mercoledì 7 agosto 2024

Le ragioni del malessere

(Rimetto in primo piano questo mio scritto di alcuni anni fa.)                                             Perché succede, cosa vuole questo malessere interiore, questo tormento? Spesso chi lo vive lo tratta con preoccupazione crescente e con insofferenza. Teme sia, oltre che un ostacolo, una minacciosa presenza. Lo vive come un accidente sfavorevole, una sorta di corpo estraneo, che lavorerebbe contro i propri interessi, pur così interno, intimo, addentro il proprio essere. E' convinzione assai diffusa che il malessere sia provocato o indotto da circostanze e da condizionamenti sfavorevoli, che sia la manifestazione o la conseguenza di un meccanismo, fisico o psicologico, logoro o guasto. Dirò subito che il malessere interiore, nelle sue diverse possibili espressioni, tutte significative e da comprendere attentamente, è viceversa la manifestazione di una forte, risoluta presa di posizione interna della parte intima e profonda, che non vuol tacere, che vuole che la verità e l'attenzione a se stesso diventino per l'individuo questioni centrali e esigenze prioritarie. Pensa che sia un’anomalia, vuoi la manifestazione di un meccanismo guasto, vuoi la conseguenza di un distorto modo di vedere la realtà e di reagire, vuoi ancora una pena intima indotta da qualcosa, esterno a sè, nocivo, risalente al passato o attuale, chi, pur con diverse spiegazioni circa il presunto "guasto", concepisce la superficie come fosse il tutto. Pensa al guasto e alla necessità della riparazione per la ripresa del normale, chi pensa la modalità solita e presente di esistere e di procedere come l’unica possibile, chi non comprende il malessere interiore come intervento e espressione, non cieca, del profondo. Liquida sbrigativamente il malessere interiore come disturbo e basta, chi pensa che emozioni, vissuti, sentire e vita interiore, che tutto ciò che non è ragionamento e volontà, sia solo un accessorio irrilevante e subalterno, un po’ colorito, ma poco o nulla affidabile quanto a intelligenza e a capacità di dare orientamento. Nel nostro essere il profondo, l'inconscio c’è e non è certo presenza di poco peso e valore. Tutto ciò che accade nel nostro sentire e nel corso della nostra esperienza interiore è governato, in modo mirato e intelligente, dal nostro inconscio, è sua voce, non è affatto casuale, non è semplice risposta automatica, riflessa a situazioni e a stimoli esterni. Che accada di sentire inquietudine, timore e apprensione insistenti e pervasivi, persistente pena, senso di fragilità, di vuoto, di infelicità e quant’altro definito come ansia, depressione o altrimenti, non è frutto del caso, non è  traduzione meccanica di logorio subito, nè sgangherato modo di reagire, non è insana o abnorme risposta, è viceversa lucida e consapevole, ferma e irremovibile espressione di capacità e di volontà interiore e profonda, di una parte non irrilevante di se stessi, di intervenire perché si guardi dentro di sè, nell‘intimo vero, cosa sta accadendo della propria vita, perché non ci siano stasi e assenza di consapevolezza, lontananza da se stessi e passivo adattamento. Basta, con l'aiuto giusto, di chi sappia guidare ad avvicinarsi a se stessi e al proprio mondo interiore, risolversi a cercare rapporto, ascolto e dialogo con se stessi e col proprio profondo, basta risolversi a dargli voce, a riconoscergli voce, senza squalificarlo in partenza come dannoso, negativo o malato, perché il malessere, perchè l'intimo sentire faccia ben intendere e vedere cosa sa, cosa riesce efficacemente e puntualmente a evidenziare, a far conoscere di se stessi, a smuovere. Basta disporsi, come si è aiutati e incoraggiati a fare dentro una buona esperienza analitica, all’ascolto, aperto e disponibile, senza pregiudizi, alla ricerca del senso piuttosto che del rimedio che spazzi via, con impazienza e ciecamente, tutta l’esperienza interiore disagevole,  per rendersi conto (sempre meglio via via che dialogo e ricerca procedono), che non c’è guasto e meccanismo rotto, che non c’è caos o irrazionalità dentro se stessi, che il malessere non è maledetta sorte o accidente, patologia o altro, ma specchio per vedersi e per capire. E' potente richiamo, invito fermo a lavorare su di sé, a prendere coscienza di come si è e di come si procede, di ciò che manca, che va finalmente costruito, che mai finora è stato cercato e costruito. Non ci sono cause e responsabilità da cercare altrove da se stessi, in altro e in altri, come odiosi impedimenti al proprio star bene, non c'è stupida incapacità di vivere normalmente e felicemente, c'è semmai prima di tutto consapevolezza da trovare, senza sconti e senza equivoci, del proprio stato attuale, verità anche scomode da riconoscere e da non rimpallare. L'inconscio, sia con le tracce vive del sentire sia coi sogni, non tace nulla e cerca l'intimo vero, il senso, non usa nè pregiudizio nè camuffamento. L'inconscio, che richiama in modo così forte l'individuo alla partecipazione al dentro prima che al fuori, esercita una spinta formidabile, che, se saputa comprendere e condividere, offre visione lucida e appassionata, consapevolezza profonda di sè e del proprio da mettere al centro e a fondamento della propria vita. L'inconscio col malessere interiore smuove e turba il quieto vivere per uno scopo riconosciuto nel profondo del proprio essere come irrinunciabile: far vivere se stessi, il proprio potenziale vero. Per realizzare questo scopo, non già in tasca e traducibile in un attimo, come spesso si pretende, è necessaria una graduale e profonda trasformazione. Ci sono fondamenta nuove da gettare, nuovo rapporto da creare pazientemente con se stessi, nuove scoperte, originali e utili, anzi essenziali, da fare dentro sè e col proprio sguardo, ci sono vicinanza al proprio sentire, comprensione intima e unità d’essere con se stessi, mai possedute e mai cercate, da trovare e rafforzare finalmente. Era sufficiente infatti in precedenza, prima della stretta più decisa del malessere, andare per la strada segnata, fare come si usa in genere e in genere si dice, bastava quel riferimento comune, bastava un po’ di ordine mentale regolato dal ragionamento, che chiarisce e oscura contemporaneamente ciò che fa comodo oscurare o che non si comprende, bastava tutto questo per sentirsi a posto e "normali". Capitava in realtà, non raramente, che il proprio sentire complicasse l'esperienza, che inserisse elementi dissonanti, veri richiami per vedere le cose più nitidamente, per non trascurare implicazioni, non certo dettagli insignificanti, ma tutto questo lo si trattava come un inutile rumore di fondo, come fastidiose interferenze di una parte emotiva "irrazionale". Era sufficiente darsi un pò di quieto vivere, di adattamento, bastava variare qualche luogo, abitudine o altro per convincersi che la questione decisiva per il proprio "star bene" fosse solo la scelta delle circostanze e delle persone giuste, delle opzioni esterne che avrebbero cambiato tutto per sè, deciso le proprie fortune in bene o in male. Bastava un pò di allineamento al modello comune, un pò di parvenza di buon funzionamento, di possesso delle cose o delle espressioni ritenute in genere irrinunciabili o da molti apprezzate, non importa se portandosi interiormente mille segnali diversi e incompresi, non importa se senza mai sentirsi davvero su terreno saldo di consapevolezza, su sostegno di desiderio profondo, di corrispondenza con se stessi.  Procedere in quel modo bastava alla parte di sé cosiddetta conscia, ma non bastava di certo alla parte profonda, meno illusa dalle apparenze, meno preoccupata di stare in linea e al passo con la normalità, meno timorosa di perdere quel treno, più preoccupata di non perdere se stessi. Quel che sto dicendo lo dico dopo lunga ricerca e dialogo col profondo, dopo aver fatto cammino di ascolto e di ricerca con chi accompagno da oltre trent’anni nella ricerca di comprensione della radice del perché, del senso e dello scopo del proprio malessere interiore. Quando davvero gli si dà retta, come si fa in una buona esperienza analitica, il profondo prende a dire subito il perché e il senso del malessere. Bisogna ascoltarlo sia dentro il sentire, che il profondo muove e orienta, sia nei sogni. Da subito nei sogni l’inconscio comincia a far vedere dov’è la ragione del malessere e della crisi, da subito conduce a vedersi allo specchio nel proprio modo d’essere e di procedere, da subito comincia a evidenziare i nodi mai avvicinati, i vuoti, le illusorie verità che non reggono, da subito, con grandi forza e fiducia, apre il cantiere della costruzione del proprio originale modo di essere, di esistere, di pensare e di progettare. E’ un cantiere dove serve fare un lavoro serio e paziente, perché la normalità è maschera o vestito già confezionato che basta indossare, mentre essere individui pensanti di pensiero e di visione propria e coerente con se stessi richiede molto, molto di più e comprensibilmente. Si pensa la psicoterapia e la si pratica spesso come officina di riparazione per tornare normali, per trovare da qualche parte qualche ipotetica causa attuale o preferibilmente remota, che avrebbe ingrippato il meccanismo. Non c’è, per ciò che, pur difficile e sofferto, vive oggi interiormente, da cercare causa o fattore avverso di cui si sia o si sia stati vittime, c’è semmai da comprendere ciò che l’intimo sentire oggi dice e fa vedere di se stessi.  C'è da intendere ciò che la propria interiorità spinge, attraverso sentire e sogni, a formare di consapevolezza, di pensiero proprio e di progetto, che finora sono mancati e che sono prezioso e indispensabile bagaglio, per non perdere davvero scopo e valore della propria vita. So che questa mia lettura del significato della crisi e del malessere interiore, non filosofica o inventata, ma frutto di esperienza e di confronto con l’intima esperienza e sofferenza, di dialogo e di lavoro quotidiano col profondo, non coincide con l‘immediata attesa di molti che vivono disagio interiore, che chiedono, come proprio bene,  prima di tutto l'annullamento del malessere e la normalizzazione, come so che non è omogenea a modi assai frequenti di intendere la cura, il prendersi cura di chi vive simili esperienze interiori. L’atteggiamento curativo, che, in apparenza benevolo e favorevole, cerca il rimedio, che col farmaco vuole sedare o mitigare, che con prescrizioni e suggerimenti vuole riplasmare i comportamenti e le reazioni, abbattere "l'ostacolo" interiore o che va a caccia di ipotetiche cause per costruire una sorta di spiegazione logica del perché del malessere, per tornare a chiudere il cerchio, lasciando tutto, del procedere e del rapporto con se stessi, come prima, rischia, malgrado le buone intenzioni, di diventare una barriera, se non una vera pietra tombale messa sopra una parte di sé intima e profonda, tutt’altro che malintenzionata, certamente non compresa nella sua intenzione e non valorizzata nella sua capacità propositiva. Rischia di perpetuare paura e incomprensione di se stessi, di ciò che vive dentro se stessi, di bloccare sul nascere o di non favorire, come la spinta interiore richiede, un necessario, utilissimo processo di cambiamento, di rinnovamento. Prendersi davvero cura di sè significa aprire a se stessi e scoprire che ciò che di sè si temeva può diventare la fonte, il fondamento della propria salvezza, del proprio vero benessere.

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