Ogni esperienza che ci appartiene, anche del nostro
passato, è parte integrante della nostra storia, è momento del nostro cammino,
perciò è importante, a condizione però, quando la si riavvicina, di
riconoscerne il contenuto originale. Ogni episodio e momento anche remoto della
nostra esperienza va rispettato in ciò che realmente è stato, in ciò che nel
suo accadere ha visto svolgersi e muoversi dentro di noi, nel nostro sentire,
per coglierne il vero significato. Se lo sguardo con cui si torna a quei momenti
è in partenza segnato dalla necessità di trovare segni di violazioni, di
nefasti condizionamenti e di turbamenti subiti, rapidamente letti e acquisiti
come lesivi la propria integrità psichica, capaci di dare soddisfazione alla
attesa ti trovare il nucleo, la (presunta) causa di un malessere interiore oggi
vivo e difficile da sopportare e da comprendere, la distorsione nella
conoscenza di sè passata e presente finisce per avere il sopravvento. Questa
modalità di impiegare il passato a beneficio di una presunta conoscenza del
presente è non solo parecchio diffusa, tant'è che chi cerca aiuto psicologico
parte molto spesso da questa attesa, ma trova sostegno in non poca psicoterapia
in uso. Che disagi e malesseri attuali siano la automatica e fatale conseguenza
di circostanze ed esperienze negative del passato, soprattutto in ambito
familiare o di veri e propri traumi infantili, più o meno rimossi, va
riconosciuto che è ipotesi e spiegazione assai cara a un certo tipo di
psicoanalisi e di pratica psicoterapeutica. Soprattutto è ipotesi e spiegazione
cara a chi vive la propria sofferenza interiore come carico indebito e ostacolo
al vivere quieto o "normale“, a chi volentieri accetterebbe di scovare
nella propria storia da qualche parte la causa del “male“. Che nel proprio
passato ci siano stati condizioni non facili, passaggi aspri e dolorosi,
incontro con pressioni e interventi avversi, con modalità manipolatorie,
autoritarie e tutt'altro che rispettose messe in atto da altri, con atmosfere
tutt'altro che serene, questo non significa aver esaurito in questo la
conoscenza di sè, che invece ha necessità di ritrovare e di porre al centro
dell'interesse cosa nelle diverse vicende, anche le più critiche, è successo
dentro se stessi, cosa si è mosso interiormente, le proprie risposte.
Quest'ultimo è il cuore dell'esperienza da non trascurare, è il filo intimo che
dice di sé, che può restituire a se stessi di ogni vicenda vissuta, anche la
più difficile, l’originalità di contenuto e di significati personali che è
importante recuperare. Impiegare le esperienze passate, peraltro spesso così
inappropriatamente e strumentalmente trattate, per farne il perno di una tesi
che vuole spiegare le ragioni del malessere presente come conseguenza e segno
del perdurare dell'influenza negativa di traumi e di cattivi condizionamenti
passati, non permette di certo di riappropriarsi nè del proprio passato e ancor
mento di capire il proprio presente. Per quanto riguarda quest'ultimo, il modo
di pensare e di rapportarsi a se stessi, che considera il malessere interiore
come afflizione di cui si sarebbe vittime e che avrebbe origine da causa più o
meno remota, ignora che ciò che oggi si pone interiormente con vivacità o
intransigenza come segnale di crisi va ascoltato in ciò che dice oggi, che
casomai è riferito a modi d'essere e di procedere inveterati ma attuali, ad
esempio a problemi di lontananza da sè, di mancata unità tra il proprio pensare
e il proprio sentire, a mancata intima rispondenza di ciò che si porta avanti,
più coerente con altro che con se stessi. Vivere in simbiosi con altro fuori di
sé è infatti una modalità d'esistenza assai diffusa, che fa credere che tutto
vada cercato fuori, che la realtà sia solo quella disegnata là fuori e pensata
comunemente. Ne conseguono l'allineamento e la rincorsa del
"normale", l'orrore di non stare al passo con gli altri, il rifiuto
immediato di accogliere ogni richiamo o freno o intralcio che venga da dentro.
C’è un modo di procedere assai diffuso che è sostanzialmente passivo e
gregario, assai più di quanto non piaccia credere e ammettere, più regolato da
sguardo comune e da autorità esterna che da proprie autonome scoperte, che
costerebbero per essere raggiunte passaggi interni difficili, che
richiederebbero saperli vivere, patire e capire. Capire se stessi, capire come
si procede e con quali toppe e controtoppe, con quali insufficienze, per dirla
con un eufemismo, di conoscenza di chi si è veramente e che si potrebbe
scoprire ascoltando il proprio sentire, ansie comprese, senza omissioni e
fughe, tutto questo è spesso compito ancora non svolto. Se stessi è territorio
ancora inesplorato, incompreso, mai coltivato tenendo unito pensare e sentire.
Parlo di un lavoro di conoscenza di se stessi, tutt’altro che inutile o
inessenziale, che è ben altro dal far ragionamenti su di sé, che danno di se
stessi solo una visione parziale e accomodata, spesso ipocrita, oltre che
sterile. Insomma, partendo dalla sofferenza e dalla crisi interiore aperta e
attuale, c’è più da costruire, da creare, da sviluppare di nuovo e di proprio,
che da giustificare in ragione di traumi subiti e pregressi. Il malessere
interiore, la sofferenza nelle sue diverse espressioni, mai casuali, sempre
significative ed eloquenti, se sapute leggere ed ascoltare e non giudicare come
malate e incasellate nei vari tipi e sottotipi, per farne oggetto di
prescrizione farmacologica e non, è una potente leva o spina nel fianco per
spingere a cercare cambiamenti e trasformazioni, che richiedono un serio lavoro
su se stessi. La tesi del trauma come origine e causa della sofferenza e della
crisi è spesso tesi di comodo, che non sa comprendere che c’è più da costruire
il nuovo, che non c’è mai stato e che ancora non c’è, che trovare una remota
causa del male, che avrebbe impedito il "normale" sviluppo e lo
"star bene", reclamati come ovvi e rivendicati come diritto, a
prescindere da ciò che ancora non si è dato a se stessi e alla propria crescita
vera.
mercoledì 26 febbraio 2025
A proposito di cause remote e di traumi infantili
mercoledì 19 febbraio 2025
Senza gli altri non si è nulla?
Il rapporto con se stessi è reso abitualmente sterile e vano. Sembra addirittura ovvio che sia impossibile trarre da sè, dal proprio intimo null'altro che non sia il bisogno di qualcosa da cercare fuori. Dall'esperienza nulla pare traibile e riconoscibile che non sia la cronistoria, il resoconto in superficie dei fatti e delle alterne vicende della relazione con gli altri. Il tutto letto con l'impiego della logica convenzionale, delle attribuzioni di significato, delle chiavi di lettura del pensato comune, che già dice e indirizza il pensiero, senza necessità di un lavoro di ricerca e di scoperta del vero, di ciò che di se stessi originalmente rivelano le proprie esperienze, che non sia il lavorio, più o meno macchinoso, del ragionamento che variamente combina e ricombina i pezzi di un discorso di cui non deve rendere ragione dei fondamenti di cui si avvale, dei significati di cui fa impiego, che paiono scontati. E' un lavorio e una gestione del pensiero che spesso e volentieri, tenendo lo sguardo puntato sull'esterno, cerca in altri le responsabilità e che altrettanto volentieri mette al riparo da ammissioni scomode, da interrogativi e da aperture di ricerca poco gradite. L'apparente soddisfazione per un simile lavorio di pensiero, per ciò che produce, è pari al nulla davvero compreso del contenuto dell'esperienza, al nulla da sè creato, al nulla verificato con i propri occhi e puntualmente. Il pensiero viaggia libero, la simulazione di capire e di sapere cosa si sta dicendo, non è riconosciuta come tale e così si può vivere felici e contenti, si fa per dire. Da fuori non arrivano obiezioni, semmai c'è un'azione corale che premia e convalida il pensiero che svolazza, considerato e ben frainteso come pensiero che ha fondamento e credibilità. Intanto interiormente cosa succede? Non è detto che la parte intima e profonda regga il gioco, semmai accade che metta in campo nel sentire, in moti e sensazioni, in complicazioni emotive che senza chiedere permesso si infilano nel corso dell'esperienza, sottolianeature e accenti che vogliono essere spie, tracce vive di qualcosa che è il sotteso dell'esperienza, ciò che ne rivela il volto vero, non l'apparenza che fa comodo pensare. Cosa si cerca, dentro quali vincoli, con quali scopi, quali i punti problematici e contradditori in tutto ciò di cui si è artefici nell'esperienza? Proprio questo è al centro dell'attenzione del profondo, proprio questo vuole rendere tangibile. Sta di fatto però che la parte conscia poco si interessa di raccogliere questi contributi interiori, più interessata a far quadrare e a far quadrato nelle sue convinzioni. Perciò il rapporto con se stessi è reso abitualmente sterile e vano, il dialogo interiore non prende forma, il luogo intimo dell'incontro e dell'ascolto della propria interiorità non si ravviva e non svela la sua centralità e la ricchezza di cui è capace e tutto, sguardo e attese, si rivolge, torna a girare intorno all'esterno, unica fonte, unica risorsa, unico luogo di realtà possibile. A quel punto ecco che affermare che senza gli altri non si è nessuno diventa verità sacrosanta, detta senza pudore e con gran convincimento. In realtà senza dialogo interiore che renda visibile il vero e che affranchi dall'apparente e dall'artefatto si è tutt'altro nel rapporto con gli altri che presenza autentica e affidabile, si è portatori di bisogno di accorpamento in altro, di movimenti di aggregazione tutt'altro che accompagnati da presa di visione e da consapevolezza del loro significato vero. L'attaccamento a un'altra persona, per fare un primo esempio, casomai mosso dalla necessità di non rimanere soli e esclusi dal beneficio della cosiddetta normalità, dell'essere pari a altri, con l'altro casomai visto in grado di portare a sè quello che o meglio il sostituto improprio di quello che da sè, consono e fedele a se stessi, è più difficile coltivare, formare e fare vivere, diventa ai propri occhi, col generoso apporto della retorica dei sentimenti, amicizia, oppure innamoramento e amore. Cosa realmente si sta facendo verso se stessi e cosa si cerca realmente nell'altro vanno a finire volentieri in cantina, perchè la retorica dei sentimenti e del racconto cui piace credere, ben supportato da idee comuni, hanno facile corso. Poco importa che poi compaiano malumori, gelosie, sottili rivalità e risentimenti, pretese o prepotenze, scarso o nullo senso di vicinanza vera, sensazioni di vuoto, di aridità e di svuoto, così come altre amare scoperte poco gradite, sarà ancora la retorica dei sentimenti a mettere in salvo, a ricacciare tutta la responsabilità su altro da sè, parlando di delusioni, di scelta della persona sbagliata e via dicendo. Dedicarsi agli altri in difficoltà o svantaggiati o considerati tali, giusto per fare un altro esempio, diventa virtuoso a prescindere da ciò che si sa portare, che si va a mettere nel rapporto e a cercare. Privi di filo di verità su se stessi, mai cercato e tessuto con cura, c'è da dubitare che si possa portare altro che costruzioni retoriche e movimenti non limpidi, in cui casomai è più il beneficio portato a se stessi, nel dare qualche riempimento alla propria esistenza, nel segnalarsi al proprio e all'altrui sguardo come meritevoli, virtuosi, nel compiacersi di essere i capaci, che il vero interesse di conoscenza, di ascolto e di attenzione verso l'altro visto come soggetto e non soltanto come oggetto d'assistenza bisognoso, che si fa valere, che la retorica della cosiddetta dedizione o dell'amore verso il prossimo sa comunque ben vestire e camuffare. Sono solo alcuni esempi di ciò che, vuoti di guida e di conoscenza interiore di se stessi, si finisce per portare o per creare fuori, in un fuori reso centro vitale e realtà dentro cui cercare ogni cosa. L'inconscio ce la mette tutta per dare stimoli di vera crescita personale di cui avere cura prioritaria, per mettere prima di tutto in crisi e in discussione, per trasformare il pensiero da spiantato, retorico e imbrogliato a pensiero ben fondato, capace di stare a ciò che l'esperienza dice e rivela di se stessi, sincero, autentico, trasparente senza veli e remore, base e condizione perchè ogni affermazione che si fa si sappia da cosa trae origine e su che cosa è ben piantata. L'invito, le sollecitazioni che il profondo con continuità, a volte con forte intensità, rivolge attraverso ciò che muove nel sentire e, a saperli intendere, attraverso i sogni, a convergere e a avvicinarsi al proprio intimo, a cercare dentro sè e in unità con la propria interiorità, come sarebbe responsabile fare per non portare in giro artefatti, per coltivare invece scoperte di verità e consapevolezza, non è in genere e facilmente raccolto. Senza questo accade allora che affermazioni come quella che dice che senza gli altri non si è nulla hanno campo libero e acquistano persino dignità e valore di alta consapevolezza e matura.
domenica 9 febbraio 2025
L'incredibile
Nel proprio intimo e nel vivo delle proprie esperienze interiori accade l'incredibile, proprio ciò che il comune pensiero intende a rovescio e con non poca fede cieca e persuasione ferrea, che non dà adito a dubbi. Accade che l'interiorità con tutto ciò che propone, anche sofferto e affatto piacevole, si prenda cura delle sorti e dell'interesse dell'individuo, che lo induca a avvicinarsi a sè, a leggere con attenzione la sua esperienza, a non trascurare ciò che è abituato a ignorare, la ricerca della verità di se stesso, dei suoi modi di porsi e di procedere, di stare in rapporto a se stesso, di spendersi nella vita. Se da un lato l'imperativo è di confermarsi, di non perdere colpi, di rimettere in pista le soluzioni, di rinnovare l'attacamento a ciò che sembra dare garanzie di riuscita e di vantaggioso procedere, dall'altro la parte profonda non perde colpi nel coinvolgere la parte cosiddetta conscia, che spesso di conscio ha solo l'imperativo di non fermare la sua corsa, in un attento esame e verifica, per capire, per vedere chiaro, per restituire a se stessi l'onere e la potenzialità di conoscersi, di conoscere e non di persistere nella marcia solita con i soliti argomenti a sostegno, quelli che la cultura d'insieme e la mentalità comune contribuiscono a accreditare, a dirigere, a orientare. Da dentro, dal proprio intimo e profondo, il primo imperativo, la prima preoccupazione è di aprire gli occhi, di dotarsi di capacità di visione propria e indipendente dai modi comuni di intendere, ben applicata alla propria esperienza da conoscere, da capire e da valorizzare, fedelmente a ciò che racchiude e che è capace di rivelare. Per essere gregari, al seguito e ben adesi a veicoli di conoscenza e a principi di senso, a codici di valore già pronti e stampati, illusi di avere autonomia pur su impianto d'altro, che già dice e garantisce, che esonera dal cercare da sè e dentro sè le basi della conoscenza, non c'è tanto da fare se non tenere su la costruzione pur spiantata e salvaguardarne la coesione e la resa. La parte profonda dell'individuo, non ci sta, vuole spingere a aprire gli occhi, a formare basi affidabili e a mettere assieme conoscenze, scoperte di significato tratte da sè e dal proprio di esperienza e di capacità di visione e di pensiero. L'interiorità dà occasione ben favorevole, con ciò che nel sentire propone funge da terreno valido e fecondo per coltivare il pensiero autonomo, ben piantato su base di esperienza e di ricerca della verità che le è insita. Non è abitualmente compresa, riconosciuta e rispettata in ciò che sa intelligentemente dare. L'interiorità se ne sente dire di tutti i colori, non solo dai luoghi comuni del pensiero diffuso, ma spesso e volentieri anche dalle pretese scoperte e dalle teorie della cosiddetta scienza, circa l'essere, nelle sue espressioni e proposte le più difficili e dolorose, solo segno e prova di cattivo stato, di incapacità, di deficit da correggere e superare, portatrice di insidie e di trappole, di anomali sviluppi e di tendenze dannose, espressioni e proposte in realtà tutt'altro che storte e malate, ma ben mirate a rendere puntualmente visibile il vero, a smuovere e a fecondare il pensiero, a non farlo stare seduto sul preconcetto. L'ignoranza della sua capacità di fare da pungolo e da guida validissima per un attento lavoro su se stessi rischia di regnare sovrana. L'ignoranza, non della luna, ma di ciò di cui è portatrice la propria interiorità, rischia di avere il sopravvento, non alimentando di certo, lo si comprende quando si va a scoprire, al rovescio dei luoghi comuni, l'incredibile di cui è capace, il proprio bene.
sabato 1 febbraio 2025
Le emozioni
Le emozioni chiedono di essere prima di tutto
avvicinate e comprese da chi le vive. Spesso prevale invece la pretesa e
l'attesa di dare loro espressione, come se non ci fosse altro scopo utile e
interessante che mettere fuori ciò che si prova, come se non ci fosse da
chiedere a se stessi, da perseguire altro che di avere coraggio o meno,
disinvoltura o meno di farlo. E’ ricorrente l’invito a non tenersi tutto dentro
di emozioni e stati d’animo, come se questo, particolarmente se il sentire è arduo e non piacevole, recasse a sè solo danno o come se
andasse sprecato, se non espresso e messo fuori, il valore e il potenziale di
ciò che si prova. Le emozioni, gli stati d'animo, ogni moto interiore non ha
contenuto e significato banale di evidente e immediata comprensibilità,
non è la copia e la ripetizione di altro analogo, di cui si presume di
conoscere già il significato. Ogni emozione, moto interiore, ogni vissuto ha un
significato e un intento originali e unici, ha un senso, vuole rendere
tangibile e riconoscibile qualcosa di vero di se stessi, mai scontato o
presumibile. E' frequente, per non dire abituale, distinguere e contrapporre emozioni positive e negative, con ciò ribadendo la pretesa dominante e regolatrice, che si vorrebbe detenere rispetto al corso e all'iniziativa della propria parte intima, che si vorrebbe pilotare e subordinare. Rispetto a emozioni, a stati d'animo, a esperienze interiori stigmatizzate come negative scatta prontamente e risalta la posizione difensiva e contemporaneamente offensiva verso e contro ciò che di intimo non si sa comprendere, con cui non si ha matura familiarità e capacità di incontro e di dialogo. Ogni proposta interiore ha intento e capacità di coinvolgere nella presa di visione del vero, reso sensibile, riconoscibile, a patto di volerlo avvicinare, recepire e vedere. Il sentire che si declina proponendo sollecitazioni, momenti e percorsi tracciati nel proprio sentire non facili, offre il terreno, pur difficile, il più corrispondente alla necessità di prendere contatto e visione del vero, con la necessità di aprire gli occhi, è tutt'altro che esperienza negativa, segnata da anomalia e da cattivo stato. Purtroppo, confinandosi nell'angusto di ciò che si considera normale e a sè favorevole, spesso modellato sull'esempio e sul pensiero comune, si finisce per dare addosso, per temere ciò che invece interiomente e per iniziativa della parte profonda di se stessi vuole essere un contributo per prendere consapevolezza, per dotarsi di capacità di comprensione di se stessi, senza limiti e barriere, senza remore, anche se la scoperta del vero può non risultare comoda. Definire negativa o senza senso, senza ragionevole motivo e utilità, un'intima sensazione e stato d'animo, pensare che vada corretto e superato è risposta e modalità segno di lontananza dal proprio intimo, di incapacità di rapporto con se stessi e di non conoscenza del significato della propria vita interiore. Che lo si faccia con un'emozione e con uno stato d'animo, che lo si faccia con un sogno, distinguendo un bel sogno da un sogno brutto, dal cosiddetto incubo, prontamente liquidato come negativo e da dimenticare, anche se è un fior di sogno con straordinaria capacità, messa in atto dal profondo, di promuovere la presa di coscienza e la conoscenza di sè, applicare questa distinzione e mettere già in atto una risposta discriminante e cieca, è ciò che di certo non favorisce il dialogo fecondo con se stessi, l'apprezzamento della validità, dell'opportunità e dell'affidabilità di ogni proposta della propria interiorità, del proprio profondo. Ogni momento e espressione della propria vita interiore, ogni
emozione interviene non casualmente, racchiude una proposta e un suggerimento
che ogni volta vanno intesi nel loro originale e unico, perciò ogni emozione va
avvicinata e partecipata intimamente da chi la vive e non prontamente liquidata
e messa fuori, va ascoltata con attenzione e senza impazienza perché sia
compresa. E' intelligenza assai fine quella del sentire, è l'intelligenza dell'inconscio, della parte profonda di se stessi, che per intero lo modula e lo dirige, che vuole guidare alla
consapevolezza, nulla di sparato per caso, nulla di avulso e di meccanico, come
accade con i pensieri costruiti col ragionamento. Ciò che il sentire, ciò che
le emozioni e i moti interiori sanno svelare è molto vicino e corrispondente a
se stessi, è fondato, è vero. Il comune pregiudizio è che le emozioni non abbiano dalla loro lucidità e intelligenza, che siano risposte automatiche, viscerali, un pò rozze, viziate di parzialità e di miopia, prive di accortezza, riservando invece la facoltà di accorta e lucida visione al pensiero razionale. Si pensa che le emozioni rischino di confondere la visione, tant'è che si usa dire che le cose per essere ben comprese vanno viste a mente fredda e non sull'onda delle emozioni. Che le emozioni non vadano liquidate e velocemente trattate, ma ascoltate e ben intese attentamente e fedelmente nel loro dire, che non è affatto cieco e banale, bensì oltremodo intelligente, è una necessità da rispettare, che non vadano rivestite subito di significato scontato e convenzionale è altrettanto importante. Quando invece, è prassi molto comune, le emozioni sono trattate e spiegate sbrigativamente con presunzione di saperne già il significato, dato per ovvio e evidente, quando sono messe velocemente da parte con l'arbitrio di fissarne i limiti di affidabilità, per consegnare al pensiero razionale il compito e la facoltà del chiarimento e dell'approfondimento del significato dell'esperienza, assai facilmente viene fuori da queste produzioni razionali tutt'altro racconto e storia rispetto al vero dell'esperienza. Il pensiero razionale senza la guida e il supporto del sentire, per quanto estro e acume si convinca di mettere in campo, non può fare altro infatti che rimescolare il già detto e concepito con la fatale conseguenza di produrre idee incongrue e senza attinenza col contenuto vero dell'esperienza, che proprio il sentire ha capacità di mettere in luce. La questione dunque è la comprensione e la valorizzazione di quanto le emozioni sanno dare e dire. Pensare di tenerle o sotto controllo o di disporne come si fa con un ciò che si ritiene minore e subalterno da governare e usare a discrezione, è veramente sciocco oltre che deleterio, perchè amputa le proprie possibilità di conoscenza di se stessi e del vero insito nella propria esperienza. Il maluso, sarebbe meglio dire il maltrattamento esercitato in vario modo sulle emozioni e l'arbitrio sul loro conto trovano sostegno nel modo comune e ritenuto normale di considerarle. Scaricare, sfogare, mettere fuori, liberarsi di emozioni soprattutto se difficili, autorizzandosi a farlo perchè le sensazioni poco piacevoli sono senza appello giudicate nemiche e dannose, è tutt'altro che modalità rara. Questo, che pare sensato e utile, equivale a sbarazzarsi di un che di prezioso che ha da dire e che vuole portare più vicino a sè e alla verità, significa farne
solo uno scarto, un rifiuto da buttare. Accade poi e non raramente che le emozioni siano usate per compiacere, per attrarre
consenso, per ottenere vantaggi, che siano enfatizzate o addirittura
manipolate o recitate per simulare ciò che piace, che stupisce, per coprire e
mistificare ciò che è più autentico. Sia che ci si voglia sfogare, che ci si voglia
liberare, scaricando ciò che interiormente pare sgradito, che malamente si
giudica a sè dannoso e insopportabile solo perchè risulta poco piacevole, sia
che si dia priorità all'istanza di manifestare e di esprimere il proprio
sentire, di manipolarlo in ossequio e in conformità ai gusti correnti, che premiano la cosiddetta spontaneità, l'estroversione, la trasparenza e la solarità o altre amenità simili, rispetto a quella di rispettarne il corso originale, di rimanergli fedele, di difenderlo e di custodirlo nell'intimo per ascoltarlo con
attenzione, per comprendere ciò che le proprie emozioni autentiche vogliono davvero condurre a
capire, si rischia di fare sciupio di una risorsa fondamentale. Si rischia, senza avere consapevolezza di ciò che si sta facendo e del danno che ci si sta arrecando, di scaricare nei rifiuti, di banalizzare e
di fraintendere, di manipolare e di strumentalizzare, per trarne vantaggio d'immagine e per disciplina di consenso, qualcosa di sè di intimo e di prezioso, da cui viceversa, se saputo salvaguardare, rispettare e acquisire nelle sue autentiche forme e
intenzioni, valorizzare nella sua capacità di dire e far capire, si può ricevere tantissimo in termini di conoscenza di se stessi, di sviluppo di autonomia di pensiero e di capacità di governo della propria vita.