Non è facile, non è affatto usuale riuscire a capire, a intendere correttamente le espressioni della vita interiore. Alla nostra interiorità interessa portare ogni volta la nostra attenzione su questioni e su nodi imprescindibili, da non nascondere e da non eludere dove ponessimo al centro della nostra vita la necessità di capirci e di crescere in consapevolezza e autonomia. Quando la nostra interiorità sembra stringerci d'assedio, procurarci senza risparmio motivi di turbamento e di inquietudine, tenere vive in noi sensazioni e pensieri non piacevoli, è frequente che le si contrapponga il timore che queste esperienze e stati interiori possano farci solo danno, che abbiano un che di eccessivo, di insensato, perciò di anomalo, che il nostro ragionare valuta tale. Il pensiero razionale però è limitato, lavora al buio delle implicazioni più vere e profonde delle nostre scelte, del nostro modo di procedere, il ragionamento è la risposta della parte di noi stessi che vuole che ci sia quiete, conferma e stabilità a prescindere. Considero un esempio, particolarmente impegnativo e arduo, come quello della gelosia. Lo considero al maschile verso una donna, ma non è esperienza e questione esclusiva, dunque analoga riflessione andrebbe aperta per una donna verso un uomo e ovunque nelle diverse relazioni possibili. La gelosia può essere assecondata ciecamente e fatta valere da chi la vive come semplicemente naturale, come diritto e pretesa di controllo e di padronanza sulla vita altrui, è il caso peggiore e nemmeno purtroppo raro. Considero qui l'esperienza della gelosia di chi la vive con tormento e con disagio, con la percezione che sia una pena, un che di ingrato e corrosivo, di lesivo, oltre che di prepotente. Se si viene alle strette con sensazioni dolorose e sgradite come quelle della gelosia, che larvatamente ha comunque dato già ripetuti segnali in tante altre occasioni e momenti, gelosia che alimenta sospetti, che può spingere a frugare in ogni dove della vita dell'altra, anche del suo passato, che alimenta la pretesa di esclusività, è forse per rendere tangibile il legame di dipendenza che si è stabilito. Il fondamento della dipendenza è la consegna a un'altra persona della funzione di procurare a se stessi qualcosa di vitale e necessario che da soli non si è cercato dentro di sè, che non ci si è preoccupati di formare e di sviluppare, di cui ancora non si dispone. Il legame dipendente con l'altra persona, spesso e volentieri ignorato, a volte addirittura celebrato (non posso vivere senza di te, ho bisogno di te, sei la mia metà ecc.), consente di colmare quel vuoto, anche se lo fa in una forma che da un lato non coincide certamente con ciò che si potrebbe generare da sè, consono e fedele a se stessi e che dall'altro non consente di esercitarlo in libertà e a proprio modo. Cosa ha dato e dà in misura e forma più o meno forte e persuasiva la presenza dell'altra? Attenzione, vicinanza, affetto, calore, premura, predilezione per se stessi, che fa sentire scelti, comunque oggetto di cura, accettati, valorizzati? E' da lei che sembra di sentirsi capiti intimamente, che si credono comprese le proprie necessità, è lei che sembra farsene interprete? E' lei a rappresentare il bello, un che di prezioso, che sembra portare nella propria vita una luce di valore, di felicità? Quel che voglio far capire è che il nodo della dipendenza, del farsi dare da altri qualcosa di essenziale e di irrinunciabile, che potrebbe, che anzi dovrebbe, per essere individui pienamente e non in forma amputata, prendere forma e sviluppo dentro se stessi, potrebbe essere ciò che la gelosia vuole arrivare a evidenziare, a porre acutamente al centro della propria attenzione. Sapersi avvicinare a se stessi, sapersi ascoltare e capire in ciò che si sente, nelle proprie emozioni, nei propri stati d'animo, sviluppare capacità di incontro e di dialogo con se stessi, creare vera vicinanza e intimità, calda intimità con la propria interiorità, da cui invece abitualmente si fugge (temendo che ciò che vive dentro se stessi sia a volte troppo disagevole, altre volte giudicando che sia vuoto e in nulla promettente, non degno, come invece i richiami e le opportunità esterni, di essere cercato, coltivato e valorizzato), coltivare e dare vita a qualcosa che sia ricchezza intima che non svanisce, sentita vicina e consona, non comprata, non presa da altro e da altri, tutto questo o si decide di coltivarlo, di farlo crescere e di darselo da sè, considerandolo fondamento essenziale della propria completezza di individuo e della propria autonomia (autonomia vera e non di facciata, cui basta un pò di vetrina e di consenso esterno per stare in piedi) o altrimenti si rischia di farselo dare, in qualche modo, da un'altra persona, da cui poi si dipende, che si vorrebbe tenere legata a sé in modo esclusivo, come fosse una parte vitale di se stessi. Un rapporto che non poggi sulla completezza di individuo non raramente, anzi quasi fatalmente si incardina sulla dipendenza. La risposta interiore non si fa attendere, la componente interiore e profonda non è inerte e segnala puntualmente lo stato delle cose, il nodo da vedere e da sciogliere. Si dice che la lingua batte dove il dente duole, è un detto che potrebbe essere utile per capire ragioni e senso di ciò che nel vissuto di gelosia, così incalzante e pervasivo, pare solo una insana ossessione. La parte profonda di noi stessi, che in genere non è né compresa né apprezzata in ciò che determina e che dice, anzi in genere neppure si sa che esiste come presenza affidabile e intelligente, ha una parte decisiva in tutto ciò che sentiamo e che succede dentro di noi. Nulla dentro di noi è casuale, non c'è emozione, vissuto, non c'è svolgimento interiore, più o meno complesso, che non sia regolato, modulato, fatto esistere, in quella forma e con quella intensità particolare, dal nostro profondo. Ogni stato d'animo e sensazione non è conseguenza semplice e automatica di altro, di una causa che dall'esterno la determina, ma è plasmato dal profondo, è iniziativa e segnale originato da dentro di noi, rivelatore sempre di qualcosa di noi stessi, capace di avvicinarci alla conoscenza di noi stessi. Si giudica tutto in termini di normalità, di rispetto di presunti canoni di sensatezza codificati. Ciò che ci accade non è insensato o fuori regola e misura se non secondo le regole della cosiddetta normalità. Bisogna tener conto che il nostro essere non è delimitato e non si riduce a volontà e a razionalità con qualche accessorio secondario, cosiddetto irrazionale, ma che risiede anche e prima di tutto nella parte profonda di noi stessi, cui, saggiamente, ostinatamente anche, interessa evidenziare nodi veri, questioni decisive su cui si gioca la nostra vera possibilità di crescita e di autonomia. Solo mettendo al primo posto nel rapporto con l'esperienza interiore, quando difficile e sofferta, non l'istanza liberatoria o normalizzatrice, ma l'intento fermo di capire, di capirsi, di trovare la verità di se stessi, solo scegliendo di non far ricadere su altri le cause, le colpe, ma di porre invece se stessi al centro delle responsabilità inerenti la propria vita, riconoscendo dentro di sè l'origine e la matrice di tutto ciò che si prova, si può rendere fecondo lo scambio con la propria interiorità, che non tace, che spinge l'attenzione sui punti caldi, che vuole che non ci sia ignoranza o ipocrisia, ma consapevolezza, crescita senza risparmio di intelligenza e di coraggio.
venerdì 21 settembre 2018
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento