Capita non di rado che
s’incontrino con favore reciproco la richiesta di contrastare e di
superare in fretta situazioni di sofferenza interiore di chi ne è
portatore e l’offerta di chi, tecnico, esperto o in varia forma
curante, si proponga di sanare, di dare risposte rassicuranti
e che vorrebbero essere risolutive. I due, "paziente" e curante,
convergono, senza esitazione, nella lettura del malessere interiore
come disturbo, come anomalia da correggere, come non ci fosse da
ascoltare e da capire con attenzione e scrupolo quella complessa
esperienza interiore, come se il segnale intimo di sofferenza fosse
solo la traduzione in sintomi tipici di un guasto, di una malattia. La sovrapposizione di un'etichetta diagnostica conclude rapidamente il discorso, come se l'etichetta chiarisse qualcosa, limitandosi invece a rendere la singolare esperienza di ognuno sbrigativamente uguale ad altre e omogenea, ripetitiva di uno schema. Esperienza interiore dunque catalogata e rapidamente messa da parte incompresa, al più qualche domanda del curante per indagare su un eventuale periodo stressante e sulla presenza di eventuali fattori e circostanze avversi come spiegazione del presunto logorio interiore, del danno. Sguardi complici tra
cosiddetto paziente e curante, nel cercare pronta spiegazione e
soprattutto pronto rimedio, nel confermare la sostanziale validità e
ovvietà dell’insieme e dei fondamenti del modo di essere e
di procedere abituali, nel cercare il rapido superamento del
malessere, visto come ostacolo e fonte di danno, come disfunzione e
corpo estraneo, da sanare, eliminare o correggere, casomai con l'invito a introdurre
qualche diversivo o ritocco nelle proprie abitudini, combinato, perchè no, agli
immancabili psicofarmaci. Questo modo di pensare e di trattare la crisi e il
malessere interiore, tutt'altro che raro, ignora che ciò che accade
interiormente non è affatto un accadere qualsiasi, ma è prodotto
di intelligenza profonda, non è puro effetto di cause condizionanti o stressanti,
ma è espressione di iniziativa profonda, di intenzione dell'inconscio di rendere riconoscibile
qualcosa di se stessi di fondamentale e di importante, di innescare un
processo di avvicinamento a sé e di presa di coscienza attenta, da
qui di una trasformazione e non di poco conto, assolutamente
necessaria e propizia. Se saputo intendere e comprendere il malessere
interiore non è affatto anomalo modo di reagire o di porsi, non è patologia, ma è spina nel
fianco e richiamo, sollecitazione che viene dal profondo per portare
finalmente lo sguardo su di sè, è indicazione e traccia precisa per capirsi e per capire, a condizione che si sappia reggere la tensione dell'esperienza interiore dolorosa e che si impari a riflettere (a vedere dentro il prorio sentire), desistendo dal fuggire e dal sentenziare. L'esperienza interiore così difficile e dolorosa vuole mettere terreno sotto i piedi per ritrovarsi non nell'illusione ma nella consapevolezza, vuole spingere per avviare qualcosa di
assolutamente favorevole a se stessi. La rassicurazione, il rimedio
pronto banalizzano, allontanano chi vive una impegnativa, sofferta e
complessa esperienza interiore dal compito e dall'opportunità di ascoltarsi e di
capirsi, creano spesso o rafforzano la diffidenza verso ciò che
accade interiormente, emarginato e squalificato come accidente
sgradevole e negativo, da mettere a tacere e controllare, alimentano
la pretesa di subordinarlo a regole decise dall’alto del proprio
controllo razionale, che vorrebbe stabilire, farsi arbitro indiscusso
di ciò che sarebbe sano, auspicabile e conveniente per se
stessi. La parte razionale dell'individuo (anche del curante) però è spesso vittima di visione
convenzionale, inchiodata a criteri che non concepiscono se non il
già concepito, dunque più che essere una guida affidabile, si rivela essere una gabbia che chiude e esclude, che autoesclude
da ogni movimento vitale di pensiero riflessivo e critico, onesto e
leale, permeabile e aperto al proprio sentire, che già nel malessere dice, che
non risparmia di far vedere ciò cui non basta un ritocco e un
incoraggiamento, ma una impegnativa conquista di
consapevolezza, una crescita nuova, mai raggiunta sin lì.
Banalizzare e non vedere nell’intimo disagio la richiesta che viene
dal proprio profondo di un cambiamento vero, non d’ambiente e di
situazioni, ma di se stessi, prima di tutto del proprio modo di
vedere, di pensare e di pensarsi, che da astratto, da conforme e
vincolato al comunemente pensato e concepito, diventi aderente a sè
e fondato su sentire, su intima esperienza, su riflessione che vi
attinga, è farsi danno. Cambiare non è facile, costa,
richiede all’inizio vedere come si è, non tacersi ciò che può
essere imbarazzante, scomodo e doloroso riconoscersi, richiede
trasformare la propria iniziale angustia di visione e di mezzi,
spesso tesi più a dare prova e a conformarsi ai giudizi e alle
attese degli altri, a star dietro all'andazzo di modelli e di
aspirazioni generali, che a fondarsi su propria ricerca e scoperta di
significato e di valore, su proprie profonde originali aspirazioni,
mai avvicinate e comprese. Attingendo a nuova capacità che il
profondo sa offrire e favorire, attraverso i suggerimenti e i
percorsi di ricerca e di presa di coscienza aperti dal sentire e
particolarmente attraverso l'impulso al pensiero riflessivo dato dai
sogni, sarebbe certo possibile, come accade in una buona esperienza
analitica, generare il nuovo, fedele a se stessi, che finalmente
sostituisca l‘insieme fragile e qualunque su cui si
faceva leva e che, col proposito di "curare", di liquidare
il malessere come anomalia, si voleva far persistere, prolungare. Se
si assume questo compito, se si corrisponde alla richiesta che il
malessere interiore pone con forza, si può fare lavoro utile,
davvero favorevole a se stessi, si può, pur gradualmente, recuperare piena intesa e
accordo con la propria interiorità, che non chiede certo
rassicurazioni banali e pronti inutili rimedi. Non è facile capire
il linguaggio interiore, ma se si è aiutati a farlo, ci si può
guadagnare in consapevolezza, in crescita vera e in nuova progettualità.
Diversamente ci si ferma al palo, con messa in conto della non
solidarietà del proprio intimo e profondo, che dei rimedi, delle
risposte fasulle e disattente non sa che farsene, espedienti che
prima o poi tornerà a far saltare con intransigenza e con vigore, per battere ancora cassa, per
chiedere, con la forza del malessere, risposte serie, appropriate e
intelligenti.
mercoledì 25 febbraio 2015
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