martedì 24 aprile 2007

Il rapporto con se stessi: unità e dialogo o contrapposizione e rottura. Il senso della crisi

Il rapporto con la propria interiorità è spesso ostacolato da incomprensioni e da pregiudizi, che non appaiono tali a chi ne è artefice e soggetto. C'è un pregiudizio ben radicato e molto diffuso che vuole che ci sia netta separazione e opposizione tra ciò che di noi, denominato razionale, è giudicato assennato, affidabile ed equilibrato e ciò, che invece definito "irrazionale" (comprende l'esperienza emotiva e ciò che, fuori dal controllo della volontà e da cosciente determinazione, ci coinvolge, ci smuove da dentro e spesso ci sorprende) è considerato affatto lucido oltre che parziale e poco o nulla attendibile. Se poi il corso dell'esperienza interiore assume carattere aspro e sofferto, tortuoso o lacerante, facilmente si sviluppa da parte di chi ne è portatore ostracismo, rifiuto verso questa parte di sè, oltre che allarme come dinnanzi a qualcosa che non funziona correttamente, che rivela disordine, malattia o, se il giudizio è benevolo, stato di debolezza, di usura o di bisogno ( il cosiddetto  "esaurimento" ). L'interiorità, la parte di noi più intima e profonda, in realtà più che reagire come passivo oggetto di logorio a qualche fattore nocivo che la fiacca o che l'affligge, che ne compromette il sano equilibrio, cerca spesso con determinazione e con intraprendenza di creare, per fondati motivi, una discontinuità sensibile e ben avvertibile, fortemente coinvolgente. Il profondo non subisce, ma genera lo stato di crisi, non per caso, non inutilmente, non per patologica tendenza. Se ben raccolti, ascoltati e compresi quelli dell'interiorità sono segnali intelligenti, che aiutano a cogliere in profondità, con finezza di sensibilità e con precisione di sguardo questioni decisive che riguardano il proprio essere e il proprio modo di procedere. All'individuo spesso sfugge, talvolta poco importa vedere nitidamente quale sia la qualità o sostanza vera del modo di vivere e di procedere dentro cui è immerso e cui si affida. Gli può rimanere ignoto o può mantenere debole e sfumata la percezione del costo pagato in termini di assenza di contenuto proprio della propria vita, di mancata rispondenza vera e profonda a sè di ciò che sostiene e che esprime. Può preferire non vedere o sottovalutare aspetti di sè non marginali di immaturità, di dipendenza da altri o da altro per sostenersi e per dirigersi, di opaca conoscenza di sè, del perchè e del senso di ciò che fa e che porta avanti, di rinuncia o di mancanza di una progettualità propria, forse mai cercata con forza e con insistenza dentro se stesso. Non è raro infatti che le scelte e il procedere si siano ispirati più al seguire la corrente, facendosi dettare dal senso comune e prevalente gli appuntamenti e le tappe della propria vita, all'afferrare ciò che comunemente veniva inseguito e considerato degno di interesse, al portare a sè e al riempirsi di qualcosa comunque, piuttosto che al cercare dentro sè con impegno e con pazienza significati, scopi voluti e mete desiderate e all'investire su di sè. Volentieri il raggiungimento di qualcosa di proprio è stato equivocato e scambiato col fare proprio qualcosa di stabile e di rassicurante, soprattutto di prontamente accessibile ( come ad esempio il consolidare e rendere certo un legame, il mettere su casa con qualcuno, il mettere al mondo un figlio come fosse creazione propria, il raggiungere e l'appagarsi di una sistemazione lavorativa, a prescindere da senso e finalità del proprio lavoro ecc.). Poco disponibile a sincere verifiche, non di rado rinunciatario e passivo nella sua parte "alta" e pensante, quella cosiddetta consapevole e razionale, l'individuo ha però dentro se stesso e sue anche altra vita e sensibilità, altre risorse. Se altrove, nel suo profondo, le cose appaiono diversamente, si può pretendere che dentro tutto debba rimanere immobile e composto? Se nel profondo l'individuo ha capacità di vedere in modo penetrante cosa accade, cosa sta facendo di se stesso, se ha presente cosa di sè giace inespresso, se sa a quale destino anonimo e perdente, al di là delle apparenze, si sta consegnando, se profondamente ha capacità di sollevare la questione e di dettare una svolta e, laddove ci fosse ascolto e disponibilità nei "piani alti", pure capacità di guidare e di alimentare un serio processo di verifica, di riscoperta di tutto, di radicale e di profonda trasformazione....si può pretendere che il profondo mandi giù e non prenda posizione? Se il profondo ha vicine, consapevoli e scottanti tali verità e potenzialità di cambiamento si può pretendere che taccia, che rimanga con le mani in mano? La crisi, il malessere che monta, che ostacola, che a volte sembra paralizzare l'intero procedere solito dell'esperienza, può nascere da simili fondamenti e argomenti (ne ho solo esemplificati alcuni) tutt'altro che irrilevanti, irragionevoli o assurdi. Trattare pregiudizialmente come patologia l'intimo tormento e sommovimento è come prendere per matto quel briciolo e più di sana capacità di vedere e di luce che ci si porta dentro. Il mio lavoro di psicoterapeuta, di analista mi ha permesso e mi permette di constatare che rispondere alla crisi con disponibilità di ascolto e con impegno di ricerca consente all'individuo di verificare che la crisi, che tanto gli era parsa all'inizio incomprensibile e funesta, non si era aperta per caso o inutilmente, che il suo intento era costruttivo, che dal profondo, dove si era generata e dove era stata voluta, è stato ed è possibile nel corso dell'analisi (imparando ad accogliere e a raccogliere riflessivamente il significato e la proposta del sentire, facendo proprie la guida e l'intelligenza dei sogni) trarre tutti gli elementi che servono per capire e per costruire il nuovo, il proprio. L'interiorità spesso non è remissiva e rinunciataria; se strattona, se spinge, se disturba, se si mette di traverso sa il fatto suo. Va infine detto che non si può pretendere di far evolvere positivamente e costruttivamente la crisi, secondo il suo verso e scopo, in un attimo. Per conoscersi davvero, per rivisitare la propria vita, per riscoprire il proprio essere, per riconoscere e per rafforzare finalmente, dietro ispirazione e guida profonde, visione, pensiero e progetto propri, che non siano il solito inseguire e imitare modelli dati, che non siano ripetere cose sentite dire e prese in prestito da altri o da altro, per rimettersi davvero sulle proprie gambe, ci vuole lavoro, ricerca attenta, impegno e tempo. Il rapporto con se stessi, il dialogo con la propria interiorità vanno saggiati, scoperti, costruiti, coltivati con passione e con serietà, fatti crescere con pazienza e con tenacia. Così facendo le cose possono cambiare e radicalmente.

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