La pretesa di passare oltre, di trattare il malessere
interiore come il malaugurato ostacolo che impedirebbe di vivere, di esprimersi
compiutamente e di portare avanti validamente la propria vita, racchiude
la convinzione che tutto della conoscenza di sè e della propria crescita sia
già a buon punto, che non ci sia che da proseguire liberi da intralci
interiori. Gli intralci in realtà non sono guasti o blocchi negativi, non sono
espressione di insufficienze, di ritardi e di incapacità di procedere, non sono
disfunzioni e malfunzionamenti di un insieme che va solo rimesso a punto perchè
funzioni come potrebbe e dovrebbe, sono viceversa richiami e interferenze che
la parte meno illusa e ingenua del proprio essere, che la parte profonda di se
stessi, sta mettendo in campo per provocare una profonda e puntuale verifica e
revisione di tutto il proprio modo di procedere, per portare a sostituire una
visione illusoria di se stessi e della propria realtà con una fondata e vera,
una realizzazione apparente di sè, fragile e tenuta su da conferme
esterne, con una generata da sè, da coltivare e sviluppare senza trucchi
e vuoti, perchè sia autentica e salda. Si dà per scontato di aver già capito e
trovato identità propria, di sapere chi si è, cosa sia meglio per sè, ci si
attribuisce possesso degli strumenti e delle risposte che servono, si dà
credito in realtà a ciò di cui sfugge qualsiasi attenta comprensione, che
semplicemente si ripete per abitudine e per sentito dire, di cui non si sa e
non si vuole vedere la reale natura e qualità, il grado vero, verificato e non
presunto, di consistenza e di affidabilità. L'illusione di sapere e di
possedere le risposte e le soluzioni valide è sostenuta, è tenuta su da
modelli, da convincimenti e da principi comuni, da idee tanto diffuse da
considerarsi credibili, valide e capaci di definire ciò che è reale e normale,
inequivocabilmente. Nulla di scoperto e di compreso da sè e sulla stretta base
di ciò che l'esperienza, non quella limitata dei fatti e colta con osservazioni
di superficie, ma quella più intima, coinvolgente e vera, ha voluto, passo dopo
passo, rendere riconoscibile. Con la propria esperienza intima, testimoniata e
resa attuale e viva dal proprio sentire, dal corso dei vissuti, degli stati
d'animo, delle proprie vicende interiori, gli individui non hanno spesso nessun
legame e nessuna confidenza. Tutto l'intimo è guardato dall'alto in basso come
corteo di sensazioni affatto significative e valide nel saper dire e far
capire, snobbate come espressioni irrazionali, spesso fitrate e selezionate,
contrapponendo come positive quelle piacevoli a quelle giudicate negative
perchè dolorose e spiacevoli, con fuga da queste ultime, lette, interpretate,
non certo ascoltate e riconosciute nel loro intento e nel loro dire, a
piacimento per vederci ciò che fa comodo e marchiate come improprie se
deludenti le personali aspettative, addirittura squalificate come anomale o
malate se affatto in linea con i propri pregiudizi, di estrazione comune, circa
ciò che è ammissibile e normale. Non c'è dialogo con l'interiorità, tenuta in
subordine e guardata a vista, spesso resa oggetto di trascuratezza, di omesso
ascolto o peggio tenuta a distanza e rinnegata se ritenuta ostile e fonte di
danno perchè pressante e dolorosa. Evadere, svagarsi, fare appello al diritto
di stare bene, esaltare la leggerezza come condizione ideale, buttando via gli
"appesantimenti" che l'interiorità accortamente e mai per insensati
motivi propone e dona perchè ci si fermi a guardare attentamente dentro la
propria esperienza, dentro se stessi, sono modalità così diffuse, ricorrenti e persino
esaltate come ideali da cultura e da convincimenti comuni, che ciò che può fare
da fondamento a una consapevolezza e a una conoscenza vera di se stessi è
continuamente sabotato e scassato. Quanto dunque è affidabile la persuasione di
sapere già e di aver già chiaro chi si è e cosa va proseguito e perseguito,
persuasione che induce molti a sparare contro il malessere e la crisi interiore
di cui è portatore, come ostacolo da superare, come distorsione da correggere,
come espressione di disfunzionalità da emendare e rimpiazzare con risposte più
accordate con la pretesa di tornare a correre come e più di prima? L'deologia
della riuscita come pronta capacità di funzionamento fa sì che l'unico modo di
intendere la propria realizzazione coincida indissolubilmente con i modi
già intesi e applauditi, senza alternative. E' significativo che le stesse
correnti di pensiero e le pratiche che sono oggi così diffuse sul terreno
psicoterapeutico, che siano quelle di tipo cognitivo comportamentale o quelle
ancora più sbrigative della cosiddetta terapia breve strategica, non
casualmente di matrice e provenienza nordamericana (dove è molto consolidato e
spinto il principio e l'imperativo del non rimanere indietro, del non perdere
colpi nella corsa alla riuscita, al successo), nel loro cercare prima di tutto
la soluzione e il superamento del disagio interiore inteso pregiudizialmente
come modo disfunzionale e svantaggioso di intendere e di rapportarsi alle
esperienze, vadano sostanzialmente dietro e siano coerenti con questa visione della
realizzazione personale, così come presente nell'idea comune prevalente. Accade
così che si fraintenda, che senza esitazione e senza dubbi si giudichi
espressione di ritardo o di malfunzionamento, di impiccio dovuto a qualche
errore di apprendimento o a qualche infausto condizionamento familiare o
ambientale, ciò che interiormente ha ben altro significato e intento, ben altro
valore, utile a riportare l'individuo a se stesso e a dotarlo di capacità di
veder chiaro dentro se stesso, condizione indispensabile per non fare sciupio
della propria vita rincorrendo la cosiddetta normalità, cioè l'idea comune e
prevalente cui si consegna il compito di fare da guida e da orientamento.
Perchè alla visione illusoria, trainata e regolata da fuori, si sostituisca la
visione nitida e fondata, trovata col proprio sguardo dentro e attraverso se
stessi, è necessario rivalutare la propria esperienza interiore, il contributo
che la parte intima e profonda di se stessi sa dare, collocandola, come merita,
al centro del proprio interesse. Sarebbe saggio smettere di tenere in posizione
subordinata e ai margini o fuori dal proprio campo visivo la propria esperienza
interiore, esaltando scioccamente come sana la pretesa di andare via dissociati
da parte essenziale di sè, sarebbe provvidenziale per se stessi non insistere
nella pretesa e nella presunzione di risanare e di correggere la propria
esperienza interiore, quando in realtà è l'unica che, ascoltata e correttamente
intesa in tutte le sue espressioni, anche e soprattutto in quelle in apparenza,
solo in apparenza, anomale o insensate, saprebbe ridare le basi della
consapevolezza e della scoperta del senso della propria esistenza. Colpire ciò
che di sè non si conosce nel suo autentico significato e valore, col solo
intento di continuare a procedere a testa bassa, illusi di essere e di sapere,
non è scelta così saggia e promettente.
domenica 5 aprile 2020
Illusi di essere e di sapere
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