mercoledì 5 giugno 2024

Cos'è disfunzionale?

Il termine “disfunzionale” è molto usato, particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi, intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera. Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non  consente di aderire ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento, con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte, non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La lettura in termini disfunzionali di ciò che si  sente e di ciò che interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di ciò che la propria interiorità  sta procurando: un forte richiamo, un invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre, senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col  profondo (rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare, questa la terapia) ciò che  serve per avere una identità davvero propria e un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova  condizione di unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi. Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare, poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere, disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e fraintesi.

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