Il malessere interiore è il terreno del conflitto tra la parte di sè profonda, che vuole spingere a aprire lo sguardo su ciò che si sta facendo di se stessi, sul proprio modo di procedere, a comprenderne il vero senza risparmio e senza omissioni o aggiustamenti di comodo e l'altra parte di sè, quella cosiddetta conscia, che sinora ha dettato la direzione da seguire, che ribadisce il già noto, che serra le fila e che si dispera alla sola idea di uscire dal seminato solito, che di fronte al malessere vuole solo il ritorno alla condizione precedente la crisi, che ripete con intransigenza che non c'è altra vita che si possa concepire che non sia nei confini e nella logica del già conosciuto, elevato a assoluto, a realtà unica possibile. E' profondamente distorcente la verità dei fatti giudicare come espressione di malattia e di disturbo ciò che accade all'interno del malessere interiore, deducendo dal fatto che è arduo e non piacevole o doloroso che sia espressione di alterazione e motivo di danno. Questo atteggiamento e modo di sentenziare, non certo minoritario, è frutto della arbitrarietà e dell'ottusità di una concezione dell'uomo che vincola l'idea di salute psicologica alla cosiddetta normalità, all'essere conformi nei modi di sentire, di intendere e di procedere agli schemi e ai modelli abituali e prevalenti, consacrati come gli unici validi e a norma, normali appunto. Psicofarmaci, psicoterapie cognitivo comportamentali, solo per fare alcuni esempi, sono risposte e dispositivi pronti a intervenire per tentare di "raddrizzare" lo stato interiore e per far sì che tutto interiormente cessi di recare disturbo e si rimetta a funzionare nel verso di ciò che è considerato normale e efficiente. Grati a simili interventi volti a rimettersi in pista nel modo solito, ci si compiace di aver zittito o piegato la propria interiorità a disciplinarsi, almeno così ci si illude che sia e che perduri, perchè in realtà nulla riesce a piegare e a zittire il profondo, che non cessa e non cesserà mai di interferire, di far valere interiormente la sua iniziativa, di far sentire la sua voce, seppure fraintesa e inascoltata, seppure trattata e bistrattata come guasto, disfunzione e patologia. A fin di presunto bene ci si può fare molto male. Contrastare e trattare come nemica parte di sè che ha tutt'altra intenzione e scopo che di far danno, imbavagliare la voce interiore pensando che sia eccesso e debolezza, irrazionalità da cui proteggersi, senza capire che è guida affidabile per entrare nella scoperta del vero e nella occasione di rigenerare su basi proprie il proprio pensiero e la propria vita, ritrovando piena unità con se se stessi, è la peggior cattiva sorte cui ci si possa destinare. La cura spesso segna e consolida la disunione di se stessi, il ripudio come fosse uno sgorbio del proprio intimo, il rigetto come fosse malata e deleteria di una parte di sè e di una proposta interiore estremamente valida e salutare, capace, se accolta e compresa, se intelligentemente condivisa e saggiamente coltivata, di riportare la propria vita davvero nelle proprie mani. Troppi fraintendimenti e luoghi comuni offuscano lo sguardo e sono pronti a procurare a se stessi, in nome del proprio presunto bene, danni non da poco.
domenica 25 ottobre 2020
sabato 8 agosto 2020
Malessere e lamento
L’impronta prevalente del discorso sulla propria
condizione di chi si confronta col malessere interiore è molto spesso il
lamento, è la recriminazione contro ciò che ai suoi occhi fa solo danno. Se è
comprensibile che una realtà nuova e non esterna, ma così pervasivamente
interna, risulti gravosa e spiacevole, che soprattutto l’incapacità di capire,
l’incomprensione del significato e del senso (il suo scopo) dell’esperienza
interiore vissuta, mettano a dura prova e possano generare paura e scoramento,
allarme e disorientamento, risalta e colpisce però il fatto che nella risposta
al malessere interiore non ci sia traccia del sentore di un legame
significativo con ciò che, pur difficile e sofferto, vive non fuori, ma nel
proprio intimo, di un vincolo da tutelare, da difendere e valorizzare con se stessi,
col proprio sentire, con la parte intima e profonda di se stessi. Questa
lontananza dal proprio intimo, dal proprio sentire e corso interiore
d’esperienza, ha radici lontane. Non è raro infatti che il modo di procedere e
di pensarsi abituali comprendano da gran tempo solo operazioni di adattamento e
rivolte al fare, accorgimenti per proseguire, commenti e spiegazioni su di sé e
sul conto dell’esperienza che si vive, che spesso non cercano e non colgono
nulla al di là della superficie e della crosta di senso immediato e comune.
Anche quando l'intento di approfondire affida al ragionamento il compito di
capire, il suo intervento spesso si risolve e chiude nel combinare in ordine
logico significati preconcetti dedotti e messi sopra all'esperienza, oppure si
perde nelle nebbie delle sue elucubrazioni, con un lavorio, che nulla ha a che
vedere con la vera riflessione (che sa ascoltare e fedelmente raccogliere e
riconoscere la proposta originale del sentire). Insomma, il proprio sentire non
è stato nel tempo e da gran tempo vero compagno e interlocutore nella propria
esperienza. Perciò, quando la parte intima prende il sopravvento e detta
sensazioni e esperienze interiori, che con decisione passano il confine del
marginale e dell’inascoltato, dove sono relegate e mantenute dalla
cosiddetta coscienza, dalla parte di sè dove l’individuo si rinserra
abitualmente e che non ospita nulla del sentire a meno che non le paia
conveniente, ecco che la reazione è di isterica paura e rivolta contro l’ospite
indesiderato, presto squalificato e maledetto come fosse una disgrazia, un
sabotatore, un maledetto nemico. “Voglio tornare come prima” è il grido di
rivolta, la petizione di principio, la pretesa che pare sacrosanta, cui tanta
offerta di cura, che vuole riparare e sanare, che dell’ascolto aperto del
sentire, senza preconcetti, che della verifica approfondita non sa nemmeno
concepire il senso, dà conferma e manforte. Non è compreso minimamente, questa
sì è la vera anomalia, che trattare così, come disturbo, l’esperienza interiore,
pur difficile e sofferta, sia un tirare calci, uno sparare contro se stessi, un
demolire ciò che vuole aiutare e spingere a ritrovarsi, a riflettere, a
guardare allo specchio il modo di pensare e di procedere abituali, a colmare la
frattura che divide da se stessi, a mettere in piedi ciò che è essenziale:
dialogo approfondito e accordo con se stessi, con la propria interiorità. Per
capire, per trovare risposte e guide necessarie, per non essere più scissi da
sé e semplicemente adesi ad altro, trainati da altro per imitazione, per senso
del gregge (la cosiddetta normalità, ciò che sembra dover appartenere a tutti),
per dipendenza dall’altrui giudizio, consenso, approvazione, serve un
cambiamento personale profondo, di cui il malessere interiore è il primo atto,
voluto dall'inconscio, come segnale chiaro e non sopprimibile, come potente
richiamo a prendersi cura di se stessi. E’ un prendersi cura, non per
ricacciarsi nel solito, casomai con più testardaggine, (casomai con qualche
aggiustamento, spiegazione e apparente presa di coscienza, che non mutano la
sostanza del modo consueto di pensare e di procedere, che viceversa la
riconfermano), ma per cominciare a prendersi sul serio, a vedere chiaramente
come si procede e lo stato del rapporto con se stessi, per cominciare a cercare
finalmente vicinanza e ascolto del proprio intimo, della parte più vera e meno
alienata di se stessi. E' un prendersi cura che potrebbe valersi dell'aiuto di
chi sappia sostenere l'intento di andare verso se stessi e favorire lo sviluppo
della capacità riflessiva, della capacità di incontro e di dialogo col proprio
profondo. La crisi, il malessere vorrebbero nelle intenzioni dell'inconscio
essere il primo atto, l’inizio di un impegno di ricerca per diventare se
stessi, per calarsi finalmente nel proprio essere, per trovare il proprio
sguardo, per cucire quella relazione stretta e salda tra sentire e pensare, che
sola può garantire capacità di orientarsi e di capire, passione e volontà
unite. Se non si comprende questo, persisterà il lamento e la lotta contro se
stessi, la pretesa di mettere a tacere, di eliminare o di correggere e
modificare ciò che interiormente, pur difficile o doloroso, non si sa
rispettare, ascoltare e capire. In definitiva, casomai sotto forma di cura, si
affermerà la spinta, tutt'altro che geniale e favorevole, a privarsi della
vicinanza e del contributo originale e prezioso della propria interiorità, pur
di essere normali e (più o meno) come prima.
venerdì 7 agosto 2020
Lo scambio
Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si
affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé
vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile.
Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque
ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di
non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di
inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al
giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e
abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e
responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se
stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per
intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di
legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce
questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale,
della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino
in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare,
sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare
altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a
modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare
i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli
inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che
è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione,
calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con
l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità,
se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie
gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di
risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il
surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più
lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far
vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte,
mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate
distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di
essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi
premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon
mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di
affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che
richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e
spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra
libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e
significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate,
per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i
traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta
e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli
peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla
spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la
maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per
procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione di
crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per
fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa
fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda,
che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come
cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende
vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello
stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso
giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a
compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal
passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per
cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del
proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi
di pensiero ragionato e di volontà, dorme (pur agendo) e equivoca (pur
dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria
condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista
l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che
interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con
l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà
eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere
la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione
all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel
vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che
lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza
del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio
essere, su lontananza da sè, dal proprio intimo, su modi e svolgimenti
privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente,
vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere
la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla
propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di
carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla
scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente
un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se
stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e
abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e
senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e
di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la
persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero
da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi
tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non
c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che
serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o
distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far
sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui
potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè,
convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per
buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che
abbia la propria impronta..
giovedì 16 luglio 2020
La dipendenza: la vita presa in prestito e le illusioni dure a morire
E' conquista decisiva, non certo facile e frequente,
affrancarsi dalla dipendenza da autorità esterna, che premia la riuscita e che
rimarca le insufficienze (che dentro la sua logica giudica tali), che dà
supporto e guida, offrendo subito le traiettorie da seguire, colmando
prontamente il vuoto di ricerca propria, garantendo l'assistenza necessaria, il
sostegno corale e le convalide per tenere su la persuasione che le scelte
fatte valgono, che le realizzazioni compiute o in compimento sono vere
conquiste personali e proprie e non semplici attestati di merito e trofei da
mettere in bacheca o più modeste, ma rassicuranti, conferme di normalità.
Generosa e prodiga di consiglio è questa autorità esterna del senso comune, del
già conformato e organizzato, ma nel contempo tiene chi le si affidi, non certo
pochi (è la cosiddetta normalità), in stato di perenne illusione e dipendenza,
esonerando sì dalla fatica, ma anche dalla libertà di aprire il proprio
sguardo, di cercare il vero, di concepire da sè, di trovare nell'intimo e nel
dialogo con la propria interiorità i propri perchè e la comprensione dei
significati, senza suggeritori, la scoperta di ciò che vale, di ciò che si vuole
far vivere e crescere, senza plausi e approvazioni, ma con ferma e fondata in
se stessi convinzione, con passione sincera. Affrancarsi dalla dipendenza da
altro, esterno a sè, che dà risposte e guide circa i modi per realizzarsi, da
autorità esterna che si fa garante di tutto, è possibile, ma richiede impegno
di fatica e volontà di non breve respiro di investire su di sè, di generare e
di mettere al mondo pensiero e progettualità propri, concepiti e tratti da
sè, dall'ascolto e dal dialogo con la propria interiorità (che ha
capacità di guidare la ricerca attraverso il sentire e magistralmente con
i sogni) e non modellati e sorretti da altro e da fuori. La persuasione che il
preso in prestito e garantito da altro sia cosa valida e creatura propria è
illusione che non cede facilmente alla verifica. Illusioni dure a morire, ma
non impossibili da smontare per chi voglia sul serio conquistare autonomia
vera, libertà di essere e di pensare. Non è questione irrilevante questa della
confisca della propria vita in un legame di dipendenza da altro che la plasma e
l'indirizza e come tale non è trattata dal profondo dell'individuo, da quella
parte dell'essere, che seppure disconosciuta o tenuta in subordine, movimenta e
governa il quadro interiore, il sentire, le emozioni, gli stati d'animo, il
succederrsi degli svolgimenti interiori. Se all'individuo nella sua parte
conscia e razionale tutto appare valido e convincente, se la questione del
farsi portare e del plasmare pensieri e aspettative sul nucleo del modo comune e
prevalente di intendere sfugge più o meno volutamente alla sua comprensione, se
in lui l'equivoco di essere artefice pur assumendo una parte già segnata, pur
rimasticando un pensiero nei suoi fondamenti e limiti già definito e
forgiato, non ha risalto, alla sua componente profonda non sfugge il
vero. Se nel profondo di ogni individuo è fortemente sentito e
insopprimibile il vincolo a dare forma al proprio pensiero per non
sacrificare e per non tradire ciò che si ha potenzialità di far vivere e
di realizzare, se normalizzare la propria vita, accasandola dentro forme già
date e consuete, pur con qualche margine di stravaganza o di interpretazione
ribelle o in apparenza innovativa, ma sempre agendo su pezzi di composizione,
su grammatica di pensiero comunque già pronti e usuali, finisce per essere una
trappola che ottunde la consapevolezza e che copre il vero di ciò che
l'individuo sta facendo di se stesso, che lo chiude alla scoperta del senso
della sua vita, non stupisce se la crisi, se il malessere interiore nelle
sue diverse forme prendono piede e il sopravvento. La risposta alla
crisi, mossa intenzionalmente e a ragion veduta dalla parte profonda, spesso e
volentieri permane però rigida e ottusa, il malessere è giudicato con estrema
frequenza un disturbo, un intralcio, una disfunzione, avendo di mira come
interesse e scopo di far funzionare quel modo di procedere abituale, mai fatto
oggetto di verifica e di riflessione attenta per capire cos'è e su cosa si
regge. Dipendere da altro da sè, che conduce e dà implicite le risposte,
aderire a tutto ciò che instrada la ricerca, che dice cosa fare per crescere,
per realizzarsi, per formare e per ampliare la conoscenza, per stare bene, per
essere felici e per considerarsi compiuti, conduce a smarrire la propria
strada, induce a cancellare le tracce di ciò che interiormente spinge, pungola
e richiama con vigore e con insistenza a farla trovare, induce a
travisare, a interpretare ogni sensazione e stato d'animo discordante col
quieto o efficiente procedere, come difetto, come insufficienza, come cattivo
funzionamento. C'è un contrasto, un conflitto interno all'individuo tra parte
conscia e parte profonda, che nasce da una diversa visione di ciò che è di
vitale importanza, c'è un conflitto sul modo di interpretare la propria
vita, una tutta aderente a un illuso senso di autorealizzazione stando in
appoggio e replicando vita presa in prestito da modelli e da modalità comuni e
prevalenti e l'altra che reclama la presa di coscienza del vero stato delle
cose per invertire la tendenza, per scoprire il proprio senso della vita e per
tradurlo in essere su basi di concezione e di pensiero originali e proprie. La
dipendenza da altro, che riempie e che dà forma e contenuto all'esistenza, che
l'orienta e plasma, che sostituisce come patrimonio vitale e contenuto ciò che
da sè non si è saputo scoprire, generare e far vivere dentro se stessi è
questione rilevante e centrale. Non c'è solo la dipendenza nelle forme
conclamate dell'uso di sostanze per allontanare l'esperienza interiore a cui si
è estranei e che se dolorosa o in apparenza (solo in apparenza) vuota, fa
preferire cancellarla o rimodellarla e sostituirla con artifici e droghe a
piacimento, non c'è solo la dipendenza da tutto ciò che sostituisce creazione
propria con soluzioni e prodotti da usare e consumare, che siano lo stare
attaccati a un'altra persona o a altri o utilizzare ogni diversivo
possibile per non entrare in contatto con se stessi, anche usando
diversivi di reputazione nobile come letture o altro culturalmente considerato
degno o degnissimo. La dipendenza da altro che rimpiazza l'incontro col proprio
autentico e genuino, col proprio intimo sentire come luogo e occasione di
avvicinamento a se stessi, di ascolto e di dialogo con la propria interiorità,
di scoperta viva di verità e di significati con i propri occhi, la dipendenza
da altro che sostituisce tutto ciò che, scaturito e improntato da sè potrebbe
prendere forma e vita, se ben coltivato e alimentato con pazienza e cura, è
questione fondamentale e non di certo riguardante pochi. L'illusione che
l'andamento abituale sia valido e addirittura segno della propria capacità di
condurre efficacemente la propria vita, quando invece tutto si svolge su basi
altre da se stessi e tenute su da suffragio di modelli e di consenso comune, è
dura a morire. Il profondo, l'inconscio ci prova con insistenza a logorare e a
smontare simili illusioni per liberare l'individuo dalla dipendenza che lo
tiene stretto e prima di tutto dalla falsa coscienza che la cementa. A volte i
suoi richiami sono ascoltati e allora la riscoperta della vita e dei suoi
significati apre all'individuo strade nuove e inaspettate.
domenica 10 maggio 2020
Un confronto impari
Il confronto che si svolge all'interno dell'individuo tra
la sua parte conscia e il suo profondo è impari, a prima vista a tutto
vantaggio e in gloria della parte conscia. Sotto il profilo della forza
quest'ultima ce la mette tutta per affermare il suo predominio, spesso con
arroganza, con la pretesa di sapere, di farsi arbitro e giudice di cosa nelle
espressioni della vita interiore sia ammissibile, sensato, valido e cosa no.
Dalla sua e a suo sostegno c'è la grancassa delle idee comuni e dei comuni
preconcetti, trattati come verità inconfutabili. A suo conforto pure le opinioni
degli esperti che, catalogando come anomalo questo e quello e dandogli patente
di malattia, di disturbo da correggere e sanare, non fanno che rinsaldare la
presunzione della parte dell'individuo, che si considera certa del suo primato
e del suo giudizio, che riduce le espressioni della vita interiore a segnali di
cattivo funzionamento quando scomode e discordanti con le sue attese di
stabilità e di quieto vivere, che imporrebbero all'interiorità di non
disturbare mai il manovratore, di assecondarlo e basta. Ridotta, nella
considerazione che ha di lei la parte conscia, a appendice, che non deve dare
disturbo, la componente interiore è del tutto incompresa nella sua dignità, nel
suo valore, nell'intelligenza che la guida e di cui dispone, che nulla ha da invidiare
a quella della parte conscia, capace spesso solo di ripetere cose mai
verificate, mai autonomamente concepite e comprese alla radice, illusa che
quello sia capire e conoscere. L'inconscio non è però debole e remissivo, non
si lascia nè scoraggiare o intimidire, nè disarmare e persiste, per fortuna,
nel suo intento. L'inconscio è la parte dell'individuo che non è svagata, che
non è miope, che non fa suo l'intento di far quadrare le cose per mettere tutto
a posto, di spiegare col paraocchi, in riga con idee e riferimenti già pronti e
di comune uso, è la parte che viceversa vuole il risveglio dell'intelligenza
vera, quella che sa cercare e riconoscere senza risparmio e senza paura i
significati veri. La pretesa che ha l'inconscio è di aprire gli occhi, di
mettere in risalto e in crisi un modo di pensare e di trattare l'esperienza
incurante di capire, di conoscere davvero se stessi, paghi di spiegazioni e di
argomentazioni in apparenza coerenti, che alimentano l'illusione e di pensare
lucidamente, in realtà più spesso blindando coi ragionamenti ciò che fa comodo
pensare che aprendo alla ricerca del vero anche se scomodo, e di pensare in
proprio, in realtà poggiando e andando dietro a senso e a grammatica comuni.
L'intento dell'inconscio è di stimolare e di aprire la strada allo sviluppo di
un pensiero autonomo e intelligente, capace di rispecchiare fedelmente i
significati intimi dell'esperienza. C'è un divario tra l'atteggiamento della
componente conscia, che presume di sapere e di avere chiari scopi e interessi
cui tenere dietro e ciò che invece anima l'inconscio e di cui è capace. Qui,
sul terreno dell'intelligenza e della spinta a cercare il vero, il confronto è
impari e non certo a sfavore della parte profonda. L'intelligenza
dell'inconscio lo rende resistente a qualsiasi tentativo di metterlo in
soggezione e in inferiorità, di considerarlo parte non lucida e irrazionale,
che, come tale nel pregiudizio spesso presente nell'individuo, non sarebbe
affidabile, da tenere a bada, capace, quando mette in campo nel sentire, negli
stati d'animo, nelle emozioni, risposte e iniziative non rispondenti alle
aspettative, solo di creare ritardi e ostacoli, inefficienze e disfunzioni
sulla via e nel procedere che l'individuo nella sua parte conscia ostinatamente
crede essere sano e proficuo, da proseguire senza discussione e senza indugi.
L'inconscio non sottosta alle pressioni e alle attese della parte conscia, ma
smuove e plasma la vicenda interiore, il susseguirsi dei vissuti, degli stati
interiori con assoluta autonomia e non certo in modo casuale o insensato, ma
finalizzato a far emergere il vero, così come non cede alle illusioni, ai giri
e ai raggiri in cui cade la parte conscia, che, illusa di capire, con le sue
costruzioni di ragionamento fa il verso a idee prese in prestito, rimastica
cose già dette, ricombina tutto per mettersi al riparo da turbamenti nel suo
credo solito, per stare ben in fila, in riga e al passo con ciò che è
considerato comunemente reale, valido e normale. Quella della parte conscia è
spesso una modalità di operare e di pensare che, paga della coerenza formale
dei suoi ragionamenti, trascura di prendere visione riflessiva di ciò che fa,
di come lo fa e a che scopo, tenendosi perciò al di qua della comprensione
delle implicazioni e dei significati veri, di cui dicevo, dell'esperienza in
cui è coinvolta e di cui è attrice. L'inconscio non ignora il costo, la
distorsione cui va incontro un'esistenza che non riscatta l'intelligenza di
veder chiaro, di comprendere su quali basi e come ci si sta muovendo. Passivi e
inclini per abitudine e per educazione a istruirsi, a farsi dire, a prendere
lezioni e soluzioni dall'esterno, a stare ben in corsa con gli andamenti
stabiliti, a far coincidere la realizzazione di se stessi con i modi e le tappe
da seguire come fan tutti, disconoscendo di se stessi tutto ciò che non è
allineato a queste pretese, impegnati a fare il verso, a stare dietro ai temi
alla ribalta e dai più considerati, pensando che quella sia la realtà unica e
la vita, le questioni cruciali e imprescindibili, le cose da sapere, si ha però
nell'intimo...si ha dentro se stessi una voce che dissona, si ha nel profondo
una fibra forte e irriducibile di coraggio e di intelligenza che reclamano,
costi quel che costi, di veder chiaro, di riprendersi la facoltà di vedere con
i propri occhi, di porre al centro dell'attenzione e di capire cosa sta
succedendo nella propria vita, cosa si sta facendo di se stessi, di vedere con
chiarezza e in piena sintonia con se stessi cosa ha valore e perchè, di
arrivarci prendendosi il tempo e il respiro necessari, coinvolgendo appieno se
stessi e smettendo di preoccuparsi di stare ben in fila e al passo con i
movimenti del gregge, dell'insieme. Il malessere interiore, in genere letto
come espressione di un cattivo stato, vuoi per guasto interno o malattia, vuoi
per conseguenza di malaugurate cause, di circostanze e di condizionamenti
esterni sfavorevoli, è viceversa l'espressione dell'incalzare dell'iniziativa
dell'inconscio che vuole condurre l'individuo alla presa di visione del vero
della sua condizione e del suo modo di procedere, all'apertura di una stagione
di cambiamento non di situazioni esterne ma prima di tutto interne, per cessare
di essere altro da se stesso e da ciò che può generare, che dal profondo di se
stesso è chiamato a coltivare e a generare. L'inconscio, che apre la crisi,
attraverso ciò che sa far avvicinare, toccare con mano e comprendere nel
sentire e guidare a conoscere nei sogni, è capace di dare, se compreso nel suo
linguaggio e condiviso nei suoi propositi e proposte, un contributo formidabile
al cambiamento, una guida essenziale per lo sviluppo del proprio pensiero,
autonomo e fondato, un alimento insostituibile per il proprio arricchimento e
completamento di individui, altrimenti dipendenti, nel tentativo di portare a
sè ciò di cui si manca e che non si è scoperto e sviluppato dentro se stessi,
da soluzioni e da surrogati esterni. L'inconscio è animo e intelligenza di
qualità, di tempra e di statura umana, è senso dell'individualità che non va sprecata,
perchè si riscopra la passione di portare alla luce il proprio, di arricchire
la vita di contributo originale, perchè non si sia paghi di essere copia di ciò
che è di generale apprezzamento, persuasi di persuasioni comuni e basta.
lunedì 13 aprile 2020
Cosa vive dentro di noi
Come potrebbe esserci tregua dove tutto, al di là delle
apparenze, è irrisolto, dove la forma di vita cui si è attaccati è solo
illusoriamente propria? Paghiamo pegno a una parte di noi stessi, che
insopprimibile ci è radicata dentro, intima e profonda, il cui
"difetto" è di veder chiaro e di spingere tutto l'essere a vedere
chiaro, bucando le illusioni, una parte che non collabora a chiudere il cerchio
dell'inconsapevolezza. Se rischia di andare persa la comprensione del senso
della nostra vita, prima di tutto la chiara visione di come procediamo, senza
omissioni, oscuramenti e travisamenti di comodo, se in cambio di avere
una identità e un senso di valore e di scopo presi in prestito e sostenuti da
idee, da modelli e sguardo comuni, c'è la rinuncia a trovare noi stessi, a
formare una visione nostra, a coltivare e a concepire idee e progetto autonomi,
la parte profonda di noi stessi non tace, non rimane inerte. E' una parte che è
instancabile fautrice e anima del nostro essere individui veri e originali,
dotati di intelligenza, non al seguito e ammaestrata, non raffazzonata e
truccata per comodo, ma libera e esigente di sguardo proprio, di visione chiara
e approfondita, senza equivoci e autoinganni. Non è al traino di nessun luogo
comune, non cede all'illusione e alla voglia di considerare tutto composto e
risolto, ma ha a cuore il vero senza sconti, la costruzione non fittizia, ma
ben fondata e salda, di un proprio modo di intendere le cose, di far vivere con
la personale impronta un'esistenza che non sia paga di essere sistemata in
qualche casella già pronta, che non sia giustificata da nebbia di idee
preconcette e arrangiate razionalmente, tenuta su e consolidata da principi
incompresi e da pregiudizi. Ha i mezzi, del tutto inaspettati per chi, la
maggiornza, non ha neppure sentore di ciò che sa generare e promuovere, per
condurci a sviluppare pensiero vivo, nuovo, assolutamente veritiero, capace di
farci uscire dal solito giro di pensieri spiantati, siano essi semplici o
sofisticati. L'inconscio sa fare questo, sia attraverso il sentire, le emozioni
e gli stati d'animo, che indirizza e plasma, sia attraverso i sogni, autentici
capolavori di acume, di intelligenza. E' una presenza, che portiamo e che vive
dentro di noi, che, non acquiescente o di conforto all'andazzo corrente,
spesso non convalida i pensieri d'abitudine e coniati dal ragionamento, perchè
chiusi al vero, perchè spiantati, che complica la vita, ma per riaprire la
consapevolezza, per indirizzarla sui punti davvero cruciali, da riconoscere e
su cui lavorare. Con i sogni l'inconscio ci offre il meglio del suo
pensiero, che, se fedelmente inteso e fatto nostro, libera davvero la nostra
mente, la rende finalmente capace di comprendere. E' comunque, proprio perchè
va a sbattere contro la tendenza della nostra parte conscia a voler tutto
stabile nella forma già conosciuta e senza intoppi, una presenza scomoda quella
che nell'intimo e profondo portiamo dentro di noi e che non ci dà tregua.
Possiamo cercare di ignorarla, di tenerla ai margini, possiamo con arbitrio e
sufficienza svalutarla, salvo temerla inorriditi quando nell'intimo batte
duro e non dà tregua, possiamo giudicarla e fraintenderla, provare
a zittirla, a tenerla lontana evadendo da ciò che, spiacevole e arduo,
interiormente ci propone, possiamo tentare col supporto di luoghi comuni e di
esperti di scienza, che si pretende tale, svuotare le sue proposte e
invalidarle come non conformi e devianti da ciò che si considera sano e
normale, possiamo travisarle, non comprendendone affatto l'intento originale e
il senso, come segni di anomalia, come difettosi modi o disfunzionali, ma la
parte profonda di noi stessi non cede e non recede. Le crisi interiormente si
aprono e non chiedono permesso, le cosiddette ricadute, così definite da ottusi
preconcetti, si susseguono, perchè la parte profonda non rinuncia, non si fa
mettere in riga, perchè prova con insistenza a smuovere, perchè non accetta di
essere soppressa. Se ben intesa ci ridarebbe il senso delle cose, la visione
nitida e non truccata, non drogata da luoghi comuni, da ipotesi che ci mettono
quieti e ben allineati. Risponderle e corrisponderle è, rispetto al comune e
abituale modo di procedere e di intendere la vita, l'impresa più impegnativa e
audace e nello stesso tempo per nulla oltre il possibile, perchè a misura
dell'umano che vive in noi, capace di ridarci il seme dell'intelligenza, lo
spirito critico che a nulla cede e da nulla si fa rimbambire, di restituirci
spessore e statura di individui veri e originali in accordo, non con il comune
e solito, applaudito e conveniente, ma con il progetto e la spinta a generare
con cui siamo venuti al mondo. La parte profonda di noi stessi è la
nostra natura e il nostro potenziale più alto.
domenica 12 aprile 2020
Il tuo sentire
Vivi un'esperienza di forte disagio interiore e presto
dai per scontato che ti sia nemica, che possa solo farti danno. Accade così che
ti rapporti al tuo sentire come a una cosa estranea, a un oggetto da
controllare, da mettere a tacere come se fosse un meccanismo malfunzionante, un
"sintomo" strano, che forse vorresti catalogato e etichettato (le
cosiddette diagnosi), eventualmente spiegato dal di fuori con qualche
ragionamento, sicuramente debellato in fretta. Cerchi qua e là qualche
accorgimento o stratagemma per riuscire a smontare, a liquidare il tuo sentire
in ciò che di disagevole ti propone. Se il tuo sentire, che ti accompagna in
ogni istante, ansie, tormenti e cadute di umore compresi e non esclusi, lo
sapessi far tuo, se lo intendessi come parte di te preziosa e irrinunciabile,
come cuore della tua esperienza, come tuo modo vivo di fare esperienza, di
percepire, di addentrarti, di prendere rapporto vivo con verità che ti
riguarda, come toccando con mano, come camminando a piedi nudi e
"sentendo" il terreno, come esponendo la pelle al contatto...ecco che
non potresti certo rifiutarti a nulla, nemmeno al dolore, a esperienza sofferta
o nell'apparenza strana, perché la ricerca della verità, perché la conoscenza
di te stesso, che voglia essere aperta e senza veli, non tollera che ci siano
preclusioni, non può sottostare alla regola, alla precondizione che tutto sia
agevole, rettilineo e roseo, che debba conformarsi a presunti svolgimenti
normali dell’esperienza. Insensato non è ciò che accade interiormente, ma è
bollare come abnorme e patologica la proposta del sentire quando non sta alla
regola del presunto svolgimento normale. La cosiddetta normalità è una
petizione di principio concepita da menti corte, che intendono la ripetizione e
la conferma del già noto come regola e il conformismo come guida, che dell’interiorità
e dell’essere individui sensibili e protesi a cercare il vero, a prenderne
consapevolezza (questo è ciò che anima il profondo), non sanno vedere e
concepire nemmeno l’ombra. Mi riferisco non solo al modo comune e diffuso di
pensare le questioni e le vicende interiori, ma anche a quello di non pochi, di
troppi presunti esperti e terapeuti della psiche. Qui torniamo alla questione
di partenza: quante volte senti dire che l’ansia è immotivata, che toglie, che
limita, che è eccessiva o patologica, che non dovrebbe esserci, che altro
dovrebbe esserci!? L’esperienza interiore, tutto ciò che accade nel
sentire dice, rivela, disegna nel vivo, evidenzia sapientemente, con incisività
e con precisione, le questioni da riconoscere, fondamentali e imprescindibili,
ancora ignorate, rende tangibili e cocenti verità via via da raccogliere e
vedere. Quel che serve non è combattere e pretendere di rimettere a norma ciò
che succede interiormente quando difficile, insolito e doloroso, ma imparare a
vedere dentro e attraverso l’esperienza interiore viva, serve dare fiducia alla
propria interiorità in ciò che propone, senza opporle veti e sospetti, serve
aprire gli occhi su ciò che porge, sempre e in ogni caso, imparando la
riflessione, che è capacità di vedere dentro e attraverso il sentire, di
ascoltare cosa dice nell’intimo un vissuto, un’emozione. Viceversa accade
spesso che anziché imparare a congiungersi al proprio sentire, che come piede
nudo messo a terra dice dove si è e cosa si sta percependo in quel dove della
propria esperienza, si cominci a sparare contro presunti cattivi modi di
sentire, a parlare di paure immotivate ed eccessive, oppure che si vada altrove
dal luogo vivo dell’esperienza intima per cercare nel passato qualche triste,
traumatica o problematica esperienza, con l’attesa di trovare là
l'origine di tutti i mali, come se ciò che si sta provando fosse la conseguenza
di qualche pena nascosta o spina dolorosa che perdura. Sempre a credere che la
normalità di presunti equilibri immobili sia e debba essere la regola, sempre a
pensare che se c’è disagio si sia vittime di un fastidio o di un torto, che si
patiscano gli effetti sfavorevoli di un danno, di una distorsione, casomai di
origine remota! Quando inizia e prende piede un malessere, un disagio, una
crisi, quando tutto interiormente si mobilita e si complica, è assai più
probabile che in quel che sta accadendo ci sia la volontà ferma del proprio
profondo di provocare un forte avvicinamento a se stessi, il superamento di uno
stato di scollamento dal proprio intimo e dal proprio sentire, di spingere per
un serio recupero di capacità di vedere e di capire, fondamento necessario di
autonomia e di capacità di autogoverno della propria esistenza, piuttosto che
si sia malcapitati in un brutto episodio e insano, in una parentesi negativa
della propria vita da trattare e da curare come malattia, da superare. La
volontà del proprio profondo, che plasma, che anima e che acuisce il sentire
tutto, anche quello che risulta difficile o doloroso, è di spaccare il guscio
vuoto di un modo di pensare e di procedere, pur in apparenza autonomi, in
realtà più di quanto non si voglia credere forgiati e regolati da adattamento e
da imitazione, con poco o nulla di proprio e di generato da sè, di spingere con
fermezza a uscire da una condizione di inconsapevolezza o di coscienza
accomodata e illusoria, a aprire gli occhi sul vero, a trovare, senza più
rinviare, le proprie risposte e ragioni d'esistenza, a comprendere e a
sciogliere i propri nodi, a coltivare e a veder nascere idee e aspirazioni
proprie e profondamente sentite. Oggi, per te che soffri, l'apertura al tuo
sentire, il recupero della tua capacità di avvicinarti a te, di non negarti a
ciò che vive in te, imparando a vedere dentro e attraverso ciò che provi, senza
esclusioni, includendo proprio tutto, anche se disagevole o in apparenza
"strano", è questione importante e decisiva. E' questione attuale
posta con forza dal tuo malessere. Nulla a che vedere con l'idea che il tuo
malessere sia una pericolosa trappola, una anomalia da sanare e da mettere
vittimisticamente in conto a qualcosa o a qualcuno del tuo passato
recente o remoto. E’ utile, anzi indispensabile che tu sia aiutato a renderti
disponibile a ciò che senti, senza preclusioni, a dotarti di capacità riflessiva,
che ti renda capace di attingere alla tua esperienza interiore viva,
comprendendone il significato, apprezzandone via via il valore, scoprendo che
puoi fidarti di tutto ciò che accade dentro di te. Ciò che manca a te e a chi
come te vive un'esperienza di malessere interiore e di crisi, l’ho detto in
molti miei scritti, è proprio questo: capacità riflessiva. La capacità
riflessiva, quella vera, di vedere, di saper riconoscere dentro il tuo sentire
cosa prende forma, che non c'entra nulla col modo abituale di intendere la
riflessione (confezionare sopra e sul conto dell' esperienza, di ciò che si
prova, interpretazioni e spiegazioni col ragionamento), ti potrà permettere di
dialogare con la tua esperienza viva, incluse quelle che finora hai chiamato o sentito
chiamare e catalogare freddamente, come fossero oggetti, come ansie, attacchi
di panico, fobie, depressione o altro. Trarre dalla tua esperienza interiore
viva il suo intimo significato, ciò che vuole rivelarti e dirti, questo ti
serve, ti può far crescere e darti unità con te stesso. Può farti uscire dalla
paura di te stesso, di ciò che senti. Sparare contro il tuo sentire con farmaci
o con altro, alimentando solo la tua insofferenza e la tua paura di ciò che,
intimamente e profondamente tuo, vive dentro di te, oppure fare del tuo sentire
solo il pretesto per fare lunghi giri di indagine e di ragionamento per trovare
ipotetiche cause, con l'intento di smontare ciò che vivo dentro te ancora non
sai ascoltare e comprendere, è ipotesi infelice, oltre che sterile. Demolire il
tuo sentire, risorsa preziosa e mezzo validissimo, anche quando sofferto e
disagevole, per avvicinarti a te, per riconoscere, facendone intima esperienza,
il vero, per capirti, per arrivare per questa via, lavorando su di te, a dare volto
tuo e spessore alla tua vita, non è certo il meglio che tu possa desiderare per
te stesso.
domenica 5 aprile 2020
Illusi di essere e di sapere
La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere
interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi
compiutamente e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude
la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia
già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci
interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono
espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono
disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè
funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che
la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se
stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e
revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una
visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera,
una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme
esterne, con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi
e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e
trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si
attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà
credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che
semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e
non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non
presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di
possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da
modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da
considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale,
inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base
di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni
di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo
passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e
resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati
d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun
legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come
corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far
capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate,
contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative
perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate,
non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a
piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se
deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o
malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa
ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in
subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso
ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di
danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto
di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli
"appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati
motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la
propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino
esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare
da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è
continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di
sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito,
persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore
di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere,
come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più
accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia
della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di
intendere la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi
già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse
correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno
psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle
ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non
casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e
spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere
colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto
la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente
come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle
esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della
realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade
così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi
espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche
errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o
ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro
valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di
veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio
della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e
prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento.
Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la
visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se
stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo
che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita,
al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione
subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza
interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati
da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere
nella pretesa e nella presunzione di risanare e di correggere la propria
esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente
intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza,
solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della
consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò
che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo
intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere,
non è scelta così saggia e promettente.
domenica 26 gennaio 2020
Gestire e controllare o ascoltare e capire?
E' assai diffusa l'idea che sia importante e utile
imparare a gestire e a controllare sensazioni come l'ansia o altre emozioni e
stati d'animo difficili e sofferti. Sono espressioni della vita interiore verso
cui in genere si ha più timore che fiducia, con cui non si concepisce di poter
entrare in rapporto se non nella forma del controllo e della difesa. Si tratta di
esperienze interiori, spesso insistite, pervasive, di cui colpisce il carattere
insolito e nell'immediato assai poco gradevole, capaci di intaccare il corso
che si vorrebbe il più possibile fluido e indisturbato dell'esperienza, di
deludere attese di buona riuscita. Succede che spesso si vanti come buon
risultato della psicoterapia quello di acquisire la capacità di gestire e di
controllare simili esperienze interiori disagevoli. Ci sono psicoterapie, ad
esempio quelle di impronta cognitivo comportamentale, che si prefiggono di
intervenire in modo diretto per snidare i meccanismi che le sosterrebbero e per
contrastare le risposte interiori ritenute disfunzionali, giudicate non utili,
insensate, fondamentalmente dannose per chi le vive, con l'intento di sostituirle
con altre ritenute più valide e normali, vantaggiose e funzionali. Ci sono
altre psicoterapie, che vorrebbero essere introspettive e di impronta
analitica, che intendono le espressioni interiori di disagio come il segno di
un patimento, che avrebbe all'origine delle cause da indagare, da cercarsi nel
presente o più spesso nel passato della storia personale, familiare
soprattutto. In entrambi i casi le espressioni della propria vita interiore
come l'ansia e come altre che risultano ardue e non piacevoli, sono trattate
come una fonte di preoccupazione e di danno, qualcosa da superare, vuoi
intervenendo direttamente per modificare e riplasmare le risposte interiori,
vuoi auspicando di spegnerle arrivando alla presunta causa, al suo chiarimento.
A fronte dei propositi, di vario tipo, di togliere la spina nel fianco del
malessere interiore, per ripristinare in ogni caso, per rilanciare e favorire
il corso cosiddetto normale del procedere e dell'esperienza, a fronte della
convinzione di aver capito cose nuove e importanti di se stessi e delle cause
dei disagi patiti, dell'auspicio di aver imparato a controllare e a gestire,
cioè a difendersi e a tenere a bada, le espressioni non agevoli della vita
interiore, non è raro che l'interiorità non ci stia e non si disciplini.
Sentendosi fraintesa e inascoltata, non è raro che l'interiorità, che la parte
profonda dell'individuo torni a premere con forza per ottenere risposta valida
e collaborativa per ciò che, attraverso i richiami e le guide del malessere,
intende far capire, far condividere dall'intero individuo e per i cambiamenti
che vuole promuovere. Non è un caso che la tendenza e che l'auspicio
prevalenti, nel rapporto con la propria vita interiore, siano di procurarsi
capacità di controllo e di gestione delle sue espressioni difficili e
disagevoli, che rendono difficoltoso il procedere, che increspano o che
intaccano con forza il quieto vivere. La visione della vita, assai diffusa e
condivisa, che mette al centro dell'esistenza il rapporto col mondo esterno come
unico tramite per avere contatto con il reale e occasione di dare di sé
espressione vitale, rende esiguo e secondario il valore, l'importanza del
rapporto con la propria interiorità. Tutti impegnati e protesi a tenere attiva
la connessione col mondo esterno e con gli altri, non si considera rilevante
cercare sintonia, coltivare dialogo e scambio con la propria interiorità,
trovare di volta in volta accordo di visione e di intenti con il proprio
sentire, con tutto ciò che si muove e che si propone interiormente. Ben presto
nel corso del cammino di vita si perde il senso della centralità del proprio
sentire, della propria vita interiore, come fondamento e guida, come cuore
della comprensione dell'esperienza. Avanzando negli anni si diverge sempre più
dal proprio intimo, da ciò che si vive interiormente, impegnati in primo luogo
a imparare, a conoscere nei modi riconosciuti validi, a formare e a consolidare
la capacità di stare e di muoversi nella dimensione cosiddetta reale, esterna e
concreta, terreno e luogo dove accadrebbero le cose che contano, dove si
ritiene sia importante e prioritario orientarsi e capire, crescere e
migliorarsi, sapersi destreggiare, esprimere e intendere con gli altri. Gli
accadimenti e gli svolgimenti interiori, il sentire in tutte le sue svariate
espressioni, diventano agli occhi dell'individuo materia secondaria,
accessoria, spesso intesi come poco affidabili, ritenuti carichi di ingenuità
possibili, da filtrare e da vagliare col ragionamento, da salutare con
soddisfazione se ben impostati secondo i propri e comuni criteri di normalità,
di efficienza e di godibilità, da tenere a bada e eventualmente da rieducare se
discordi dalle attese e dai calcoli di convenienza e di opportunità. Tutto si
tende a sapere e a tenere in primo piano del mondo esterno, poco o nulla si
pensa sia necessario e di vitale importanza scoprire, conoscere e capire
della propria vita interiore. Perché non disturbi e non renda difficoltoso il
rapporto con l'esterno e con gli altri, il proprio mondo interno è tenuto
sottotraccia e ai margini. Dal proprio sentire ci si aspetta e si pretende che
sia funzionale a ottenere adattamento, intesa con gli altri e riuscita secondo
i canoni vigenti. L'esperienza interiore è però voce e espressione della parte
profonda di sé, non meno importante e capace di quella di superficie e conscia,
anzi con un'ottica, con una capacità di sguardo e con una tensione di scopo ben
diverse, ben più mature e favorevoli. La parte profonda, anche se questo è
spesso totalmente ignorato dalla parte conscia, è portatrice di un intento
decisamente più costruttivo di quello di cui la parte conscia è promotrice,
lavora infatti, attraverso sentire e sogni, a sostegno non già della spinta
all'autorealizzazione su piste già segnate, della corsa a non essere da meno
degli altri, ma della scoperta delle proprie ragioni di individuo singolare,
dello sviluppo di un pensiero autonomo non guidato e non addomesticato al
comune e al già concepito, ma generato da riflessione, con scoperta di
significati corrispondenti e fedeli alla propria intima esperienza. La parte
profonda vuole nutrire l'altra parte di consapevolezza vera, vuole condurla a
arricchirsi di strumenti e di maturità per aprire percorsi e per perseguire
realizzazioni originali. Se la parte cosiddetta conscia, lasciata a se stessa,
è incline a trovare soluzioni per procedere privilegiando il riferimento
esterno e il confronto con lo sguardo altrui e comune, se rielabora
l'esperienza stando dentro premesse e utilizzando attribuzioni di significato,
tratte da pensiero convenzionale, assunte, riprodotte e combinate in automatico
e fondamentalmente incomprese, se spesso è paga di trovare nei suoi tentativi
di spiegazione la quadratura logica e se, anche quando pare innovare o rompere
con lo schema abituale, non esce dal recinto del già concepito e scritto, se in
genere opera, fa e disfa, senza mettersi allo specchio per vedere e per
interrogare cosa sta facendo, mossa da che cosa e a che scopo, l'altra parte,
quella profonda è ben lì, nella direzione della comprensione del senso, che
invece guarda e osserva con attenzione l'esperienza, impegnandosi col sentire e
con tutti gli svolgimenti interiori a mettere in evidenza i modi di
procedere, di pensare praticati, a mettere in luce e a renderne ben vive, cocenti
e da capire tutte le implicazioni. Se la parte conscia si illude di essere
vigile e attenta, ma in realtà pasticcia non poco e non di rado piuttosto che
svelarlo nasconde il significato autentico dell'esperienza, l'altra parte,
quella profonda e cosiddetta inconscia, viceversa lo traccia e lo rimarca
attraverso il sentire, lo spiega bene, con impareggiabile acume e intelligenza,
con i sogni (si tratta ovviamente di imparare a avvicinarli e a intenderli in
ciò che vogliono e che sanno dire), cercando con ostinazione il vero,
rendendolo questione cruciale da tenere in primo piano, da non ignorare. Tutto
il sentire, ansia e tutte le esperienze e i vissuti interiori non piacevoli
compresi, che presto e sbrigativamente rischiano di essere giudicati anomali o
patologici, dice e svela, segnala con intelligenza e acume cosa sta accadendo
nel proprio modo di procedere, richiama e conduce al vero, a riconoscere i nodi
importanti su cui lavorare, in modo mirato, con le intensità e con i tempi
sempre adeguati e giusti. Bisogna imparare, facendosi in questo aiutare, a
ascoltare e a capire il linguaggio interiore, la voce del proprio sentire,
scoprendone l'affidabilità, la capacità di offrire a se stessi viva e preziosa
consapevolezza, toccandone con mano e verificandone la non assurdità, la non
nocività. Gestire e controllare parte di sé come fosse di capacità inferiore,
irrazionale e perciò poco affidabile e da disciplinare, da non rendere
invadente e disturbante i propri calcoli e propositi, continuando a trattarla, quando
preme con intensità, quando propone momenti e percorsi interiori disagevoli,
come una minaccia da arginare, non è una gran trovata, non è un brillante
risultato. La parte che sa meno sul conto di se stessi e che, promettendo
meraviglie, non sa che andare dietro i modelli comuni e persistere nel solito,
pur con nuova chiacchiera e nuove trovate in apparenza intelligenti, spesso
tanto ingegnose quanto sterili, bene farebbe a aprire all'altra parte, quella
profonda, che saprebbe ridarle una direzione valida e sensata di ricerca, che
saprebbe nutrirla di nuova linfa e rigenerarla. Bisogna stare attenti e
riflettere sulle risposte che si vanno a dare a situazioni di crisi, che
spingono a cercare cura e aiuto. Il proposito di correggere le risposte
interiori, pretendendo, su basi apparentemente certe e scientifiche, ma in
realtà, assecondando la logica convenzionale, di giudicare, senza se e senza
ma, ciò che valgono o che non valgono, così come il proposito di indagare su se
stessi, pensando che il proprio malessere interiore sia segno di una
alterazione per danno subito per cause altre, presenti o remote, da ricercare,
voltando sbrigativamente le spalle al proprio sentire, non aprendo affatto,
malgrado le apparenze, all'ascolto di ciò che sta dicendo e svelando, l'una e
l'altra sono risposte sorde alla propria interiorità, incapaci di darle credito
e spazio, preoccupate da subito di mettere le cose in ordine, nel solito
ordine, con qualche rinforzo e aggiustamento. L'atteggiamento verso se stessi,
verso la propria interiorità, ancora sminuita e misconosciuta nel suo valore e
nel suo potenziale positivo, rimane quello di disporre e di pretendere, di
gestire e di controllare. Altro che gestione e controllo! La prospettiva
andrebbe completamente rovesciata, lo scopo della cosiddetta cura totalmente
ridisegnato. Si tratta di farsi aiutare, da chi lo sappia fare, a prendere
confidenza col proprio intimo e profondo, a formare e a sviluppare la capacità
di comprendere il linguaggio della propria interiorità, per non escluderla da
sé, per non continuare ostinatamente a fraintenderla, per non farsi danno,
osteggiandola o pretendendo di dominarla, non capendola nella sua vera natura
di interlocutrice e di guida affidabile, per non continuare, vivendola come un
meccanismo strano da regolare e da tenere a bada, a privarsi di ciò che,
prezioso, necessario e insostituibile per dare volto, contenuto e scopo propri
alla propria vita, può donare, persistendo nell'averne timore come fosse un
pericolo. Gestire e controllare le espressioni e le proposte della propria vita
interiore non è la miglior conquista possibile, anzi equivale a persistere
nella separazione, nella dissociazione da parte vitale e centrale di se stessi.