Il
peggio riversato sul meglio di sé. Credo sia utile parlarne ancora, come ho
fatto in molti miei scritti, perché è questione tanto diffusa
quanto importante, decisiva. L’esperienza interiore, ciò che
propone, non importa se in una forma ardua, impegnativa e sofferta, è
risorsa vera, opportunità viva e sensata di avvicinamento a
sé, di scoperta di significati col proprio sguardo, di comprensione
intima e fondata, di intelligenza utile, indispensabile come lo è la
capacità di conoscersi e di guidarsi, che potrebbe finalmente
prendere corpo. Eppure le va sopra troppo spesso il peggio del
pregiudizio, dell’impazienza, della pretesa di stare prima di tutto
liberi e sgombri da disagi e da pensieri, da impegno di capire e di
capirsi, della preoccupazione di non diventare diversi da ciò che il
senso comune raccomanda, caldeggia e si arroga di fissare come
valido sempre e comunque, cioè normale. Cestinare, liquidare
l’esperienza interiore o pretendere di raddrizzarla per renderla
"sana" e conciliante, sono pratica personale e pure di “aiuto”
professionale assai diffuse, senza capire quanto di prezioso e di
intelligente si vuole mandare in discarica o rimettere in riga, per
recuperare o salvaguardare cosa? Il riallineamento al gregge, il
ritorno al solito, senza bagaglio proprio di consapevolezza e senza
capacità di orientamento, anche se lo si chiama ritorno alla
normalità o recupero del benessere. E’ comprensibile che imparare
da se stessi, essendo pratica inusuale e strada mai o quasi mai
battuta, risulti inizialmente incredibile, anzi che la si ignori. Con
impazienza ci si fa bastare qualche acrobazia del ragionamento,
spacciandosela come chiarimento e come possesso di idee e ci si
rivolge contro parte di sé che, se non è stata e se non sta alle attese, si giudica
inutile e dannosa. Conta non farsi rompere le uova nel paniere da
richiami e da iniziative interiori, che vengono giudicati senza tanti
indugi intemperanze e capricci irrazionali. La protervia con cui si è
pronti a bollare come storto, inutile o malfatto, se non patologico
(ancor prima che intervenga qualche tecnico che apponga una qualche
etichetta diagnostica) ogni proprio sentire che stona e che dissona
dal normale celebrato, fa però impressione. Soprattutto, pur senza
saperne cogliere senso e gravità, è atto arrogante di una
parte di se stessi, tanto presuntuosa quanto ignara della propria
inconsistenza, contro parte di sé che, se si imparasse ad ascoltare
e a conoscere, avrebbe tanto da insegnare e da dare.
martedì 8 luglio 2014
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