Gli eroi sportivi, che siano numeri uno, che vincano medaglie di metallo vario, che comunque competano in gare imprese di qualunque genere, messe sullo schermo o in prima pagina e osannate, sanno facilmente sedurre, cioè portare a sè quella voglia di riuscita, di conquista che, non costruita e coltivata da sè, finisce per passare loro per delega e mandato, appassionatamente. L'impresa non ha volto proprio riconoscibile e distinto, non è frutto di sviluppo e di crescita originali e proprie, ma poco importa, è come se, tifando l'eroe di giornata nella sua impresa, ci fosse l'esaltazione e il gaudio della conquista propria. Ma c'è di più che la fascinazione per l'impresa dell'eroe di turno rivela. Il successo del campione, che riscuote il plauso generale, che ottiene il trionfo celebrato, dà compimento a ciò che più ammalia. Quando non si ha esperienza e conoscenza di cosa significhi generare qualcosa tratto integralmente da sè, da un lavoro su se stessi, che messo al mondo ha il volto originale e unico di una creatura profondamente propria, di cosa sia la passione nel vederlo vivere e nel farlo crescere, non si conosce la gioia vera, che non è legata a nulla di spettacolare da ostentare, con cui stupire e soddisfare il gradimento del pubblico, degli altri. Ciò che si genera è meraviglia per i propri occhi nel vedere nascere da sè e vivere ciò che non è stato concepito per avere per destinazione il palcoscenico, per scopo la classifica, il podio, la medaglia con la celebrazione pubblica che commuove, che dà ebbrezza, che è conquista tutta alimentata e sostenuta da fuori. Se si conosce la vera gioia della creazione, si scopre che questa gioia non ha bisogno di pompa e di grancassa, di fama, di pubblica celebrazione e encomio, che ha in sè la sua forza e la sua ricchezza, che non c'entrano nulla col successo. La sua forza e la sua ricchezza sono legate all'aver sostenuto sviluppi e percorsi d'esperienza originali, all'aver assecondato aspirazioni riconosciute dentro di sè, in intesa e in accordo con il proprio intimo e profondo, come significative e importanti, altre da quelle già fissate e predisposte come valide e degne, dentro cui incanalarsi per misurare le proprie capacità e dare prova di bravura e di prestanza per riceverne approvazione e plauso. Ebbene gli eroi da stadio e da primato olimpico e di ogni altra specie, danno volto all'aspirazione massima di chi ha scambiato il desiderio di realizzazione col successo, di chi conosce solo la gioia venduta e da fuori alimentata, la gioia del pubblico riconoscimento, della fama, degli applausi, della riuscita nella corsa su corsie prestabilite dove dimostrare di non essere da meno di altri, dove cercare con ogni sforzo di primeggiare. Va solo aggiunto che qualcosa di analogo a ciò che è riservato ai campioni sportivi, della stessa pasta e matrice, accade che sia rivolto ai campioni che in ogni ambito e espressione, che sia quella cosiddetta artistica o culturale o di chi fa impresa che fa soldi o di chi fa carriera o arriva a rivestire una carica in una gerarchia pubblica o privata o nell'ambito politico, appaiano come gli eroi di quel successo, di quel modo di intendere la realizzazione personale che ha dalla sua il credito e l'ammirazione comune, la fama e le onorificenze. In ogni caso ci si beve tutto quando si è abituati a seguire in modo credulo e gregario, a farsi dire, a non portare a maturazione autonomia di pensiero e di scoperta originale di cosa sia la realizzazione scaturita e interamente formata e alimentata da sè.
domenica 18 agosto 2024
sabato 17 agosto 2024
L'originale e l'artefatto
Questa della natura originale o della costruzione artificiale del proprio modo di essere e di realizzarsi è la questione centrale da tenere presente se si vogliono capire le ragioni del malessere interiore, il significato di tutta quanta l'esperienza interiore e lo scopo della iniziativa dell'inconscio che per intero la plasma e la dirige. Solitamente si pensa che i disagi interiori abbiano origine da condizionamenti esterni sfavorevoli, che siano il prodotto ad esempio di traumi pregressi, di distorsioni o di carenze nella cura e nell'educazione ricevuta, in ogni caso si pensa che ci sia un difetto di funzionamento che si auspica di correggere, di sanare, perchè il corso della propria vita prenda una piega regolare. Si è già dentro l'idea che tutto debba procedere nell'unica direzione e senso conosciuto. In realtà la questione è ben altra e se non la si intende si rischia solo di spingere a senso unico, di insistere ciecamente perchè tutto proceda senza vedere come e su quali basi. Totalmente vincolati alla pretesa del regolare e efficiente funzionamento, non ci si dà la capacità di capire cosa sta accadendo quando il proprio profondo prende forte iniziativa e apre crisi e impegna in un corso si sensazioni e di esperienze interiori difficili e che non danno tregua. La questione della natura e della qualità del proprio modo di condursi, del proprio modo di pensare se stessi, di intendere la propria realizzazione è fondamentale. E' proprio lì che l'inconscio ha portato lo sguardo, è lì che prende posizione e cerca di intervenire per coinvolgere l'insieme dell'individuo per aprire gli occhi, per cominciare a assumere una diversa prospettiva. Occupiamoci dunque di questo nodo fondamentale, imprescindibile per comprendere il significato del malessere interiore e di ciò che vuole perseguire l'iniziativa del profondo. L'impianto naturale o viceversa l'innesto artificiale di una vita ne rendono profondamente diversi gli svolgimenti, gli sviluppi e gli esiti. Tenersi uniti alla propria matrice vera, al proprio intimo e profondo e da lì sperimentare cos'è scoprire, conoscere, orientarsi, procedere per guida interna, coltivare, far maturare e nascere, decidere e realizzare in unità e in accordo con la propria capacità di vedere e di comprendere è una cosa, affidarsi a altro per formarsi, che significa fatalmente uniformarsi a questa nuova matrice, per formare capacità di pensiero, per crescere e per dare compimento non più al proprio frutto e progetto, ma a un disegno, a una realizzazione già e diversamente da sè concepita, è tutt'altra storia e destino. Imboccata la strada del farsi portare e formare, ben istruiti e educati a credere che quella soltanto sia la via per dare crescita e realizzazione a se stessi, il senso dell'artefatto va via via smorzandosi fino al compimento di quella mutazione per cui, pur assumendo e riproducendo nello sguardo e nei pensieri altro da sè, ci si convince che lì dentro ci si è, si vede, si intende e si dice la propria, si dà espressione alla propria volontà, si mettono in luce le proprie capacità, si vive di propria sensibilità. E' il capolavoro della alienazione, di un processo di estraniazione da sè, di rinuncia a fondare su di sè, sul rapporto con la propria interiorità, col proprio sentire e con tutta la propria risorsa interiore, la formazione del proprio pensiero, di delega e di trasferimento a altro della funzione e della capacità di darne le basi, gli indirizzi, di garantirne la validità. E' un processo che mette in gioco mica poco, la rinuncia alla creazione e allo sviluppo della propria autonomia, prima di tutto di pensiero, di scoperta autonoma di significati e di capacità di concepire percorsi, finalità e scelte, guidandosi da sè, che non ha nulla a che fare con l'illusoria autonomia del dibattere e del prendere posizione su questo o quello con argomenti pro o contro, del mettere in atto questo o quello, in apparenza originali. E' il capolavoro dell'alienazione perchè è un processo del cui significato e delle cui implicazioni non si prende visione, di cui si eclissa la consapevolezza (a parte che nel proprio profondo, che, non per caso, consapevole del significato e della portata di ciò che accade, non cessa di dare segnali, di intervenire e di interferire). E' il matrix perfetto, che una volta avviato si auto alimenta, è il ritrovarsi non nel legame con la propria originale matrice, è il trovare (seconda) natura dentro un'altra matrice, dentro un altro stampo, fino a considerarla propria, fino a difenderla con le unghie e con i denti. Ci si ritrova così a difendere il valore di una vita dove si è riposto tutto, dove si vale per la buona prova offerta che trova apprezzamento, dove l'intelligenza prende la forma del sapere che ottiene abbraccio e lode, dove i sentimenti, i più graditi e voluti sono quelli che sanno di buono, che sono ben considerati, che nel catalogo sono i più virtuosi. L'accordo con altro che dà conferma e plauso sostituisce l'accordo con se stessi, con ciò che da dentro il proprio intimo e profondo sarebbe capace di dare indirizzo e alimento alla scoperta fatta con i propri occhi, alla comprensione dei significati non per suggerimento, ma per intima esperienza, verificata, toccata con mano, dove la passione, quella vera e secondo natura, non è di essere applauditi, ma di generare, di creare, di far vivere e realizzare qualcosa di autentico, di originale, fedele a sè, che origina da sè, dal legame con la propria matrice vera, con il proprio intimo e profondo. Fatta propria la seconda natura, quella assistita e tenuta in piedi da altro che la forma e sostiene, è fatale che si diffidi della propria, che non si dia credito alla possibilità che dal rapporto con se stessi, con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, possa nascere ciò che conta e vale, che si sminuisca ciò che l'interiorità può dare, che lo si riduca, che le si voglia assegnare solo il ruolo di coda, di ombra, di seguito gregario. Cos'altro è riconosciuto al proprio sentire e a tutta la risorsa interiore se non di accodarsi e di accordarsi con le pretese della parte conscia ormai venduta, affiliata all'altra matrice, affittata al compito di sostenere e di riconoscersi soltanto nelle capacità realizzative impiantate nella matrice della mentalità, dei modi di concepire comuni e organizzati a cui ci si è rifatti per trovare tutto? Da se stessi, dal legame, dal rapporto con la propria interiorità ci si convince che non è pensabile che possa nascere e formarsi il fondamento e il necessario per essere individui pensanti in proprio, capaci di mettere la propria vita su guide e su impianto proprio, in modo valido e credibile. La seconda natura oscura e rende improbabile ogni alternativa, anzi è pronta a denigrarla, a screditarla dove si provasse a darle credito. La scelta di staccarsi dall'insieme per dare spazio e occasione all'incontro e al dialogo interiore, sempre ammesso che lo si sappia rispettare prima di tutto come ascolto dell'interiorità e non come monologo della parte conscia, se non hanno corso limitato nel verso del ricaricarsi e in tempi rapidi per ripartire nei modi consueti, sono visti e giudicati come segnali preoccupanti e insani di isolamento, di distacco dal reale, di vizio capitale di egoismo, di egocentrismo e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso è considerato velleitario staccare dalla fonte esterna, dalla matrice che alimenta la seconda natura, spacciata per vera natura. La tesi dominante è che dal rapporto con se stessi, se preso sul serio, se investito di attese, non si può che trarre illusioni e ingenue persuasioni, non certo qualcosa di credibile, non certo il fondamento di una crescita autentica, forte e valida, di ampio e valido respiro e affidabilità. Se però si dà credito a ciò che è bollato come l'impossibile, se lo si coltiva, come accade dentro una valida esperienza analitica, si scopre che dal rapporto col proprio profondo, che rimettendo assieme, ritrovando le radici del proprio essere, ritrovando la vera autentica matrice, è possibile generare ben altro che la solita lezioncina, i soliti collaudati incastri di ragionamento a cui si è affidato l'esercizio del proprio pensiero, che gira e rigira tornano sempre all'ovile della visione della vita solita e già orchestrata e impartita. Può compiersi così e non certo magicamente e in un attimo, perchè è un vero parto con i suoi tempi di gestazione, la mutazione inversa, quella che riporta l'essere a trovare le sue vere radici, la sua capacità vitale, il suo respiro, la sua consapevolezza e capacità di visione, le sue originali qualità e potenzialità. E' una vera profonda trasformazione quella che si compie, stavolta per il verso giusto, del rientro a casa, al proprio da cui si rinasce con le proprie forme e sostanza, abbandonando via via, non senza difficoltà e contrasti interni (la seconda natura, con i suoi apparenti agi di aver già le risposte e le soluzioni pronte e apparecchiate, con la sua presa e capacità di inglobare in sè orgoglio personale e senso di riuscita, non ci sta facilmente a farsi mettere in discussione e da parte), quella parvenza di essere, artificialmente formata su altro impianto e matrice, cui ci si era consegnati. E' proprio la parte viva e profonda di se stessi, è proprio l'inconscio a pilotare, a alimentare, principalmente con i sogni, questo processo di trasformazione nel verso del ritorno a se stessi, del nuovo radicamento e della rinascita da se stessi. Dando spazio e credito al dialogo interiore, alla capacità che ha di far ritrovare il contatto e lo scambio vivo con la propria matrice autentica, con la propria interiorità, ciò che si può vedere nascere e formarsi è davvero unico e sorprendente. La natura, quella vera, sa dare il meglio, che è l'originale, l'autentico di sè che ha capacità vera e autonoma di vivere, di crescere e di dare frutto. La seconda natura, a cui ci si è aggrappati e legati come se non fosse tale, può solo produrre l'artefatto, che senza sostegno esterno di plauso e di conferma non può esistere e stare su, che altro non può fare che riprodurre ciò da cui artificialmente è scaturita.
sabato 10 agosto 2024
Basta un poco di zucchero e...
Basta il contentino della promessa di essere sollevati dal disagio interiore, che è voce della propria interiorità, mica una infezione da virus o un disordine da causa nociva o una patologia da insana predisposizione, per essere ben disposti a mandare giù uno o più farmaci, a sottoporsi a una cura psicologica che, analogamente al farmaco, cerchi di trattare e di "aggiustare" lo stato interiore, di indagare le presunte cause di un presunto guasto, con l'auspicio di liberarsi di una condizione interiore difficile e sofferta, vissuta come anomala e ostile, che comunque si vuole mettere a tacere, mettendo in realtà a tacere parte intima di sè che non si vuole e non si sa ascoltare. Tutto brillerà di più? In realtà la promessa di liberarsi del malessere interiore, è destinata assai spesso a rivelarsi fragile e illusoria, perchè la parte di sè intima e profonda, che ha mosso la crisi, che ha alimentato il disagio con uno scopo tutt'altro che insano o ostile, non è affatto docile e disposta, se inascoltata, se non compresa e condivisa nelle sue proposte, a farsi da parte, a rinunciare a farsi ancora avanti, pur rischiando nella sua iniziativa di essere ancora fraintesa e diagnosticata come una ricaduta di malattia. Va comunque precisato che ciò che ho definito come il contentino della promessa di liberarsi del disagio interiore non è certo considerato tale, gode viceversa di ampio e incondizionato credito, è considerato come il meglio desiderabile, dunque non come una banale gratificazione, ma come il bene massimo da procurare a se stessi, come lo scopo prioritario da perseguire, su cui non possono esserci dubbi. Questo è il frutto di una abituale lontananza dal proprio intimo, di un modo di condursi in cui la relazione con gli altri e con ciò che è presente al di fuori di sè è stata e è il fulcro dell'esistenza, da salvaguardare, in cui la relazione con se stessi, con la propria interiorità, è ipotesi più che remota, neanche concepita e di fatto sconosciuta, di scarso se non di nullo interesse. Il rapporto con se stessi, se così vogliamo chiamarlo, è inteso nell'unica accezione di trovare dentro di sè la leva della capacità di riuscita, di trarre da sè l'espressione da portare fuori capace di ottenere la migliore considerazione degli altri. Più cresce e è abituale il vincolo e il riferimento alla cosiddetta realtà, a quell'assoluto, "la realtà", cui rimanere ben adesi, con cui pare sempre fondamentale e necessario non perdere i contatti, che di fatto è l'insieme di abitudini e di pratiche comuni, di eventi e di temi messi all'ordine del giorno e da seguire, a cui rimanere intenti, di modelli, di risposte e di soluzioni predisposte, di canali messi a disposizione dal sistema organizzato per fare, per conoscere, per gioire e per svagarsi, per impegnarsi in cause nobili più o meno, per riceverne, se si dimostra su quelle basi di essere validi e prestanti, senso di conquista e fondamento di autostima, più si consolida questo vincolo dipendente e più contemporaneamente diventa ai propri occhi naturale, "normale" la propria condizione di gregari, che tengono il passo, che, illusi di dire la propria, di prendere iniziativa, assecondano e si accordano con altro che dirige, che regola e istruisce, facendo consumo di temi, di risorse, di opportunità, di guide e di pensieri messi a disposizione, gentilmente messi nel piatto da masticare bene e da mandare giù. L'effetto è di ignorare la possibilità, la necessità, la passione di essere individui veri e singolari e non esseri addomesticati e replicanti. L'effetto è di considerare assurda la pretesa, tutt'altro che assurda, ma profondamente umana, di alimentare da sè la conoscenza, di trarre da sè la scoperta autonoma di significati, lavorando su di sè, sulla propria esperienza, di non avere necessità vitale per conoscere di prendere istruzioni e supporti da fuori, ma di poter scoprire con i propri occhi, di poter generare conoscenza, in unità con la propria interiorità, raccogliendone i suggerimenti e le guide, di poter aprire percorsi e dare corso a sviluppi di realtà che non siano quello spettacolo messo in scena e quella pappa comune messa di continuo a disposizione. Generare è ben più impegnativo che consumare, che fare il verso a altro, che ragionare in accordo con altro già definito, che limitare le proprie aspirazioni a dare buona prova e prestazione in ciò che è ben considerato per ricevere plauso e apprezzamento. Generare, che è possibilità aperta a ognuno e non certo un'esclusiva dei cosiddetti "creativi" di professione, che non di rado, a parte l'etichetta e la fama, di creativo vero non hanno proprio nulla, è ben più appassionante che consumare, cambia il volto della propria vita e dona vera libertà. E' la libertà di seguire se stessi, che si fonda sulla capacità di veder le cose a modo proprio e di non farsi dettare e dire da qualche presunta o pretesa autorità cosa sia o non sia la cosa vera, l'idea giusta, il pensiero corretto, è la libertà di difendere e di far vivere ciò che da sè, in unità piena con se stessi, fino in fondo si è compreso, in cui davvero si crede e che si ama, senza il bisogno e l'interesse di chiedere a altri di concordare, di applaudire. Per tutto questo è fondamentale e irrinunciabile l'accordo e l'unità col proprio profondo, che è anima e guida validissima di questa ricerca di autonomia e libertà di pensiero, sia fornendo le guide della ricerca del vero attraverso il sentire, sia fornendo lumi di conoscenza in modo sublime con i sogni, profondo che, non per caso, col malessere e la crisi muove e agita le acque interiormente, proprio per spingere a un percorso di cambiamento radicale, da passivi e inconsapevoli a soggetti creatori e consapevoli. Senza legame con la propria interiorità non c'è possibilità di pensiero che non sia di adeguamento, di docile accordo e fruizione d'altro, anche se questo non lo si sa e soprattutto non lo si vuole vedere. Dove niente sia scaturito da sè, niente di visione riflessiva che prima di tutto faccia vedere cosa si sta facendo di se stessi, mossi e vincolati a quali imperativi, regole e modalità, si è solo al traino d'altro, anche se illusi di dire la propria. Senza scambio e raccolta di spunti e di guide provenienti dal proprio profondo, capaci di rendere liberi e autonomi nel pensiero, non si può che rimanere vincolati a una forma di pensiero che segue e asseconda, che ripete e riproduce il pensato comune (non importa se facendo gli oppositori, sempre però trovando sponda in qualcosa di già concepito), che allontana dalla conoscenza di se stessi e dalla scoperta di significati altri da quelli presi da fuori, introiettati e ripetuti. Se dunque l'interiorità col malessere punge e pungola a prendere contatto con sè, a aprire gli occhi, a avviare un percorso di presa di coscienza, di recupero di unità piena con se stessi, di scoperta del significato della propria vita interiore, di recupero delle ragioni e delle potenzialità proprie e originali da sviluppare, ecco che la reazione è di scacciare il richiamo che pur difficile è portato dal disagio interiore, di rimettere prontamente in moto la fuga da sè per salvaguardare la capacità di stare in unità e al passo con gli altri. Ecco che basta quel pò di zucchero, di dolce e gradevole gusto della promessa di una possibile ripresa del vivere senza intralci interiori in attaccamento a altro, per mandare giù la pillola della cura che spacca il vincolo a sè, che il malessere interiore stava cercando di far recuperare, per rinsaldare e non compromettere la simbiosi con altro, come se quella, presa in prestito, pilotata e impartita da fuori, fosse vita propria e bene da non perdere.
mercoledì 7 agosto 2024
Le ragioni del malessere
(Rimetto in primo piano questo mio
scritto di alcuni anni fa.) Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore,
questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e
con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo
vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che
lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il
proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o
indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la
manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro
o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili
espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la
manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte
intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione
a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze
prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo
guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di
reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo,
risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il
presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto.
Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale,
chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica
possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e
espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere
interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e
vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un
accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla
affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro
essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e
valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra
esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro
inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta
automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire
inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena,
senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia,
depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è traduzione
meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o
abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile
espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non
irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè,
nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano
stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo
adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a
se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto,
ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a
dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come
dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia
ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a
evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si
è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica,
all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso
piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta
l’esperienza interiore disagevole, per rendersi conto (sempre meglio via
via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto,
che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è
maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per
capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere
coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va
finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono
cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri,
come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di
vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare,
senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode
da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del
sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa
nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte
l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una
spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione
lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere
al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere
interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel
profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio
potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in
un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda
trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare
pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi
essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al
proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai
possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente
infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per
la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel
riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento,
che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non
si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali".
Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse
l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le
cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli
insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo,
come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era
sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare
qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per
il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle
persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè,
deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al
modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose
o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate,
non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non
importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su
sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi. Procedere
in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di
certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di
stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel
treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico
dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e
di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione
della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere
interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza
analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere.
Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia
nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la
ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio
nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i
nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito,
con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio
originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un
cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è
maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere
individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi
richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la
si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare
da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che
avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e
sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di
cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo
sentire oggi dice e fa vedere di se stessi. C'è da intendere ciò che la
propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di
consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e
che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e
valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della
crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di
esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di
lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti
che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene, prima di
tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è
omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi
vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza
benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o
mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti
e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di
ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del
malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e
del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni,
di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte
di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non
compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva.
Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive
dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta
interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di
rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e
scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento
della propria salvezza, del proprio vero benessere.
La cosiddetta scienza
Quando la scienza della psiche, lo fa spesso, mette in campo teorizzazioni circa gli svolgimenti interiori, che a un attento esame si avvalgono di preconcetti e di discriminanti, di distinguo tra ciò che è sano o insano, funzionale o disfunzionale, si rivela essere quanto di più lontano dalla vera scienza, che ha come scopo di aprire lo sguardo, di riconoscere, senza pregiudizio e rispettosamente, il senso di ciò che la vita interiore propone, scienza come ricerca, mai definitiva, soprattutto mai fondata su affermazioni di principio e su attribuzioni di significato date per scontate. Chi, non importa con che titolo di esperto, presume di sapere già e che, rivolgendosi all'intimo, pretende di stabilire sul suo conto cosa sia valido o funzionale, cosa vada interpretato come alterazione e come tale spiegato, messo sotto trattamento e raddrizzato per renderlo conforme alle aspettative e alle pretese di buona resa e perchè comunque non intralci, in nulla mostra di aver capacità di rapporto e di comprensione del significato e del valore della vita interiore. Possono essere varie e sofisticate le elaborazione di questa presunta scienza psicologica, che di volta in volta se ne esce con le sue mirabolanti scoperte circa i perchè e l'origine chessò dell'ansia, piuttosto che della depressione o altro. Tutto l'elaborato si muove nelle guide di ciò che si dà per scontato. Sono i trucchi di una scienza non scienza, che sa come farsi forte delle affermazioni che fa, poggiando su premesse e su postulati mai messi in dubbio. I teoremi questa scienza pseudoscienza sa come metterli assieme e rifinirli dando loro la veste di scoperte ben solide e provate, lo fa con agio e avendo vita e credito facile dove prevalga, come accade assai spesso, nel pensato comune l'ignoranza e la lontananza dalle vicende interiori, dove già lì, nella testa dei più, ci siano le basi di quei principi di normalità e di ricerca delle soluzioni, che paiono più che legittimi, fuori discussione, della correzione trattamento di ciò che appare come guasto e disturbo, ostacolo e anomalia. La scienza pseudoscienza sposa per intero queste premesse presenti nel pensato comune, fa un lavoro fine di elaborazione, ma elaborando il senso comune. L'interiorità, ciò che vive nell'intimo di ognuno, non è un oggetto, non è un congegno da indagare, da gestire e controllare, piegato nel suo essere alle aspettative d'ordine e alle pretese di gestione della parte conscia e di chi se ne fa portavoce, l'interiorità è presenza viva e intelligente, propositiva e dotata di un attributo fondamentale, che è la capacità di ricerca e di riportare di continuo al vero, di salvaguardare libertà di giudizio e di pensiero. Se la parte conscia pensa che tutto stia nelle sue capacità di discernimento e non vede che il suo orizzonte è già delimitato, che il suo pensiero è già incardinato su basi mai verificate di attribuzioni di significato prese per buone e ripetute, se non vede che non ha possibilità se non di girare in tondo, di allinearsi ai criteri di riuscita e di realizzazione correnti e prevalenti, la parte profonda è sempre pronta nel sentire a dare richiami, spinte e spunti, interferenze per portare lo sguardo a cercare dell'esperienza e del modo di procedere il senso e il vero, a spaccare la crosta del preconcetto che fa comodo, che blinda ciò che si preferisce credere di se stessi, per comodo, per inerzia. Se non si comprende il vero significato della vita interiore, se viceversa si presume di sapere già e di mettere tutto in subordine di idee e di aspettative che vogliono solo spingere tutto di se stessi nella solita direzione del dare prova, del mettere in atto capacità di riuscita nel verso preso per buono da esempio e prassi comune, come se in quest'unica accezione e verso andasse intesa la realizzazione di sè, ecco che sull'interiorità si compiono solo azioni di pregiudizio, di manipolazione e di, più o meno grossolana, presa e controllo. Non si comprende che senza la parte intima di se stessi, di cui spesso non si conosce nulla, si è ciechi e in balia di andamenti affatto liberi e consoni a sè, di un procedere dove a farla da guida e da garante è altro da sè che nell'esempio e nei modelli comuni dà le guide così come le convalide. La scienza pseudoscienza ben omogenea al credo dominante, alla concezione e visione a senso unico dell'uomo e della sua realizzazione, sorda e indisponibile a comprendere il significato e il valore dell'esperienza intima e della componente interiore profonda, che fraintesa e piegata al ruolo di componente che deve stare in ordine e al passo con la concezione a senso unico, rischia di essere strumento di travisamento, comunque di rinforzo della incomprensione e della mancata intesa dell'individuo con la sua parte profonda. Senza il contributo della sua parte profonda, che sola ha la capacità di liberare il suo pensiero dall'incastro del preconcetto, monco di questo contributo fondamentale, l'individuo è senza guida propria e capacità di affrancarsi dalla visione a senso unico, di vedere con i propri occhi e di costruire, di generare e far vivere il suo autentico.
lunedì 5 agosto 2024
Dialogo col sordo
L'inconscio interviene di continuo per stimolare la presa di coscienza. Vuole promuovere consapevolezza dove regna la pretesa di saper già e il circuito chiuso del preconcetto, dove il pensiero della parte conscia si arresta difronte alla ricerca del vero, non se ne cura di veder chiaro e di approfondire, pensa di saperne a sufficienza e, quando interiormente incontra qualche intralcio, si inventa ogni argomento per superare l'ostacolo senza guardarci dentro, facendo sua ogni svista e distrazione pur di confermare e di far proseguire il consueto. Cosa fa l'inconscio lavorando sul sentire, su tutta la vicenda interiore che per intero modula e dirige, proponendo i sogni, cosa vuole ottenere? Vuole correggere la tendenza della parte conscia a darsi il convincimento di esserci con padronanza, di avere parte attiva e consapevole, dove invece c'è sostanziale passiva adesione e riproduzione di schemi e di tendenze comuni e prevalenti. L'inconscio interviene dando gli spunti appropriati e gli stimoli più accorti e intelligenti per aprire riflessione sull'esperienza e sui propri modi di condursi, per svelare cosa sta accadendo, su quali basi e in quali modi, con quali vincoli, si sta procedendo. La psicologia corrente, sia quella diffusa nelle teste e nelle idee comuni, sia quella professionale e cosiddetta scientifica, ignorano, non riconoscono in tutto ciò che si muove interiormente la presenza di una dialettica interiore, i segni di una iniziativa della parte profonda che di continuo e con intelligenza interviene, stimola, interroga la parte conscia e le dà richiami, perchè esca dal sonno e dalla nebbia della falsa coscienza, dei ragionamenti che ottundono la mente, che illudono di capire, che in realtà non sanno vedere il vero, cosa realmente si sta facendo di se stessi con le lacune, le inadempienze circa la realizzazione vera di se stessi, pur in presenza di apparenti risultati raggiunti, costruiti però e resi credibili in aderenza e in appoggio a credo comune. Se, come quando compaiono segnali tipo ansia o altri, facilmente etichettati come sindromi o malattie, che possono apparire sfavorevoli e preoccupanti, ma che mai per caso e senza uno scopo smuovono la scena interiore, si finisce in genere per considerare anomalo e espressione di disfunzionalità da combattere e correggere ciò che invece è richiamo e allarme del profondo per cominciare a prendere atto dell'equilibrio precario e insostenibile su cui si fonda il proprio modo di essere e di procedere, per prendere sul serio la necessità di veder chiaro, di conoscere se stessi e di comprendere il vero della propria condizione, con tutti gli sviluppi nuovi e diversi che ne possono nascere e su cui lavorare, significa che la visione di se stessi continua a essere parziale e distorta, che del significato e del valore dell'esperienza e della vita interiore non si è compreso nulla. D'altra parte la visione dell'individuo più diffusa dà la priorità e lo restringe nelle parti di capacità di iniziativa e di testa che ragiona, che servono per destreggiarsi e stare in corsa nel solito procedere, ma che sono le meno valide per fondare la ricerca del vero, assegnando al resto dell'individuo, che non è volontà e pensiero ragionato, un ruolo subalterno, una sorta di meccanica delle emozioni e del sentire che va in qualche modo tenuta sotto controllo, gestita. Dei sogni c'è chi, spacciandola per verità scientifica, dice che sono scarica notturna di ciò che nel corso della giornata ha sovraccaricato di stimoli il cervello e altre fesserie del genere. I sogni, se si analizzano con rispetto e cura, se li si fa parlare, sono una risorsa di pensiero formidabile, pensiero riflessivo e non piattamente operativo e che osserva la superficie, ma che sa guardare dentro l'esperienza e svelarne i modi, i significati, pensiero che interroga cosa si sta facendo di se stessi, dentro quali vincoli e con quali limitazioni e perdite di capacità di crescita e di autonomia. I sogni sono guide per conoscersi, per prendere visione e per elaborare il vero, indispensabili per generare un pensiero che non sia quello razionale, che nella conoscenza di se stessi, visto da vicino e analizzato, ragionando chiude, che, dando spiegazioni, occulta, che difronte a ogni difficoltà e momento interiormente critico punta prima di tutto a risolvere e a far proseguire le cose, che, quando ci prova a approfondire, per troppi limiti, per dipendenza dall'uso di attribuzioni di significato e dall'impiego di schemi comuni e abituali, in realtà si rigira su se stesso e non vede oltre. L'inconscio non demorde mai, preme, interferisce, dice nelle trame e nelle pieghe di emozioni, di stati d'animo, di rilievi continui messi in campo nel corso dell'esperienza, l'inconscio offre nei sogni le migliori guide, mette in campo i simboli che hanno capacità di rendere visibili i modi e i volti della propria verità umana, che la testa ragionante non sa e non può concepire. L'inconscio parla, interviene, richiama, ma il resto è spesso e volentieri chiuso sulle sue. E' un dialogo che avrebbe straordinarie possibilità di risultare fecondo se condiviso dall'insieme dell'individuo, se riconosciuto e rispettato, se valorizzato il contributo della parte profonda, ma troppo spesso è un dialogo col sordo.
sabato 3 agosto 2024
I campioni della giusta causa
E' modalità che seduce, che appassiona, che infervora, soprattutto che conviene, quella che carica e spinge la critica tutta all'esterno, perchè il negativo sia solo roba altrui, perchè a sè spetti solo di splendere di virtù morale e di pensiero illuminato, casomai col desiderio di impartire lezione, di educare, di fissare per tutto e per tutti cosa sia valido, corretto, evoluto. E' una gara sui principi più giusti portata avanti da chi di sè non vuole vedere se non la purezza più immacolata, di chi gongola di presunta superiorità di pensiero e di morale, di chi mai si è preoccupato e occupato di conoscersi, di fare chiarezza, al di là di quel che vuole farsi credere, su cosa sente davvero, su cosa lo muove nelle sue affermazioni e prese di posizione, su ciò a cui mira e che vuole procurare a se stesso, di chi non ha perso e non perde mai occasione per mettere in moto giri di ragionamento, badando bene a tenere lo sguardo lungi da sè, per ottenere il mirabile risultato di farsi coscienza critica di ogni negativo, di chi ha fatto e fa uso di ogni pretesto, preso da vicende e da esperienze altrui, per darsi la patente e la tempra di persona giusta che più giusta non si può, che denuncia, che afferma le idee più valide, le più corrette. Sempre pronti a dare prova di possedere i giusti principi e valori, fanno una gran tenerezza questi campioni del pensiero più progredito e giusto. Bravi bambini da dieci in condotta, non perdono occasione per alzare la manina per dire che sanno, per segnalare alla maestra che conoscono la risposta giusta, il comportamento giusto. Hanno infatti antennine ben sviluppate, con cui sanno captare qual'è il comandamento di giornata, il decalogo dei valori del momento e lì si sintonizzano e prontamente, docili e disciplinati, allineano il loro pensiero per farsene convinti e accesi paladini, per dare, impeccabili sempre, buona e eccellente prova di merito. Peccato che, assieme a tutto questo buon odore di purezza e di virtù, portino dentro di sè il fiele del bisogno, per garantirsi posizione elevata, di denigrare, di sminuire, di stigmatizzare chi deve svolgere la parte del retrivo, dell'infimo, dell'ignorante. Li si vede ovunque i campioni della giusta causa dall'impeccabile fiero orgoglio, li si vede in modo esemplare in politica, li si vede in tv, sui giornali, in rete, quotidianamente attorno a sè, ma, quel che più conta, non è da trascurare la possibilità di vederli mettendosi allo specchio, impresa, che, se da un lato può risultare ingrata, dall'altro offre le migliori possibilità di analisi attenta e di fedele scoperta del vero.
giovedì 1 agosto 2024
"Depressione" e ricerca del filo interno
Cercare il filo, il nostro filo interno di scoperta del
senso di ciò che si muove in noi e che nell'intimo ci accade, il filo di un
discorso, il nostro, non inventato, non forzato e non manipolato per stare
dentro quello comune e ritenuto ovvio...il filo che sottende i nostri passi,
anche quelli più dolorosi e ardui. Questo e non altro la sofferta esperienza
intima cerca e insegue, spesso incompresa. Intesa e trattata come malattia,
come anomalo precipitare e oscurarsi di sana fiducia e di voglia di vivere,
equiparata a tante altre descritte e incasellate come depressione nei trattati
di patologia, ridotta a biochimica alterata, da riparare come un meccanismo
guasto, vissuta come minaccia oscura da combattere senza discussione, per
riportare tutto al consueto, un'esperienza interiore così unica, così intima e
pervasiva, non trova ascolto, non è riconosciuta in ciò che vuole in modo così
toccante, anche se doloroso e crudo, dire. Sembra soltanto una rovina, un venir
meno insano, distruttivo e minaccioso, ma... se fa il vuoto, se scava, se
scolora e rende indifferente il mondo, se mutila il sentire, se non gli
permette se non di testimoniare una mancanza e un'impotenza, un senso di
inutilità e di fallimento, una pena infinita, è per far riconoscere di ogni
altra cosa, che non sia il ritrovamento del proprio filo, filo di verità, l'assenza
di valore e l'impraticabilità. Se la propria interiorità costringe a mettersi
allo specchio e mostra di se stessi, pur dolorosamente, l'inconsistenza e il
vuoto, bilancio vero e onesto di ciò che è stato messo assieme in appoggio a altro, per imitazione
e per stare al passo col comune procedere, per ben figurare, non è per insane
disistima e assenza di calore, ma per lucida visione, per fondata pretesa di
"essere" e non di sembrare, per pretesa di invertire radicalmente la
rotta, di generare il proprio, senza più prese in giro, senza più compromessi
perdenti, cercando e coltivando ciò che abbia dentro se stessi radice e
fondamento vero, che non stia su solo per sostegno, per conferma e per
approvazione esterni. Quanto del modo di procedere abituale e precedente le
fasi di più acuto malessere e sofferenza, quelle di cui chi è interiormente
sofferente, come chi gli sta attorno, è nostalgico e che vorrebbe ricreare, era
in realtà così valido e saldo? Che vita era quella che oggi pare svanire?
Quanto c’era di sfilacciato nella consapevolezza di se stesso, di disunito nel
rapporto tra ciò che l'individuo si rappresentava e si proponeva e ciò che
sentiva, quanto c'era di affidato solo a guida, a legami e a supporti esterni?
Quanto c’era e quanto invece radicalmente mancava di ricerca di un filo
interno, che unisse, che facesse vedere la continuità e il senso nella propria
personale esperienza? Quanto a fine giornata si poteva dire d’aver raccolto,
compreso o generato e quanto invece, casomai evitando di pensarci, volgendo lo
sguardo sempre altrove, c’era di inutile, di banale, di impersonale, di
raffazzonato, di valido solo per tirar avanti con espedienti, per inerzia? Il
problema pareva non porsi e non esistere...e però è venuto il giorno in cui
un’interiorità, non certo debole o malata, ha cominciato a rendere più
acutamente sensibile e vistosa la questione dell’assenza...di un filo, di un
costrutto proprio e allora è arrivato il tempo della consapevolezza, dolorosa e
senza sconti e su queste basi il filo vero, non più illusorio, non più
inventato, ha cominciato in realtà, proprio dentro una sofferenza così
irriducibile, ad essere tracciato, spazzando via le false costruzioni, le
abituali distrazioni. Cercare il filo, il proprio filo interno... nulla è
mostruoso, nulla è abnorme nell'intimo sentire, purché non lo si squalifichi
perché doloroso, purché non gli si contrapponga come regola una normalità cui
aderire, purché non gli si chieda soltanto di sparire...per far posto a che? A
gioia fittizia, a calcolo e a compiacimento per qualcosa, che simile a quello
che hanno tutti, potrebbe pur bastare? L'impegno di cercarsi sul sentiero
accidentato, di accettare di costruire finalmente e non di rivendicare, di ritrovare
il proprio filo e di tesserlo con onestà e pazienza per farne tessuto vitale e
di pensiero nuovo, proprio e resistente, che non svanisca...per una vita, la
propria vita, che non sia riempita d'altro raffazzonato e preso in prestito, ma
finalmente del proprio...questo sì e con l’aiuto giusto è possibile e è
risposta consona all'intimo sentire, a ciò che dice e chiede...e se lo si vuole
chiamare cura e processo di guarigione lo si faccia pure...finalmente queste
parole avranno senso e contenuto seri.