Lo chiamerei misero scambio. E’ ciò che avviene quando si
affida allo sguardo e al giudizio altrui il compito di stabilire ciò che di sé
vale, che può considerarsi degno e all’altezza, perlomeno accettabile.
Segnalarsi agli occhi degli altri, distinguersi, farsi apprezzare e comunque
ottenere il beneficio del consenso o patire sensazioni di inadeguatezza e di
non conformità, temendo censure e declassamenti, figuracce o senso di
inferiorità, è ciò che vincola molti individui agli altri, allo sguardo e al
giudizio altrui e comune. Soprattutto è ciò che fa sì che sfuggano di mano e
abbiano misera sorte il compito e la funzione, che sono prerogativa e
responsabilità di ognuno, di far crescere, per davvero e su proprie basi, se
stessi, di conoscersi e di capirsi prima di tutto, di scoprire dentro sè, per
intima comprensione e verifica, ciò che vale, di trovar forza e persuasione di
legittimarlo e passione di farlo vivere. Misera sorte e qualunque subisce
questa fondamentale istanza, fondamento e cifra della autonomia personale,
della capacità di pensare in proprio e di disporre di sè e del proprio destino
in modo indipendente, quando risolta e scambiata col farsi indirizzare,
sostenere e disciplinare dal senso comune, dallo sguardo e dal giudicare
altrui. Se forte è la tentazione di farsi condurre e di procedere in appoggio a
modelli e a aspettative dominanti, se forte e seducente è la spinta a segnalare
i propri meriti alla giuria del senso comune, assecondandone i gusti e gli
inviti, se rassicurante è muoversi all'unisono con l'idea prevalente di ciò che
è desiderabile, meritorio, sinonimo di crescita e di autorealizzazione,
calcando percorsi segnati come fan tutti, camuffando il tutto con l'idea (con
l'illusione) di compiere le proprie scelte e di affermare le proprie capacità,
se il tutto rappresenta una comoda scorciatoia rispetto allo stare sulle proprie
gambe e al tenere su di sè l'impegno, la fatica anche, della ricerca di
risposte e di sviluppi propri, ciò che si va a ottenere è un surrogato, il
surrogato di ciò che da sè con pazienza e con tenacia, casomai con tempi più
lunghi, ci si preclude di comprendere, di formare, di coltivare e di far
vivere. Basta farsi dare buona considerazione, recitando bene la parte,
mostrando di possedere cose, titoli e di aver fatto esperienze considerate
distinte e accreditanti, per persuadersi di essere sulla buona strada o di
essere arrivati a qualcosa. Farsi regolare e dirigere dall‘esterno, farsi
premiare e dire da senso comune e da giudizio altrui è modo passivo e a buon
mercato di risolvere la questione del capire da sé cosa ha valore e perché, di
affrontare il nodo cruciale del proprio realizzare e realizzarsi, che
richiederebbe ben altro impegno, che in cambio avrebbe tutt’altro peso e
spessore, se affidato alle proprie forze e alla propria ricerca, tutt‘altra
libertà di definirsi, tutt'altra capacità di dare esiti e sviluppi originali e
significativi. Se passivi, si finisce per star dentro piste e corsie segnate,
per attenersi a codice di comportamento dato, per far proprie le scelte e i
traguardi già stabiliti. Misero scambio, baratto perdente, che chiude alla scoperta
e alla costruzione di autonomia vera, quello che spesso si compie, senza dargli
peso, senza consapevolezza della rilevanza del problema. Una pacca sulla
spalla, un plauso e il conforto d’essere nel normale (conformi a ciò che la
maggioranza pare pensi e prediliga), finiscono per soddisfare e riempire, per
procurare rassicurazione e illusione, invece e in sostituzione di
crescita sostanziosa e fedele a se stessi, convinta e convincente sè. Per
fortuna, anche se i molti che vogliono solo la continuità del solito questa
fortuna non la sanno riconoscere, c'è una parte di se stessi, quella profonda,
che non è cieca, che è ben vigile e sveglia, che riconosce il problema come
cruciale e che perciò anima e scuote la scena interiore. Il malessere prende
vita da queste questioni fondamentali, è il pungolo a prendere visione dello
stato delle cose, a non starsene quieti come se tutto andasse per il verso
giusto. E' in gioco la propria autorealizzazione, il portare o meno a
compimento il proprio progetto, che rischiano di naufragare, sostituiti dal
passivo dare seguito e copia a qualcosa di già concepito e non al proprio per
cui si è nati e di cui si ha potenzialità di realizzazione. Se una parte del
proprio essere, che si crede grande e capace di chissà che con i suoi attrezzi
di pensiero ragionato e di volontà, dorme (pur agendo) e equivoca (pur
dandosi la parvenza di chiarire le cose), non vuol vedere il vero della propria
condizione e del proprio incompiuto, c'è una parte, che ha per protagonista
l'inconscio, che, sapendo aprire gli occhi e vedere, non dà tregua, che
interferisce, che intralcia il procedere, che l'azzoppa, che ad esempio con
l'ansia, se serve con gli attacchi di panico, che presto qualcuno giudicherà
eventi e manifestazioni patologiche e senza ragione, cercherà di interrompere
la corsa solita e la spinta verso l'esterno, per dirigere tutta l'attenzione
all'interno e lo sguardo su se stessi, che farà sentire, toccare con mano nel
vissuto, la fragilità e inattendibilità di ciò che si sta portando avanti, che
lo farà sentire precario e in pericolo, che farà sentire la estrema debolezza
del proprio assetto personale, perchè costruito su disunione del proprio
essere, su lontananza da sè, dal proprio intimo, su modi e svolgimenti
privi di unità e di coerenza col proprio profondo. L'interiorità non mente,
vuole che emerga il vero, che finalmente lo sguardo si renda capace di vedere
la propria condizione e di cominciare a intendere che si è ben lontani dalla
propria vera realizzazione, che il castello messo su e strenuamente difeso è di
carta. Se, altro esempio di ciò che l'inconscio può muovere e provocare sulla
scena interiore, cade la fiducia sotto i tacchi, se si fa valere interiormente
un senso di inutilità, di scoramento senza limiti, la perdita di stima verso se
stessi, la mancanza di slancio e di desiderio verso tutto il conosciuto e
abituale, non è per patologico sentire, ma per cominciare a vedere chiaro e
senza autoinganni il vuoto di ciò che si è inseguito e tentato di afferrare e
di sostenere, prendendolo in prestito da altro e prendendo in prestito la
persuasione che valesse, con un nulla di compreso, concepito e formato davvero
da sè, da propria ricerca e scoperta. Le scorciatoie finiscono per rivelarsi
tali. Anche se l'individuo e chi gli sta attorno insisteranno nel dire che non
c'è motivo al lasciarsi andare allo sconforto, perchè c'è già tutto ciò che
serve e di cui essere soddisfatto, una parte di sè, non certo cinica o
distruttiva, non certo stupida o malata, continuerà pervicacemente a far
sentire il vuoto e lo svuoto. Il vuoto che smonta le illusioni e su cui
potrebbe invece nascere finalmente il proposito di costruire, generato da sè,
convalidato da propria lucida consapevolezza e non preso in prestito e per
buono da idee e da convincimenti comuni, qualcosa che abbia un fondamento, che
abbia la propria impronta..
venerdì 7 agosto 2020
Lo scambio
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