
avvicinarsi a sè e al vero della propria condizione, significa riprodurre e
stare dentro le trame di un pensiero che riconosce solo ciò che è sancito dalle
idee e dal concepito comune, che, anche quando si tenti in qualche modo di
contrastare o di mettere in discussione, fa sì che in ogni caso ad esso ci si
appoggi e ci si riferisca, che si rimanga comunque dentro il suo recinto. La
mente razionale, anche quando si crede capace di produrre visione nuova e
cambiamenti, non fa che stare dentro e ricombinare idee e attribuzioni di
significato assorbite e apprese, di cui è fruitrice
dipendente, significati e definizioni date per scontate, prese in prestito
e non generate, non tratte e comprese da intima esperienza. La mente razionale
e chi ci si affida è tutt'altro che insensibile alla presa dell'esterno e in
ciò che elabora ha spesso, se non sempre, di mira che ciò che produce sia ben
considerato, che riceva apprezzamento da altri, dall'autorità e dalla giuria
esterna. La mente razionale e chi ci si affida è dentro vincoli che non
riconosce e che è abile nell'occultare e camuffare, procurando a se stesso l’illusione
di pensare e di agire autonomamente. Solo l'inconscio sa liberare da una simile
dipendenza, rendendola prima di tutto visibile, riconoscibile, portando sempre
e tenendo lo sguardo fermo su se stessi, sulla propria esperienza, aprendo
percorsi di ricerca finalmente originali, capaci di non nascondersi nulla,
percorsi corrispondenti alla propria realtà e alle proprie vere necessità di
crescita. Solo l'inconscio ha capacità di generare, di stimolare, di
coinvolgere profondamente e totalmente, se corrisposto, di far appassionare a
coltivare e a far nascere da se stessi ciò che altrimenti, come sostituto e surrogato,
è fatale cercare fuori dove ci sono, ben considerati e caricati di stima comune
e di valore, gli esempi, i modelli e le risposte già pronte da seguire, da fare
proprie. Il problema è che queste risposte non hanno attinenza con sè, anzi
mettono, ancor prima di scoprirle, in soffitta le proprie vere ragioni
d'esistenza, il proprio autentico pensiero, il proprio progetto, accantonati
prima di scoprirli, di conoscerli, sommersi. Non è conseguenza di poco peso,
perchè significa vivere per ciò e di ciò che non corrisponde a se stessi,
confortati solo dall'approvazione esterna, non certo da quella intima,
profonda, che tutt'altro, autenticamente proprio, vuole spingere a formare, a
sviluppare. Vissuti, stati d’animo, considerati fastidiosi e fuori luogo, che
siano ansia, paura e senso di fragilità, sensazione dolorosa di peso e di
oppressione interiore, di infelicità o altro, non graditi e giudicati solo un
disturbo o un segno di inadeguatezza e di incapacità di sostenere validamente
la propria vita, sono in realtà spine nel fianco e richiami che la parte
profonda del proprio essere esercita per far sì che si prenda consapevolezza
della natura a sé estranea e dipendente del proprio modo di procedere, della
sua insostenibilità, che chiede verifica e presa di coscienza, esigenza che l’inconscio
vuole abbia la precedenza rispetto all’andare avanti comunque, al non perdere
il passo con pretese di riuscita. Se, come troppo spesso accade, anche quando
si provi a svolgere un lavoro su se stessi, si rimane confinati e aggrappati
alla parte conscia razionale, se le si dà la funzione guida, se in questo modo
si permane scissi e amputati nel proprio essere, privi dell'apporto
fondamentale di una parte vitale e fondamentale di se stessi come è
l'inconscio, ci si destina a prolungare e a rafforzare la dipendenza da ciò che
da fuori offre risposte e che, nello stesso tempo, regola e disciplina ogni
possibile espressione e sviluppo di sé, a non capire cosa si sta in realtà
facendo di se stessi. Se si insiste nel dare primato e egemonia alla mente
conscia, si prolunga e si rafforza la non intesa col proprio profondo, si
persiste nel non capire i segnali che arrivano dalla propria interiorità, nel
non intendere il senso vero e originale di ciò che propone il proprio sentire,
di tutto ciò che accade nel corso della propria esperienza e vicenda interiore.
La mente conscia pretende di spiegare, di interpretare, di dirla sul conto del
sentire e delle vicende interiori, compiendo, senza prenderne consapevolezza e
riconoscersene la responsabilità, non poche forzature e distorsioni. La prima
distorsione compiuta nel rapporto col proprio sentire, con i propri vissuti è
di mettere in campo subito la distinzione e la implicita contrapposizione tra
ciò che è ritenuto normale e valido e ciò che in automatico, seguendo giudizio
comune, è considerato anomalo, difettoso, segno di disturbo, di cattivo
funzionamento, tra ciò che pregiudizialmente è considerato sano, positivo e a
sè favorevole e ciò che, sempre in automatico, senza apertura riflessiva,
capace di riconoscere ciò che il proprio sentire sta dicendo e mettendo in
risalto, è considerato dannoso, negativo, sfavorevole. A partire da qui, da
questa distinzione, del tutto arbitraria e preconcetta, sul conto del proprio
sentire, si passa in genere, quando alle prese con vissuti difficili e
dolorosi, a cercarne le cause, dando per scontato che si tratti di disturbo e
di anomalia da combattere e superare, vedendo sempre se stessi come vittime di
un che di nocivo, di svantaggioso, di penalizzante. Da qui il tentativo di
correggere le cose adottando soluzioni che vorrebbero rendere il cammino non
intralciato da ostacoli, spedito e efficiente nella corsa solita. E' una corsa
in cui ciò che vale e che è da perseguire è già fissato e è tenuto in piedi e
in auge, incoraggiato e avvalorato da idee e da modelli comuni e prevalenti, da
tutto un sistema ideologico e organizzato che, casomai pretendendo di essere la
voce della scienza, offre tutte le spiegazioni e fornisce le risposte e
soluzioni per tenere a bada e liberarsi di presunte patologie e disturbi, di
disagi che andrebbero tolti di mezzo e superati, per rinfilarsi e non perdere
terreno su percorsi ben segnati di presunta realizzazione e benessere. Nulla di
compreso da sè e in unità con se stessi, in unità con la propria interiorità,
su base e fondamento di comprensione di ciò che la propria esperienza dice,
testimonia, porta a conoscere come vero. La propria esperienza interiore, che
vuole dare basi fondate e vere, non inventate e manipolate, di conoscenza è
liquidata e fraintesa, vagliata con filtro di giudizi, di preconcetti che
vogliono che tutto giri in un’unica direzione, quella considerata valida e
normale, che subordinano ciò che si sente alla pretesa che le sia
corrispondente. Intervenire su se stessi in questo modo, a partire e ribadendo
uno stato di disunione, di incapacità di rispetto, di ascolto e di comprensione
del proprio profondo, comporta rimanere intrappolati in una visione infedele,
lontanissima dalla scoperta del vero di se stessi, significa continuare a
farsi condurre da altro, che detta il pensiero, anche se con l'illusione di
essere artefici e pensanti in proprio, anche se con l'illusione di aver capito,
di aver preso coscienza e di aver cambiato le cose in meglio. Tante
psicoterapie, che promettono di offrire rimedio al malessere, di spiegarne le
cause, di sbloccare condizioni che parrebbero di intoppo e di ostacolo alle
proprie necessità e possibilità di esprimersi al meglio, di perseguire i propri
scopi, finiscono, proprio perchè incapaci di dare ascolto e di mettere in primo
piano la proposta interiore, di riconoscere la funzione fondamentale, il ruolo
guida dell'inconscio, per rendersi funzionali allo scopo di confermare i
vincoli e i modi di procedere abituali, di non riconoscerli e di non
intaccarli alla radice, di produrre soltanto pseudo cambiamenti. In assenza di
un rapporto col profondo, in presenza di una incomprensione del senso di tutto
ciò che si svolge interiormente e che, ben lungi dall’essere un meccanismo che
va incontro a guasti, mira sempre in modo acuto e intelligente, anche nelle sue
espressioni più difficile e disagevoli, a toccare punti cruciali, a aprire
momenti riflessivi per vedere chiaro nel proprio modo di procedere, in ciò che
si cerca, nei vincoli e legami che si tengono in piedi, si finisce per
stravolgere a proprio danno tutto, per far diventare, in aderenza a stereotipi
e a giudizi comuni, segno di anomalia da correggere ciò che una parte,
tutt’altro che scriteriata, del proprio essere ha capacità di dire e di dare a
se stessi per capirsi. Sono distorsioni gravi, legate a mancanza di legame e di
capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità, sostituiti da
ricerca di legame e di intesa con altro, cui è stato dato il compito di essere
il fulcro della propria esistenza. La lontananza dalla parte intima e profonda
di sè ha nel tempo reso decisivi e forti i vincoli di dipendenza da modelli e
da guide esterne, da giudizi altrui e da autorità esterna, vincoli che, pur
risultando in alcuni momenti opprimenti e limitanti, non semplicemente si sono
subiti e si subiscono, ma, per responsabilità e iniziativa proprie, si sono
riprodotti e consolidati per trarne sostegno, per farsi dire e indirizzare, per
farsi riconoscere e convalidare come capaci e dotati di valore. Il riferimento
e l’appoggio dipendente all’autorità esterna è presente anche quando, per darsi
illusorio senso di libertà e di capacità critica, la si contesta, sempre
ricacciando tutta la responsabilità su altro, su altri. In simili condizioni,
quando non si apra sguardo riflessivo su di sé, sguardo capace di non oscurare
nessuna responsabilità propria, di sostenere ricerca e presa di visione attenta
e corrispondente in modo fedele ai dati della propria esperienza, come
l’inconscio sa spingere e aiutare a fare, ogni elaborazione di pensiero e ogni
iniziativa, volte a affermare la propria libertà e capacità di
cambiamento, che lascino intoccata e inesplorata la verità di se stessi, non
possono che risultare illusorie. L'inconscio sa dare attraverso il sentire e
attraverso tutto ciò che muove sul piano interiore (tutte le espressioni della
vita interiore sono animate e regolate dall'inconscio), oltre che attraverso il
faro dei sogni, tutte le tracce, le guide, i punti vivi e saldi su cui lavorare
per aprire gli occhi su se stessi e sulla propria realtà vera. Senza l'unità
dialogica con l'inconscio, senza fare proprio il suo contributo non si può che
restare intrappolati dentro una trama di pensieri che, in automatico e
irriflessivamente, cioè senza che se ne prenda visione e consapevolezza,
riproducono passivamente il senso e il pensato comune e prevalente, che
pretendono di dire e di chiarire senza aver cognizione di cosa davvero
significhi e dia fondamento a ciò che si sta affermando. Sono percorsi e
combinazioni di pensieri, che spesso servono più a eludere o mistificare la
conoscenza di se stessi, a formare alibi e spiegazioni di comodo, che a darle
cristallina forma. Senza i sogni, autentico laboratorio di pensiero proprio e
strettamente aderente al proprio, fonte di conoscenza non inventata o
congegnata con i ragionamenti, ma illuminante il vero insito nella propria
esperienza, non si esce dal labirinto delle idee solite e ricorrenti, senza
fondamento. Senza i sogni, motore e alimento di pensiero riflessivo, che sa
vedere dentro il vivo dell'esperienza, non si può che mettere in piedi
spiegazioni artificiali e che fanno sempre il verso a schemi, a attribuzioni di
significato, a modelli e a idee prese da fuori, prese per buone e riprodotte,
spiantate, senza relazione col vivo di se stessi, spiegazioni che paiono
coerenti, che danno l'illusione di essere attivi e attori di conoscenza, ma che
non hanno radice viva, che non portano certo alla conoscenza di se stessi. Non
portano a generare scoperte di significato e di valore capaci di fornire
l'orientamento, la bussola per comprendere ciò che davvero è importante per sè
e che è possibile far vivere e perseguire, di far nascere persuasione e di
accendere dentro di sè passione che rendono capaci di aprire percorsi propri,
di perseguire traguardi in cui si crede davvero e autonomamente,
senza supporto e convalida di altro e di altri che li declamano e li
esaltano come desiderabili e importanti. Separati in casa, scissi e lontani,
pur se così vicina, dalla propria componente viva interiore, che è essenziale
per formare visione propria, per costruire la propria autonoma visione e
pensiero, è fatale che tutto giri attorno all'esterno, a ciò che la cosiddetta
realtà esterna dice, mostra, regola e propone. Una cosa è imparare a vedere con
i propri occhi, pensare di pensiero proprio e fondato su intima esperienza e
presa di coscienza, altra cosa è l'illusione di vedere stando però dentro la
matrice di un pensiero e di una visione data e presa in prestito. Non faccio
mai citazioni, per non inibire il pensiero originale, per non incoraggiare la
tendenza a metterlo in appoggio e al seguito di altro, che rischia di
sostituirlo, ma mi viene da ricordare quanto proposto dal film matrix, capace
di ritrarre l'illusorietà di vedere da sè, inseriti invece nel circuito
chiuso di una visione data. Fallendo la ricerca e la scoperta del vero e la
capacità di dare vita e seguito al proprio pensiero originale, come stimolato
dall'inconscio, si finirà fatalmente per far persistere la divergenza dal
proprio profondo, che non cesserà di premere interiormente e di far sentire il
suo disaccordo. E' in gioco il riscatto della propria vita, che se risolta
nell'andare dietro passivamente a ciò che preso a guida da fuori la dirige,
chiude all'intelligenza propria, alla libertà di mettere al mondo il proprio.
Non certo bazzecole. L'inconscio è la parte profonda di noi stessi che difende
le ragioni della nostra esistenza, che non vuole restino sepolte e sostituite
da pseudo vita, che non accetta l'inconsapevolezza del vero. Di qui il fatto
che l'inconscio non desiste dal tenere vivo il problema, anche quando ci si sia
convinti di aver provveduto a darsi risposta e rimedio valido. E' la storia
frequente delle crisi che nel tempo, pur dopo cure e psicoterapie varie, si
ripetono. L'inconscio non cessa certo di sollevare il problema, riapre la crisi
e non certo per fare danno. In questi casi si parlerà facilmente di ricadute di
malattia, non capendo ormai nulla di ciò che accade nel rapporto con la propria
interiorità, cui ancora non si saprà dare riconoscimento di valore, di cui
ancora non si comprenderà la funzione guida e essenziale. Senza il contributo e
la guida dell'inconscio, senza l'accordo di visione e di intenti con la parte
profonda di se stessi, non si va da nessuna parte, si rimane invischiati nel
giro di ciò che è considerato normale, che altro non è che un supporto e un
programma a pronto uso da seguire e riprodurre per chi abbia rinunciato a far nascere
e crescere, in piena unità con la propria interiorità, visione e pensiero
propri.
mercoledì 9 agosto 2023
Il rapporto con la vita interiore
Il rapporto con se stessi, con la parte di sè che si esprime nel sentire e che si manifesta in tutto ciò che si svolge interiormente, vede la maggior parte degli individui in difficoltà, impreparati a intendere il significato della loro vita interiore, a comprenderne i modi e il linguaggio. Abituati a trattare fatti e situazioni concrete, a fare uso di un pensiero razionale che serve a gestire e a spiegare la logica degli eventi esterni, si è invece privi di familiarità e di capacità di comprendere le vicende e le situazioni che si incontrano nel proprio intimo. Applicare il pensiero razionale alle proprie esperienze interiori, cosa che, non disponendo d'altro, accade quasi fatalmente, esercitare spiegazioni ragionate sul proprio sentire produce solo malintesi e distorsioni, rischi di gravi incomprensioni, non senza conseguenze rilevanti. La lettura più frequente di ciò che le proprie emozioni e stati d'animo propongono è di considerarle una reazione condizionata e segnata da questo o da quello stimolo esterno, dal legame con questa o con quella situazione. Ben lungi dall'essere automatico e condizionato, dal dipendere e dal gravitare sempre attorno al legame con l'esterno, quanto c'è di autonomo e di propositivo, di rivolto alla ricerca su se stessi e alla crescita personale, in tutto ciò che insorge interiormente, che il profondo sapientemente regola e dirige, è in genere incompreso. Rispetto al sentire e a tutto il corso della vicenda interiore la risposta e l'atteggiamento più frequenti non sono di apertura e di ascolto attento, espressioni di una capacità di rapporto con la propria interiorità rispettoso e maturo, ma di preteso controllo e selezione. Se l'emozione risulta gradita e se appare consona alla logica convenzionale, che vuole stabilire cosa sia congruo nel sentire, cosa si debba o sia "normale" provare, che sia, per fare qualche esempio, gioia o dispiacere, che sia sicurezza o timore, tutto viene accolto con favore. Viceversa se il sentire si declina diversamente, il sospetto di non essere a norma e ben formati e maturamente evoluti comincia a farsi strada. Se poi l'insorgere delle emozioni e dei vissuti pare decisamente scollegato dalla pretesa regola di normalità e non mostra apparente ragione d'essere, se pare fuori luogo o esagerato o abnorme, ecco che la reazione diventa preoccupata e incline presto a considerare l'esperienza interiore come strana, come anomala, come segno di un cattivo andamento, chissà per quale difetto di funzionamento o di lacuna di crescita personale. L'interiorità non ha cura di disciplinarsi alla presunta normalità, l'interiorità è la parte dell'essere che, con autonomia e intelligenza, proprio attraverso il sentire, attraverso emozioni, stati d'animo e ogni movimento e spinta che produce nell'intimo, vuole segnalare il vero, dare base e terreno vivo di ricerca per stimolare, per far sviluppare capacità di visione propria, per alimentare processi di presa di coscienza e di crescita originali e non all'insegna del dare prova di essere bravi secondo il giudizio e il plauso generali, adeguati e conformi a modelli e a idee comuni e prevalenti. Purtroppo ai più è ignoto il significato e il valore della propria vita interiore. Ai più manca capacità di ascolto, di lettura fedele di ciò che la loro esperienza interiore vuole far comprendere. La razionalità, il pensiero ragionato utilizzato in genere per spiegare ciò che si prova, riconducendo tutto a ragioni, riferimenti e schemi soliti, si traduce in un parlare sopra il sentire, senza propensione e capacità di ascoltarlo, di farsi dire e guidare a prendere visione di ciò che l'intima esperienza vuole toccare e evidenziare. L'idea, l'immagine di sè di molti è d'altra parte tutta centrata sulla parte conscia razionale, sul binomio di ferro di ragione e volontà. Il resto del proprio essere, che sta al di là della cosiddetta coscienza, è considerato un'appendice minore e meno evoluta, perciò inaffidabile e da tenere possibilmente sotto controllo perchè non intralci e non faccia danni al rendimento voluto. Semmai alla propria parte cosiddetta irrazionale si può concedere il compito di essere, in particolari momenti e situazioni e a certe condizioni, sfogo di sensazioni più o meno liberatorie, come quel lasciarsi andare, di cui spesso si dice e che in particolari condizioni pare desiderabile, come scarico liberatorio di responsabilità e svincolo da obblighi, come allentamento di freni per concedersi qualche licenza o vacanza di benefica evasione o di eccitante godimento. La vita interiore è ben altro e la propria interiorità possiede ben altra capacità e intelligenza, di cui però non si sa spesso nulla e di cui si ignora completamente la forza, lo spessore e l'affidabilità. Trattare le emozioni come oggetto, che va d'abitudine tenuto sotto controllo e regolato e che, a tratti e in separata sede, può essere liberato e scaricato, per trarne qualche soddisfazione o appagamento, è frutto dell'incomprensione del grado di intelligenza e della portata della proposta interiore, di ciò di cui il sentire spontaneo e originale è capace. La parte interiore e profonda del proprio essere interviene di continuo attraverso il sentire, quello vero e non manipolato o in qualche modo caricato o artefatto, con l'intento e la capacità di sostenere la presa di visione personale su se stessi e sui nodi della propria vita, la costruzione di pensiero proprio, la conquista di capacità di autogoverno. La parte conscia malgrado la sua presunzione gira spesso a vuoto, va dietro e ha come autorità regolatrice il giudizio comune, ha come aspirazione massima ben figurare. Nulla a che fare con l'aspirazione del profondo che vuole alimentare vita vera, vita propria.