La patente di malato con la sua bella etichetta
diagnostica, spesso invocata da chi vive una condizione di sofferenza
interiore, per confermarsi vittima di ciò che sta provando, per porlo in stato
di quarantena e di controllo come fosse un morbo di cui liberarsi, una minaccia
da cui difendersi e da rendere bersaglio di presunte cure che la combattano e
che la facciano fuori, è in realtà la via maestra per portare a compimento la
propria dissociazione, per destinarsi a rigida chiusura verso la propria
interiorità. La vita interiore non risponde alle attese e alle pretese di
regolare funzionamento così come concepito dal senso comune, così come
auspicato dalla parte razionale dell'individuo, che, se chiusa al dialogo con
la componente intima e profonda, non fa altro che rigirarsi nel pensato comune,
unica fonte, unica ispiratrice dei propri pensieri. La vita interiore è lo
specchio e la traduzione in essere dell'intelligenza profonda. Dentro di noi
c'è una parte tutt'altro che sprovveduta che tiene conto nell'esperienza non
delle apparenze ma della sostanza, non della superficie ma del dentro, che
coglie e riconosce ciò che muove ogni gesto e ogni azione, che anima ogni
risposta, che non trascura di riconoscere il vero dell'esperienza, che non è
incline a coprire, ma a svelare, che non ha come suo intento cavarsela e
risolvere, ma capire, non ottenere risultati, ma riconoscerne la qualità vera,
la conformità a se stessi. Che lo si voglia o no, che lo si sappia o no, c'è
una parte intima e profonda del proprio essere che non è gregaria del
rimanente, che ha forte tempra e autonomia, che insiste nel dare segnali utili
e essenziali per calarsi nel vero, per non stare nell'illusorio, per non
barricarsi nella consapevolezza truccata e di comodo, nell'idea di se stessi
che ha più sostegno nello sguardo comune che nel proprio. E' la parte di se
stessi che ha più vicinanza con le proprie intime ragioni d'esistenza, con il
proprio potenziale da coltivare e sviluppare, che vuole crescita e formazione
di pensiero vero e fondato, autonomo e di sostanza e non spiantato anche se ben
congegnato come quello usuale e ragionato. Quella profonda è la parte di se
stessi che non si lascia incantare dalle inventive e dai prodotti a volte tanto
ingegnosi quanto sterili del ragionamento, che non si fa tirare e portare da
suggeritori esterni più o meno manifesti, che sa vedere la pochezza di essere
individuo realizzato secondo canoni comuni, ma gregario e passivo nell'aver
fatto propria un'idea di vita e di riuscita già concepita e altra da se stesso.
La componente profonda del proprio essere non è della partita e della corsa a
fare ciò che secondo altri e secondo idea prevalente è il meglio o è il
possibile della vita. La parte profonda scuote e agita le acque interiormente
per sollevare il problema del proprio muoversi senza aver mai cercato radice
dentro se stessi, del proprio blaterare e dell'affannarsi a inseguire, a
riprodurre, a stare dentro un'idea di vita che non ha nulla di vicino, di
scaturito da se stessi. Tutta la inquietudine e il malessere interiore, con le
sue diverse espressioni che in molti, che si sono definiti portatori di
pensiero scientifico, hanno preferito catalogare e etichettare per sottoporle a
trattamenti che le contrastassero e che le raddrizzassero, ma che, se sapute
intendere, segnalano puntualmente la fisionomia del proprio modo di condursi,
la problematica dell'essere lontani da contatto, da capacità di rapporto e di
dialogo con se stessi, è e vuole essere invito fermo a fermarsi per capire, per
capirsi, riconoscendo questa come la priorità. La priorità non è spingersi
avanti come se tutto di se stessi fosse implicitamente valido e scontato, non è
avere a cuore i risultati soliti e contingenti, ma è finalmente prendere
visione di come si sta interpretando e svolgendo la propria vita, su che basi e
guidati da cosa. La priorità, secondo la parte profonda di se stessi, è
rendersi conto che, amputati di un rapporto aperto e fecondo col proprio
intimo, non si è niente e nessuno, si è solo ciò che sta dentro una parte e
un'idea già confezionata, che senza il supporto dello sguardo e del consenso
comune non starebbe in piedi. Al profondo di se stessi preme che non si arrivi
al capolinea della vita senza aver capito nulla, senza aver provato a
sostituire l'illusione con la sostanza, la maschera dell'esistenza con
un'esistenza con il proprio volto, la vita secondo altri con la vita propria,
il pensiero rimasticato e nel coro col proprio finalmente cercato, coltivato e
messo al mondo.
giovedì 1 novembre 2018
La trappola della idea di malattia
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