domenica 28 gennaio 2018

La triste sorte

E' davvero triste la sorte di chi, coinvolto in una difficile e sofferta esperienza interiore, convincendosi di essere portatore soltanto di un disturbo, tratta ciò che sente e che vive interiormente come malattia, come peso di cui liberarsi e si infila in percorsi conseguenti dove presunti curanti, che della vita interiore e dei sui modi di esprimersi, del senso e dello scopo di un malessere interiore spesso e volentieri non sanno nulla, sono pronti a stilare diagnosi, che vorrebbero chiarire e definire ciò che l'individuo vive dentro se stesso e che non sono altro che caselle con relativa etichetta dentro cui infilare ciò con cui non hanno capacità di mettersi in rapporto. Curanti che prima che di altri non si sono presi cura di se stessi, che non hanno cercato incontro e dialogo con la propria interiorità, che senza apertura e lavoro su se stessi dell'esperienza interiore non hanno imparato a comprendere nulla, che si solo bevuti teorie e tecniche con relativo manuale d'uso, che girano sull'altro, girando i loro limiti di visione stretta, che concepisce solo normalità e disfunzione contrapposti, che riconosce reale solo ciò che è esterno e già dato. Com'è triste la sorte di chi affidato a questo tipo di curanti, purtroppo non rari, mosso da impazienza di risolvere e di tornare a correre o perlomeno a rimanere in  movimento sul binario della normalità e del consueto, comincia a ingurgitare farmaci, a seguire i dettami di qualche terapeuta per correggere ciò che senza indugi è giudicato modo errato e dannoso di sentire e di reagire, rafforzando così soltanto il pregiudizio e l'insofferenza verso parte intima di se stessi, alimentando diffidenza e paura verso la propria interiorità! E' triste sorte porsi in fuga e in urto con se stessi, combattere come presenza nemica ciò che interiormente è tutt'altro che guasto e cattivo funzionamento, che, se saputo comprendere, sarebbe base viva e feconda per entrare nella conoscenza di se stessi, nella comprensione del vero. E' triste sorte maledire come impedimento al vivere ciò che invece, se saputo intendere, è spinta e pressione a formare e a costruire l'essenziale e l'irrinunciabile che manca a se stessi e che non ci si è mai curati di coltivare e di formare. Vivere senza consapevolezza del proprio modo di procedere, senza conoscenza di se stessi, vivere senza pensiero proprio, seguendo e consumando altro, idee, stili di vita, percorsi già segnati, attribuzioni di significato e di valore già stampati e convalidati da uso comune, vivere inseguendo consenso esterno, cercando le opportunità tutte fuori e stringendo i legami solo con altro e con altri, senza avere capacità di legarsi a se stessi, di scoprire e di generare il proprio, senza capacità di stare su da soli, è condizione tutt'altro che rara, è condizione spesso camuffata e volentieri ignorata, nascosta ai propri occhi. Ai propri occhi camuffata da una parte di se stessi, non certo dalla parte profonda, che non ignora cosa significhi e implichi. Stare al passo con altri e con altro che fuori la racconta, limitarsi a consumare qualcosa che, pur in apparenza consono, è già concepito e pronto, che anche se riplasmato dal proprio ragionamento rimane pensiero preso in prestito e rimasticato, è realtà e modo di vivere così presente e diffuso, ampiamente ritenuto normale quanto non accettato e dato per scontato dalla parte profonda di se stessi, che giustamente, che saggiamente lancia l'allarme. Il profondo, che regola e movimenta la vicenda interiore, usa mezzi idonei per sollevare e dare percezione forte e viva del problema (ansietà, attacchi di panico, cadute depressive ne sono un esempio), per far percepire la fragilità dei propri punti veri di appoggio e di riferimento, l'estrema esilità del contatto e della connessione con se stessi, con la propria vita interiore, la mancanza di basi e di ragioni valide per nutrire  fiducia in se stessi e autostima, a dispetto dell'apparente consistenza e possesso di idee, di realizzazioni e di risposte proprie, a dispetto di apparente maturità e autonomia già acquisite. Questa parte profonda e ciò che propone rimane spesso completamente incompreso. La beffa è che la risposta più frequente ai richiami interiori, a ciò che l'interiorità saggiamente e provvidenzialmente consegna, che vorrebbe essere il richiamo a prendere visione del vero della propria condizione e del proprio modo di procedere, a aprire con coraggio il cantiere del cambiamento, colmando prima di tutto la distanza che separa dalla propria vita interiore, imparando a ascoltare e a dialogare con la propria interiorità, per formare su queste basi pensiero, progetti e scelte proprie, non indirizzate e al seguito d'altro ma corrispondenti a se stessi, la risposta è di trattare la propria interiorità come fosse in stato anomalo, in stato di patologia. E' triste sorte quella di combattere come nemico e come segno di inadeguatezza e di malattia ciò che invece, se corrisposto e compreso, avrebbe capacità di condurre a aprire gli occhi e a generare il proprio. E' triste sorte infilarsi per tempo indefinito nella battaglia sciocca contro parte di se stessi, negando credito e cercando di non dare scampo alla propria interiorità, giudicata cattiva presenza da mettere a tacere, rimanendo dannati nello stallo di una cura, che anzichè essere vera cura, volontà e passione di aprire a se stessi, diventa morsa stretta sul proprio essere, bavaglio che soffoca la voce interiore, che la ripudia, che la tratta come scarto di cui sbarazzarsi. Sarebbe possibile, cercando valido aiuto, aprire a se stessi, imparare a ascoltare e a comprendere la voce della propria interiorità in ciò che dice nel sentire e nei sogni, imparando con la sua guida a conoscere davvero e senza preconcetti, a rispettare e a amare tutto il proprio essere, ma ci si dà troppo spesso la  triste sorte di perseguire con perseveranza solo il rifiuto e la paura di se stessi.

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