Il rapporto
con la propria interiorità è spesso ostacolato da incomprensioni e
da pregiudizi, che non appaiono tali a chi ne è artefice e soggetto.
C'è un pregiudizio ben radicato e molto diffuso che vuole che ci sia
netta separazione e opposizione tra ciò che di noi, denominato
razionale, è giudicato assennato, affidabile ed equilibrato e ciò,
che invece definito "irrazionale" (comprende l'esperienza
emotiva e ciò che, fuori dal controllo della volontà e da cosciente
determinazione, ci coinvolge, ci smuove da dentro e spesso ci
sorprende) è considerato affatto lucido oltre che parziale e poco o
nulla attendibile. Se poi il corso dell'esperienza interiore assume
carattere aspro e sofferto, tortuoso o lacerante, facilmente si
sviluppa da parte di chi ne è portatore ostracismo, rifiuto verso
questa parte di sè, oltre che allarme come dinnanzi a qualcosa che
non funziona correttamente, che rivela disordine, malattia o, se il
giudizio è benevolo, stato di debolezza, di usura o di bisogno ( il
cosiddetto "esaurimento" ). L'interiorità, la parte
di noi più intima e profonda, in realtà più che reagire come
passivo oggetto di logorio a qualche fattore nocivo che la fiacca o
che l'affligge, che ne compromette il sano equilibrio, cerca spesso
con determinazione e con intraprendenza di creare, per fondati
motivi, una discontinuità sensibile e ben avvertibile, fortemente
coinvolgente. Il profondo non subisce, ma genera lo stato di crisi,
non per caso, non inutilmente, non per patologica tendenza. Se ben
raccolti, ascoltati e compresi quelli dell'interiorità sono segnali
intelligenti, che aiutano a cogliere in profondità, con finezza di
sensibilità e con precisione di sguardo questioni decisive che
riguardano il proprio essere e il proprio modo di procedere.
All'individuo spesso sfugge, talvolta poco importa vedere nitidamente
quale sia la qualità o sostanza vera del modo di vivere e di
procedere dentro cui è immerso e cui si affida. Gli può rimanere
ignoto o può mantenere debole e sfumata la percezione del costo
pagato in termini di assenza di contenuto proprio della propria vita,
di mancata rispondenza vera e profonda a sè di ciò che sostiene e
che esprime. Può preferire non vedere o sottovalutare aspetti di sè
non marginali di immaturità, di dipendenza da altri o da altro per
sostenersi e per dirigersi, di opaca conoscenza di sè, del perchè e
del senso di ciò che fa e che porta avanti, di rinuncia o di
mancanza di una progettualità propria, forse mai cercata con forza e
con insistenza dentro se stesso. Non è raro infatti che le scelte e
il procedere si siano ispirati più al seguire la corrente, facendosi
dettare dal senso comune e prevalente gli appuntamenti e le tappe
della propria vita, all'afferrare ciò che comunemente veniva
inseguito e considerato degno di interesse, al portare a sè e al
riempirsi di qualcosa comunque, piuttosto che al cercare dentro sè
con impegno e con pazienza significati, scopi voluti e mete
desiderate e all'investire su di sè. Volentieri il raggiungimento di
qualcosa di proprio è stato equivocato e scambiato col fare proprio
qualcosa di stabile e di rassicurante, soprattutto di prontamente
accessibile ( come ad esempio il consolidare e rendere certo un
legame, il mettere su casa con qualcuno, il mettere al mondo un
figlio come fosse creazione propria, il raggiungere e l'appagarsi di
una sistemazione lavorativa, a prescindere da senso e finalità del
proprio lavoro ecc.). Poco disponibile a sincere verifiche, non di
rado rinunciatario e passivo nella sua parte "alta" e
pensante, quella cosiddetta consapevole e razionale, l'individuo ha
però dentro se stesso e sue anche altra vita e sensibilità, altre
risorse. Se altrove, nel suo profondo, le cose appaiono diversamente,
si può pretendere che dentro tutto debba rimanere immobile e
composto? Se nel profondo l'individuo ha capacità di vedere in modo
penetrante cosa accade, cosa sta facendo di se stesso, se ha presente
cosa di sè giace inespresso, se sa a quale destino anonimo e
perdente, al di là delle apparenze, si sta consegnando, se
profondamente ha capacità di sollevare la questione e di dettare una
svolta e, laddove ci fosse ascolto e disponibilità nei "piani
alti", pure capacità di guidare e di alimentare un serio
processo di verifica, di riscoperta di tutto, di radicale e di
profonda trasformazione....si può pretendere che il profondo mandi
giù e non prenda posizione? Se il profondo ha vicine, consapevoli e
scottanti tali verità e potenzialità di cambiamento si può
pretendere che taccia, che rimanga con le mani in mano? La crisi, il
malessere che monta, che ostacola, che a volte sembra paralizzare
l'intero procedere solito dell'esperienza, può nascere da simili
fondamenti e argomenti (ne ho solo esemplificati alcuni) tutt'altro
che irrilevanti, irragionevoli o assurdi. Trattare pregiudizialmente
come patologia l'intimo tormento e sommovimento è come prendere per
matto quel briciolo e più di sana capacità di vedere e di luce che
ci si porta dentro. Il mio lavoro di psicoterapeuta, di analista mi
ha permesso e mi permette di constatare che rispondere alla crisi con
disponibilità di ascolto e con impegno di ricerca consente
all'individuo di verificare che la crisi, che tanto gli era parsa
all'inizio incomprensibile e funesta, non si era aperta per caso o
inutilmente, che il suo intento era costruttivo, che dal profondo,
dove si era generata e dove era stata voluta, è stato ed è
possibile nel corso dell'analisi (imparando ad accogliere e a
raccogliere riflessivamente il significato e la proposta del sentire,
facendo proprie la guida e l'intelligenza dei sogni) trarre tutti gli
elementi che servono per capire e per costruire il nuovo, il proprio.
L'interiorità spesso non è remissiva e rinunciataria; se strattona,
se spinge, se disturba, se si mette di traverso sa il fatto suo. Va
infine detto che non si può pretendere di far evolvere positivamente
e costruttivamente la crisi, secondo il suo verso e scopo, in un
attimo. Per conoscersi davvero, per rivisitare la propria vita, per
riscoprire il proprio essere, per riconoscere e per rafforzare
finalmente, dietro ispirazione e guida profonde, visione, pensiero e
progetto propri, che non siano il solito inseguire e imitare modelli
dati, che non siano ripetere cose sentite dire e prese in prestito da
altri o da altro, per rimettersi davvero sulle proprie gambe, ci
vuole lavoro, ricerca attenta, impegno e tempo. Il rapporto con se
stessi, il dialogo con la propria interiorità vanno saggiati,
scoperti, costruiti, coltivati con passione e con serietà, fatti
crescere con pazienza e con tenacia. Così facendo le cose possono
cambiare e radicalmente.
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