domenica 25 novembre 2018
Fa male tenersi tutto dentro?
Nel rapporto con le emozioni e con le esperienze interiori è assai diffusa la convinzione che sia prioritario dare loro espressione, esternarle. Si ha fretta di farlo, si pensa che con le emozioni non ci sia altro che da manifestarle, da agirle e da tradurle presto in gesti e parole, come se il significato e lo scopo di tutto di ciò che si prova fossero scontati e immediatamente comprensibili. Non manifestare ciò che si sente sarebbe un'insufficienza, vanificherebbe il senso e il valore di ciò che si prova, che si muove dentro se stessi. Se poi l'esperienza interiore è particolarmente impegnativa, insistita e complicata nei suoi svolgimenti e sofferta, l'istanza di non tenersi tutto dentro diventa ancora più imperiosa. L'idea comune è che tenersi dentro sensazioni e complessi e tribolati stati d'animo sarebbe negativo, nuocerebbe a se stessi. Si potrebbe in realtà rovesciare la questione. Mettere fuori ciò che si sente, senza averlo ascoltato e intimamente compreso, cosa niente affatto rara, addossandogli un significato e un'intenzione che si danno per scontati, che si fanno rientrare nel già conosciuto, senza però vera corrispondenza col suo originario scopo e proposito, significa svuotarsi malamente e impoverirsi di contenuti preziosi per la conoscenza di se stessi, significa travisare ciò che si sta vivendo e portarsi fuori strada. Il sentire, le emozioni, gli stati d'animo non sono moti elementari, non sono l'eco interna e la conseguenza banale di questo o di quello, il sentire è guida intelligente, è testimonianza viva di una verità affatto scontata, che razionalmente non si ha né capacità, né spesso voglia di comprendere. Il sentire è voce della parte profonda del proprio essere, che interviene nel corso dell'esperienza per svelare, per indurre a fermarsi su se stessi, per capire ciò che nella visione solita è oscurato, semplificato, spesso distorto. Perciò il sentire chiede e merita ascolto, invita all'incontro e al dialogo intimo con se stessi, il sentire segna interiormente, imprime i suoi segni perché ci si orienti, perché si aprano gli occhi e si abbia il coraggio di prendere consapevolezza. Il sentire impegna a comprendere, a trovare e a tessere un filo affatto usuale e banale. L'ascolto, la riflessione, lo sguardo capace di vedere ciò che il sentire sottolinea, imprime con l'intento di condurre per intima esperienza a aprire gli occhi, sono la risposta congrua a ciò che interiormente si vive, si sperimenta. Il dialogo dev'essere prima di tutto interiore, non è l'esternazione quella che urge, al sentire, alla proposta del profondo va offerta la propria disponibilità a accoglierla, la propria attenzione, il proprio ascolto. Mettere fuori rapidamente, esternare non possono essere le priorità. Prima si ha necessità di intrattenersi col proprio sentire per intenderlo in ciò che vuole dire e condurre a scoprire, senza fretta, senza paura che questo nuoccia. Solo l'inconsapevolezza nuoce. Il problema è imparare a avvicinare e a comprendere l'esperienza interiore, formare e sviluppare capacità di ascolto e riflessiva che permetta di intendere fedelmente e di valorizzare ciò che il proprio sentire offre e propone. Mettere fuori, manifestare e comunicare ad altri, tradurre tutto in ragionamenti messi sopra il proprio sentire, scaricare in chiacchiera e sfogo ciò che si prova è una cosa, ascoltare con partecipazione e con pazienza, rispettare e comprendere il linguaggio interiore, badando a non equivocare e a non sciupare la propria intima esperienza, sono un'altra.
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