domenica 31 marzo 2019

Malessere senza reali motivi?

Un argomento tutt'altro che infrequente quando si vive una condizione di sofferenza interiore, argomento sostenuto dal diretto interessato o da chi gli sta attorno, è che non ci sono motivi reali e concreti per il malessere che si prova, per quell'ansietà così esasperata e insistente o per quel senso di infelicità e per la perdita di stima e di fiducia in se stessi, solo per fare degli esempi. Lo sguardo punta al fuori, a indagare e a valutare situazioni, circostanze esterne, la verifica utilizza criteri e parametri comuni e soliti per stabilire il grado di soddisfazione o di benessere presunti, che si ritiene debbano conseguire a quelle situazioni concrete. Reale però non equivale a concreto. Concreto è solo un ordine di ragioni e di cose visibili e già ben riconosciute e comunemente. Reale e di peso non secondario può essere anche ciò che ancora non si sa vedere e concepire, che casomai, per preconcetto e per difesa di convinzioni inveterate, non si sa e non si vuole ammettere e riconoscere. Lo stato delle cose riguardante se stessi, il proprio modo di vivere e di procedere, può ad esempio non essere felicemente rispondente a se stessi e soprattutto può essere travisato, ritenendolo normale e scontato, solo perché simile e copia di ciò che pare concepisca e faccia la maggioranza delle persone. Nel nostro profondo però siamo dotati di una capacità di sguardo, quella del nostro inconscio, che non cede all'illusione e alla mistificazione, che sa vedere ad esempio quanto soffrono la nostra identità vera e il nostro potenziale d'essere e di crescita originali quando rimaniamo aderenti e affidati nel pensiero e nello stile di vita a quanto suggerito e impartito dalla cosiddetta normalità, confortati da questo affidamento e nello stesso tempo illusi di essere in qualche misura artefici della nostra vita e realizzati, l'inconscio sa riconoscere lo stato vero delle cose e ammettere l'inconsistenza di un modo di vivere che ancora non racchiude nulla di compreso veramente di noi stessi, nulla di scoperto, di generato da noi. Se la parte profonda di noi stessi volesse darci uno scossone e imporci la necessità e l'urgenza di riaprire tutto, di vedere la nostra lontananza da noi stessi, di intendere per tempo il rischio di fallire il nostro cammino di vita dove non cominciassimo a fare sul serio, impegnandoci prima di tutto a capire la nostra condizione vera senza veli e autoinganni, iniziando a preoccuparci seriamente di formare ciò che manca non per apparire normali, ma per far vivere noi stessi e il nostro, è comprensibile che possa intervenire muovendo in noi con forza una esperienza di malessere interiore, fatta di insicurezza e paura insistite, anche esasperate, di senso di infelicità e di vuoto? Sarebbe realmente motivata questa presa di posizione o sarebbe senza motivo e senso? Quando si giudicano immotivate, assurde o semplicemente dannose esperienze interiori come quelle catalogate ad esempio come ansia o attacchi di panico, come depressione o altro, bisognerebbe andarci cauti. Può esserci motivo valido e fondamento reale per simili esperienze interiori pur spigolose e difficili, pur dolorose o estreme. Abbiamo un profondo (tutta l’esperienza interiore che viviamo che va oltre ragionamento e volontà, cioè emozioni stati d’animo, pulsioni, sogni, è di matrice profonda) che sa vedere e che non vuole tacere, che vuole segnalarci il vero senza sconti per aprire una crisi certamente impegnativa, ma necessaria, utilissima se ben interpretata come occasione di profonda trasformazione e di crescita. Comunque ciò che sentiamo, pur brusco, spiacevole o incalzante o sconquassante, vuole che ci guardiamo in faccia e ben dentro e profondamente, senza tirare avanti inconsapevoli o con una visione di noi stessi approssimativa e vaga, peggio ancora ipocrita o inventata. Ne va della nostra sorte. Se è a rischio la realizzazione della nostra vita fedelmente a noi stessi, se ancora ci manca tutto per essere davvero soggetti consapevoli, se siamo più in sintonia e in accordo con altri che con noi stessi, più adesi ad altro che vicini a noi stessi, dissociati e discordanti tra ciò che sentiamo e ciò che pensiamo e diciamo, il nostro profondo può darci segnali forti, può col malessere metterci alle corde e esercitare su di noi fortissimi richiami. Dunque se anche i motivi della sofferenza interiore non sono di ordine concreto e facilmente identificabili, se anche non sono esterni ma interni a noi, ciò nondimeno esistono e sono reali, realissimi. 

domenica 17 marzo 2019

Perchè è fondamentale affidarsi alla guida dell'inconscio

Il malessere interiore, in tutte le sue possibili espressioni, ognuna significativa e non casuale, non è nè la manifestazione di un guasto o di una patologia, nè la conseguenza malaugurata di qualche fattore o condizionamento negativo, di qualche carenza o trauma patiti attuali o remoti, è l'espressione dell'intervento dell'inconscio che sta sollevando un problema cruciale. Di tutto ciò che accade e che si muove sulla nostra scena interiore l'inconscio, la parte profonda del nostro essere, è artefice e protagonista. E' perciò con l'inconscio che bisogna imparare a entrare in rapporto e in dialogo per capire, è all'inconscio che va rivolto lo sguardo e l'ascolto per farsi dire cosa sta succedendo, qual'è il problema, per farsi dare le guide della ricerca, mettendosi nella condizione di assecondare e di fare propri i processi di presa di coscienza e di trasformazione che l'inconscio sa e vuole promuovere e alimentare. E' proprio questo che si scopre possibile e che si fa in una vera esperienza analitica. Va tenuto presente che in genere non si conosce né il modo di comunicare dell'inconscio, né l'aiuto importante e decisivo che può offrire. Si pensa che gli svolgimenti interiori siano una sorta di meccanismo, che a tratti si teme possa andare in tilt. Si ignora che i confini del proprio essere sono ben più ampi di ciò che si è abituati a abitare e a riconoscere come proprio e affidabile. L'analisi offre la possibilità di entrare in rapporto, di familiarizzare e di sviluppare capacità di dialogo con la parte più intima di se stessi, di scoprire che le esperienze interiori anche le meno facili, anche le più in apparenza strane, anche le più dolorose e spiacevoli non sono distruttive, ma hanno un senso, dicono, svelano, vogliono portare vicino a se stessi, vogliono produrre crescita e trasformazioni, non sono un che di ostile e minaccioso, un che di anomalo da cui guardarsi. Se si affronta il malessere interiore travisandolo e squalificandolo come patologia o disturbo da combattere, se si pensa di condurre il lavoro di conoscenza di se stessi, di ricerca di un nuovo star bene, di un cambiamento della qualità della propria vita, senza includere da protagonista l'inconscio, ci si destina a costruire risposte inappropriate e fragili, che in un caso si traducono in un atto ostile verso la parte intima e profonda di se stessi di cui si ha la pretesa di mettere a tacere i segnali e di correggere le iniziative considerandole appunto insane, che nell'altro caso riducono il lavoro conoscitivo e di ricerca del cambiamento a un lungo giro di ricognizione, che fa conto e leva sulla capacità di osservazione e comprensione razionale, dentro episodi che fanno parte della personale biografia, momenti interiori e  esperienze vissute del presente e del passato, spesso filtrati con cura e letti con la lente deformante del pregiudizio di chi si considera potenziale vittima, mettendo assieme una concatenazione di interpretazioni e di spiegazioni, in apparenza logiche e coerenti, di presunte cause che nulla hanno a che fare col vero significato e scopo del malessere interiore. Affidare la guida del percorso conoscitivo alla parte conscia razionale implica il rischio di rimanere intrappolati dentro la sua struttura logica, dentro il modo di pensare e concepire abituale, facendo solo qualche rifinitura. La conseguenza sarà che il malessere interiore non sarà riconosciuto nelle sue ragioni, che facilmente tornerà a premere perchè inascoltato, mentre persisterà, al di là delle apparenze, la lontananza e la separazione dalla propria vita interiore, l'incapacità di comunicare col proprio sentire, l'incomprensione sostanziale del proprio profondo, casomai con qualche irrigidimento e barriera in più, data dalla pretesa di aver spiegato ciò a cui in realtà non si è dato voce. Non è raro che chi ha compiuto un lavoro su se stesso fondato sull'iniziativa della componente conscia risulti a un'attenta osservazione, seppur in apparenza più consapevole e aperto a se stesso, più rigido, affidato a modi di pensare e di interpretare se stesso e le vicende interiori che sembrano prefissati e sempre uguali. Dunque ciò che la crisi interiore voleva aprire e consentire, lo scopo del malessere rischia di non essere compreso e assecondato. Parlo di scopo perchè il malessere interiore, sollevato e tenuto vivo dall'inconscio, tende a uno scopo, prima di tutto di portare con forza l'attenzione e la preoccupazione su se stessi, facendo percepire critico il proprio stato. L'intento è di condurre a un'attenta rivisitazione del proprio modo abituale di procedere e di stare in rapporto con se stessi, con la propria interiorità, ponendo se stessi al centro dello sguardo, senza far risalire tutto a altro e all'interagire con altri. L'inconscio vuole che si prenda visione del volto attuale della propria vita e dei suoi fondamenti, una vita spesso solo in apparenza propria, in cui, se lontani da se stessi, se ignari del significato originale di ciò che vive dentro se stessi, si procede fatalmente dentro direzioni e su guide segnate da altro comune e già concepito, che orienta e che dà credibilità alle proprie scelte e ai propri pensieri ragionati, una vita in cui si è in sintonia più con l'esterno, con gli altri e col senso comune, che col proprio intimo. Questo l'inconscio spesso vuole segnalare, spingendo con forza e con insistenza la parte conscia, che vorrebbe considerare tutto già a posto e da proseguire, verso una graduale e lucida presa di coscienza del vero del proprio stato e di pari passo verso una profonda trasformazione che veda il congiungersi a sè, il legame con la propria vita interiore, come passo decisivo e condizione irrinunciabile per formare, dentro e attraverso questa unità con se stessi, con la propria interiorità, finalmente ascoltata e compresa nel suo linguaggio, il proprio bagaglio di conoscenze, di scoperte di significati e di valore, non più presi da fuori, ma formati e compresi da dentro e alla radice. Tutto questo l'inconscio vuole promuovere e a questo è pronto a dare nutrimento e guida col sentire e soprattutto con i sogni. Lo scopo è di rinascere con una vita propria, con una visione propria, con una capacità di dirigersi autonoma e coerente con se stessi, con le proprie passioni, idee e aspirazioni scoperte e verificate da sè profondamente e non prese in prestito e fasulle. Lavorare su se stessi, cercare di capire e di conoscersi, di trovare le proprie risposte, lasciando la guida delle operazioni alla parte conscia, significa ricadere nei limiti del già pensato e concepito, significa confermare le stesse condizioni e l'orizzonte mentale di sempre, casomai con qualche rinnovamento e abbellimento di facciata, inutile e inconsistente. E' importante coinvolgere l'inconscio, affidarsi alla sua guida perchè questo garantisce di trovare la risposta al malessere interiore la più consona e felice e perchè crea un nuovo modo di stare in rapporto con se stessi, unitario e dialogico, dove il profondo, dove l'inconscio diventa parte integrante della propria vita, superando una condizione di scissione tra pensare e sentire, tra sè e il proprio intimo.

lunedì 11 marzo 2019

Il rapporto col dolore

Il rapporto con l'esperienza interiore dolorosa è questione decisiva. Spesso il dolore è vissuto come pena indebita, come afflizione immeritata, come danno patito. Prontamente lo si riconduce a cause esterne, lo si tratta come segnale e indice di situazione a sè sfavorevole, che opprime e lede, come carico esagerato che toglie serenità, che non offre il dovuto (tale è considerato) agio o il meglio. Allontanare l'insieme che pare responsabile di arrecare dolore, vuoi il legame con una o più persone, vuoi un luogo o una situazione concreta e cercare altrove tregua, sollievo o miglior fortuna e beneficio sono risposte frequenti al dolore. Smorzare o soffocare, zittire con ogni mezzo, psicofarmaci, alcol, cibo, distrazioni varie o altro, il dolore come fosse il peggio da cui trarsi in salvo, a cui non concedere spazio, da cui evadere è risposta non certo rara. Sfogarsi con qualcuno, casomai inanellando spiegazioni sommarie miste a recriminazioni, a atti d'accusa rivolti a altri e a altro, a autocompiangimento è un altro mezzo frequentemente usato per provare a scaricare il dolore. Il dolore però, ben lungi dall'essere una pena inflitta da causa esterna e una sciagura, preme interiormente, sostenuto da iniziativa del proprio profondo, assai lucida e niente affatto maligna, per dare pungolo e occasione di aprire gli occhi e di lavorare prima di tutto, senza risparmio e senza veli, su se stessi, per rivedere quanto vissuto, per ripercorrere non nella superficie dei fatti ma all'interno il cammino fatto dentro l'esperienza, collocando se stessi, i perchè delle proprie scelte, i modi e le risposte date, al centro dell'attenzione. Cosa nel dolore si muove, cosa il dolore svela e acuisce è ciò che merita di essere riconosciuto, che chiede di essere ascoltato, valorizzato e compreso. Non farlo significa non raccogliere il messaggio della propria interiorità, la proposta di riflessione attenta e puntuale tracciata dal proprio sentire doloroso, che incalza, che non dà tregua, significa passare oltre e andar via immutati, sprovvisti di una guida utile e indispensabile, di una intesa nuova con se stessi, di una scoperta di verità e di significati che il passaggio critico e doloroso vuole far trovare. Riversare su altro la causa e i perchè, provare a superare in fretta o a evadere dal dolore significa, pur pensando di aver ben risposto al proprio disagio, tornare fatalmente a riprodurre altrove le stesse modalità e implicazioni proprie non riconosciute, in definitiva significa ricreare la stessa situazione da cui si proviene e di cui ci si è voluti liberare. Il dolore interiore non è sciagura, è voce, è occasione di approfondito sguardo, che è necessario imparare a esercitare su di sè principalmente, con attenzione e con pazienza. La riflessione combinata a capacità di tener dentro il malessere, di reggere l'esposizione al dolore, accettando il coinvolgimento nell'esperienza disagevole, è indispensabile. La riflessione non è, come spesso si fraintende, esercizio di ragionamento che cerca di spiegare, ma è capacità di ascolto e di vedere cosa l'intimo sentire delinea e sottolinea, disegna e dice. Nulla va spiegato o interpretato spingendosi oltre ciò che il sentire dice, perchè ogni elaborazione che non poggi e che non stia nella traccia viva del sentire rischia di essere spiantata e di dare occasione solo alla voglia di chiudere in fretta, casomai mettendo al riparo se stessi da ammissioni difficili. E' di fondamentale importanza non squalificare l'esperienza interiore vissuta, comunque sia, non pretendere di cancellare, di superare subito ciò che invece preme interiormente, pur dolorosamente, per dare occasione di presa di visione e di consapevolezza. Scopo di una buona  psicoterapia è proprio di favorire e di far crescere la capacità di entrare in rapporto con l'intima esperienza, anche se dolorosa, imparando a comprendere il linguaggio della propria interiorità, a non commentare o spiegare ma a ascoltare il proprio sentire, scoprendo che quanto si sta provando nell'intimo, anche se assai difficile, non è una minaccia o uno stato anomalo da correggere, non è la spiacevole conseguenza di qualche danno o trauma subiti, bensì la guida preziosa per conoscere e per capirsi, per trovare profonda sintonia e vicinanza con se stessi. Capire, capirsi è assai più proficuo che fuggire dal dolore e apre a se stessi strade, che la scelta di alleggerirsi e di procurarsi qualche soluzione o rimedio, lasciando tutto intatto, non aprirà mai.