Il termine “disfunzionale” è molto usato,
particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa
e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si
prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse
situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da
ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un
funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi
dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà
di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e
sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una
anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con
farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella
psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi
errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che
condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e
limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di
ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente
corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una
grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un
modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si
tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi,
intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non
piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di
senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi
vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una
parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e
riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel
pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben
diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di
lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se
proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza
di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco
piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con
ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i
propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire
vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di
se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera.
Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto
giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di
funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha
tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non
estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio
essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così
insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e
intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non consente di aderire
ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento,
con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come
tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è
per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria
attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui
prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa
nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che
si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si
metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e
unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché
non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte,
non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa
profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con
determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La
lettura in termini disfunzionali di ciò che si sente e di ciò che
interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una
lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di
ciò che la propria interiorità sta procurando: un forte richiamo, un
invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle
attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la
spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non
si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità
vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre,
senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la
parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto
con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col profondo
(rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare,
questa la terapia) ciò che serve per avere una identità davvero propria e
un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova condizione di
unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola
quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a
fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia
regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire
come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che
sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni
che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi.
Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se
stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare,
poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio
intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si
vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono
tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e
fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto
della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se
è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e
originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di
pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una
capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni
solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di
coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di
profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere,
disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per
affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un
modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai
richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che
nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere
dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco
in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e
fraintesi.
mercoledì 5 giugno 2024
Cos'è disfunzionale?
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