Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni
fa, con qualche integrazione. Accade
spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si
rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per
certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La
richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la
condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile
e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e
"positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto
allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata
ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata
e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in
una categoria diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia,
panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale,
che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice,
cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione,
una patologia. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che
l'individuo teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non
importa quale (dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di
provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci) pur di ingabbiarla e di
liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che
altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come
guasto o cosa rotta si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi
dall'essere un'anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce,
è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con
travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se
attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro
che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per
capirsi. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle
sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutato a confrontarsi e
a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio
vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per
l'individuo. Questa per lui la vera "cura". Solo questo incontro col
proprio sentire, accolto senza preclusioni in tutte le sue espressioni e non
l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinarlo a sè e fargli
superare la frattura che lo divide da se stesso, può sanare la dissociazione,
il disaccordo tra il suo pensato e ciò che vive interiormente. Solo la
conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può
renderlo consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge,
che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può,
che non vuole essere ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse
disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente
spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di
se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in
modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è
nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato
sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o
più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di
essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo
tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel
proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso
ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda
e vitale necessità di trasformare, di far nascere e vivere, di costruire. Per
l'individuo investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in
ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che
perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura,
nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente
gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta dell'individuo alla sofferenza
interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con
l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabiltà e la nocività di
ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di
un sentire sofferto, prima di tutto vada cercato e in fretta il rimedio
rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza
interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e
confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio
a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso,
insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea
comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col
sentire, con le esperienze interiori è spesso mancante nell'individuo o è
presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che
vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le esperienze, le vicende
interiori con lo strumento del ragionamento che presume di essere lucido e
affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e
riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che
difendere, più di quanto l'individuo sia disposto ad ammettere, personali
interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di
attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa
modalità di pensiero l'individuo tratta ciò che gli accade interiormente
come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e
voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il
malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione
del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della
lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il
cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata.
L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi
velocemente fuori dal malessere interiore, spinge molti a sviluppare tesi circa
l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui
si sarebbe vittime, causata da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella
propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce
sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il
malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti,
di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato
segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale,
la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò
che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a
capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi
decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi,
del proprio modo di procedere, per promuoverne trasformazioni importanti, utili e
necessarie, ma diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere conseguenza
negativa d'altro, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche
parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si
finirà pur per trovare nella biografia personale. L'esperienza interiore viva è
resa in questo modo muta, al sentire attuale non è concessa parola, sul
loro conto si impone un discorso e un'indagine utili solo a tentare di liberare
il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si
compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza
interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume,
ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo
sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con
l'esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di
crescita dell'individuo, è sempre stata in primo piano la ricerca
dell'adattamento alle circostanze esterne e la vita interiore è stata
considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco
di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che
assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i
propositi di riuscita così come intesa e celebrata dal senso comune.
Condizionato dalla sua incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto
rispettoso con la sua esperienza interiore, di intendere e di capire il
significato originale, intimo e vero, dei suoi stati d'animo e del suo sentire,
nel frangente difficile l'individuo è disarmato di fronte alla crisi e al
malessere interiore da cui è investito. Reagisce con sospetto e con paura,
concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione
da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi
intralci. Privo della capacità di intendersi con se stesso, di entrare in
sintonia con la sua interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo
scopo di ciò che il suo sentire gli sta comunicando con tanta forza e
intensità, l'individuo si chiude difensivamente e si preclude la scoperta di
ciò che affidabile, utile e prezioso la sua interiorità ha intenzione e
capacità di proporgli. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore,
purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti
non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per
provare a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause
che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare
incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della
propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o
inutilmente.
martedì 2 febbraio 2021
La sofferenza interiore
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