Non sono l'ansia o altre espressioni di
sofferenza e di disagio interiori a fare danno a chi le vive, ma il modo di
trattarle, di non riconoscerle come voce di una parte intima di se stessi, che
in modo vivo coinvolge e che vuole dire, comunicare, che vuole portare vicino a
verità, rendere visibile qualcosa di fondamentale di se stessi. E’
comprensibile che ci si ritrovi disorientati e impreparati a confrontarsi con
esperienze interiori difficili, quando il malessere interiore prende carattere
insistito e più forte intensità. Si paga il prezzo di un mancato sviluppo di
capacità di rapporto con la propria vita interiore, tutti rivolti nel corso
della propria crescita a stabilire relazione e a sviluppare capacità di scambio
col mondo esterno, stabilendo una distanza crescente dal proprio mondo interno,
riservando a sé, al rapporto con se stessi, solo qualche commento ragionato sui
propri comportamenti, nulla di più. In ogni caso colpisce che, entrando
in rapporto con parte viva di sé, pur se in circostanze e con note d’esperienza
interiore così sofferte e insolitamente difficili, la si tratti come un meccanismo
rotto, estraniandola da sé, come un che di cui sbarazzarsi e da tenere a bada,
negando in partenza apertura e disponibilità di incontro umano al proprio
intimo. Ecco entrare in opera, invece di una ricerca di incontro con la propria
interiorità e di ascolto del proprio sentire, pur se doloroso e insolito, la
risposta volta a tenere a bada, a estromettere possibilmente ciò che sembra
solo una anomalia e un disturbo indesiderato di cui liberarsi quanto prima.
Pensata come sintomo, come meccanismo patologico da classificare e controllare,
l'esperienza interiore sofferta è resa sempre più anonima, inespressiva e
nemica, come un disturbo cui attribuire una dicitura, una etichetta
diagnostica, come se questo fosse un modo per capire. In realtà nulla in questo
modo si comprende di questa parte viva di se stessi, di ciò che vuole dire, si
rischia solo, con l’etichetta di una qualche sindrome o patologia, di applicarle
il marchio dell’indesiderato. E' questa del classificare e dell'incasellare in
quadri e in formule psicopatologiche, mossi fin dall'inizio dall'intento di
contrastare e di debellare l'esperienza interiore disagevole, una pessima
abitudine, ahimè assai diffusa, fatta propria sovente anche da chi vive in
prima persona l'esperienza della sofferenza interiore. Accade così che si parli
di sè, della propria esperienza interiore, come fosse la copia di una pagina di
un manuale di psichiatria, che non è certo il massimo, visto che la psichiatria
spesso e volentieri descrive la superficie, incasella ogni momento ed
espressione dell'umano e della sofferenza interiore come fossero quadri abnormi
tipici, facendo di ogni erba un fascio, rinunciando a capire, rivelando
sostanziale non volontà e incapacità di avvicinare e di comprendere
l'esperienza interiore. Che tristezza la rinuncia a cercare significato nella
propria esperienza, originale, unica, a avvicinare il proprio sentire come
traccia viva per capirsi, per conoscersi! Si usano, si applicano a se stessi
con disinvoltura espressioni orribili come fobia sociale, sigle del cavolo come
dap, doc e simili, che disumanizzazione! Sarebbe importantissimo e
profondamente umano avvicinarsi a sè, riconoscere in ogni esperienza interiore
un'espressione del proprio essere, un percorso, sì difficile e accidentato, ma
un percorso interiore, non una meccanica abnorme da aggiustare e da regolare,
pronti a impasticcarsi, a farsi ammaestrare da qualche
"psicoriparatore" su come rimettersi a norma. Che disastro questo
modo di maltrattare se stessi, il proprio sentire, le proprie esperienze
interiori, sì tormentate, dolorose, strane, imbarazzanti e persino
sconcertanti, ma non per questo assurde o malate, non per questo estranee e
lontane, non per questo insulse e prive di capacità di far vedere puntualmente
e sensibilmente aspetti e verità di se stessi! L'esperienza interiore, anche
quando sembra contorta e assurda, fallimentare, dà occasione viceversa se
ascoltata, se avvicinata non con spiegazioni o interpretazioni ragionate, ma
riflessivamente (come guardandosi allo specchio, guardando negli occhi il
proprio sentire) di riconoscere tracce vive di significato, di capire, di
cogliere nodi importanti. Momenti interiori aspri, ripetuti, logoranti, tormenti,
esperienze e prove che paiono "disastrose", non sono mai
casuali, incapaci di offrire lezione viva e vera di conoscenza di se stessi.
Non si tratta di spiegare, di trovare da qualche parte, possibilmente fuori di sé,
in accidenti o traumi subiti nel passato o in cattivi condizionamenti passati o
presenti o in manchevoli apporti, di cui si sarebbe stati vittime, in
responsabilità di questo o di quello, le presunte cause di un presunto guasto,
questo lavorio del capire è mal speso. Si tratta invece di imparare a intendere
il linguaggio del sentire, di raccogliere ciò che l'esperienza intima attuale e
viva, pur dolorosa, sa e vuole dire. Il primo proposito, che facilmente diventa
definitivo, di fronte al malessere interiore è assai spesso quello di
liberarsene, di superarlo o con le brevi di un rimedio farmacologico o di una
tecnica psicologia che produca un effetto simile, a volte combinati assieme, o
per una strada più lunga di una indagine conoscitiva sul passato che comunque
produca, casomai con l’idea di intervenire in modo più efficace andando alla
radice del problema o guasto, analogo effetto liberatorio, pensando che questa
del liberarsi e del mettere o rimettere in corsa un procedere ritenuto valido, promettente e normale,
non compromesso da ostacoli interiori, sia la miglior cosa da offrire a se
stessi. In realtà la soluzione invocata del liberarsi della difficile e
sofferta esperienza interiore, pensata, con l’appoggio di mentalità comune e di
tanti apporti di tecniche curative, come di ovvia massima utilità e beneficio
per se stessi, coincide col mandare al diavolo parte intima e viva di se
stessi, senza riconoscerla come tale e senza concederle di avere capacità di
dire e di dare qualcosa di utile, di intelligente. Prima di correre ai ripari,
auspicando di spazzare via tutto, bisognerebbe riflettere sulla grande utilità
e positività, per non mettersi da subito in guardia e in armi contro se stessi,
che avrebbe trarre frutto da ciò che si vive interiormente, non importa se
ingrato, se insolito, se tumultuoso, se doloroso. Purtroppo delle esperienze
interiori, di come si esprime l'interiorità, di quello che vale e sa dare la
parte intima e profonda del proprio essere c'è diffusa ignoranza. Dentro di noi
c'è una parte appunto, intima e profonda, che interviene nella nostra
esperienza, che capace di guardare in profondità dentro di noi e nelle nostre
scelte e modi di procedere, capace di non farsi abbagliare dalle apparenze, non
rinuncia a dire la propria, a stimolare la scoperta del vero, nel nostro
interesse, a coinvolgerci, parlando attraverso le nostre emozioni e tutto ciò
che muove nel nostro sentire. Nulla di ciò che sentiamo è casuale, leggere
tutto in termini di normalità o meno segnala solo l'incapacità di comprendere
significato e valore dell'esperienza interiore. E' una parte di noi stessi, quella
profonda, che detta tutto il nostro sentire, che non crede importante che tutto
scorra liscio, che considera viceversa prioritario conoscerci e prendere
coscienza, crescere in intelligenza vera e in autonomia di sguardo e di
pensiero, fondamento della nostra libertà di prendere in mano la nostra vita e
di interpretarla in modo felicemente fedele a noi stessi, che non rinuncia a
farlo, anche se, per conquistare consapevolezza, per crescere, ciò dovesse
implicare fatica, costi dolorosi. Accade che si sia coinvolti da questa nostra
parte profonda, che ci colora delle nostre emozioni, che ci spiazza, che ci
cala a volte con forza in esperienze interiori sì disagevoli, difficili, ma
eloquenti, significative, capaci di aprirci gli occhi, se sapute intendere, se
impariamo ovviamente a trattarle con rispetto e a leggerle come esperienze e
non come sintomi, come segni tipici di anormalità o di patologie. Nulla ci
succede per caso, tutto ciò che ci accade interiormente ci parla di noi, ci
porta verso di noi. Intendiamoci, non è facile e immediato trovare il senso
dove in genere si applica il giudizio pronto, dove prevale la squalifica, dove
il senso comune di fronte a malessere interiore pare concorde nel parlare
subito, come fosse cosa scontata e evidente, di anomalie, di risposte interiori
assurde e inspiegabili, di risposte difettose, di insufficienze, facendo subito
riferimento a ciò che invece sarebbe normale e positivo sentire, provare, dove
gli stessi "esperti" in non piccola parte sono pronti a confermare
simili giudizi, pur mettendo in campo termini tecnici più sofisticati. Per
entrare in rapporto e in dialogo con ciò che vissuto interiormente invece più
spesso si giudica e si cestina perchè si considera semplicemente anomalo,
è necessario imparare a fare ciò che non si è abituati a fare, a cercare il
filo interno di senso in ciò che si sente, è fondamentale scoprire che il
sentire, tutto il sentire in tutte le sue espressioni, dice e rivela, che
concordemente e intelligentemente parlano i sogni, che la parte cosiddetta
emotiva e irrazionale di se stessi non è affatto inaffidabile e avventata,
capricciosa o poco lucida. Poco lucido e accecante è viceversa il pregiudizio,
è il ragionare che mette ordine, ma che non comprende, che riallinea e combina
i significati preconcetti, ma che non si cura di vedere, di aprire davvero gli
occhi sull'intimo dell'esperienza vissuta. E' una vera rivoluzione quella che
conduce a conoscere non per selezione ed esclusione, ma per comprensione e per
ascolto di tutta l'esperienza interiore, di tutto il sentire proprio. Imparare
a andare incontro, a reggere la tensione dell'esperienza interiore disagevole,
che solitamente si tende a contrastare, a rifuggire e a scaricare, imparare a
rapportarsi fiduciosamente, a riflettere, cioè a cogliere l'intimo volto di ciò
che si sente, anzichè commentare e spiegare razionalmente, è ciò che
servirebbe. Non lo si sa fare, non si è cresciuti mai in questo, ci si è
abituati a assorbire idee, non a generarle, facendo leva sul proprio intimo,
sul proprio sentire come guida, ci si è addestrati a applicarsi ad altro per
conoscere, a prendere in prestito spiegazioni, a delegare a autorità esterna,
vuoi di libri e di autori, vuoi di concetti già predisposti e rimasticati, il
compito, la capacità di spiegare, di formare ed informare il proprio pensiero.
Se ripartire da sè è la grande occasione per accorgersi che si può accendere il
proprio sguardo fondandosi su esperienza intima e su possibilità di vedere con
i propri occhi, questa è un'occasione enorme che il profondo, che l'inconscio
ha ben presente, che con forza incoraggia o pretende, ma che la parte conscia
spesso non comprende e rifiuta in malo modo, senza nemmeno capire cosa sta
facendo con giudizi di disturbo e di anomalia applicati a propria intima esperienza,
senza capire le gravi implicazioni di questo modo di trattare
l'esperienza interiore. E' possibile aprire dove spesso con diagnosi e terapie
si chiude, è possibile umanizzare dove in non pochi casi la cura, pur sembrando
buona e soccorrevole, deruba di umanità per far vincere la normalizzazione, che
allontana da se stessi. E' necessario un lavoro nuovo, importante, serio,
graduale, con l'aiuto di chi lo sappia incoraggiare e indirizzare, di chi non
abbia in testa manuali e teorie preconfezionate, ma capacità di intendere
l'esperienza interiore come matrice di conoscenza, come occasione unica di
ritrovata sintonia con se stessi. Fondamentale è il desiderio di trovare
accordo e unità con se stessi, di conoscersi davvero in tutto ciò che si è, interiorità
compresa.
mercoledì 15 maggio 2024
Umanizzare il rapporto con se stessi, con la propria interiorità
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento