Il dialogo interiore è la risposta più consona al
malessere interiore. Quando, come accade in situazioni di crisi e di sofferenza
interiore, la parte intima e profonda prende iniziativa e smuove il quadro
interiore, cosa va fatto se non cercare di aprire il dialogo con questa parte,
cosa va fatto se non ascoltare e cercare di intendere cosa sta dicendo, cosa
vuole far capire e mettere in primo piano? Il dialogo con la propria
interiorità oltre a essere la risposta giusta e consona al malessere è anche il
fulcro necessario di un'esistenza che voglia essere indipendente e autentica,
che, mettendo al centro l’ascolto e la guida dell’interiorità, non voglia
consegnarsi alla guida più che imperfetta della parte razionale, che, agendo,
come fa in genere, da sola nella conoscenza di se stessi e dei significati
della propria esperienza, a un attento esame si rivela decisamente inadeguata a
perseguire conoscenza vera di se stessi e inaffidabile. La parte del nostro
essere che ci garantisce l’accesso al vero è quella interiore. La parte conscia
razionale, priva del supporto e della guida della componente intima e profonda,
non può, per quanta inventiva cerchi di mettere in campo, che tessere e
riproporre tesi e costrutti che si basano su definizioni, su attribuzioni di
significato consuete, date per scontate, prese in prestito dal pensato comune,
convenzionale. Accade poi che, non interrogandosi su ciò che dice e su ciò che
vuole ottenere, la parte razionale finisca per fare da garante per l'individuo della
conservazione, della conferma di idee di comodo e di salvaguardia di ciò che
vuole tenere in piedi, degli equilibri cui non vuole rinunciare. Dunque
l’apporto della parte intima è decisivo per rimettere il discorso nel vivo e su
base vera, per ritrovare, anche se a volte scomoda e imbarazzante, la visione
veritiera. La parte conscia vuole in genere sistemare le cose, trovare
soluzioni, in sostanza soddisfa l'esigenza di proseguire senza interrogarsi su
cosa si sta facendo e cercando, mossi da che cosa e perseguendo quali scopi. La
parte intima che si esprime nel sentire tocca e punge, anima, complica, si
potrebbe dire, il quadro, a volte, come nelle situazioni di crisi e di
malessere interiore, in modo molto marcato, ma per mettere in primo piano la
percezione e la visione di ciò che si sta facendo di se stessi, per spingere a
passare dal piano dell’agire, soltanto rivestito da spiegazioni di comodo e
nella sostanza cieco e inconsapevole, al pensare riflessivo, attento e mirato a
capire cosa si sta facendo, come si sta procedendo e con quali nodi finora
ignorati, incompresi e perciò insoluti. Senza rapporto aperto con la propria
interiorità, senza approccio che riconosca nelle vicende interiori, nelle
espressioni del proprio sentire, anche se sofferto e in apparenza contorto e
anomalo, un messaggio e una proposta da capire, senza capacità di ascolto e di
comprensione di ciò che la propria interiorità dice e muove, si è privi di una
guida e di una capacità di visione e di conoscenza necessarie per trovare
orientamento e intesa con se stessi, costretti altrimenti, pur se inconsapevoli
di questo, a muoversi e a stare invece dentro le coordinate e le
guide di un pensiero che sta in appoggio a altro preso da fuori e che non
garantisce certo di dare corso e realizzazione alle proprie vere ragioni
d’esistenza. Purtroppo è spesso e in
genere incompreso il significato vero e il valore della vita interiore, degli
svolgimenti intimi, di ciò che si muove nel sentire, nelle emozioni, nel
succedersi degli stati d'animo, nelle spinte, in tutto ciò che, passo dopo
passo, si propone interiormente, di ciò che realmente significano i sogni, che
sono l'espressione più alta dell'intelligenza profonda di cui si dispone. Non
c’è in genere capacità e propensione all’ascolto e al dialogo interiore, non si
prende neppure in considerazione la necessità di trovare intesa e accordo con
l'intimo e il profondo di se stessi, la si considera comunque irrilevante, data
la priorità invece riconosciuta alle relazioni e alle iniziative esterne, alla
necessità di non perdere contatto e intesa con altri e col fuori. Questo segna
una lontananza dall’intimo. Nel malessere interiore, nelle diverse espressioni
della sofferenza interiore l’interiorità sensatamente esercita una forte presa
e coinvolge, vuole comunicare, dire della propria condizione, del proprio
stato, dei nodi decisivi che è importante che siano riconosciuti. Lo fa in modo
puntuale e attento, intelligente e pertinente. Nelle iniziative che prende,
nelle sue espressioni, anche in quelle meno facili da reggere, anche in quelle
più tormentose e insistenti, anche in quelle più sconquassanti come nel caso
degli attacchi di panico, non segnala di certo di essere in stato di
alterazione e di malattia, come subito si è pronti a giudicare, peraltro in
questa persuasione ben supportati dalle affermazioni di una presunta scienza
psicologica che è più la somma e la risultante di idee e di preconcetti comuni,
che vera scienza che vuole e sa cercare il senso senza preconcetti. Solo
imparando a dialogare con il profondo si può scoprire che non c'è anomalia, ma
capacità di dire in modo significativo in ogni espressione del sentire e della
vita interiore. Parlare di normalità o di alterazione è criterio di selezione e
di giudizio, tanto rapido e sbrigativo, quanto semplicistico e ottuso, che
appartiene a chi non ha capacità di intendere, a chi non si cura di capire con
rispetto, con intelligenza, con sensibilità e con cura. Il dialogo interiore, fatto
di ascolto e di attenzione a riconoscere ciò che l'interiorità dice e propone,
non è facile e immediato da instaurare. L'ostacolo primo è proprio il
pregiudizio negativo verso il sentire che si presenti spiacevole o arduo, visto
già in partenza come minaccia, come guasto, come alterazione di una presunta
normalità, come ferita da sanare, cercando più fuga e sollievo immediato che
concedendo apertura piena. La ferita è sempre un fatto intimo e in quel che
geme c'è più verità e possibile conoscenza di se stessi che altro, considerato
anomalo e di cui considerarsi vittime, ipotizzando
di essere colpiti da un che di sfavorevole e nocivo che risalirebbe a altro, a
qualche accidente o causa o trauma che
abbia agito o che agisca da fuori. La domanda che ci si può rivolgere per non
stare in opposizione e in fuga da ciò che intimamente risulta doloroso: cosa mi
dice questa pena, cosa di me soffre? L'opportunità di andare verso se stessi e
di essere accompagnati dal proprio soffrire a vedere, a scoprire qualcosa di
sè, a lavorare creativamente su di sè si può aprire proprio lì, nella ferita
che geme, in modo più sensibile e privilegiato, perché nel dolore sono toccati
punti decisivi, perche lì c’è garanzia di non evadere sterilmente, ma di
avvicinarsi a sé, al vero. Ogni volta il nostro sentire acutizza e illumina
qualcosa, ciò che intimamente proviamo non è conseguenza obbligata e scontata,
automatica e riflessa, dell'agire sfavorevole di qualcosa di esterno che ci
procura patimento, ampi sono viceversa i margini di iniziativa e di scelta, di
proposta di quella parte di noi, intima e profonda, che accende la risposta,
che casomai col dolore e con la ferita vuole renderci visibile qualcosa di noi
principalmente. In ogni caso è meglio, per aprire a noi e alla conoscenza
capace di farci crescere, non avere pretese d'ordine circa ciò che ci deve
accadere. Ogni esperienza interiore, occasione per aprire alla scoperta di
qualcosa di noi stessi, ci arriva non casualmente o a sproposito. Renderci
disponibili, non rifiutarci a noi stessi, è condizione per non creare finti
equilibri e rigidi. Quel che s'accende nel sentire, non importa se doloroso e
arduo, se inconsueto e incalzante, quel che prende viva forma in noi è la via
per entrare in rapporto con noi, per fare un altro passo e significativo,
importante e necessario, del nostro cammino di conoscenza. Capita invece assai
spesso che cercando un rapporto col sentire pur con le migliori intenzioni di
capire, ma spesso l'intenzione sottesa è comunque di farlo fuori, come roba che
disturba, che non va bene, si torni (questo capita ahimè anche e non di radio
in psicoterapia) a parlargli sopra piuttosto che ascoltarlo, a confezionare ipotesi
di cause risalenti a questo o a quello del passato principalmente, a influenze
negative subite, a mancanze e responsabilità di altri, a eventi e traumi, che
trarne l'intima proposta fedelmente. Ascoltare richiede l'acquisizione della
capacità riflessiva, che non ha nulla a che fare col ragionare sull'esperienza,
traendo dal cassetto delle elaborazioni pronte o inventando col ragionamento
ipotesi e spiegazioni che si adattino all'esperienza, a sensazioni, a stati
d'animo, o che cerchino in qualche modo di spiegarla. Facilmente per una simile
via si ricade nel già conosciuto, ci si ingarbuglia nei soliti schemi e
riferimenti. La riflessione non è lavorio per far rientrare il vissuto nello
stampo di un'idea già formata o rimodellata o partorita col ragionamento, ma è
dar luce e riconoscimento a ciò che il sentire porta, genera, fa incontrare nel
vivo. Come guardandoci allo specchio, che ci restituisce la nostra immagine
riflessa, la riflessione ci consente di vedere cosa nell'esperienza viva dei
nostri stati d'animo e sensazioni sta prendendo forma, cosa ci stanno
comunicando, esprimendo. La conoscenza vera e fondata si forma così, passo dopo
passo, senza mai fare aggiunte indebite, senza estrapolazioni, senza deduzioni,
senza cedere all'impazienza di capire tutto subito, senza concedere a nulla che
non sia scoperta fedele. Aprire alla propria interiorità significa lasciarla
davvero parlare e impegnarsi ad ascoltarla, senza parlarle sopra, significa
trovare questo nostro filo interno e tesserlo così come l'esperienza interiore
via via consente. La nostra interiorità ha capacità di dire e di
dirigere/orientare la ricerca su di noi, ricerca attentissima e fondata, che ci
mostra chi siamo, senza evitamenti o sconti, come procediamo, cosa è possibile
attingendo a noi e lo dimostra non solo in ciò che il nostro sentire di
continuo propone, ma anche e in una forma eccellente nei sogni. I sogni che in
analisi, in una vera analisi, sono il vero motore della ricerca, non sono
robetta, ma laboratorio di idee e di pensiero che il profondo sa generare e
proporre e che come nient'altro hanno capacità di abituarci a metterci allo
specchio, a leggerci nell'intimo, a farci trovare il nostro sguardo,
prigionieri come siamo di luoghi comuni e di pensiero preso in prestito, di
propensione più a trovare accomodamenti che visione. In sintesi, il rapporto
con la nostra interiorità bisogna imparare a costruirlo, con rispetto
dell'interiorità e imparando a farci dare tutto ciò che, nel sentire e nei
sogni, è capace di darci. Non si è in genere abituati a trattare il rapporto
con l'interno e nemmeno a valorizzarlo, anzi in genere ci si aspetta poco o
nulla da lì. Si è abituati a prendere o inseguire tutto all'esterno, a mettere
al centro sempre la relazione con l'esterno. Per aprire al proprio mondo
interno può diventare necessario farsi aiutare a farlo, a costruire questa
capacità e fiducia, ma seriamente e da chi questo aiuto lo sa dare davvero.
domenica 21 luglio 2024
Centralità del dialogo interiore
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