sabato 6 dicembre 2025

La sofferenza interiore

Ripropongo oggi questo mio scritto di alcuni anni fa, con qualche integrazione.                                    Accade spesso che chi vive un'esperienza di malessere, di sofferenza interiore si rapporti a questa con allarme misto a fastidio e a insofferenza, dando per certo che ciò che sta vivendo gli sia soltanto sfavorevole o nemico. La richiesta e l'auspicio sono in genere di ripristinare al più presto la condizione precedente la crisi, di dissolvere quella realtà interna così difficile e temuta, di sostituirla con una giudicata più vivibile, affidabile e "positiva". L'esperienza interiore dolorosa viene di fatto allontanata da sè come peste e trattata come cosa, grossolanamente equiparata ad altre appartenenti e sperimentate da altri e come tale volentieri catalogata e infilata, con il suggerimento e con la benedizione di qualche terapeuta, in una casella diagnostica o pseudo tale. Tutto diventa allora uguale (ansia, panico, depressione, fobia ecc. ecc.), un dato oggettivo amorfo e impersonale, che non significa e che non rivela più nulla di se stessi, che non dice, cui non si fa dire se non di essere un disturbo, un eccesso, una distorsione, una patologia, da mettere a tacere, da liquidare possibilmente. In realtà l'esperienza interiore disagevole e sofferta, che chi ne fa esperienza teme e ripudia, cui cerca di opporre un antidoto o un rimedio, non importa quale, dal tentativo di non darle peso e di distrarsi fino a quello di provare a metterla a tacere con gli psicofarmaci, pur di ingabbiarla e di liberarsene, è parte viva del suo sentire, non assimilabile affatto a ciò che altri sperimenta, come ci fosse una cosa, ansia o depressione o altro, che come guasto o cosa rotta, si ripropone sempre uguale in tutti. Ben lungi dall'essere una anomalia o un disturbo, la sofferenza interiore è una voce, è prima di tutto intima esperienza, tentativo di prendere, pur con fatica e con travaglio, visione e consapevolezza di qualcosa di importante e, se attentamente ascoltata, se ben intesa e compresa, si rivela essere tutt'altro che ostile e deleteria. E' viceversa guida affidabile e sicura per capire, per capirsi, sempre che lo si voglia, che non si preferisca invece chiudere gli occhi, rimanere lontani da sè e dal vero, da ciò che urge conoscere per non procedere all'oscuro. Imparare ad ascoltare e a comprendere il proprio sentire, fin nelle sue pieghe più tormentate o "strane", essere aiutati a confrontarsi e a dialogare con la propria interiorità, a capirla nel suo linguaggio vivo, è conquista molto importante, anzi decisiva per chi vive una simile esperienza, tutt'altro nelle sue ragioni e nel suo scopo che assurda e senza senso, tutt'altro che una patologia o una abnormità, che può fare solo danno. Questa la vera "cura". Solo questo incontro col proprio sentire, accolto senza preclusioni e senza pregiudizi in tutte le sue espressioni e non l'opposizione preconcetta al dolore, può infatti avvicinare a sè e far superare la frattura che divide da se stessi, può sanare la dissociazione, il disaccordo tra ciò che si pensa e che si vuole perseguire e ciò che si vive interiormente. Solo la conquista della capacità di ascolto e di dialogo con la propria interiorità può rendere chi è coinvolto nella sofferenza interiore consapevole ed arricchirlo di qualcosa di intimamente vero, che urge, che la sua crisi interiore ha aperto e sta rilanciando con forza, che non può, che la parte intima e profonda del suo essere vuole che non sia ignorato o trascurato. Se quel sentire disturba, forse disturba in primo luogo il quieto e programmato procedere, dove il conducente spesso è incurante, non senza rischi, di sapere cosa realmente sta facendo di se stesso, verso che cosa si sta spingendo. Prima di squalificare e di porsi in modo ostile contro il proprio sentire, sarebbe bene essere molto cauti. Non c'è nulla di ciò che sperimentiamo interiormente, che possa essere considerato sbagliato, che, se ascoltato e compreso si riveli davvero anomalo, eccessivo o più semplicemente assurdo o inopportuno e ancor meno che mostri di essere nemico o sfavorevole. Semmai può esserci dissonanza e disaccordo tra ciò che in superficie si vorrebbe credere di se stessi e ciò che nel proprio profondo è riconosciuto come vero, tra ciò che si vorrebbe, spesso ottusamente, confermare e mantenere uguale e ciò che si sente intima, profonda e vitale necessità di riconoscere nel suo significato vero, tra ciò che rigidamente si vuole accreditare e mantenere di se stessi e ciò che più intimamente si riconosce necessario e importante trasformare e di nuovo, più corrispondente a sè, far nascere e vivere, costruire. Per chi è investito dalla sofferenza interiore, il vero problema non sta in ciò che vissuto interiormente non andrebbe per il verso giusto e normale e che perciò andrebbe tolto di mezzo o risanato, ma è viceversa nella sua chiusura, nella diffidenza e nel pregiudizio negativo verso tutto ciò che interiormente gli risulta sofferto e scomodo. Questa risposta alla sofferenza interiore è omogenea e tutt'uno con l'atteggiamento più diffuso e con l'opinione prevalente tra le persone circa l'intollerabilità e la nocività di ciò che è interiormente doloroso e disagevole, con l'idea che, in presenza di un sentire sofferto, vada prima di tutto e in fretta cercato il rimedio rispetto alla comprensione e alla presa di coscienza di ciò che l'esperienza interiore sta cercando di condurre a capire. E' l'idea incoraggiata e confermata anche dall'offerta curativa, che in non piccola parte punta proprio a trattare come anomalo e disfunzionale ciò che interiormente risulta doloroso, insolito e discorde con il quieto vivere e procedere abituale, con l'idea comune di normalità. La capacità di entrare in rapporto con le emozioni, col sentire, con le esperienze interiori è spesso negli individui mancante o è presente in una forma distorta. La distorsione è nell'approccio razionale, che vede la pretesa dell'individuo di chiarire dall'alto le sue esperienze, le sue vicende interiori con lo strumento del ragionamento, che presume di essere lucido e affidabile, ma che, visto con occhio attento, non fa che rimescolare e riversare sul conto dell'esperienza e dei vissuti cose già pensate, che difendere, più di quanto si sia disposti ad ammettere, personali interessi e convinzioni di comodo, oltre che avvalersi di schemi e di attribuzioni di significato preconfezionate e di uso comune. Con questa modalità di pensiero si è spesso abituati a trattare ciò che accade interiormente come un oggetto da spiegare e da interpretare, anzichè come esperienza viva e voce da ascoltare, da cui farsi dire e guidare a aprire gli occhi, a capire. Il malessere interiore vuole indurre a soffermarsi su di sè, a prendere visione del proprio modo di procedere, a cogliere lo stato del rapporto, spesso della lontananza dal proprio intimo sentire, dalla propria vita interiore, senza il cui apporto non c'è possibilità di orientamento e di visione propria e fondata. L'approccio razionale intrecciato e ben stretto alla preoccupazione di portarsi velocemente fuori dal malessere interiore, tutt'uno con l'idea che vada tolta una minaccia e un ostacolo al proprio vivere e procedere considerati fuori discussione validi e da salvaguardare, spinge molti a sviluppare tesi circa l'origine della sofferenza interiore, da subito intesa come pena e danno di cui si sarebbe vittime, causati da qualcosa di sfavorevole in atto o accaduto nella propria vita. E' soluzione molto frequente e cara non solo a chi patisce sofferenza interiore, ma anche a chi se ne prende cura, far risalire il malessere a presunte cause, attuali o preferibilmente remote, di traumi patiti, di carenze o di condizionamenti sfavorevoli subiti, che avrebbero lasciato segno e alterato il personale modo di sentire e di reagire. Il sentire attuale, la sofferta esperienza interiore non sono di fatto accolti e ascoltati in ciò che intelligentemente e provvidenzialmente vogliono comunicare e condurre a capire di se stessi, non sono compresi nel loro intento di evidenziare nodi decisivi da affrontare, di mettere in primo piano la conoscenza di se stessi, del proprio modo di procedere. Non se ne comprende il senso, ci si tiene ben lontani, per effetto di pregiudizio e di predisposizione negativa, dal riconoscere nel proprio sentire, pur doloroso e  poco piacevole,  l'intento e la capacità, tutt'altro che ostile e deleteria, di esercitare guida alla conoscenza più matura di se stessi, di dare impulso vivo a trasformazioni importanti, utili e necessarie. Il proprio sentire, la propria esperienza interiore difficile e sofferta diventano oggetto di un discorso che li vuole vedere come esperienza interiore e sentire anomali, frutto di patologia o al più, cercando di trovare loro un perchè, come conseguenza negativa d'altro, dell'agire di qualcosa, sfavorevole e nocivo, traumatico e penoso, che da qualche parte, a conferma e a suggello della tesi precostituita del danno subito, si finirà, non poche volte con l'aiuto e il sostegno della stessa psicoterapia, pur per trovare nella biografia personale. Ci si dota così di una costruzione logico razionale, che pare soddisfacente, che illude di aver capito, che in qualche modo sembra rincuorante e capace di placare la tensione, anche se, capita spesso, la propria interiorità, riconoscendo non recepito il proprio messaggio e non accolta e condivisa la propria proposta, non cesserà di farsi avanti, di sollecitare, di alimentare nuova inquietudine interiore. L'esperienza interiore viva è stata resa infatti muta, al sentire attuale non è stata concessa parola, sul loro conto si è imposto un discorso e un'indagine, viziate da preconcetto e predisposizione negativi, utili solo a tentare di liberare il campo dalla loro presenza come disturbo indebito. Non è un caso che si compia una simile manipolazione e distorsione del significato dell'esperienza interiore, che di fatto, parlandole sopra e facendole dire quel che si presume, ci si mantenga sordi e incapaci di rispettare e di lasciar parlare l'intimo sentire. La mancanza di capacità vera di ascolto e di dialogo con la propria esperienza interiore è legata al fatto che negli anni, nel processo di crescita personale, è sempre stata in primo piano la ricerca dell'adattamento alle circostanze esterne, la preoccupazione di apprendere da fuori, da istruzione, da esempio, da modelli  e cultura condivisa, mentre la vita interiore è stata considerata solo un'appendice subalterna, un seguito emotivo, una sorta di eco di vicende esterne, con l'attesa e la pretesa che non creasse intralci, che assecondasse la ricerca dell'intesa con gli altri, la capacità operativa e i propositi di riuscita così come intesi e celebrati dal senso comune. Così condizionati dalla propria incapacità di ascoltarsi, di entrare in rapporto rispettoso con la propria esperienza interiore, di intendere e di capire il significato originale, intimo e vero, dei propri stati d'animo e del proprio sentire, nel frangente difficile si è disarmati di fronte alla crisi e al malessere interiore da cui si è investiti. Si reagisce con sospetto e con paura, si concepisce spesso come favorevole solo il ritorno allo stato abituale, la liberazione da inquietudini e da disagi interiori, visti come inutili e odiosi intralci. Privi della capacità di intendersi con se stessi, di entrare in sintonia con la propria interiorità, di cogliere utilmente il significato e lo scopo di ciò che il proprio sentire sta comunicando con tanta forza e intensità, ci si chiude difensivamente e ci si preclude la scoperta di ciò che, affidabile, utile e prezioso, la propria interiorità ha intenzione e capacità di proporre, di offrire. A molti, che vivono un'esperienza di sofferenza interiore, purtroppo non è suggerita e mostrata questa possibilità e opportunità, a molti non è offerto l'aiuto necessario, non per fuggire e contrastare, non per provare a domare con farmaci o con tecniche varie o a liquidare il malessere interiore con spiegazioni di presunte cause che vorrebbero essere liberatorie e esaustive, ma per imparare ad andare incontro fiduciosamente, a capire intimamente e a far propria la proposta della propria interiorità. Le acque interiormente non si agitano mai per caso o inutilmente. 

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