martedì 28 maggio 2024

La cura e la meccanica del preconcetto

Chi in presenza di malessere interiore auspica prima di tutto l'eliminazione del malessere, di ciò che considera un danno e una alterazione, vede con favore qualsiasi intervento curativo, sia esso farmacologico o psicologico, che dichiari di voler combattere il "disturbo", di metterlo a tacere o di rimpiazzare risposte interiori considerate sfavorevoli e nocive, etichettate in gergo come disfunzionali, con altre ritenute utili e normali. Il presupposto è che tutto interiormente debba funzionare in modo "regolare" e secondo linee di svolgimento definite senza ombra di dubbio come normali e sane. La vita interiore è considerata null'altro che un accessorio, un'appendice subalterna rispetto alla testa del pensare e del decidere razionali, come un insieme di reazioni, di risposte emotive e di stati d'animo che dovrebbe declinarsi in una forma che sia concorde con il modo di pensare e di intendere, con i propositi e le attese della testa e comunque non tale da procurare intralci o aggravi. Che tutto debba girare a discrezione e secondo i giudizi della testa, senza mettere in mezzo difficoltà e ostacoli al procedere, che si considera normale, valido e vantaggioso, trova conforto da un lato nella idea che “così pensano e fan tutti" e dall'altro nel vasto apparato delle cure e delle teorie, che fanno loro da supporto, che dicono di offrire rimedio, soluzione a ciò che implicitamente e anche esplicitamente considerano una sofferenza anomala e dannosa, un malessere interiore da mettere a tacere. Sembra evidente a chi ne fa esperienza che in una condizione di disagio e di malessere interiore la miglior cosa sia cercare di toglierlo di mezzo per non compromettere il corso abituale e per rimettere in piedi un modo di procedere che non debba subire ostacoli. L’idea che l’esperienza interiore sofferta e disagevole sia un danno, che lo “stare bene” richieda liberarsene, sembra talmente ovvia da non richiedere ulteriori ricerche e approfondimenti. Dentro questa direttrice di marcia, quando ci si trovi in presenza di difficoltà e di disagi interiori, rispetto a cui in partenza non si desidera altro che di porre loro fine, piuttosto che porsi domande, sottoporre a verifica e mettere in discussione il proprio modo d’essere, l’impianto del proprio procedere abituale, quel che, andando un po' al di là dell’idea che sia in gioco una pura patologia da combattere con farmaci e similari, ragionandoci sopra si è inclini a pensare è che ci siano problemi di cattivo funzionamento,  pecche, mali modi di rapportarsi all'esperienza, che non gioverebbero al corretto e fisiologico (ritenuto tale)  procedere, che anzi creerebbero inciampi nel cammino, che malamente procurerebbero frustrazione e sfiducia, eccessi di paura, fuga o debole supporto alla volontà e alla capacità di sostenere e di persistere negli impegni presi, qualche malo modo di affrontarli che li appesantirebbe, che produrrebbe insoddisfazione e danno, che anziché giovare infilerebbe dentro trappole, incastri dolorosi e sciagurati. A questo riguardo si pensa in genere che cause esterne, che cattive influenze subite nel passato, che insegnamenti sbagliati, che affetti negati, che contributi tossici di figure significative, che pressioni indebite e nocive, che carenze dell'ambiente, che traumi patiti possano aver compromesso e guastato il più fisiologico e sano sviluppo, che ancora stiano disturbando e recando danno. Anche quando non si intenda limitarsi alla soppressione del sintomo attraverso il ricorso a psicofarmaci o a interventi correttivi sul comportamento, quando si ritenga valido, con l’intento di andare alla radice del malessere, intervenire nella ricerca delle cosiddette cause e si fa propria l'idea di indagare, casomai di essere aiutati a farlo, lo scopo è sempre, andandone a scovare la causa, di liberarsi dalle insane conseguenze di ciò che avrebbe fatto danno, dagli effetti che tuttora ci si porterebbe dentro, per rimettere in sesto e in corsa un modo di procedere, casomai con qualche correttivo e aggiustamento, nella sostanza dato per scontato come valido e a sè favorevole. Un lavorio che vede comunque la parte interiore oggetto di spiegazioni, di interpretazioni, più che soggetto che dice, che rivela, che conduce alla conoscenza. Un lavorio che vorrebbe liberare da incastri e da invischiamenti, da trappole interiori e da circuiti dannosi della mente, per rimettersi in piedi, casomai con la promessa di avere più libertà e più capacità di esprimere se stessi, di accedere a un modo più sano di vivere e più corrispondente ai propri interessi e aspirazioni. L'officina di diagnosi e riparazione della psiche sembra avere molte frecce al proprio arco, offrendo un ventaglio di approcci e di tecniche psicoterapeutiche, dai nomi accattivanti e suggestivi, in una situazione via via in fermento di nuove proposte, in cui di volta in volta spunta qualche nuova teoria e tecnica pronta a farsi vanto di essere la migliore e a più a pronto uso nel saper intervenire, spiegare, risolvere. Tutto l'impianto teorico e pratico della diagnosi e cura del malessere interiore, che mostra così varie offerte e che punta sulla risoluzione del malessere, si regge su preconcetti. Prima di tutto, come immagine di se stessi, c'è, data per scontata e preconcetta, la visione gerarchico piramidale che vede in posizione inferiore e subalterna la componente interiore rispetto a quella conscia cui è riconosciuta la funzione direttiva, il monopolio dell’esercizio del pensiero, la prerogativa del possesso della capacità di condurre, nelle valutazioni e nelle scelte, con affidabilità di guida. In secondo luogo, ma non seconda per rilevanza, c'è l'idea preconcetta che i modi e gli strumenti della crescita e della realizzazione personale siano già concepiti e ben presenti e tracciati nella prassi comune e nel sistema organizzato e che per ognuno si tratti di favorirne il valido e regolare impiego e svolgimento. Cosa sia e quanto valga l'interiorità pare già definito, pare scontato che non possa svolgere funzione guida, che non abbia capacità di generare pensiero e di dare contributo sostanziale alla ricerca di verità e di orientamento e nutrimento della crescita personale, che questo compito ricada sulla parte in posizione di testa. Che non ci sia necessità per l’individuo di costruire da sè ciò che serve per la propria autentica realizzazione, di portare a maturazione la conoscenza approfondita di se stesso,  la scoperta attenta e fondata, per non aderire al già pensato comune o d’autore, dei significati, lavorando su ciò che la sua esperienza gli rivela e gli rende possibile conoscere davvero, di dotarsi di scoperte proprie per orientarsi da sé e per trovare ragioni e scopi della propria vita, è persuasione diffusa e consolidata e diventa facilmente per ognuno un solido preconcetto. Nel modo di pensare le proprie necessità e di procedere cui ci si affida, non serve, non è richiesto un simile lavoro, semmai è richiesta a se stessi capacità di intervento e di dare prova su un terreno già segnato, dove i supporti e le guide, pure la lettura e la definizione dei significati sono già presenti, dove è più accreditato il contributo esterno per la propria formazione e crescita, che quello interno, cui, per preconcetto, non può essere riconosciuta una simile capacità, che non può avere una simile pretesa. L’idea è che quello che si può trarre da sè sia non più che l’indicazione di preferenze e inclinazioni, in favore di scelte più mirate dentro un ventaglio di opzioni, di soluzioni consolidate, che invece la propria crescita, lo sviluppo delle proprie conoscenze ha necessità di avvalersi di supporti e di apporti esterni, che non è pensabile che da sé si possa trarre di più e di sostanziale. Se, per fare un esempio che chiarisca, la lettura di libri, l'apprendimento di teorie, la fruizione di vari apporti culturali hanno credito come luogo e supporto formativo  per  l'accrescimento di idee, di pensiero valido e credibile, al lavoro su se stessi, a ciò che autonomamente può nascere e crescere attingendo alla propria fonte, per preconcetto, è data una fiducia assai limitata sia per la consistenza di ciò che può produrre sia per la sua attendibilità. E' vero che se la produzione autonoma di pensiero è affidata all'iniziativa isolata del pensiero conscio razionale presto questa si chiuderebbe nel cerchio del già detto e concepito. Soltanto dando spazio alle capacità del pensiero che origina dal profondo, soltanto attingendo a questa fonte, si può scoprire di che cosa la creazione autonoma è capace. Se si apre un confronto senza preconcetti e prevenzione, senza partito preso a riaffermare ciò che non si vuole mettere in dubbio, senza predisposizione a far dire ciò che si presuppone a ciò che si incontra interiormente, il quadro e l’orizzonte della conoscenza e della scoperta di se stessi, il potenziale di ciò che può scaturire dal dialogo interiore, cambia radicalmente. E' possibile allora scoprire, come accade dentro un valido percorso analitico, che la vita interiore, che ciò che si svolge al suo interno, è espressione e fonte di un'intelligenza, che scaturisce dal profondo, ben mirata a trovare il vero e non a ridurre il pensiero, come capita fatalmente lasciandone il monopolio al pensiero razionale, alla ripetizione e al ricombinazione di idee prese in prestito, di schemi assimilati e riprodotti, di attribuzioni di significato e di risposte già formate. L’intelligenza di cui è portatore e anima il profondo è quella di vedere con i propri occhi, di guardare riflessivamente dentro la propria esperienza, di riportare a sé la funzione di comprensione e di convalida e non di riprodurre e rimasticare, pur con qualche illusione di originalità, ciò che è già concepito e assodato, facendosi dare da fuori supporto e conferma. Non tutto sul terreno della conoscenza è già stato detto, assodato e garantito da autorevoli fonti, residuando per se stessi solo la possibilità di dire la propria, ma dentro un quadro già definito e dato. Viceversa ciò che viene a dire il profondo, sia nel sentire e nei vissuti che anima sia e in modo mirabile nei sogni, è che tutto è da farsi, se si vuole uscire dal torpore dell'inconsapevolezza e se si vuole mettere assieme una visione propria, una conoscenza approfondita e fondata di se stessi, per nulla anticipata e fotocopia di ciò che la cultura e il sapere di “chi sa” ha compreso e concepito, una scoperta di significati validi, verificabili da sé, tratti da terreno vivo d’esperienza. Sono scoperte possibili e inattese, di respiro e forza ben diverse delle costruzioni del pensiero razionale scisso e ripiegato su di sè, capaci di rendere davvero autonomi, coinvolti e appassionati finalmente a sviluppare visione e a aprire percorsi propri, svincolati dalla dipendenza da altro e liberi dalla necessità, per ottenere soddisfazione, di correre dietro a altro, per raccogliere la conferma e la gratificazione del farsi riconoscere bravi e capaci, liberi perché in possesso di una vera autonomia di scelta, di progetto, di realizzazione. Il malessere interiore, quando si apra un attento, rispettoso e fedele ascolto dell'interiorità in ciò che propone e dice dentro e attraverso vissuti non certo facili, ma non per questo privi di senso, rivela di non essere il segno di un guasto, della alterazione e compromissione di  una normale funzionalità, intaccata da qualche causa da scovare nel passato, nell'ambiente o in cattive modalità di pensiero e di sentire, ma viceversa è il segno di una forte iniziativa interiore volta a mettere al primo posto la ricerca del vero. Nel malessere interiore c’è il forte richiamo di un profondo che spinge per costruire ciò che non c'è, mettendo in crisi, non dando manforte a un procedere che cerca solo continuità di esercizio, che presuppone che non ci sia necessità d’altro che di proseguire. Nel vivo delle espressioni di malessere l’inconscio, oltre che mettere in primo piano all’attenzione il dentro del sentire rispetto al fuori dell’agire e del fare, dà tracce e segnali validissimi per vedere prima di tutto la verità della propria condizione e del proprio modo di procedere in ciò che è realmente e di cui manca, che visto da dentro e non con la lente deformante del preconcetto si rivela insostenibile, inautentico e affatto affidabile e favorevole. Così, inautentico e per nulla corrispondente e all’altezza di ciò che da sé potrebbe nascere, il proprio profondo lo ha riconosciuto e cerca di renderlo riconoscibile, svelandone i modi e la natura vera, un modo di procedere affidato e plasmato più su altro che ha dettato e che ancora suggerisce modi e contenuti, altro già concepito e di comune uso che conduce, anche se offrendo l'illusione di essere artefici dei propri pensieri e delle proprie scelte, che in consonanza con  il potenziale e l’originale di se stessi, più frutto di intesa e di connessione con l’esterno che col proprio intimo, tenuto ancora lontano, non valorizzato,  incompreso e a priori sottovalutato. Lo stravolgimento che consegue all’adesione acritica e tenace  a un simile modo di procedere e di pensarsi, l'incapacità, proseguendo inconsapevoli, di riconoscere la verità della propria condizione, la mancanza di un lavoro di ricerca su di sé e di maturazione di scoperte proprie, non riconosciute come necessarie da sviluppare e coltivare, visto che tutto pare già definito e in normale compimento, per dotarsi dei punti di riferimento, delle conoscenze di sé, della conquista dei punti chiave di comprensione di ciò che è importante, che ha valore  per se stessi per poter dirigere autonomamente e consapevolmente e in pieno accordo con se stessi le proprie scelte, per sfuggire al rischio, altrimenti fatale, di farsi portare, affidandosi a altre guide che non siano quella interiore, su percorsi e con traguardi non corrispondenti a se stessi, confermati da fuori, ma non da dentro se stessi, tutto questo, che non è certamente poco e di poco conto, fa sì che il profondo intervenga per sollevare il problema. L’inconscio aprendo la crisi, animando e agitando il quadro interiore, dando all’interno sempre segnali appropriati e ben mirati, mai agendo in modo convulso e confuso come si è portati a giudicare confrontandosi con il malessere interiore, vuole richiamare l'attenzione su ciò che si sta facendo di stessi, per sollecitare una attenta verifica e un serio lavoro di ricerca, prioritari su tutto. Pensare il malessere come guasto e segno della compromissione di un regolare e efficace procedere, che fa desiderare la messa in opera di interventi di cura nel segno del ripristino e correzione, senza verifica attenta e lucida messa in luce dell'intero impianto del proprio procedere, conduce solo a mantenere la distanza e l'incomprensione di ciò che il proprio intimo vuole dire e spingere a cercare e a costruire per il proprio bene. Uscire dall'inconsapevolezza, prendere visione di un procedere passivo dipendente dove altro segna i passi da seguire e dà le chiavi di lettura, l'illusione lì dentro di dire e di portare a compimento qualcosa di proprio, pur senza essersi mai avvicinati a sè e alla conoscenza di se stessi e di quanto di proprio vorrebbe e potrebbe vivere e realizzarsi, tutto questo è nello sguardo del profondo, tutto questo sta all'origine dell'iniziativa messa in atto dall'inconscio, che attraverso il malessere interiore vuole aprire una fase importante di riflessione e di ricerca. Se si sta nel preconcetto, nella definizione aprioristica della propria realtà come semplicemente normale e di conseguenza di ciò che va inteso come il proprio bene, fatto coincidere inequivocabilmente col fare salvo il procedere solito dall'insidia del malessere, che tutt'altro è che un segno di guasto e di anomalia, ecco che nulla del significato vero della crisi si rischia di comprendere. Ci si riserva solo l'intento di scrollarsi di dosso il malessere e semmai di fare qualche operazione di restauro e di rinnovo, ma sempre nel solco di un procedere e di una ignoranza di se stessi, mai prese sul serio come questioni da affrontare, da indagare, su cui riflettere e lavorare. Nulla del significato della crisi e del malessere interiore si finisce per capire, ci si tiene all'oscuro di scoperte importanti e decisive, che sono l’intento del profondo, che proprio a questo scopo ha aperto la crisi e mosso il malessere interiore, conquiste capaci di restituire a sè la guida della propria vita, la sua realizzazione autentica. Non ci si dà l'opportunità, procurandosi l'aiuto valido a questo scopo, di imparare a intendere e a capire fedelmente ciò che la propria interiorità vuole dire e favorire, non se ne scopre l'affidabilità anche nelle sue espressioni più sofferte e difficili, non si recupera un rapporto di unità piena col proprio intimo e profondo, ci si rende viceversa ancora estranei alla propria vita interiore, persino ostili a questa parte così importante di se stessi, si fraintende e si squalifica il suo apporto, che, se compreso senza preconcetto, se valorizzato e fatto proprio, tanto di favorevole saprebbe dare per una vera e profonda rinascita. La rinascita da se stessi, in unità col proprio autentico, col proprio intimo profondo. Prendersi cura di sé, decidere come farlo, mette in gioco fatalmente la propria intelligenza, oltre che la propria responsabilità verso se stessi. Se si impiega e si dà seguito alla meccanica del preconcetto si rischia di chiudere a se stessi, di permanere nella lontananza da sè, di perseguire un bene presunto, all’insegna del tentativo di liquidare e comunque di superare e passare oltre il malessere interiore, che se pare ovvio, secondo il preconcetto proprio e comune, essere un obiettivo benefico e vantaggioso, si fonda però sul mantenimento di una condizione di spaccatura del proprio essere, di sostanziale incomprensione e disaccordo col proprio intimo, su cui si va a agire, vuoi con l’intento di metterlo a tacere o di correggerne le espressioni, vuoi con la pretesa di spiegare e con l’illusione di capire, senza dargli in realtà spazio di parola e ascolto, intimo che comunque di questo mancato incontro e ascolto non cesserà di dare segno. E’ un presunto bene che implica il mancato sviluppo di una conoscenza fondata e vera di se stessi, di una capacità di realizzazione autenticamente propria, che sono ragione, scopo e intento della crisi e del malessere interiore, che soltanto un rapporto aperto e dialogico con la propria interiorità, che soltanto attingendo al contributo e affidandosi alla guida del proprio profondo si potrebbe realizzare. Sono conseguenze tutt’altro che irrilevanti. Vale dunque la pena in situazioni di malessere e di crisi porsi domande, cercare di capire con apertura di sguardo, senza preconcetti, senza dare nulla per scontato, senza delega a opinioni altrui, neppure a quelle dei cosiddetti esperti, cosa stia realmente accadendo dentro se stessi, vale la pena cominciare a ascoltarsi per comprendere quale risposta, quale modo di prendersi cura di sé offrire a se stessi, quale scopo perseguire.

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