Il controllo è la forma più frequente di rapporto con tutto ciò che si vive e di cui si fa esperienza interiormente. Da un lato c'è la consegna alla parte conscia del compito di dirigere le operazioni di pensiero e decisionali, di indirizzo nelle scelte, di spinta e di tenuta volitiva nelle decisioni prese, dall'altro le espressioni della vita interiore, dalle emozioni, agli stati d'animo, dalle pulsioni a tutto ciò che, esercitando presa e coinvolgimento, interviene nell'esperienza, è considerato materia da regolare e da tenere sotto controllo. I significati dei vissuti, di quanto si propone intimamente, sono spesso prontamente dedotti e, fatti rientrare nell'orizzonte del pensiero abituale, sono dati in qualche modo per già acquisiti, soprattutto vagliati sul grado di coerenza con ciò che si è abituati a ritenere valido e accettabile. L'interferenza, il mancato accordo e sostegno di stati d'animo e di moti interiori, che non garantiscono la stabilità dei propositi e la continuità del percorso che si sta e che si vuole seguire, induce a mettere in opera subito la forza di interdizione del ragionamento e la pronta mobilitazione di ogni energia possibile a difesa di quelli che sono considerati i propri legittimi e validi interessi. La preoccupazione circa l'incoerenza o le minacce di intralciare gli intenti e i convincimenti razionali esercitate da ciò che si sente o che, in adesioni a spinte interne, ha prodotto conseguenze sul comportamento, che paiono affatto favorevoli e promettenti, alimenta la necessità di tenere a bada, di riportare sotto controllo simili spinte e moti interiori. Se intervengono ad esempio impaccio, timore, ansietà o l'umore, anziché sereno e fiducioso, si oscura, questi svolgimenti interiori, imprevisti e indesiderati, diventano presto bersaglio di una critica che pretende altro. Talora c'è il tentativo di spiegare, di trovare una causa, fermo restando che tutto dovrebbe svolgersi diversamente rispetto agli esiti giudicati infausti che quegli eventi interni stanno minacciando di provocare. Dunque anche l'approccio che pare più aperto, volto a capire, parte sempre dal presupposto e dalla pretesa che tutto debba svolgersi nel modo voluto e programmato, mai messo in discussione e fatto oggetto di attenta verifica, indisponibili dunque a ascoltare e a recepire ciò che il sentire che si è messo in mezzo o di traverso nell'esperienza vuole e sa dire. Questi interventi del sentire e dell'intimo, tutt'altro che sciagurati o espressione di un che di insano e di difettoso, sono viceversa un valido e tempestivo contributo per aprire una attenta presa di visione riflessiva su ciò che si sta facendo e perseguendo, sono uno stimolo, sono una mossa decisa dal profondo, per dare primato all'esigenza di capire ciò che si svolge nell'esperienza, di capirsi. Sull'aver da dire in relazione a altri, a cui può frapporsi impaccio e mancata fluida parola, prevale per esempio l'istanza di capire cosa e perchè dire, vincolati a quale esigenza e per produrre che cosa. Sull'ottenere buona prova prevale nelle intenzioni del profondo, che anima tutte le spinte e gli interventi del sentire, l'istanza di capire a che scopo si vogliono ottenere i risultati voluti, per rispondere a quale bisogno o aspirazione, dentro quali vincoli. La parte profonda non è cieca, l'inconscio vuole alimentare la presa di coscienza e non la riuscita ad ogni costo. La presa di coscienza vale, è essenziale per costruire il fondamento di una visione che permetta capacità di orientarsi, di trovare in accordo con se stessi la comprensione del vero, di collocare nelle proprie mani la capacità di scegliere e di dirigersi, di autogoverno maturo e saldo. Pare sfavorevole la mancata riuscita dei propositi abituali, la mancata prestazione, ma ciò che più vale, che il profondo fa valere con i suoi interventi nel sentire, è l'esigenza di non procedere ciecamente a testa bassa, di capire, di porre le basi per riconsegnare a se stessi il compito e la facoltà di comprendere, di vedere da sè con i propri occhi cosa è importante e valido e perchè e per perseguire scopi da sè riconosciuti come significativi e appassionanti. Fare di sè, come spesso accade, uno strumento per ben figurare e per servire le attese o presunte attese altrui di buona prova, per riceverne plauso, conferma e apprezzamento è una cosa, è una scelta dipendente e succube, riservare a se stessi invece la facoltà di riscoprire il significato e il valore della conoscenza in accordo e in unità con se stessi, con tutta la libertà e la soddisfazione, seguendo propri originali percorsi, di scoprire e di comprendere significati e valori per intima esperienza, anzichè desumere significati e farseli dire da altro e riprodurli da bravi scolaretti, è tutt'altra storia. L'interiorità non ha e non asseconda spirito gregario, ma lavora per coinvolgere nella ricerca e nella scoperta del vero. Se delude le aspettative è per capacità e per forza d'animo, che possiede, di promuovere consapevolezza, fonte di crescita e leva di conquista di autonomia. Grande è la miopia e il fraintendimento di ritenere che interiormente tutto debba filare per il verso che si vorrebbe, quando è proprio la parte di sè interiore, se rispettata e saputa ascoltare, che può offrire il meglio, l'alimento alla propria realizzazione autentica, non confusa con la buona resa dentro i criteri prevalenti di riuscita e le guide comuni per ottenerla e per darne prova. Da tenere sotto controllo non è la propria interiorità perchè non disturbi e si uniformi, ma il proprio procedere e pensare, da vigilare e da verificare con attenzione, perchè non è affatto detto che sappia garantire la miglior realizzazione di se stessi.
mercoledì 20 marzo 2024
mercoledì 13 marzo 2024
L'ospite indesiderato
Tutto si vuole includere nella propria vita perchè le dia più opportunità di sviluppo, meno che ciò che vive dentro se stessi. Si vuole che questa parte di sè fondamentalmente non disturbi, che intervenga come si gradisce che faccia, che si disciplini e si corregga se non fa da buon gregario per i propositi che si vogliono perseguire, che taccia e si levi di torno se gli crea ostacolo. Le si mettono sopra le spiegazioni e i commenti in apparenza più ragionevoli, in realtà i più strampalati, che come tali si rivelano quando si ha la bontà e l'intelligenza di ascoltarla, di intendere fedelmente ciò che dice. In modo rigido e ottuso, senza prestare ascolto, si riversano sul conto di ciò che si vive interiormente i luoghi comuni, si dà per scontata la logica comune. Tutto deve procedere in un'unica direzione. Se insorgono segni discordanti di malessere rispetto all'istanza che tutto si svolga senza ostacoli, interviene prontamente il fai da te dei tentativi di controllo, di ricerca del rimedio, sia nel verso di provare a allontanare e dissolvere ciò che interiormente risulta spiacevole, dell'evadere, del cercare qualche distrazione e investimento sostitutivo, sia del tenere sotto tutela e controllo fin che si può, l'esperienza intima da subito intesa come ostile e inopportuna, indesiderata, tutto per non compromettere la marcia abituale. Se non bastano questi espedienti ecco il ricorso alle cure, le solite e più convenzionali del metterci qualche farmaco per sedare o per tirar su, in ogni modo per manipolare ciò che si sente. C'è poi il ricorso alle psicoterapie, a partire da quelle, oggi più in voga e diffuse, che vantano pretese di scientificità, di impronta direttiva, di tipo cognitivo comportamentale, che ribadiscono il ruolo egemone della parte conscia razionale chiamata a intervenire, sotto la guida del terapeuta, per prendere atto del carattere disfunzionale, a sè sfavorevole, di modalità di pensiero e di conseguenti vissuti e risposte emotive (tipo ansia, paure, insicurezza, sfiducia e bassa autostima ecc.), ritenute distorte e irrazionali, da correggere, sostituire e riplasmare con l'apprendimento di modi di pensiero più valido e razionale, a supporto di risposte emotive, giudicate sane e adeguate, funzionali a un procedere che, nelle coordinate di ciò che è solitamente concepito come valido e normale, voglia essere favorevole e soprattutto indisturbato. Le stesse psicoterapie che vorrebbero essere introspettive e, con varie denominazioni, analitiche non mettono spesso in forse il ruolo egemone della parte pensante razionale chiamata a indagare, spiegare, interpretare fino a scovare nell'intimo, nel profondo presunte cause ignote di un malessere che lì troverebbe la sua origine. Arrivano poi annunciate con colpi di festosa grancassa le cure di ultimo grido, le nuove pensate, presentate come ultimissime scoperte e risultato dei progressi della scienza. Sono le nuove tecniche che promettono di liberare da intoppi, da conseguenze nefaste di traumi, da accidenti vari, casomai di incrementare il rendimento, ingegnose pensate che tutte partono dal presupposto, mai in discussione, che il meccanismo, che il presunto meccanismo della psiche, se in salute, debba girare a dovere, che, se c'è crisi e malessere interiore, da qualche parte si sia inceppato, che in qualcosa per qualche causa nefasta non renda come dovrebbe. Americanate del cavolo, spacciate per progressi e mirabolanti scoperte scientifiche, che hanno comunque il buon supporto e che trovano pronta credula accoglienza nell'idea comune che se c'è malessere significa che c'è guasto e necessità di rimedio, possibilmente facile e veloce, fatte salve dunque e fuori discussione tutte le condizioni del procedere, mai oggetto di riflessione, di attenta comprensione e verifica. L'intimo, ciò che si fa sentire, che interiormente accade, non ha significato se non per il contributo che dà o che non dà al procedere che si vuole far girare a senso unico e persistere. Non c'è alternativa. L'interiorità si spende per dare segnali di necessità di verifica. L'inconscio mette a disposizione l'intelligenza di cui dispone, che non venduta al senso comune e alla necessità di tenere su l'edificio di una realizzazione di se stessi tutta da verificare e capire nei suoi fondamenti, vuole spingere a guardare con attenzione nel proprio modo di procedere, per non perdersi nell'illusorio, per non fallire i propri veri scopi, tutti casomai da riscoprire. Questa parte del proprio essere, che scuote, che nel sentire dà segnali tutt'altro che di malfunzionamento o di preoccupante dissesto, ma mirati a aprire spazi di ricerca, a avvicinare e portare lo sguardo su di sè e non come è abituale all'esterno, non ha ascolto rispettoso, nemmeno è riconosciuta nella natura del suo essere, che guarda caso è essere parte fondamentale del proprio essere e non un che di alieno, che non è compresa nel suo valore, nel suo potenziale, nella sua capacità. E' vista solo come un'appendice minore, una coda, che, come tale, dovrebbe solo scodinzolare a comando. Se non sta nei ranghi ecco il trattamento, perchè si rimetta in riga, perchè non rompa i piani e i propositi abituali. Nell'idea comune sotto il livello del ragionare e dell'esercizio del volere nell'individuo esiste solo un qualcosa che deve assecondare e che per pregiudizio è parte meno affidabile e evoluta da tenere a bada e da vigilare e nel caso da disciplinare e da rieducare. Diventa normale in risposta a esperienze e spinte interiori, particolarmente se non piacevoli e sgradite, opporre principi, valutazioni e giudizi, selezionare ciò che varrebbe e ciò che no, spiegare, interpretare, sostanzialmente non accogliere e non ascoltare, non intendere il contributo interiore, pregiudizialmente considerato solo come parte da tenere sotto controllo e da regolare. Si finisce, senza capire la gravità della sostanza e delle implicazioni di ciò che si sta facendo, per bistrattare ciò di cui si è portatori, per trattare da subalterna e da incapace la parte intima e profonda del proprio essere, la parte in realtà più vigile e dotata di intelligenza che sa vedere cosa si sta facendo di se stessi, che, mobilitando il sentire e con i sogni notturni, vuole contagiare e coinvolgere la parte del proprio essere in cui si è confinati per riportare il pensiero a essere da ottuso ripetitore di schemi e di attribuzioni di significati correnti a pensiero utile e fecondo, a pensiero riflessivo, aderente al vero dell'esperienza, capace di interrogare e riconoscere cosa si sta facendo e come si sta procedendo, se al seguito d'altro e in posizione docile e preoccupata solo di dare buona prova e di riscuotere gradimento e plauso o se viceversa capace di coltivare e di generare il proprio. La parte profonda reclama l'umano, che non è dare prova, ma trovare le proprie ragioni d'esistenza e le proprie risposte, i propri scopi da realizzare per intima persuasione e passione e non per avere in qualche modo successo o per cercare adattamento e quiete nel vedersi e nel dirsi normali. La parte profonda del proprio essere non è la presenza oscura da tenere a bada, non è l'ospite indesiderato cui porre limiti e condizioni, in alcuni casi da estromettere, è semmai il meglio di sè su cui imparare a fare conto e da cui tanto, tantissimo si può ricevere e imparare.