domenica 19 maggio 2024

La riscoperta di ciò che siamo

La lontananza da se stessi, l'estraneità alla propria vita interiore, relegata in uno spazio marginale, trattata come appendice affatto essenziale e degna di considerazione, vigilata e temuta quando non corrispondente alle proprie istanze di riuscita e di quieto vivere, disegnano il quadro triste di una condizione umana, immiserita del suo potenziale e della sua risorsa più valida, quella interiore e profonda. E' una condizione, non certo rara, questa in cui l'individuo è fondamentalmente affidato e appiattito sul binomio volontà e ragione, che, senza vincolo e rapporto col sentire e con la vicenda interiore, pretende di strafare e di tenere il resto in soggezione. E’ una condizione che, malgrado le velleità e le illusioni, comporta rimanere più al di qua e al di sotto che al livello di una realizzazione compiutamente umana. Tutto l'impegno e l'aspettativa dell'individuo si concentrano sulla pretesa della riuscita, del dare prova, del farsi valere, del trovare soluzioni e capacità di rendimento dentro le guide e le regole della cosiddetta normalità, assecondando e traendo conferma dal giudizio altrui e dall'essere in linea con l'insieme, senza cura dell'ascolto delle proprie risposte intime e del confronto con la propria interiorità. La visione di se stessi insita in un simile modo di stare al mondo e di procedere concepisce il proprio essere come un meccanismo da tenere efficiente e regolare, da mettere in manutenzione quando dà segnali di crisi e di sofferenza. La vita interiore è però tutt'altro che una meccanica da tenere a bada e in “regolare” esercizio. Nella vita interiore c'è il meglio di se stessi, del proprio patrimonio e potenziale di intelligenza, della capacità di rimettere in piedi la consapevolezza e la visione attenta, veritiera e critica del proprio stato e dello stato delle cose, altrimenti totalmente appiattita, falsata, distorta. Quando non fondati su di sè, non alimentati dalla propria interiorità, quando non generati da riflessione e da ricerca personali in stretta unità e scambio col proprio profondo, il pensiero e la visione delle cose sono fatalmente forgiati da altro, regolati e istruiti da mentalità, da cultura e senso comune, da idee correnti e prevalenti. Di questa condizione di dipendenza e di omologazione del proprio pensiero, che sbarra la strada a scoperte più autentiche e a sviluppi di crescita personale più fedeli a se stessi, permane inconsapevolezza, a parte che nella parte profonda del proprio essere, che non per caso agita interiormente le acque, dà nel sentire segnali e richiami insistiti per guardare con attenzione dentro un modo di procedere tutt’altro che saldamente fondato, che felice e promettente. L’attaccamento però a un modo di procedere cui si sono legate le proprie fortune e persino il proprio amor proprio, perché rivestito, malgrado al traino d’altro, da illusorio senso di padronanza e di esercizio di iniziativa propria, perché inteso, malgrado nell’ignoranza del proprio intimo vero, come terreno e veicolo di espressione di sé e di (presunte) valide capacità realizzative, rende quasi necessario, per tutelare ciò a cui ci si è così fortemente legati,  il controllo su ciò che vive interiormente, trattato come un meccanismo, come una parte che si presuppone sia regolare solo quando asseconda le attese e i propositi in atto e non crea problemi. Diventa necessario tenere a bada ciò che si svolge interiormente, provando a disciplinarlo e correggerlo, quando discorde dalle attese, esercitando impunemente, come fosse necessità ovvia e normale, la pretesa che marci concorde con le aspettative e i risultati che si vogliono perseguire, che paiono proficui, addirittura irrinunciabili, pena il rischio, questo il convincimento, altrimenti, di fallire miseramente, di cadere in disgrazia. Qui c’è la distorsione più forte. La parte più intima di se stessi, che, tirata per i capelli, si vorrebbe docile e al passo con un procedere tutt’altro che felicemente  fondato su di sè, in realtà sa bene quanto c’è di mancata consapevolezza, di lontananza da una conoscenza di se stessi e di scoperta di ciò che potrebbe realizzarsi di autenticamente proprio, perciò dà stimoli, offre negli stati d’animo, nelle sensazioni meno facili lo spunto e il pungolo per aprire gli occhi, per coinvolgersi in una ricerca di verità circa il procedere cui si è legati e ciò che si sta perseguendo. La spinta dell’interiorità, del profondo è a aprire gli occhi, togliendo ogni velo, su ciò che sinora si è fatto della propria vita, in che modo, vincolati a che cosa. La spinta interiore è a lavorare con attenzione sulla conoscenza di sé, non banalmente e non superficialmente, per arrivare, passo dopo passo, con la guida del profondo, che con i sogni e con ciò che fa vivere nel sentire sa indirizzare la ricerca mirabilmente, alla scoperta di ciò che, autenticamente proprio, risalti ai propri occhi come valore vero, che, in unità con tutto il proprio essere, si senta profondo desiderio e passione di far vivere, di realizzare. Non siamo nella parte più viva, intima e profonda di noi stessi dei meccanismi pressoché automatici, all’occorrenza da regolare, portiamo dentro di noi, sia a livello fisico biologico che psichico, intelligenza e capacità di tenere conto di complesse esigenze, di tradurle nel modo più sensato e valido, di rendere riconoscibili e di segnalare acutamente condizioni di crisi e di sofferenza, che tendono comunque a uno scopo di salvaguardia e di ricerca di equilibri più vitali e corrispondenti alle necessità personali. Tutto questo in un modo accorto e intelligente, attraverso risposte interiori e processi vitali che vogliono far capire e che, se ben compresi e corrisposti, sono capaci di indirizzare e promuovere trasformazioni utili e necessarie. La medicina nei suoi orientamenti prevalenti, vincolati e frutto di una visione meccanicistica dell'uomo e della pretesa di dirigere, manipolare, strumentalizzare, regolare e dominare i processi biologici, spesso poco attenta e curante delle potenzialità, delle regole interne della vita biologica e delle sue capacità di porre e segnalare problemi e di dare risposte a esigenze complesse, interviene purtroppo non di rado con l'arbitrio e la supponenza di una presunta scienza che vuole mettere le cose in ordine e a posto, introducendo correttivi, che, ignorando e non rispettando gli equilibri e le risposte interne, rischiano di produrre più forzature, rotture di equilibri interni che vero aiuto. Sul terreno psicologico accade la stessa cosa quando si pretende di normalizzare, di correggere e di sanare situazioni e esperienze interiori, che nello schema di rendimento e presunta normalità, sono giudicate anomale e disfunzionali, misconoscendone il valore e il senso, ignorandone la finalità cui tendono. Si vede debolezza, disturbo, anomalia e cattivo funzionamento dove c'è ben altro, dove c'è viceversa tutt'altra storia in ballo, tutt'altra sapienza e progettualità. L'intelligenza dei processi interni all'individuo, i confini del cui essere sono ben più ampi di volontà e ragione e di meccanica efficienza, rischia di essere completamente misconosciuta. Si interviene con psicofarmaci, con tecniche psicologiche manipolative e correttive per rimettere le cose in riga dove invece c'è ben altro, lo si fa dando per scontato che così facendo si faccia il proprio bene, si operi avendo cura di se stessi. Come la medicina che, in non poche sue espressioni, in nome della cura, vuole dominare e risolvere con interventi volti a spazzare via, a mettere a norma, a introdurre rimedi che vorrebbero sistemare il disturbo, come se non ci fosse altro da comprendere e da favorire, da assecondare in modo più rispettoso delle capacità e dell'intelligenza biologica insite nell'organismo di ognuno, così sul terreno psicologico, sempre in nome della cura, si compiono, non raramente, analoghe manipolazioni, che finiscono per stravolgere tutto, per trattare come crisi da domare e da riportare al dritto del consueto e del normale corso conforme ciò che invece interiormente vuole portare in tutt'altra direzione e che ha tutt'altro scopo, niente affatto insani, infelici o sfavorevoli o malati. L'ottusità della pretesa di rimettere le cose a norma di funzionamento, che, al di là delle buone intenzioni dichiarate, anzichè fare bene come propugnato, in realtà scombina e reca danno, limita e compromette le possibilità di crescita personale e di salute autentica, risalta agli occhi e diventa ben consapevole in chi, procurandosi l’aiuto valido e finalizzato a perseguire questo scopo, ha fatto la scelta di rispettare, di capire senza preconcetti, di conoscere e di valorizzare le espressioni del proprio essere, della propria vita interiore, di chi si è messo in guardia dal pericolo e non ha accettato di rendersi oggetto di manipolazioni fatte in proprio o suggerite e sobillate da fuori, da idee comuni, così come da pareri e da proposte di aiuto di presunti esperti. E' tempo di recuperare una visione di se stessi più ampia, più rispettosa delle qualità e delle potenzialità del proprio essere, non riducibile a un meccanismo da regolare e da tenere sotto controllo.  

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