Il rapporto con se stessi, con la parte di sè che si esprime nel sentire e che si manifesta in tutto ciò che si svolge interiormente, vede la maggior parte degli individui in difficoltà, impreparati a intendere il significato della loro vita interiore, a comprenderne i modi e il linguaggio. Abituati a trattare fatti e situazioni concrete, a fare uso di un pensiero razionale che serve a gestire e a spiegare la logica degli eventi esterni, si è invece privi di familiarità e di capacità di comprendere le vicende e le situazioni che si incontrano nel proprio intimo. Applicare il pensiero razionale alle proprie esperienze interiori, cosa che, non disponendo d'altro, accade quasi fatalmente, esercitare spiegazioni ragionate sul proprio sentire produce solo malintesi e distorsioni, rischi di gravi incomprensioni, non senza conseguenze rilevanti. La lettura più frequente di ciò che le proprie emozioni e stati d'animo propongono è di considerarle una reazione condizionata e segnata da questo o da quello stimolo esterno, dal legame con questa o con quella situazione. Ben lungi dall'essere automatico e condizionato, dal dipendere e dal gravitare sempre attorno al legame con l'esterno, quanto c'è di autonomo e di propositivo, di rivolto alla ricerca su se stessi e alla crescita personale, in tutto ciò che insorge interiormente, che il profondo sapientemente regola e dirige, è in genere incompreso. Rispetto al sentire e a tutto il corso della vicenda interiore la risposta e l'atteggiamento più frequenti non sono di apertura e di ascolto attento, espressioni di una capacità di rapporto con la propria interiorità rispettoso e maturo, ma di preteso controllo e selezione. Se l'emozione risulta gradita e se appare consona alla logica convenzionale, che vuole stabilire cosa sia congruo nel sentire, cosa si debba o sia "normale" provare, che sia, per fare qualche esempio, gioia o dispiacere, che sia sicurezza o timore, tutto viene accolto con favore. Viceversa se il sentire si declina diversamente, il sospetto di non essere a norma e ben formati e maturamente evoluti comincia a farsi strada. Se poi l'insorgere delle emozioni e dei vissuti pare decisamente scollegato dalla pretesa regola di normalità e non mostra apparente ragione d'essere, se pare fuori luogo o esagerato o abnorme, ecco che la reazione diventa preoccupata e incline presto a considerare l'esperienza interiore come strana, come anomala, come segno di un cattivo andamento, chissà per quale difetto di funzionamento o di lacuna di crescita personale. L'interiorità non ha cura di disciplinarsi alla presunta normalità, l'interiorità è la parte dell'essere che, con autonomia e intelligenza, proprio attraverso il sentire, attraverso emozioni, stati d'animo e ogni movimento e spinta che produce nell'intimo, vuole segnalare il vero, dare base e terreno vivo di ricerca per stimolare, per far sviluppare capacità di visione propria, per alimentare processi di presa di coscienza e di crescita originali e non all'insegna del dare prova di essere bravi secondo il giudizio e il plauso generali, adeguati e conformi a modelli e a idee comuni e prevalenti. Purtroppo ai più è ignoto il significato e il valore della propria vita interiore. Ai più manca capacità di ascolto, di lettura fedele di ciò che la loro esperienza interiore vuole far comprendere. La razionalità, il pensiero ragionato utilizzato in genere per spiegare ciò che si prova, riconducendo tutto a ragioni, riferimenti e schemi soliti, si traduce in un parlare sopra il sentire, senza propensione e capacità di ascoltarlo, di farsi dire e guidare a prendere visione di ciò che l'intima esperienza vuole toccare e evidenziare. L'idea, l'immagine di sè di molti è d'altra parte tutta centrata sulla parte conscia razionale, sul binomio di ferro di ragione e volontà. Il resto del proprio essere, che sta al di là della cosiddetta coscienza, è considerato un'appendice minore e meno evoluta, perciò inaffidabile e da tenere possibilmente sotto controllo perchè non intralci e non faccia danni al rendimento voluto. Semmai alla propria parte cosiddetta irrazionale si può concedere il compito di essere, in particolari momenti e situazioni e a certe condizioni, sfogo di sensazioni più o meno liberatorie, come quel lasciarsi andare, di cui spesso si dice e che in particolari condizioni pare desiderabile, come scarico liberatorio di responsabilità e svincolo da obblighi, come allentamento di freni per concedersi qualche licenza o vacanza di benefica evasione o di eccitante godimento. La vita interiore è ben altro e la propria interiorità possiede ben altra capacità e intelligenza, di cui però non si sa spesso nulla e di cui si ignora completamente la forza, lo spessore e l'affidabilità. Trattare le emozioni come oggetto, che va d'abitudine tenuto sotto controllo e regolato e che, a tratti e in separata sede, può essere liberato e scaricato, per trarne qualche soddisfazione o appagamento, è frutto dell'incomprensione del grado di intelligenza e della portata della proposta interiore, di ciò di cui il sentire spontaneo e originale è capace. La parte interiore e profonda del proprio essere interviene di continuo attraverso il sentire, quello vero e non manipolato o in qualche modo caricato o artefatto, con l'intento e la capacità di sostenere la presa di visione personale su se stessi e sui nodi della propria vita, la costruzione di pensiero proprio, la conquista di capacità di autogoverno. La parte conscia malgrado la sua presunzione gira spesso a vuoto, va dietro e ha come autorità regolatrice il giudizio comune, ha come aspirazione massima ben figurare. Nulla a che fare con l'aspirazione del profondo che vuole alimentare vita vera, vita propria.
mercoledì 9 agosto 2023
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