E' assai diffusa l'idea che sia importante e utile
imparare a gestire e a controllare sensazioni come l'ansia o altre emozioni e
stati d'animo difficili e sofferti. Sono espressioni della vita interiore verso
cui in genere si ha più timore che fiducia, con cui non si concepisce di poter
entrare in rapporto se non nella forma del controllo e della difesa. Si tratta di
esperienze interiori, spesso insistite, pervasive, di cui colpisce il carattere
insolito e nell'immediato assai poco gradevole, capaci di intaccare il corso
che si vorrebbe il più possibile fluido e indisturbato dell'esperienza, di
deludere attese di buona riuscita. Succede che spesso si vanti come buon
risultato della psicoterapia quello di acquisire la capacità di gestire e di
controllare simili esperienze interiori disagevoli. Ci sono psicoterapie, ad
esempio quelle di impronta cognitivo comportamentale, che si prefiggono di
intervenire in modo diretto per snidare i meccanismi che le sosterrebbero e per
contrastare le risposte interiori ritenute disfunzionali, giudicate non utili,
insensate, fondamentalmente dannose per chi le vive, con l'intento di sostituirle
con altre ritenute più valide e normali, vantaggiose e funzionali. Ci sono
altre psicoterapie, che vorrebbero essere introspettive e di impronta
analitica, che intendono le espressioni interiori di disagio come il segno di
un patimento, che avrebbe all'origine delle cause da indagare, da cercarsi nel
presente o più spesso nel passato della storia personale, familiare
soprattutto. In entrambi i casi le espressioni della propria vita interiore
come l'ansia e come altre che risultano ardue e non piacevoli, sono trattate
come una fonte di preoccupazione e di danno, qualcosa da superare, vuoi
intervenendo direttamente per modificare e riplasmare le risposte interiori,
vuoi auspicando di spegnerle arrivando alla presunta causa, al suo chiarimento.
A fronte dei propositi, di vario tipo, di togliere la spina nel fianco del
malessere interiore, per ripristinare in ogni caso, per rilanciare e favorire
il corso cosiddetto normale del procedere e dell'esperienza, a fronte della
convinzione di aver capito cose nuove e importanti di se stessi e delle cause
dei disagi patiti, dell'auspicio di aver imparato a controllare e a gestire,
cioè a difendersi e a tenere a bada, le espressioni non agevoli della vita
interiore, non è raro che l'interiorità non ci stia e non si disciplini.
Sentendosi fraintesa e inascoltata, non è raro che l'interiorità, che la parte
profonda dell'individuo torni a premere con forza per ottenere risposta valida
e collaborativa per ciò che, attraverso i richiami e le guide del malessere,
intende far capire, far condividere dall'intero individuo e per i cambiamenti
che vuole promuovere. Non è un caso che la tendenza e che l'auspicio
prevalenti, nel rapporto con la propria vita interiore, siano di procurarsi
capacità di controllo e di gestione delle sue espressioni difficili e
disagevoli, che rendono difficoltoso il procedere, che increspano o che
intaccano con forza il quieto vivere. La visione della vita, assai diffusa e
condivisa, che mette al centro dell'esistenza il rapporto col mondo esterno come
unico tramite per avere contatto con il reale e occasione di dare di sé
espressione vitale, rende esiguo e secondario il valore, l'importanza del
rapporto con la propria interiorità. Tutti impegnati e protesi a tenere attiva
la connessione col mondo esterno e con gli altri, non si considera rilevante
cercare sintonia, coltivare dialogo e scambio con la propria interiorità,
trovare di volta in volta accordo di visione e di intenti con il proprio
sentire, con tutto ciò che si muove e che si propone interiormente. Ben presto
nel corso del cammino di vita si perde il senso della centralità del proprio
sentire, della propria vita interiore, come fondamento e guida, come cuore
della comprensione dell'esperienza. Avanzando negli anni si diverge sempre più
dal proprio intimo, da ciò che si vive interiormente, impegnati in primo luogo
a imparare, a conoscere nei modi riconosciuti validi, a formare e a consolidare
la capacità di stare e di muoversi nella dimensione cosiddetta reale, esterna e
concreta, terreno e luogo dove accadrebbero le cose che contano, dove si
ritiene sia importante e prioritario orientarsi e capire, crescere e
migliorarsi, sapersi destreggiare, esprimere e intendere con gli altri. Gli
accadimenti e gli svolgimenti interiori, il sentire in tutte le sue svariate
espressioni, diventano agli occhi dell'individuo materia secondaria,
accessoria, spesso intesi come poco affidabili, ritenuti carichi di ingenuità
possibili, da filtrare e da vagliare col ragionamento, da salutare con
soddisfazione se ben impostati secondo i propri e comuni criteri di normalità,
di efficienza e di godibilità, da tenere a bada e eventualmente da rieducare se
discordi dalle attese e dai calcoli di convenienza e di opportunità. Tutto si
tende a sapere e a tenere in primo piano del mondo esterno, poco o nulla si
pensa sia necessario e di vitale importanza scoprire, conoscere e capire
della propria vita interiore. Perché non disturbi e non renda difficoltoso il
rapporto con l'esterno e con gli altri, il proprio mondo interno è tenuto
sottotraccia e ai margini. Dal proprio sentire ci si aspetta e si pretende che
sia funzionale a ottenere adattamento, intesa con gli altri e riuscita secondo
i canoni vigenti. L'esperienza interiore è però voce e espressione della parte
profonda di sé, non meno importante e capace di quella di superficie e conscia,
anzi con un'ottica, con una capacità di sguardo e con una tensione di scopo ben
diverse, ben più mature e favorevoli. La parte profonda, anche se questo è
spesso totalmente ignorato dalla parte conscia, è portatrice di un intento
decisamente più costruttivo di quello di cui la parte conscia è promotrice,
lavora infatti, attraverso sentire e sogni, a sostegno non già della spinta
all'autorealizzazione su piste già segnate, della corsa a non essere da meno
degli altri, ma della scoperta delle proprie ragioni di individuo singolare,
dello sviluppo di un pensiero autonomo non guidato e non addomesticato al
comune e al già concepito, ma generato da riflessione, con scoperta di
significati corrispondenti e fedeli alla propria intima esperienza. La parte
profonda vuole nutrire l'altra parte di consapevolezza vera, vuole condurla a
arricchirsi di strumenti e di maturità per aprire percorsi e per perseguire
realizzazioni originali. Se la parte cosiddetta conscia, lasciata a se stessa,
è incline a trovare soluzioni per procedere privilegiando il riferimento
esterno e il confronto con lo sguardo altrui e comune, se rielabora
l'esperienza stando dentro premesse e utilizzando attribuzioni di significato,
tratte da pensiero convenzionale, assunte, riprodotte e combinate in automatico
e fondamentalmente incomprese, se spesso è paga di trovare nei suoi tentativi
di spiegazione la quadratura logica e se, anche quando pare innovare o rompere
con lo schema abituale, non esce dal recinto del già concepito e scritto, se in
genere opera, fa e disfa, senza mettersi allo specchio per vedere e per
interrogare cosa sta facendo, mossa da che cosa e a che scopo, l'altra parte,
quella profonda è ben lì, nella direzione della comprensione del senso, che
invece guarda e osserva con attenzione l'esperienza, impegnandosi col sentire e
con tutti gli svolgimenti interiori a mettere in evidenza i modi di
procedere, di pensare praticati, a mettere in luce e a renderne ben vive, cocenti
e da capire tutte le implicazioni. Se la parte conscia si illude di essere
vigile e attenta, ma in realtà pasticcia non poco e non di rado piuttosto che
svelarlo nasconde il significato autentico dell'esperienza, l'altra parte,
quella profonda e cosiddetta inconscia, viceversa lo traccia e lo rimarca
attraverso il sentire, lo spiega bene, con impareggiabile acume e intelligenza,
con i sogni (si tratta ovviamente di imparare a avvicinarli e a intenderli in
ciò che vogliono e che sanno dire), cercando con ostinazione il vero,
rendendolo questione cruciale da tenere in primo piano, da non ignorare. Tutto
il sentire, ansia e tutte le esperienze e i vissuti interiori non piacevoli
compresi, che presto e sbrigativamente rischiano di essere giudicati anomali o
patologici, dice e svela, segnala con intelligenza e acume cosa sta accadendo
nel proprio modo di procedere, richiama e conduce al vero, a riconoscere i nodi
importanti su cui lavorare, in modo mirato, con le intensità e con i tempi
sempre adeguati e giusti. Bisogna imparare, facendosi in questo aiutare, a
ascoltare e a capire il linguaggio interiore, la voce del proprio sentire,
scoprendone l'affidabilità, la capacità di offrire a se stessi viva e preziosa
consapevolezza, toccandone con mano e verificandone la non assurdità, la non
nocività. Gestire e controllare parte di sé come fosse di capacità inferiore,
irrazionale e perciò poco affidabile e da disciplinare, da non rendere
invadente e disturbante i propri calcoli e propositi, continuando a trattarla, quando
preme con intensità, quando propone momenti e percorsi interiori disagevoli,
come una minaccia da arginare, non è una gran trovata, non è un brillante
risultato. La parte che sa meno sul conto di se stessi e che, promettendo
meraviglie, non sa che andare dietro i modelli comuni e persistere nel solito,
pur con nuova chiacchiera e nuove trovate in apparenza intelligenti, spesso
tanto ingegnose quanto sterili, bene farebbe a aprire all'altra parte, quella
profonda, che saprebbe ridarle una direzione valida e sensata di ricerca, che
saprebbe nutrirla di nuova linfa e rigenerarla. Bisogna stare attenti e
riflettere sulle risposte che si vanno a dare a situazioni di crisi, che
spingono a cercare cura e aiuto. Il proposito di correggere le risposte
interiori, pretendendo, su basi apparentemente certe e scientifiche, ma in
realtà, assecondando la logica convenzionale, di giudicare, senza se e senza
ma, ciò che valgono o che non valgono, così come il proposito di indagare su se
stessi, pensando che il proprio malessere interiore sia segno di una
alterazione per danno subito per cause altre, presenti o remote, da ricercare,
voltando sbrigativamente le spalle al proprio sentire, non aprendo affatto,
malgrado le apparenze, all'ascolto di ciò che sta dicendo e svelando, l'una e
l'altra sono risposte sorde alla propria interiorità, incapaci di darle credito
e spazio, preoccupate da subito di mettere le cose in ordine, nel solito
ordine, con qualche rinforzo e aggiustamento. L'atteggiamento verso se stessi,
verso la propria interiorità, ancora sminuita e misconosciuta nel suo valore e
nel suo potenziale positivo, rimane quello di disporre e di pretendere, di
gestire e di controllare. Altro che gestione e controllo! La prospettiva
andrebbe completamente rovesciata, lo scopo della cosiddetta cura totalmente
ridisegnato. Si tratta di farsi aiutare, da chi lo sappia fare, a prendere
confidenza col proprio intimo e profondo, a formare e a sviluppare la capacità
di comprendere il linguaggio della propria interiorità, per non escluderla da
sé, per non continuare ostinatamente a fraintenderla, per non farsi danno,
osteggiandola o pretendendo di dominarla, non capendola nella sua vera natura
di interlocutrice e di guida affidabile, per non continuare, vivendola come un
meccanismo strano da regolare e da tenere a bada, a privarsi di ciò che,
prezioso, necessario e insostituibile per dare volto, contenuto e scopo propri
alla propria vita, può donare, persistendo nell'averne timore come fosse un
pericolo. Gestire e controllare le espressioni e le proposte della propria vita
interiore non è la miglior conquista possibile, anzi equivale a persistere
nella separazione, nella dissociazione da parte vitale e centrale di se stessi.
domenica 26 gennaio 2020
Gestire e controllare o ascoltare e capire?
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