Ciò che caratterizza l'esperienza analitica e che la differenzia da tutte le altre esperienze psicoterapeutiche è la funzione guida riconosciuta all'inconscio, cui è dato il compito di indirizzare, di condurre la ricerca. E' una scelta che ha fondamentali e solide ragioni. E' infatti dall'inconscio, dalla parte profonda di se stessi, che origina e è regolata tutta quanta la propria esperienza interiore, fatta di emozioni, di stati d'animo, di spinte, di tutto ciò che spontaneamente, fuori dal controllo e dalle aspettative di volontà e ragione, si svolge nel proprio intimo. Il malessere interiore, quell'intima esperienza disagevole, nelle sue diverse espressioni, al pari di ogni altro movimento del sentire, origina e è modulato dal profondo. Non è un guasto, uno stato di alterazione psichica, un disordine, è esperienza intima e assai coinvolgente, certamente non facile e non agevole, voluta, plasmata, per intero guidata dall'inconscio. Non è mai casuale ciò che l'intima esperienza, pur disagevole, pur strana e accidentata, propone. Attraverso le particolarità dell'esperienza interiore l'inconscio dà indicazioni molto precise e pertinenti per cominciare a vedere la propria condizione, per cominciare a capirsi. Smuovendo e caricando di intensità l'esperienza interiore, l'inconscio attrae e sposta con forza l'attenzione dell'individuo, solitamente rivolta all'esterno, sul suo stato interiore, sui suoi vissuti, per avvicinarlo su queste basi e tracce vive alla consapevolezza intima. Per non divergere e per assecondare la richiesta che arriva dal proprio profondo, per cogliere l'opportunità che l'inconscio con tanta decisione sollecita e propone, è necessario porsi in rapporto aperto e disponibile col proprio sentire, non rifuggirlo o contrastarlo, non trattarlo come disturbo, ma come voce, come esperienza da ascoltare, da comprendere. E' assolutamente necessario dotarsi di vera capacità riflessiva (che, lo dico spesso nei miei scritti, non ha nulla a che vedere con il modo corrente di intendere e di svolgere la riflessione come ragionamento, come costruzione di ipotesi e di spiegazioni sul conto di ciò che si prova, della propria esperienza) per raccogliere e riconoscere fedelmente ciò che il proprio sentire dice. Perchè l'inconscio possa spiegare per intero le ragioni e il fine della sua iniziativa, del malessere che sostiene e che muove con tanta incisività, è fondamentale comunque rivolgersi ai sogni. Nei sogni l'inconscio introduce e guida l'individuo in un percorso di riflessione e di ricerca, che gli fa via via capire (i sogni vanno attentamente e pazientemente analizzati perchè possano dare tutto il loro originale contributo di pensiero) sia le ragioni del malessere, che lo scopo, ciò cui è necessario dare svolgimento e compimento per trovare se stesso, per uscire da una condizione di inconsapevolezza e di alienazione. Parlo di alienazione per dire di una condizione, non importa se ritenuta in genere normale, in cui l'individuo cerca di conformarsi, di soddisfare indicazioni e pretese più esterne che interne a se stesso, in cui, aderendo a qualcosa di altro da sè e prevalente, già modellato e detto, si illude di capire, di pensare autonomamente, in realtà finisce invece, pur inconsapevolmente, per ricalcare idee, per riprodurre definizioni e attribuzioni di significato comuni e convenzionali. Riproducendo e sostenendosi su altro già concepito, ordinato e promosso, l'individuo si illude di scegliere, di dare proprie risposte, di realizzarsi. Si esprime senza rapporto con se stesso, senza aver tratto da sè la conoscenza e le guide necessarie per capirsi, per fondare le sue scelte, per averne chiaro il significato, il motivo vero. L'inconscio vuole rimettere l'individuo piedi a terra e in piedi, vuole prima di tutto ricongiungerlo a se stesso, al suo sentire, all'interiorità con cui non ha rapporto. Solo il suo sentire ascoltato e intimamente compreso, solo il dialogo con la sua interiorità può dargli la base vera e affidabile per capirsi, per conoscersi, per accertare e concordare con se stesso scoperte di significato e di valore, per sfuggire, pur gradualmente, al governo d'altro, che lo orienta e regola. L'inconscio, dentro i sogni, mostra all'individuo il suo modo di procedere attuale e abituale, cosa sta seguendo e inseguendo, spesso la sua lontananza da se stesso, la sua dipendenza dallo sguardo e dal giudizio esterno, la sua ignoranza di ciò che profondamente gli appartiene, di ciò che potrebbe vedere con i suoi occhi, sulla base e attraverso ciò che sente, che vive interiormente, che invece abitualmente mette tra parentesi o sottovaluta, che al più fa oggetto di commenti e di spiegazioni ragionate e non di rispettoso ascolto. E' l'inconscio e non la parte conscia a volere per l'individuo la sua piena libertà, la sua vera, non illusoria, autonomia, la sua capacità di autodeterminazione. L'inconscio "soffre" qualsiasi tradimento di se stessi e non lo tace. Non tace all'individuo l'ignoranza del proprio, lasciato inerte, incompreso, non cercato e non coltivato. L'inconscio non accetta la passività, l'incuria, la non preoccupazione per la propria reale sorte. Anche un'esistenza di apparente riuscita e normale può essere infatti ritenuta soddisfacente in appoggio e in consonanza col senso comune, ma in realtà fallimentare per sè, tradite le proprie vere e intime ragioni e potenzialità, lasciate incomprese e incolte. Lo scopo della propria vita può essere dunque sviato, disatteso. Non è implicazione da poco. L'inconscio non agita mai le acque per questioni da poco. Lo fa con insistenza, lo fa per tempo, lo fa con l'intenzione e con la capacità, che dentro il percorso analitico si manifesta appieno, di sostenere, di alimentare soprattutto con i sogni, il processo di trasformazione che conduce via via l'individuo a sostituire il posticcio con l'autentico, il preso in prestito con l'originale creato da sè. Purtroppo raramente l'inconscio è capito, anzi il suo agitare interiormente le acque è spesso bollato come disturbo, come danno, come patologia. L'inconscio non desiste, non tace, è la parte profonda, attenta, intelligente di se stessi, che non rinuncia a sollevare i problemi, a tentare di guidare la presa di coscienza, contro la tendenza a permanere nel solito dei propri (illusori) convincimenti, a preoccuparsi più di stare al passo con altro e con altri che di trovare aderenza e accordo con se stessi, a non preoccuparsi di veder davvero chiaro. L'inconscio non tollera i bluff, gli autoinganni, la falsa coscienza, la rinuncia a vedere, ad aprire, costi quel che costi, gli occhi, l'incomprensione del senso vero di ciò che si fa, che si vive. L'inconscio è insopportazione per tutto ciò che è stasi, chiusura, fuga dal proprio sentire, non volontà di confrontarsi con se stessi. L'inconscio è risveglio dell'umano, chiamato prima di tutto alla consapevolezza, alla conoscenza del vero, stimolato a non essere presenza anonima e vana, ma a esistere, a scoprire, a generare e a mettere al mondo il proprio. L'inconscio è un interlocutore certamente impegnativo, persino scomodo, ma affidabile, come lo è l'amico che non manca di dirti il vero, anche se spiacevole, di stimolarti a prendere coscienza, per il tuo bene. L'inconscio è cura assidua e indomita volontà di perseguire il proprio bene, che non è conformarsi, incuranti di sapere, di vedere, ma è aprire gli occhi, trarre da sè l'originale con cui si è venuti al mondo, il potenziale cui si può dare forma e compimento. Nulla è più vitale e nel verso della vita dell'inconscio. Paradossalmente l'inconscio, la vita interiore, ciò che produce, sono spesso ritenuti ostacoli alla vita. E' davvero un paradosso, che sta in piedi solo in virtù di pregiudizi, di ignoranza. Quando si va a scoprire, come dentro una valida esperienza analitica, cos'è davvero l'inconscio, cosa propone, di cosa è capace, ci si può rendere conto di quanta magistrale sapienza e di quanta umanità e volontà d'umano ci sia nel profondo. Ci si rende conto della distanza che purtroppo separa spesso gli individui dalla scoperta di ciò che, prezioso e enorme, il loro profondo potrebbe dare loro.
sabato 27 luglio 2024
domenica 21 luglio 2024
Centralità del dialogo interiore
Il dialogo interiore è la risposta più consona al
malessere interiore. Quando, come accade in situazioni di crisi e di sofferenza
interiore, la parte intima e profonda prende iniziativa e smuove il quadro
interiore, cosa va fatto se non cercare di aprire il dialogo con questa parte,
cosa va fatto se non ascoltare e cercare di intendere cosa sta dicendo, cosa
vuole far capire e mettere in primo piano? Il dialogo con la propria
interiorità oltre a essere la risposta giusta e consona al malessere è anche il
fulcro necessario di un'esistenza che voglia essere indipendente e autentica,
che, mettendo al centro l’ascolto e la guida dell’interiorità, non voglia
consegnarsi alla guida più che imperfetta della parte razionale, che, agendo,
come fa in genere, da sola nella conoscenza di se stessi e dei significati
della propria esperienza, a un attento esame si rivela decisamente inadeguata a
perseguire conoscenza vera di se stessi e inaffidabile. La parte del nostro
essere che ci garantisce l’accesso al vero è quella interiore. La parte conscia
razionale, priva del supporto e della guida della componente intima e profonda,
non può, per quanta inventiva cerchi di mettere in campo, che tessere e
riproporre tesi e costrutti che si basano su definizioni, su attribuzioni di
significato consuete, date per scontate, prese in prestito dal pensato comune,
convenzionale. Accade poi che, non interrogandosi su ciò che dice e su ciò che
vuole ottenere, la parte razionale finisca per fare da garante per l'individuo della
conservazione, della conferma di idee di comodo e di salvaguardia di ciò che
vuole tenere in piedi, degli equilibri cui non vuole rinunciare. Dunque
l’apporto della parte intima è decisivo per rimettere il discorso nel vivo e su
base vera, per ritrovare, anche se a volte scomoda e imbarazzante, la visione
veritiera. La parte conscia vuole in genere sistemare le cose, trovare
soluzioni, in sostanza soddisfa l'esigenza di proseguire senza interrogarsi su
cosa si sta facendo e cercando, mossi da che cosa e perseguendo quali scopi. La
parte intima che si esprime nel sentire tocca e punge, anima, complica, si
potrebbe dire, il quadro, a volte, come nelle situazioni di crisi e di
malessere interiore, in modo molto marcato, ma per mettere in primo piano la
percezione e la visione di ciò che si sta facendo di se stessi, per spingere a
passare dal piano dell’agire, soltanto rivestito da spiegazioni di comodo e
nella sostanza cieco e inconsapevole, al pensare riflessivo, attento e mirato a
capire cosa si sta facendo, come si sta procedendo e con quali nodi finora
ignorati, incompresi e perciò insoluti. Senza rapporto aperto con la propria
interiorità, senza approccio che riconosca nelle vicende interiori, nelle
espressioni del proprio sentire, anche se sofferto e in apparenza contorto e
anomalo, un messaggio e una proposta da capire, senza capacità di ascolto e di
comprensione di ciò che la propria interiorità dice e muove, si è privi di una
guida e di una capacità di visione e di conoscenza necessarie per trovare
orientamento e intesa con se stessi, costretti altrimenti, pur se inconsapevoli
di questo, a muoversi e a stare invece dentro le coordinate e le
guide di un pensiero che sta in appoggio a altro preso da fuori e che non
garantisce certo di dare corso e realizzazione alle proprie vere ragioni
d’esistenza. Purtroppo è spesso e in
genere incompreso il significato vero e il valore della vita interiore, degli
svolgimenti intimi, di ciò che si muove nel sentire, nelle emozioni, nel
succedersi degli stati d'animo, nelle spinte, in tutto ciò che, passo dopo
passo, si propone interiormente, di ciò che realmente significano i sogni, che
sono l'espressione più alta dell'intelligenza profonda di cui si dispone. Non
c’è in genere capacità e propensione all’ascolto e al dialogo interiore, non si
prende neppure in considerazione la necessità di trovare intesa e accordo con
l'intimo e il profondo di se stessi, la si considera comunque irrilevante, data
la priorità invece riconosciuta alle relazioni e alle iniziative esterne, alla
necessità di non perdere contatto e intesa con altri e col fuori. Questo segna
una lontananza dall’intimo. Nel malessere interiore, nelle diverse espressioni
della sofferenza interiore l’interiorità sensatamente esercita una forte presa
e coinvolge, vuole comunicare, dire della propria condizione, del proprio
stato, dei nodi decisivi che è importante che siano riconosciuti. Lo fa in modo
puntuale e attento, intelligente e pertinente. Nelle iniziative che prende,
nelle sue espressioni, anche in quelle meno facili da reggere, anche in quelle
più tormentose e insistenti, anche in quelle più sconquassanti come nel caso
degli attacchi di panico, non segnala di certo di essere in stato di
alterazione e di malattia, come subito si è pronti a giudicare, peraltro in
questa persuasione ben supportati dalle affermazioni di una presunta scienza
psicologica che è più la somma e la risultante di idee e di preconcetti comuni,
che vera scienza che vuole e sa cercare il senso senza preconcetti. Solo
imparando a dialogare con il profondo si può scoprire che non c'è anomalia, ma
capacità di dire in modo significativo in ogni espressione del sentire e della
vita interiore. Parlare di normalità o di alterazione è criterio di selezione e
di giudizio, tanto rapido e sbrigativo, quanto semplicistico e ottuso, che
appartiene a chi non ha capacità di intendere, a chi non si cura di capire con
rispetto, con intelligenza, con sensibilità e con cura. Il dialogo interiore, fatto
di ascolto e di attenzione a riconoscere ciò che l'interiorità dice e propone,
non è facile e immediato da instaurare. L'ostacolo primo è proprio il
pregiudizio negativo verso il sentire che si presenti spiacevole o arduo, visto
già in partenza come minaccia, come guasto, come alterazione di una presunta
normalità, come ferita da sanare, cercando più fuga e sollievo immediato che
concedendo apertura piena. La ferita è sempre un fatto intimo e in quel che
geme c'è più verità e possibile conoscenza di se stessi che altro, considerato
anomalo e di cui considerarsi vittime, ipotizzando
di essere colpiti da un che di sfavorevole e nocivo che risalirebbe a altro, a
qualche accidente o causa o trauma che
abbia agito o che agisca da fuori. La domanda che ci si può rivolgere per non
stare in opposizione e in fuga da ciò che intimamente risulta doloroso: cosa mi
dice questa pena, cosa di me soffre? L'opportunità di andare verso se stessi e
di essere accompagnati dal proprio soffrire a vedere, a scoprire qualcosa di
sè, a lavorare creativamente su di sè si può aprire proprio lì, nella ferita
che geme, in modo più sensibile e privilegiato, perché nel dolore sono toccati
punti decisivi, perche lì c’è garanzia di non evadere sterilmente, ma di
avvicinarsi a sé, al vero. Ogni volta il nostro sentire acutizza e illumina
qualcosa, ciò che intimamente proviamo non è conseguenza obbligata e scontata,
automatica e riflessa, dell'agire sfavorevole di qualcosa di esterno che ci
procura patimento, ampi sono viceversa i margini di iniziativa e di scelta, di
proposta di quella parte di noi, intima e profonda, che accende la risposta,
che casomai col dolore e con la ferita vuole renderci visibile qualcosa di noi
principalmente. In ogni caso è meglio, per aprire a noi e alla conoscenza
capace di farci crescere, non avere pretese d'ordine circa ciò che ci deve
accadere. Ogni esperienza interiore, occasione per aprire alla scoperta di
qualcosa di noi stessi, ci arriva non casualmente o a sproposito. Renderci
disponibili, non rifiutarci a noi stessi, è condizione per non creare finti
equilibri e rigidi. Quel che s'accende nel sentire, non importa se doloroso e
arduo, se inconsueto e incalzante, quel che prende viva forma in noi è la via
per entrare in rapporto con noi, per fare un altro passo e significativo,
importante e necessario, del nostro cammino di conoscenza. Capita invece assai
spesso che cercando un rapporto col sentire pur con le migliori intenzioni di
capire, ma spesso l'intenzione sottesa è comunque di farlo fuori, come roba che
disturba, che non va bene, si torni (questo capita ahimè anche e non di radio
in psicoterapia) a parlargli sopra piuttosto che ascoltarlo, a confezionare ipotesi
di cause risalenti a questo o a quello del passato principalmente, a influenze
negative subite, a mancanze e responsabilità di altri, a eventi e traumi, che
trarne l'intima proposta fedelmente. Ascoltare richiede l'acquisizione della
capacità riflessiva, che non ha nulla a che fare col ragionare sull'esperienza,
traendo dal cassetto delle elaborazioni pronte o inventando col ragionamento
ipotesi e spiegazioni che si adattino all'esperienza, a sensazioni, a stati
d'animo, o che cerchino in qualche modo di spiegarla. Facilmente per una simile
via si ricade nel già conosciuto, ci si ingarbuglia nei soliti schemi e
riferimenti. La riflessione non è lavorio per far rientrare il vissuto nello
stampo di un'idea già formata o rimodellata o partorita col ragionamento, ma è
dar luce e riconoscimento a ciò che il sentire porta, genera, fa incontrare nel
vivo. Come guardandoci allo specchio, che ci restituisce la nostra immagine
riflessa, la riflessione ci consente di vedere cosa nell'esperienza viva dei
nostri stati d'animo e sensazioni sta prendendo forma, cosa ci stanno
comunicando, esprimendo. La conoscenza vera e fondata si forma così, passo dopo
passo, senza mai fare aggiunte indebite, senza estrapolazioni, senza deduzioni,
senza cedere all'impazienza di capire tutto subito, senza concedere a nulla che
non sia scoperta fedele. Aprire alla propria interiorità significa lasciarla
davvero parlare e impegnarsi ad ascoltarla, senza parlarle sopra, significa
trovare questo nostro filo interno e tesserlo così come l'esperienza interiore
via via consente. La nostra interiorità ha capacità di dire e di
dirigere/orientare la ricerca su di noi, ricerca attentissima e fondata, che ci
mostra chi siamo, senza evitamenti o sconti, come procediamo, cosa è possibile
attingendo a noi e lo dimostra non solo in ciò che il nostro sentire di
continuo propone, ma anche e in una forma eccellente nei sogni. I sogni che in
analisi, in una vera analisi, sono il vero motore della ricerca, non sono
robetta, ma laboratorio di idee e di pensiero che il profondo sa generare e
proporre e che come nient'altro hanno capacità di abituarci a metterci allo
specchio, a leggerci nell'intimo, a farci trovare il nostro sguardo,
prigionieri come siamo di luoghi comuni e di pensiero preso in prestito, di
propensione più a trovare accomodamenti che visione. In sintesi, il rapporto
con la nostra interiorità bisogna imparare a costruirlo, con rispetto
dell'interiorità e imparando a farci dare tutto ciò che, nel sentire e nei
sogni, è capace di darci. Non si è in genere abituati a trattare il rapporto
con l'interno e nemmeno a valorizzarlo, anzi in genere ci si aspetta poco o
nulla da lì. Si è abituati a prendere o inseguire tutto all'esterno, a mettere
al centro sempre la relazione con l'esterno. Per aprire al proprio mondo
interno può diventare necessario farsi aiutare a farlo, a costruire questa
capacità e fiducia, ma seriamente e da chi questo aiuto lo sa dare davvero.
sabato 6 luglio 2024
L'ansia, il cammino stretto
Perché insiste e cosa vuole quest'ansia? Dà
un impietoso senso di costrizione, di respiro stretto, di mancata distensione,
forse...forse perché non c’è motivo di rilassarsi, forse perché lì in questa
stretta di allarme e di apprensione, c’è la necessità di vedere, più che di
passare oltre, di rallentare e di fermarsi per capire, più che di evadere e di
andare via sciolti. Non dà libertà questa pressione che non molla, toglie
libertà? La prima impressione è questa e in nulla sembra favorevole, anzi pare
una maledizione, una storpiatura, un modo infelicissimo e sbagliato di stare al
mondo. Sarà per un deficit, sarà la conseguenza di qualche fattore sfavorevole,
di un trauma patito, di un infelice condizionamento esterno attuale o di
origine remota, che interiormente ha sconvolto e distorto il più normale e
fisiologico sviluppo di crescita personale, tutto questo si va a pensare meno
che questa ansia oggi voglia dire, che lo sappia intelligentemente fare. Andiamo al punto. Vaneggia e blatera il
sentire con quest'ansia cocciuta, tanto da poter essere considerato assurdo,
senza valido motivo nel suo suonare senza tregua la sirena d’allarme, nel suo
fare il guastafeste? Va riconosciuto che non è affatto facile convivere con una
realtà interna così spigolosa, che non dà respiro. Ma c’è da chiedersi è
davvero molestia? Standoci attenti, qualcosa dentro, nel profondo potrebbe aver
buon motivo di disturbare il quieto vivere, di procurare questa fitta pena?
Forse quest’inquietudine dolorosa non intossica, ma vuole dire, non intende
privare, ma vuole dare, non impedisce il cammino, ma lo segna stretto, per
(co)stringere a capire. Fare opposizione, combattere ciò che sembra solo
menomare e togliere è risposta comune, comunissima e pure assai convinta e resa
tale anche dal supporto di mentalità comune che invoca come ideale la
condizione di liberazione da pesi interiori e di apparati di cura pronti a dare
aiuto nel verso del dispensare rimedi di ansiolitici e di tecniche di
superamento dell’ansia. Si parte poi male, da una posizione tutt’altro che
favorevole nel confronto con la parte intima di se stessi, con cui ora risulta
così difficile convivere. Si ha infatti visione di se stessi come di un’entità
sostanzialmente chiusa nei confini della cosiddetta parte conscia, il resto di
intimo, di sentire e di ciò che si svolge interiormente lo si pensa come un
corollario, di cui a volte è problematico il controllo, ma appunto si tratta di
controllarlo, di tenerlo a bada, di spiegarlo con qualche rapido ragionamento,
niente di più. Dunque non ha certo centralità l’interiorità, è pensata come una
appendice del proprio essere, come una realtà minore che viene e deve stare a
rimorchio e che va in qualche modo gestita, cui soprattutto non va dato peso
quando non sta alle aspettative, quando nel sentire dissona, perché tanto è una
componente “irrazionale”. Si è impegnati a seguire ben altra onda e richiamo da
quello intimo, cui si chiede di stare al passo e di non dare problemi. Ma
l’interiorità di cui si è portatori e che è parte viva e essenziale del proprio
essere, anche se come tale non è riconosciuta e ammessa, non è ciò che si
presume e si pretende, un’appendice, una coda, un seguito gregario, che più di
tanto non può e non sa produrre e portare. La parte intima e profonda, lo si
constata con mano quando le si dà spazio e ascolto degno come nel corso
dell’analisi, sa però vedere bene e
senza preconcetto, è la parte di se stessi che continuamente segnala nel
sentire, nel seguito di emozioni, stati d’animo, vissuti e elabora in modo
ancora più approfondito nei sogni, il vero di ciò che si sta vivendo, è la
parte che non tenta fughe, che non se la racconta a piacimento come spesso e
volentieri fa la parte conscia, è la parte che viceversa sa e vuole raccontarla
nel verso del vero. L’interiorità sa essere sincera e soprattutto affidabile,
senza compiere sul conto del senso di ciò che si fa e si vive distorsioni o
manipolazioni di comodo, dunque sa essere acuta e veritiera, sa vedere della
propria condizione e sorte oltre il naso in modo attento, nitido, esteso e lungimirante.
Sapendo vedere, perché sveglia, perché non invischiata nella inerzia del
procedere e del pensare annesso interessato solo al quieto vivere o a favorire
il procedere secondo programma della parte conscia, si prodiga a dare richiami,
a mettere in campo ciò che sa, a provocare, quando è tempo e la situazione lo
merita e lo richiede, una stretta, a esercitare un forte richiamo, a dare con
l’ansia che insiste e che non dà tregua, a volte con lo scossone tremendo dell’attacco
di panico, un sonoro segnale di allerta. Se non avvisasse per tempo, senza fare
tanti complimenti, le cose potrebbero mettersi male e in perdita o con rischio
di perdita grave. In superficie, nella parte conscia, ci si pretende accorti e
"svegli" e invece spesso si è ottusi nel rigirare e confermare sempre
le stesse idee e posizioni, più o meno volutamente svagati circa ciò che si sta
facendo realmente di se stessi, circa il proprio procedere e la sua consonanza
o meno con se stessi. Si è, in superficie e col ragionamento, comunque in
ritardo rispetto al proprio profondo, che non cessa di tenere tutto
dell'esperienza passo dopo passo ben unito e sotto sguardo attento, senza
distrazioni, senza concessioni alla pia illusione e all’autoinganno, al rinvio,
al lasciar andare senza cura. Ansia, respiro stretto, perché ogni goccia di
respiro diventi consapevolezza e non evasione e ripetizione, ascolto e
confronto schietto e non elusione e vana consolazione. Vedere, aprire gli occhi
sul vero costa, ma salva. Se si tratta di cominciare a veder chiaro, a
rimettere assieme l‘insieme, senza semplificazioni, omissioni e sviste, se si
tratta di mettersi in mano consapevolezza utile e fidata, motore di libertà e
di forza di vivere e non di sopravvivere, ben venga il guastafeste, l’inconscio
che non “dorme“, che, pungolando e incalzando, non fa "dormire"!
E’ un paradosso, ma nemmeno durante il sonno l’inconscio tace, anzi profitta
della resa della testa ragionante e del silenzio della circostante fiera di
cose e di eventi esterni, per pensare, a voce alta, per condividere nei
sogni con tutto l’essere i suoi pensieri.
mercoledì 3 luglio 2024
Quando il pensiero va in affanno
L'elemento
cardine per potersi muovere fiduciosamente nell'esperienza qual'è? E' il più
trascurato, il meno considerato, anche se decisivo. E' il rapporto con se
stessi, con la propria interiorità, è la capacità di rapporto, di incontro, di
intesa, di ascolto e di comprensione di ciò che si sente, che vive dentro se
stessi, essenziale per trovare base fondata per capirsi e per capire. Si pensa
che nel proprio sentire, che in tutto ciò che si muove interiormente, ci sia
solo l’eco e la conseguenza di stimoli esterni, che comunque non ci sia nelle
emozioni e negli stati d’animo, nei moti interiori che accompagnano il corso
dell’esperienza nulla di pari e di altrettanto affidabile dello sguardo e della
valutazione razionali. Si pensa spesso del sentire che sia un che di marginale
e di poco attendibile, comunque da non porre al centro, perché ci si dà
persuasi che comporti il rischio di fuorviare, di alimentare visioni parziali,
di offuscare la lucidità del dispositivo razionale. Certamente il sentire va
ben ascoltato e inteso in ciò che dice, imparando a non liquidarlo in fretta,
senza ascoltarlo e intenderlo nell’originale di ciò che sa svelare, con
sovrapposizioni di significato pronte e convenzionali, tanto facili e scontate
quanto improprie. E’ proprio nel sentire, ben inteso e rispettato, fedelmente
compreso e valorizzato, che possiamo trovare la base lucida e fedele per
comprendere il vero che nell’esperienza si rivela e prende risalto dentro di noi.
Senza questo terreno su cui poggiare, il pensiero razionale scisso non fa che
farci vedere ciò che già scontatamente pensiamo e che rigira luoghi comuni e
attribuzioni di significato attinte dal sapere comune, dunque ben lontano dal
cuore vivo e dal vero dell’esperienza, di ciò che ci vuole rivelare di noi
stessi. Finisce dunque per prevalere una tendenza conservativa a ridirsi ciò
che si sa e si suppone, a mettere in atto meccanismi di pensiero, a volte anche
sofisticati, per proteggere e dare conferma al proprio modo di pensarsi, per
attribuirsi ciò che più risulta gradito. Nel sentire viceversa il vero vuole
rendersi tangibile e riconoscibile, solo l’incontro e il legame saldo col
sentire può permettere al pensiero di mettere e di tenere i piedi ben a terra e
saldamente. Solo facendo leva sulla capacità di scambio con se stessi è
possibile procedere nell'esperienza disponendo di capacità di vero orientamento,
di radicamento nel vero. Se il distacco dal piano vivo dell’esperienza, se la
lontananza dal sentire permangono, può accadere che ci si ritrovi come in stato
di allarme interiore, alle prese con sensazioni di ansietà e di pericolo, segnali
che l’interiorità lancia proprio per far capire che manca base affidabile,
capacità di orientamento. Scioccamente, è il caso di dire, quando a questi
segnali interiori, che hanno ben fondato motivo, che dicono dello stato del
rapporto con se stessi, con la propria interiorità, che è chiuso e non
comunicante, che rende il proprio equilibrio fragile e il proprio modo di
procedere niente affatto affidabile, rischioso, si dà loro viceversa il
significato di risposte anomale, tecnicamente bollate come disfunzionali, di
modi di sentire e di rapportarsi alle situazioni esterne non adeguati, senza
reale motivo e utilità, anzi dannose, si finisce per fraintendere tutto, per
lasciar cadere un segnale interiore molto sensato e valido, tutt’altro che
indice di anomalia o di un cattivo sentire e sfavorevole. Capita allora che,
non raccogliendo il significato, il senso vero dell’allarme, si cerchi, da un
lato per quanto si può di tenere a bada e di zittire l’allarme interiore,
l’ansietà che si ritiene ostile e dannosa e dall’altro, traducendo, interpretando
malamente l’allarme interiore, di fare ancora più forte ricorso e leva sulla
solita strumentazione, che si cerchi di mobilitare le funzioni di previsione e
di premunirsi, mettendo in campo il marchingegno del ragionamento, che sembra
l'unica risorsa disponibile su cui fare leva, per provare a tenere sotto
controllo, a spremere capacità di comprensione delle situazioni trascorse e
degli eventi possibili, per non essere sguarniti, sprovveduti, per porsi al
riparo. Se però agisce da sola e unilateralmente la parte razionale, senza
l'apporto e la guida della parte intima del sentire, non ha possibilità se non
di produrre qualcosa di astratto e in definitiva macchinoso e insensato,
sparando ipotesi e contromisure, polarizzando tutto l'impegno di se stessi sulla
difensiva. Insomma tutto il lavorio del rigirare e mettere ordine, del
rimuginare razionale è il segno e la denuncia della mancanza di capacità di
pieno affidamento a sè, del non possesso di punti base e di orientamento validi
e verificati, perciò in perenne stato di allerta più che di possibile fiducia
di sapersi muovere nell'esperienza, di poterne comprendere il significato,
senza mettere sempre le mani avanti. Per ottenere un diverso modo di
rapportarsi all'esperienza è necessario fruire di tutte le proprie risorse
interiori, fare conto su capacità di trovare risposte passo dopo passo in piena
unità e scambio con la propria interiorità, col proprio sentire e non facendo
leva solo su ragionamento, che da solo non ce la fa a dare ciò che serve. Un
nuovo rapporto con se stessi è ciò che serve formare, coltivare, costruire,
diversamente continuerà a arrivare, come attraverso il rimuginare, l’affannoso
lavorio del pensiero ragionato scisso dal sentire e l'allertarsi continuo, il
segnale di una mancanza cui provvedere.