E' sorprendente come risulti gradita e ben
considerata da parte di chi vive un'esperienza di disagio e di sofferenza
interiore l'operazione di vedersi attribuire un'etichetta riconosciuta come
atto di scienza. Pare risolvere ogni dubbio circa il significato di ciò che sta
provando, di cui sta facendo intima esperienza. Fatta equivalere alla diagnosi
in medicina sembra dare a chi la riceve certezze, la certezza di sapere da
quale presunto morbo sarebbe afflitto, in qualche modo traendo conforto, nel
tribolato confronto con la sua esperienza interiore difficile e sofferta, dalla
possibilità, vidimata, certificata dalla diagnosi dell'esperto, di incasellarla
come disturbo e come guasto, di stigmatizzarla come accidente e carico negativo
di cui, dopo l'etichettamento diagnostico, con più persuasione considerarsi
vittima e volersi liberare. L'etichetta diagnostica pare offrire un ulteriore
vantaggio, perchè ritenere di aver comune sorte con altri, pur essi inseriti
nella stessa casella della stessa presunta patologia, sembra in qualche modo
dare rassicurazione e rincuorare. La delega a altri di sancire da esperto o
presunto tale cosa sia ciò che l'individuo sta vivendo nell'intimo è il primo
passo di una delega più ampia fatta al terapeuta diagnosta, di prendersi cura
di sè esercitando un ruolo di arbitro nel dire come provvedere, che farmaci o
soluzioni adottare. Tutto questo, la presa di distanza dal proprio che vive
dentro se stesso, il disimpegno dal difficile confronto con la propria vicenda
interiore, dal compito di capire se stesso nella parte intima e profonda, di
comprendere ciò che la propria interiorità attraverso il malessere vuole
comunicare e far intendere, sembra dare sollievo, garantire un vantaggio,
sembra un modo valido e favorevole di prendersi cura di sè. La possibilità di
scarico di ciò che interiormente impegnativo e che già in partenza, prima
dell'incasellamento diagnostico, era considerato un guasto e una presenza
molesta, ora è confortata, autorizzata e incentivata dalla scienza, da chi ne
sarebbe esponente e depositario, che autorizza a rigettare come patologia ciò
che di sè è difficile da sostenere e da comprendere. In presenza di una
esperienza interiore certamente sofferta e all'inizio di difficile
comprensione, sarebbe importantissimo essere aiutati a avvicinarla, a
ascoltarla e a capirla in ciò che dice. Dopo l'etichettamento come patologia
tal dei tali l'auspicio viceversa è soltanto di metterla a tacere, di
combatterla e di debellarla. L'operazione diagnostica di incasellamento di una
complessa e personalissima esperienza interiore in una categoria o casella del
patologico anche se comporta la conseguenza, non certo lieve, di affossare ogni
fiducia in ciò che vive dentro se stessi anche se in una forma così insolita e
difficile da reggere, è però tutt'altro che sgradita, anzi è riverita e
accreditata come capace, oltre che di riaprire una possibilità di salvezza, di spiegare tutto, di definire, di fare
chiarezza. Magia delle parole di sapore tecnico che illudono che ci sia scienza
e conoscenza dove invece scatta solo un'operazione di grossolana descrizione
delle apparenze, sostenuta da pregiudiziale distinzione tra ciò che è ritenuto
valido, accettabile e normale e ciò che invece è, senza ombra di dubbio,
collocato nella serie delle cose anomale, devianti dalla norma, diligentemente
distinte e catalogate in varie caselle diagnostico descrittive. Capire se
stessi, scoprire che nulla di ciò che si prova è insensato e privo di capacità
di dire, di favorire l'avvicinamento a se stessi e la presa di coscienza di
qualcosa di importante, è possibile con l'aiuto giusto. E' la parte profonda
del proprio essere a muovere il malessere, in una forma niente affatto casuale,
per spingere e impegnare a fermarsi a aprire gli occhi sulla propria condizione
vera, fuori da illusioni, a vedere ciò che nel modo di procedere, di pensare e
di pensarsi abituale è totalmente ignorato, travisato, non compreso. Non c'è
nulla nelle proprie vicende interiori che non sia capace di dire e di dare
consapevolezza utile e fondata, che non abbia questo scopo. E' la fiducia nella
propria interiorità che va conquistata, scoprendo appunto, a dispetto della
insofferenza, dell'allarme e del timore verso ciò che genera e propone,
che invece tutto ciò che si sente e che si sperimenta interiormente ha sempre,
anche nelle sue espressioni meno facili e in apparenza, solo in apparenza,
abnormi, un senso, dice, vuole condurre a capire, a capirsi. Solo l'aiuto volto
a ascoltarsi e a comprendere il linguaggio della propria interiorità può offrire
questa opportunità, può permettere di non porsi in fuga o in guerra col proprio
intimo. Prendersi cura di sè senza creare dissidio e disunione con ciò che si
vive interiormente, senza alimentare paura e diffidenza verso parte intima di
se stessi, traendo viceversa occasioni di crescita dalla propria crisi e
sofferenza, è possibile.
lunedì 7 agosto 2023
Il potere del marchio
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