L'attacco di panico è la soluzione estrema,
l'arma più potente e incisiva che l'inconscio sa impiegare. Non per fare danno,
non sconsideratamente, non per dissestare e basta, l’inconscio interviene per
perseguire uno scopo, per dare forma, pur drammaticamente, a uno scenario
nuovo, per far intendere subito, per intima e sconvolgente esperienza, qualcosa
di importante, anzi di fondamentale. Le iniziative dell'inconscio sono sempre
profondamente pensate e concepite, sensatamente e intelligentemente finalizzate.
Capita infatti che la lontananza da sé, che il mancato riconoscimento di ciò
che l’intimo di sé sa e vuole dire, essenziale per la conoscenza del vero e
dell’autentico di se stessi, interiormente non passino inosservate e che non
vengano accettate nel proprio profondo. Ciò che si dava per scontato, che
l'interiorità seguisse e assecondasse, che fosse garantito il sostegno vitale e
la continuità al procedere abituale tutto proteso all’esterno, a seguirne i
tempi, le attese e le pretese, a coglierne le apparenti opportunità, è
improvvisamente messo in forse. Capita che l'inconscio prenda decisa iniziativa
e sopravvento, che dia modo con l’attacco di panico di sperimentare nella forma
della vertigine emotiva, del senso di totale smarrimento e di angosciosa
fragilità, fino alla paura che tutto si spezzi, che gli organi e le funzioni
vitali cessino di funzionare, fino all'angoscia di morire, che la vita, in
quella forma abituale e conosciuta, data per scontata e così tenacemente difesa
dalla parte conscia, non è affatto dalla parte più intima e vitale
concordemente sostenuta, fino a essere drammaticamente percepita come a rischio
di non esserne garantita. Non solo, ma in quel momento di stacco, via via più
drastico e impetuoso, dalla continuità del fare e del procedere abituale,
l'inconscio fa sperimentare cosa significhi, per chi non abbia cercato legame
con se stesso, con la propria interiorità, essere improvvisamente strappati via
e distolti da tutto, soli, in presenza di sé soltanto, legati al proprio intimo
soltanto. Abituati a stare attaccati ad altro e a farsi tutt'uno con altro,
quasi a negare la percezione di sé, abituati a disperdersi nel fare, a rinviare
sine die la sosta, il momento del fermarsi in aderenza e in ascolto sincero e
attento della propria interiorità, ecco che nel momento dell'improvviso e
inaspettato stacco dal fuori e dell'affaccio sul dentro, si è colti da allarme
e da sorpresa, totalmente smarriti, sgomenti. La vita, l’incontro con la vita,
questo è il potente richiamo dell’inconscio, è dentro, nel legame e nello
scambio col proprio intimo, lì la radice, lì la scoperta del senso, lì la
matrice del pensiero e dell’esistenza, lì la base, la radice viva e vitale del
proprio essere, lì e non nel fare e nel ragionare disgiunti dal sentire e dal
corso della propria esperienza interiore, non nel tenersi in simbiosi con
altro, come se ci fosse in quel legame e in quella presa sul fuori l’unica
possibilità di tenersi legati alla vita, a ciò che si considera reale, come se,
senza la continuità di quel legame e di quella presa, ci fosse solo il rischio
di perdere terreno e senso di presenza, di perdere le opportunità che contano,
di perdere e di perdersi. Questo dell'essere catapultati improvvisamente
nell'intimo delle proprie sensazioni, del veder costretto il proprio sguardo
verso il dentro di sé, del sentire bruscamente incatenate la preoccupazione e
l'apprensione a sé e al proprio stare in vita, è l'esperienza, lo scenario
nuovo che si spalanca nell'attacco di panico. La propria interiorità, da gran
tempo trascinata nel fare, nell'inseguire, nel pensare senza aderenza al
proprio sentire vero, da gran tempo sottovalutata, resa nelle intenzioni docile
e conciliante, muta all'occorrenza, dà all'improvviso (ma non tanto, perché
precedenti segnali a starci attenti ce ne sono stati a bizzeffe) segnali
vigorosi, impone i tempi, detta i contenuti dell'esperienza. Sensazioni
sconquassanti di smarrimento, di pericolo, di insicurezza totali, impetuose.
Parrebbero maligne, così oscure, terribili, travolgenti. Anche se la presa
dell'inconscio è così decisa e quasi brutale, tutte queste improvvise e
impetuose sensazioni e tutto il drammatico inaspettato corso d'esperienza
vogliono spingere a vedere, a prendere coscienza di ciò che si è nell'incontro
con se stessi: smarriti, perché mai abituati a cercarsi, sempre inclini a
evadere, a stare fuori e "assenti". I temutissimi attacchi di panico
vogliono, nelle intenzioni dell'inconscio, marcare con forza una frattura, una
discontinuità decisa nel corso dell’esperienza, nella modalità consueta di
procedere, che non le consenta di proseguire intatta, sia attraverso il
cataclisma dell'attacco, sia con la scia di fortissima insicurezza e di
non facilmente cancellabile turbamento che in seguito permane. Potrebbero, se raccolto
e ben inteso il potente richiamo, essere gli attacchi di panico davvero
l'inizio di una svolta nella direzione della riscoperta di sé, partendo dal
proposito nuovo di avvicinarsi a sé, dalla presa di coscienza dell'importanza
di non essere stranieri dentro se stessi, altro da se stessi, coinquilini di un
essere, il proprio essere, che non si conosce, con cui si rischia di convivere
fino alla fine senza incontro, senza ascolto e senza scoperta, senza trarne,
della propria esistenza, le ragioni vere, i quesiti e le potenzialità. Un
inizio quello voluto dal profondo, una spinta potente rivolta all'individuo,
perché riconosca la necessità e l'urgenza di imprimere una svolta decisa alla
propria esistenza, mettendo al centro la ricerca e la costruzione di un rapporto
con se stesso, con quella parte di sé finora ignorata e trattata da appendice
subalterna. Ci si potrebbe chiedere se il modo, che pare così terribile e
devastante, di intervenire dell’inconscio non sia eccessivo, sconsiderato. In
realtà non c’è nulla di esagerato e fuori misura. Se l'inconscio non agisse
all'occorrenza con tale fermezza, durezza e asprezza nel dire all'individuo
della sua lontananza e non familiarità con se stesso, della sua mancanza di
contatto e di radice dentro sé, della sua sostanziale inconsistenza, così
estraneo a ciò che solamente può dargli la scoperta del vero e dell’autentico
di se stesso, avrebbe qualche possibilità di interromperne la marcia solita e
l'inerzia del pensiero, di coinvolgerlo e di farsi ascoltare? Intendiamoci, la
risposta più comune all'attacco di panico è di considerarlo un evento abnorme,
anomalo, uno sciagurato impedimento alla prosecuzione solita, un turbamento
così forte da essere sciaguratamente capace di compromette il procedere e la
fiducia che si riteneva di possedere, una iattura che pare intralciare la
possibilità di insistere nel modo di vivere solito, nell'attaccamento a
abitudini, a cose, al fare. Tanta offerta di cura è proprio rivolta a trattare
simili esperienze come disturbo e patologia da sanare e correggere, con farmaci
o con consigli, prescrizioni, esercizi volti a superare paure considerate
irrazionali. Se c’è un tentativo di spiegazione del perché dell’attacco di
panico lo sguardo si dirige subito all’esterno a cercare possibili cause in sovraccarichi
di tensione, in cosiddetto stress, parolina magica che tutto pare dire e che
non svela nulla. L'ignoranza del significato degli eventi interiori non ha
limiti e confini. Capita però che ci siano individui che riconoscono
nell'esperienza degli attacchi di panico e nel seguito interno di turbamento e
di insicurezza che lasciano, un segnale importante, che avvertono la necessità
di una riflessione approfondita, di una ricerca finalmente di avvicinamento a
sé e di conoscenza di se stessi. Ho visto iniziare esperienze analitiche su
queste basi e premesse. In questi casi l'inconscio, come era stato
perentorio e drastico nel segnare, attraverso gli attacchi di panico, una
frattura drammatica rispetto al solito procedere (frattura segnata dagli attacchi
e dal seguito di forte allarme e apprensione che avevano lasciato), così e con
altrettanta forza di partecipazione e di presenza è stato pronto a dare, fin
dall'inizio del cammino analitico, attraverso i sogni, indicazioni lucidissime
e guida sicura sul percorso da seguire, sulle scoperte da fare, sul lavoro
necessario per ridare all'individuo finalmente consapevolezza vera, vicinanza e
unità con se stesso, conoscenza di ciò che gli apparteneva. Se prima c'era
solo la rincorsa di un che di normale e di paragonabile ad altri, di concepito
e di tenuto in ordine col ragionamento, che spesso e in genere non sa vedere,
ma solo organizzare e imitare, dopo la brusca interferenza del profondo, che ha
costretto l'individuo a prendersi cura di sé, a spostare l'attenzione su di sé,
è potuto iniziare un nuovo cammino e un divenire, del tutto inattesi e
inconcepibili prima, ma possibili. Se all'inizio all'individuo, sotto le
bordate del profondo, era parso che la sua salvezza stesse unicamente
nel far cessare quell'assalto, nella libertà di proseguire indisturbato nei
modi soliti e verso le mete conosciute, dopo, a confronto aperto e
approfondito, gli è risultato via via sempre più chiaro che ciò che aveva a
disposizione prima della crisi e che tanto aveva cercato di difendere era
poca cosa e impropria, che tanto e tutto di sé gli mancava, che un cambiamento
radicale, a partire dal capire ciò che di sé stava facendo, si era reso non
solo utile, ma necessario, pena il rischio di non vivere, di non far vivere se
stesso. Posso solo aggiungere che chi, dando risposta al forte richiamo
dell’inconscio, ha messo in atto il percorso di avvicinamento a se stesso, ha
visto cessare gli attacchi di panico, essendo venuta meno la loro ragione
d’essere, avendo raggiunto il loro scopo.
sabato 20 aprile 2024
Gli attacchi di panico, qualche spunto di riflessione
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