Il prezzo
della lontananza da se stessi. E’ il prezzo che si paga quando, in
presenza di un'interiorità, che non rinuncia a porre al primo posto
la centralità dell'essere rispetto al fare e al proseguire
purchessia, di un'interiorità che dà segnali non di guasto e di
disfatta, ma di tormentata presenza viva, che smuove e dice,
che chiede ascolto, la risposta é quella del solo allarme,
del lamento, dell'invocazione di dissolvere e di mettere a tacere la
propria intima voce, dell'indisponibilità al confronto con se stessi
e alla ricerca del senso di ciò che si sta sentendo e profondamente
sperimentando. La lontananza da se stessi si evidenzia e si rafforza
nel dare disponibilità a impacchettare tutto della propria
esperienza interiore sofferta nell’idea di malattia, con una bella
sigla ( etichetta diagnostica) messa sopra, che illude di capire, di
spiegare (quando mai mettere un’etichetta dal vago sapore
scientifico aiuta a capire, a fare passi avanti nella conoscenza di
se stessi? ). Qualche farmaco e qualche buon (si fa per
dire) consiglio e esortazione per zittire il malessere o
per metterlo nel sacco, cercheranno di chiudere ( illusoriamente) il
conto. Per capire lo stato attuale delle cose e soprattutto l’intoppo
nel dialogo con se stessi, l'incapacità di ascoltarsi, che nel
frangente della prova difficile, della crisi si evidenzia
clamorosamente, dobbiamo però considerare tutto ciò che ha
preceduto le tormentate nuove pagine di vita e d'esperienza. Da
sempre la parte di sé che si esprime nel sentire è stata
probabilmente incompresa e sminuita. Trattate le proprie emozioni, stati
d’animo e corsi interni d’esperienza come roba di secondo piano,
puro colore e rumore di fondo, gradito se complice, guardato con
sospetto e con fastidio se dissonante e discordante le attese e le
previsioni, tutto il valore e l’affidabilità possibile son
stati dati alla parte "alta", quella della cosiddetta
consapevolezza, ragionante e capace di presunta obiettività e di
lucido controllo. Peccato che questa parte, se ben osservata, mostri
di assorbire come spugna luoghi comuni e parti di discorso
prese in prestito e mai da sé verificate e comprese, peccato che ami
prima di tutto aggirare l'ostacolo anziché vedere e
capire, che isoli, discrimini o bellamente metta in secondo piano e
oscuri tutto ciò che non le dà conferme e rassicurazioni utili, che
metta al primo posto la compatibilità con l’interlocutore esterno
e col giudizio altrui più che l’aderenza e il confronto con
se stessi…e via di questo passo, in un modo di procedere dove
l’andar dietro e il non voler essere da meno degli altri e delle loro attese, dove l’afferrare tutto il ben di dio del mercato
delle idee comuni e delle soluzioni pronte (considerate come la "realtà" unica e possibile) valgono più di ogni altra cosa, dove i segnali interni
discordanti e potenzialmente fondanti le ragioni e le occasioni del
proprio esserci e del vedere con i propri occhi ( impacci, silenzi,
inquietudini, ritrosie, cadute d’interesse e di motivazione,
ecc) vengono viste e contrastate come le bizze di un mulo che non
vuole fare, che non sa stare al passo. Quanto della propria
esperienza interiore è mai stato difeso, valorizzato, ascoltato,
avvicinato come terreno vivo di incontro con se stessi, come
occasione per capire cosa stava accadendo? Spesso nulla, proprio
nulla. Perciò parlo di lontananza da se stessi, già abituale e che
fa sì che nel momento in cui la propria interiorità fa la voce
grossa, mette in campo segnali di malessere, interferenze grandi come
case, questa voce non venga raccolta, compresa, soprattutto non dia
il via alla voglia di raccogliersi su di sé per cominciare a
ritrovarsi, a metter finalmente al primo posto l’essere rispetto al
tirar dritto.
domenica 29 gennaio 2012
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