E’ assai frequente in chi vive una situazione di sofferenza interiore la corsa precipitosa a cercare cause, in genere in altro da se stesso e soprattutto rimedi, dando per scontato che, se fa intima esperienza di difficoltà, di perdita di sicurezza e di fiducia, se imperversano interiormente paura, apprensione e angoscia in varia forma, cadute d’umore o altri “strani” grovigli o imperativi interni e tormenti, questo sia solo un guasto da sanare, una disfunzione dannosa da correggere. Chi è colto da malessere interiore è spesso allarmato, ma anche intollerante verso la sofferenza interiore, presto drammatizzata come trappola o sciagura, reclama come diritto il ritorno al normale solito, di corsa, per non farsi escludere dalla realtà conosciuta e comune, pensata come l'unica realtà possibile, assoluta, dimenticando o ignorando che reale è e diventa ogni passo avanti nella conoscenza e nella presa di coscienza personale, che può portare a concepire il nuovo, a fare la propria storia e non a fare lo spettatore o la comparsa nella storia comunemente raccontata e già allestita. E’ miope se non addirittura preoccupante, soprattutto se ciò coinvolge anche chi si sia dato il compito di dare aiuto e di curare, non riconoscere che l’interiorità dentro l'esperienza dolorosa segnala puntualmente ciò che vuole indurre a prendere sul serio, smontando illusioni e creando le basi, pur sofferte e scomode, di una presa di coscienza vera, di una trasformazione e di una crescita personale assolutamente necessarie e utili. Manca sia a chi è portatore di sofferenza, che al curante incline all'idea di cura come rimessa in ordine e come correzione di uno stato ritenuto pregiudizialmente anomalo e insano, la conoscenza dell'interiorità, del suo modo di proporsi, del significato della sofferenza interiore, manca il possesso di strumenti, come lo strumento riflessivo, la capacità di ascolto e di lettura del significato intimo del sentire, indispensabili per accogliere l'esperienza interiore sofferta e per comprenderne e valorizzarne la proposta. Impreparati a questo, senza consapevolezza che nulla dell'esperienza interiore è insensato e vuoto, semplicemente anomalo, protesi subito alla ricerca frettolosa di spiegazioni e soprattutto di rimedi, con l’idea che il disagio interiore sia comunque una irrazionale risposta e un limite da superare velocemente perchè nocivo, ci si acceca e si rende ancora più acuto il contrasto tra ciò che l'interiorità vuole testimoniare e promuovere e ciò che la parte cosiddetta conscia sentenzia e in affanno chiede e pretende: la normalizzazione. E' come non voler vedere ciò che il profondo dell‘individuo non vuole che si ignori più e cui chiede risposta matura e non atteggiamento sordo o qualche sciocco rimedio per aggirare il problema. C’è insomma spesso una completa incomprensione tra sguardo profondo che, senza far tanti complimenti, non concedendo tregua, vuole dare pungoli e indicazioni ferme e oneste, intelligenti e sagge di ciò che manca e che è critico, da chiarire, da verificare coraggiosamente e da trasformare di se stessi e lo sguardo della superficie razionale che, preoccupata più di stare in stretto legame e intesa con l'esterno che con il proprio intimo, non vuol saperne di contrattempi e ancora meno di ostacoli più seri al suo rimanere ignara, altrove da se stessi e da puntuali verifiche, in stato di qualsivoglia quiete o galleggiamento, purchè duri, senza grattacapi e intoppi.
sabato 11 aprile 2015
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