venerdì 6 febbraio 2015
Paure stupide?
Quante volte capita che di fronte a paure, che possono essere di fortissima intensità (come, per fare qualche esempio, la paura di uscir di casa, di sentirsi male in luoghi affollati, la paura di spazi aperti e ampi o viceversa stretti e chiusi ) in situazioni nelle quali la cosiddetta normalità prevede e invoca sicurezza, agio e facile padronanza, il commento di chi le vive e di chi gli sta attorno sia che queste paure sono ingiustificate e assurde, irrazionali (intendendo senza senno e senso), anzi "stupide"! Non sembrerebbe fare una grinza. Stupido a un’attenta osservazione è però il giudizio sulle paure "stupide". Solo la conoscenza interiore limitata o assente e l’applicazione agli eventi intimi di una logica concreta e convenzionale, impropria, che nulla comprende del linguaggio e degli svolgimenti interiori, del loro significato e scopo, fanno sì in realtà che ogni dubbio venga spazzato via, che circa l’infondatezza e stupidità delle paure si instauri la certezza. Se non si capisce l'intenzione, profonda, che le muove, il loro senso e le si giudica nell'apparenza, applicando loro logica comune, se le si tratta con fastidio perché intese e temute subito come assurdi intralci, se le si squalifica perché si è soggiogati dalla pretesa e dall'obbligo di essere superiori a quelle paure "stupide", finisce che ci si condanna a non capire nulla. L'iniziativa interiore che muove quelle paure è volta a rendere chi le vive consapevole di cose, di verità e implicazioni fondamentali e profonde, riguardanti se stesso, che superano la capacità mentale del pregiudizio, che come tale è piatto, limitato e stupido, perché vuole solo coerenza con ciò che ha in testa e che ripete ogni volta uguale, baldanzoso e reso sicuro dal fatto che per molti o per tutti quel giudicare è ovvio e sacrosanto. Il risultato è che se una parte di sé, tutt'altro che stupida, vuole mettere dinnanzi a una questione, non marginale (altrimenti non insisterebbe in quel modo) da capire, usando un mezzo solo in apparenza privo di senso e di utilità, un'altra parte di sé, che presume di sapere cosa sia intelligente o stupido, giustificato o assurdo, le spara subito contro, facendo trionfare solo la sua ignoranza e limitatezza, la sua incapacità di comprendere ciò che va oltre il giudicare solito e comune.
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