In difficoltà nel rapporto con se stessi, con
l’esperienza interiore di cui si è portatori, si è tentati spesso di applicare
a ciò che si vive una lettura tutta coerente con i modelli e col sistema di
valori e di giudizi dominanti. Ogni espressione di disagio diventa allora segno
di ritardo, di insufficienza, di incapacità di stare nel dritto e nel
"normale", diventa guasto, eccesso, vergogna, complicazione assurda
rispetto all’idea di un fluido, lineare, sicuro e fiducioso, oltre che
efficace, procedere. Insomma si fa propria l’idea che esista indiscutibilmente
una specie di fisiologia dell’essere, del modo di sentire e di condursi,
considerato appunto sano, regolare, normale e con questo riferimento e metro si
giudica il proprio sentire e ciò che interiormente si sperimenta. Non c'è alternativa,
in situazioni di malessere interiore solo la normalizzazione sembra concepibile
come buon esito e dovuto, come risposta desiderabile e giusta. Ci si convince
dunque di essere in uno stato di insufficienza e di difetto, di portare una
pena, una sofferenza che affligge e che procura solo danno e svantaggio a se
stessi e l’aiuto che si può cercare si inserisce in questa concezione stretta,
dev’essere aiuto che consenta di recuperare, di rimettersi in sella, di
guadagnare finalmente normalità e fisiologico modo di funzionare, togliendo,
vincendo quanto interiormente fa da freno, da ostacolo, da peso insopportabile.
Su questa strada si può essere tanto comprensivi e concessivi verso se stessi,
nel volersi concedere, come vittime di un che di sfavorevole, sollievo e
liberazione, quanto diffidenti e un po’ restii nel cercare aiuto, perché si
teme di dover dipendere da quel chi o da quel qualcosa che andrebbe, in vece e
in sostituzione di se stessi e dei propri sforzi, a consentire o a favorire la
ripresa, la normalizzazione, il superamento di quello scarto tra deficit e
normalità. In realtà nel proprio stato di difficoltà interiore c’è ben di più e
ben altro che una caduta dalla normalità, che uno stato di disgrazia di cui
compiangersi. La persuasione che un che di assurdo e di malato sia intervenuto
a bloccare, a intralciare un sano e valido procedere ha in sé e rivela non poca
miopia e incapacità di comprendere. C'è nel proprio malessere ben altro che il
segno di un guasto o di una patologia, c’è l’espressione di una divergenza di
sguardo e di visione circa la natura e la validità del proprio modo di essere e
di procedere di una parte tutt’altro che insignificante di se stessi, c’è il
segno della presa di posizione e della decisa iniziativa del proprio profondo
che, dentro e attraverso il malessere, preme e richiama, anche se ancora
incompreso, a guardare ben dentro se stessi, a capire, senza veli, il proprio
stato, a comprendere non tanto l’insufficienza o il ritardo rispetto alla
normalità, ma lo stato debole e soprattutto inautentico della realizzazione di sé
quando affidata nella sostanza all’andare dietro alla normalità come
riferimento, regola e supporto, lo stato di passività e di povertà di se stessi
insito nel proprio modo di procedere e di dare compimento alla propria vita. La
propria interiorità vuole rendere acutamente riconoscibile la condizione di non
radicamento dentro se stessi del proprio modo di essere, per mancanza di unità,
di vicinanza e intesa col proprio intimo, per mancanza, in ascolto e in scambio
col proprio intimo e profondo, di formazione e di sviluppo di risposte
originali, tratte da sè e consone a se stessi. La propria interiorità testimonia
e rende acuto attraverso l’ansia e il malessere interiore un senso di
fragilità, non per poca normalità acquisita e consolidata, ma per mancanza nel
proprio modo di essere e di procedere di fondamento e di consistenza propria.
E’ tutta un’altra storia costruire il rapporto con se stessi, ritrovare le
radici e il fondamento della vita in senso vero, cioè visione, idee e
convincimenti, capacità di orientamento a partire da se stessi, imparare a
capire ciò che si è davvero, ciò che vive dentro se stessi e non ciò che si
muove fuori. Sintonizzarsi con l'esterno (la cosiddetta realtà), seguire i
corsi d'esperienza già tracciati, omologarsi a questi e, anche quando in
polemica e in contrasto, rimanere comunque in appoggio alle idee e ai
modelli in uso e in auge, stare in
connessione con gli svolgimenti esterni è una cosa, sintonizzarsi col proprio
sentire, con il proprio mondo interiore e esperienza interna, per cominciare a
vedere tutto con i propri occhi, a capire da sè e in unità con se stessi è
un’altra cosa, tutt’altra cosa. Questa di trarre da sè conoscenza e capacità di
visione che non sia ingenua, sbrigativa e improvvisata, che sia invece ben
fondata, credibile perché verificata, valida e affidabile è ipotesi remota,
anzi del tutto ignota e neppure concepibile per la maggior parte delle persone.
Ai più sembra necessario attingere e avvalersi d'altro per sostenere, formare
il proprio pensiero e sostenere la propria crescita, lo sviluppo dei propri
mezzi per orientarsi, per capire, per realizzarsi, per conoscere ogni cosa,
anche se stessi. Dunque che da dentro se stessi arrivi l'invito a entrare in
sintonia con sè, a raccogliere dentro il proprio sentire, attingendo alla
ricchezza e alla straordinaria capacità propositiva dei sogni, le guide e i
percorsi per conoscersi, per trovare risposte e punti base e poi sviluppi di
conoscenza essenziali per orientarsi da sè, per non farsi dire ciò che di sè e
che per sè è valido e possibile, ciò che è ad esempio normale sano e ciò che
non lo è, tutto questo pare inconcepibile, tanta forza ha lo stare ormai al
traino, la necessità, perché si possa far conto su qualcosa di valido, di
attendibile e affidabile, di farsi rifornire di conoscenze, di idee prese da
istruzione e apprendimento, da mentalità e da comuni usi e esempi, da fonti
altre, da autorità presunte, rese ormai imprescindibili, indiscutibili.
Malgrado questo e proprio per rendere consapevole questo modo passivo e
acquiescente di intendere e di procedere dentro guide e limiti dati, per
mettere sotto il proprio sguardo ciò che illusoriamente pare pensiero proprio e
che in realtà è eco e replica d'altro, assunto a priori e privo di verifica da
parte propria, perciò incongruo rispetto a ciò che l’esercizio della propria
ricerca e in stretta consonanza con se stessi potrebbe generare, la parte
intima e profonda interviene e non cessa di interferire, anche con mano decisa.
Il rischio di farsi portare, alla cieca e sprovvisti di una scoperta di se
stessi e di una lettura autonoma dei significati, dei perché, di ciò che per sé
vale, verso esiti e svolgimenti della propria vita non coerenti con ciò che da
sé potrebbe nascere e definirsi come progetto e scopo, è rischio non da poco,
che la parte profonda sa vedere, vagliare e che la spinge a intervenire, a
interferire. Necessario allora, nel proprio interesse, per non privarsi di un
apporto prezioso che viene da dentro, per non opporre rifiuto e pregiudizio
negativo sul conto di ciò che può essere valido e prezioso, capace di
restituire libertà e autonomia vere, aprire un confronto con questa parte
intima di sè, evitando di bollare subito come espressione di guasto e di
anomalia se non di patologia ciò che l’interiorità mette in atto e che vuole
essere forte richiamo e base di interrogativi, di necessità finalmente di
capirsi, di conoscersi, di crescere davvero. Per formare unità e dialogo con se
stessi, di cui si è spesso totalmente privi, per questo scopo e non per
contrastare o per normalizzare il quadro interiore, serve sì un aiuto, che
sappia condurre prima di tutto a non fuggire ma ad avvicinarsi a se stessi,
alla propria esperienza interiore, al proprio sentire, ai propri sogni, per
imparare ad ascoltarli, a comprenderli, a raccoglierne l'originalità e la
ricchezza di proposta. E' questo un aiuto non per riacciuffare la normalità,
per ripristinare a testa bassa il solito procedere, ma per congiungersi a se
stessi, per arricchirsi di se stessi, per formare un nuovo modo di stare al
mondo, il proprio autentico e originale, che poggi su proprie scoperte,
conoscenze e verifiche, su proprio metro e non su quello comune della
normalità, della fisiologia dell’essere. La sofferenza interiore non evidenzia
e non testimonia difetto e insufficienza verso la normalità, ma rischio, presente
nel proprio modo di essere e di procedere abituali, di distorsione e di
mancanza di fedeltà e di unità con se stessi, rischio di fallimento dei propri
scopi che, ancora ignorati, potrebbero rimanere sepolti. Cosa serve fare? Si
può fare da soli? E' frequente che chi vive difficoltà interiore dica a se
stesso e si senta dire che dovrebbe fare da sè, non dipendere, sforzarsi di
"reagire", non farsi dare o sostituire in ciò, volontà e impegno, che
potrebbe ben chiedere a se stesso. Se si trattasse di applicarsi a seguire
ancora il modello comune e a rientrare nella fisiologia dell’essere, il
ragionamento non farebbe una piega. Se il problema però è formare e coltivare
quel che ancora non c’è, ben diverso è ciò di cui si ha necessità per
perseguire questo scopo. E' uno sviluppo del tutto nuovo quello di cercare e di
trovare unità con se stessi, di formare capacità di ascoltare e di capire la
propria interiorità, capacità di assecondarla nel proposito di esistere, di
coltivare e di sviluppare il proprio pensiero e visione, il proprio progetto.
Per essere normali basta farsi portare e sintonizzarsi col programma comune,
condizione provata e riprovata, ben conosciuta nel tempo, basta sforzarsi di
rimettersi in pista, mentre per esistere secondo se stessi e per conquistare
autonomia vera nel governo della propria vita serve unirsi a se stessi, al
proprio profondo, imparare a capirlo, per vedere, col suo supporto e guida, le
cose da sé, per trovare la propria consistenza. C’è un aiuto che si può cercare
e che non toglie, che non sostituisce quanto si può trarre da sè, ma che
favorisce viceversa il proprio andare verso se stessi, l'attingere e il
rinascere da se stessi.
domenica 10 novembre 2024
La ricerca di aiuto
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