Premetto che si impiega il termine analisi
per definire una varietà disparata di approcci e di esperienze assai diverse
tra loro. Nel mio scritto parlo dell’analisi e del percorso analitico, come da
tanti anni da analista propongo e pratico, che mette al centro il rapporto col
profondo, che riconosce a questa parte del proprio essere un ruolo essenziale e
decisivo nella conoscenza di se stessi e nel promuovere la propria autentica
realizzazione. E’ motivo di sorpresa per chi inizia questo percorso analitico
ritrovarsi non già nella posizione di chi col ragionamento cerca di condurre il
discorso, di dirigere l’attenzione verso ciò che considera importante e
centrale per capire se stesso, ma nella posizione di chi è guidato nel percorso
di conoscenza da una parte di se stesso, parte intima e profonda, fino ad
allora trattata e pensata più come oggetto di indagine che come soggetto di
discorso. Compiere questa inversione è fondamentale e apre uno scenario
totalmente nuovo. Chi arriva in analisi è convinto di poter definire già il
campo di ricerca, i punti cruciali, le questioni che lo riguardano.
L’aspettativa è di indagare più attentamente e in profondità, preferibilmente
nel passato remoto, per arrivare a mettere in luce i fattori condizionanti e le
presunte cause, fatte risalire a responsabilità di altri preferibilmente, del
proprio malessere. L’idea, se presente, circa l’inconscio è che possa
attraverso l'analisi rendere finalmente riconoscibili episodi critici e verità
della propria biografia nascoste, rimosse e tenute dentro questa sorta di
contenitore, di strato profondo della psiche, perché troppo dolorose o
inammissibili alla coscienza, che dove finalmente emerse e riportate alla
consapevolezza segnerebbero una svolta, la liberazione da blocchi e da trappole
interiori limitanti e distorcenti il proprio sviluppo e benessere. Sottesa
all'impiego di questa teorizzazione, al favore per questa rappresentazione
dell'inconscio, la posizione vittimistica, la tesi, del tutto conservativa e
deresponsabilizzante verso se stessi che dice: se non ci fossero state
condizioni avverse e sfavorevoli, se non avessi subito questo o quell'altro per
traumi o accidenti, per negligenze o per negativa opera e influenza d'altri e
d'altro, non mi sarebbe toccato di patire sino a oggi disagi, di rimanere
invischiato nel malessere e tutto di me e del mio procedere (che non è in
discussione) sarebbe filato liscio e con garanzie per il mio benessere e la mia
libertà di espressione. L’inconscio, chiamato dentro una simile tesi a dare sostegno
coerente a questa posizione vittimistica verso se stessi, in realtà è ben altro
e di ben altro è portatore e capace. Nel percorso analitico di cui parlo lo si
può nitidamente vedere, toccare con mano e apprezzare. L’inconscio è prima di
tutto laboratorio e genesi di pensiero, non spiantato e aggregato al pensato
comune, ma riflessivo e capace di vedere nell’esperienza i significati veri, il
senso. L’inconscio è la risorsa interiore di cui si dispone e del cui valore e
potenziale si è in genere ignari, in grado di indirizzare in modo del
tutto nuovo e inatteso la conoscenza di se stessi, portandola fuori dal
labirinto dei soliti convincimenti e ragionamenti, per condurla sul terreno
fecondo della scoperta del vero. Se gli si dà spazio e parola l’inconscio sa
dire e orientare la ricerca con sapienza incomparabile. Lo fa magistralmente
con i sogni. Esercita inoltre la sua funzione guida regolando tutto il corso
del sentire, della vicenda interiore. Nulla di ciò che viviamo interiormente è
casuale, è accidentale, dettato e condizionato, in una meccanica relazione di
causa e effetto, da eventi e da stimoli esterni e basta. In ciò che proviamo,
in ciò che prende forma nel sentire c’è sempre un intento e una capacità di
segnalare, di dire. Se si porta attento sguardo sul sentire, si può
vedere ciò che il vissuto, lo stato d’animo, l’emozione scrive e descrive,
delinea, sa portare a riconoscere, toccandolo con mano, sensibilmente. Fare
intima esperienza, sentire è il modo più efficace di conoscere, se una cosa la si
vive la si può comprendere. A far la differenza quando, con l'intento di
capirsi, ci si mette in rapporto col sentire è la capacità di osservazione, di
tenere a freno il commento e la spiegazione, per arrivare viceversa e
gradualmente, proprio con la guida del sentire, alla scoperta, alla
comprensione. L’inconscio modula il sentire, lo plasma, lo indirizza offrendo
così basi e terreno vivo e efficace di scoperta di verità, compensando le
insufficienze, spesso le distorsioni del pensiero e dello sguardo cosciente,
non raramente parziale e astratto, incline alla ripetizione e al preconcetto,
catturato dalla superficie degli accadimenti, in difficoltà nella messa a fuoco
dei significati più intimi e profondi dell'esperienza. L'inconscio, spingendo
avanti le emozioni, il sentire, che se ascoltato sa rendere visibili le
implicazioni più vere dell'esperienza, sa aprire nuove trame e sviluppi di
conoscenza, corregge i fraintendimenti, spesso di comodo, funzionali a dare a
se stessi rassicurazione e conferma nelle proprie convinzioni e tesi, messi in
campo dalla parte razionale, che pure si illude di essere molto affidabile, in
contrapposizione con la presunta cecità e irrazionalità delle emozioni, nel
chiarire le cose, nel garantire obiettività. L'inconscio non solo interviene
nel sentire, nella regolazione di tutto il succedersi degli eventi interiori,
delle emozioni, degli stati d'animo, delle pulsioni, per dare base e terreno
sicuro di ricerca e di scoperta del vero, ma offre per la conoscenza di se
stessi un contributo eccellente nei sogni, dove esalta la sua funzione guida.
Lì mostra capacità mirabile di condurre a vedere dentro se stessi, lì trova
espressione tutta la sua autonomia, maturità e profondità di sguardo e di
pensiero. L’inconscio non è appiattito sulle cose, sulla visione preconcetta, è
autonomo da vincoli, dalle aspettative della parte razionale, non è
intrappolato dentro i circuiti di pensiero soliti e automatici. L’inconscio ha
saputo e sa compiere lo stacco riflessivo, vedere ciò che è coinvolto nella
nostra esperienza e nel nostro procedere, i modi, i perché, ciò che ci spinge,
anche in ciò che tentiamo di eclissare o camuffare. L’inconscio non è
interessato a risolvere, a far procedere le cose senza intoppi, a far venir a
capo in fretta di eventuali difficoltà pur di procurarsi beneficio immediato,
vuole la visione nitida di quel che c’è in gioco, il senso, vuole che non ci
nascondiamo a noi stessi. C’è nell’inconscio una tempra e una forza di
iniziativa che possono davvero sorprendere chi non lo conosce, chi non si
conosce in questa parte profonda di se stesso. Posso dire che l’inconscio, che
da tanti anni ascolto in svariate vicende interiori e percorsi analitici,
mostra una sorta di proprietà e di tratto che ricorre, pur nella diversità dei cammini,
sempre unici da individuo a individuo. L’inconscio non accetta la fatalità del
diventare passivi, dell’andar dietro, del modellarsi secondo altro,
dell’insistere nella simbiosi con l’esterno come unica idea di vita. Si parla
infatti spesso di realtà, di senso di realtà, riconoscendo come tale solo ciò
che è esterno, concreto, già concepito, in qualche modo già sistemato,
ordinato, fruibile, percorribile e dato. Reale è però qualsiasi movimento di
presa di coscienza, di nuova conoscenza che partorisca qualcosa di nuovo, che
faccia vivere qualcosa di inatteso. Siamo realtà noi stessi, se non ci
mortifichiamo nella ripetizione d’altro, siamo realtà in ciò che possiamo
generare nella presa di coscienza, far vivere dentro di noi e che da lì
possiamo progettare, sviluppare. L’inconscio, che è la nostra stessa matrice,
ciò che siamo e che abbiamo potenziale di comprendere, di tradurre, di
percorrere, di far vivere, di mettere al mondo, non compie la rinuncia, non
accetta un’esistenza che non tenga conto di questa capacità di pensiero
originale e di questa tensione creativa propria, un'esistenza che si riduca a
fare il verso ad altro già detto, concepito e organizzato, a venerarlo come la
Realtà cui aderire e su cui plasmarsi. Tanto malessere interiore che in varie
forme scuote, disturba il quieto vivere di non pochi, nasce da questa tensione
profonda a non rinunciare mai a guardare dentro se stessi, a non dare nulla per
ovvio, a non rinunciare a riconoscersi come soggetti, come artefici della
propria vita. L’inconscio non dà comunque ricette pronte e ingenue di
cambiamento. L’inconscio non induce a compiere salti, non asseconda affatto la
tendenza ad aggirare la difficoltà, l'interrogativo, a semplificare o a
omettere. Il processo conoscitivo deve essere completo, maturo, responsabile,
davvero capace di aprire gli occhi, di non ignorare, di trovare risposte valide
e complete, per non fare illusori passi avanti o semplici fughe. L’inconscio
non promuove cambiamenti fragili e contradditori, ambigui o insostenibili,
nulli nella sostanza. L’inconscio è maestro e, sogno dopo sogno, svolge
un’analisi completa, guida in un percorso conoscitivo originalissimo e nello
stesso tempo di straordinaria lucidità, veridicità e profondità. Nulla, come
l’inconscio nei sogni, sa essere altrettanto libero da ripetitività e da
preconcetto, nulla sa coniugare in pari modo acume di sguardo, libertà e forza.
L’inconscio esalta la vita, perchè esalta il pensiero, che sa cercare e
riconoscere l'intimo significato vero, senza posa. L’inconscio è infaticabile e
non cessa mai di dare spinta alla conoscenza, alla conoscenza che fa ritrovare
il senso, che avvicina a se stessi, che rende capaci di incontro col respiro e
con la complessità ricca della vita. Non ho mai incontrato tanta indomabile voglia
di aprire e di conoscere come nell’inconscio. L’inconscio non fa sconti,
non culla illusioni e autoinganni, la verità è sempre al centro delle sue cure,
la verifica attenta passo dopo passo, combinata a eccezionale lungimiranza. Chi
si affida al proprio inconscio ha la più affidabile delle guide e il miglior
maestro per conoscersi, per conoscere, per arricchirsi. Una fonte interna,
propria e straordinaria. Ignorarlo, vuoi per ignoranza del suo potenziale, vuoi
per diffidenza, senza avere l’occasione di conoscerlo come può accadere in una
buona esperienza analitica, è davvero una occasione persa, l’occasione di
arricchirsi di sé. Nel percorso analitico tutto, proprio tutto si scopre e si
genera a partire dalla proposta e dall’iniziativa della parte profonda di se
stessi. Qual'è il compito dell'analista? L’analista svolge bene la sua funzione
quando, consapevole di cosa può offrire all'altro aprendolo al rapporto col suo
profondo, lo sa accompagnare nella ricerca, incoraggiando e favorendo in lui il
formarsi e la crescita della capacità di ascolto e di dialogo con la sua
interiorità, mettendo al centro sempre la proposta che viene dall’inconscio,
cui prima di tutto spetta parola e guida. E’ una funzione delicata quella svolta dall’analista, vista
l’importanza della posta in gioco, che è far sì che l’altro si congiunga alla
sua interiorità e ne rispetti la proposta, ne comprenda e ne traduca fedelmente
gli intenti, senza favorire invece costruzioni di pensiero e travisamenti utili
solo a riportare tutto nel giro abituale dei convincimenti soliti e opachi al
vero, nella presa della pratica dipendente, della adesione e rincorsa cioè di
ciò che è dato comunemente per scontato, nell’imbuto del dare prova in cambio
del sostegno esterno e del premio di considerazione e approvazione degli altri.
Il lavoro dell’analista, se ben svolto nel rispetto e a garanzia dell’altro,
non si avvale del ricorso a spiegazioni e a interpretazioni già pronte, facili
da usare, ma improprie e fuorvianti. Per l'analista c’è un lavoro artigianale
da fare, che certamente richiede non poco impegno di tempo e di energie e che
nello stesso tempo ripaga di scoperte uniche e feconde, un lavoro consono a una
ricerca che rispetti e rispecchi l’originale della proposta interiore di
ognuno, che sappia accompagnare l’altro a stabilire un rapporto sempre più
aperto e intimo, un ascolto e un dialogo sempre più sintono con la sua parte
profonda. L’inconscio traccia, guida con mano ferma e capace, il percorso di
scoperta e di trasformazione, che conduce l’individuo a diventare se stesso,
non una immagine da mostrare, non una copia d’altro. L’analista ha il compito,
passo dopo passo, di dare all’altro spunti di ricerca consoni a ciò che il suo
profondo intende proporgli sia nei sogni che nei vissuti, coinvolgendo l’altro
nella ricerca, facendo sì che via via se ne renda sempre più partecipe attivo e
capace. Coltivare con cura con la guida del proprio inconscio e
portare a maturazione, lungo un percorso unico, la scoperta della verità di se
stesso, diverrà per l’individuo il fondamento della sua personale
autonomia, della capacità e della passione di mettere al mondo e di far vivere
il proprio, originale e autentico.
sabato 6 aprile 2024
L'analisi: chi conduce chi?
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