sabato 22 giugno 2024

Il lavoro dell'inconscio

(Ripropongo oggi questo mio scritto, perchè ritengo possa aiutare a comprendere ciò che l'inconscio può offrire e a sentire più vicina questa parte preziosa e irrinunciabile del nostro essere)

L'inconscio interviene di continuo nella nostra esperienza, sia attraverso i vissuti (il nostro sentire) e governando nel suo insieme il corso della nostra vicenda interna, sia in modo privilegiato, illuminando il nostro cammino interiore, con i sogni. Contro i tentativi, avvalendoci dell'iniziativa e del filtro della razionalità, di mantenere sostanzialmente intatta e a noi compiacente la nostra visione di noi stessi (tanti accadimenti interiori fastidiosi o imbarazzanti passati sotto silenzio, lasciati scorrere via o fraintesi e manipolati a piacimento col ragionamento), l'inconscio non ha pudore, "pietà" o riserbo di intervenire e di insistere, senza chiedere permesso e sorprendendoci, perché di noi sappiamo, vediamo, cogliamo ciò che importa, il vero. L'inconscio è attivo perché non rimaniamo passivi o altro da noi stessi. Per passività intendo il quieto aderire al dato e al pensato comune e abituale, la riproduzione di un pensiero e di una visione di noi stessi che, se anche in apparenza convincenti e verosimili, in realtà altro non fanno se non ripetere ciò che già è stato concepito e detto, ciò che ci torna comodo credere. L'inconscio è la parte di noi che agisce e che lavora perché non evadiamo da noi stessi, perché sappiamo di noi, perché transitiamo nelle pieghe del nostro essere, perché vediamo, anche a costo di ferirci e di soffrire, ciò che ci spetta, ciò che ci è necessario conoscere. Nulla di ciò che si propone a noi nel nostro sentire è casuale, bensì è traccia e guida per prendere contatto e conoscenza viva di aspetti del nostro essere, del nostro modo di procedere, di questioni, anche non semplici, che abbiamo vitale necessità di elaborare, di capire. L'inconscio suggerisce e offre di continuo attraverso il sentire spunti, occasioni, crea trame e sviluppi utili per capire. Il lavoro dell'inconscio raggiunge il suo apice creativo nei sogni, che, se ben intesi, analizzati e compresi, si rivelano impareggiabili mezzi per guardare dentro noi stessi, per conoscere, per crescere. Se compreso e fatto proprio l'aiuto dell'inconscio è assolutamente decisivo per trovare il proprio spessore umano e di pensiero, per scoprire le proprie vere potenzialità e il proprio progetto. Accade però che, ignari e impreparati a tutto questo, ci si senta non di rado delusi o semplicemente disturbati da ciò che succede dentro se stessi, che si giudichino le esperienze interiori (che per intero l'inconscio regola e dirige), quando discordanti dalle attese o disagevoli, come inopportune, come limitanti, come dannose, arrivando, se  insistono, a definirle un disturbo, una patologia. Diffusa e prevalente la tendenza a escogitare, a farsi consigliare, a applicare rimedi, spiegazioni che aiutino a ripianare, a mettere a tacere l'esperienza interiore scomoda e sofferta. La psicoterapia stessa è spesso cercata e non di rado nasce con simili auspici, in contrapposizione a parte di sé interna vissuta come nemica, con desiderio di disarmarla, di rimetterla in riga o di erigere una sicura barriera contro ciò che sembra solo molesto, pericoloso e incoerente. L'inconscio non si fa plagiare e zittire. Se aveva ragione di smuovere, di porre in crisi la stabilità interiore per favorire sviluppi, processi conoscitivi nuovi, cambiamenti necessari, se inascoltato e incompreso, seguiterà nel tempo e con rinnovata forza a riaprire la ferita, pur col rischio che si torni ottusamente a parlare di semplice ripresa del disturbo, di "ricaduta" di malattia e che si torni a schierarsi contro l'iniziativa interiore anziché disporsi ad ascoltarla e a capire. Nel rapporto con esperienze interiori difficili e sofferte il vero problema, la vera insufficienza o anomalia non è nel (presunto) corso sbagliato o insano di ciò che si prova, che si vive interiormente, anche se doloroso e accidentato, ma sta nel non essere capaci di entrare in rapporto e in dialogo con la propria esperienza interiore, con l'inconscio, sta nel non avere ancora capacità e opportunità di capire. Cominciare a fidarsi della propria interiorità, fino ad aprirsi totalmente e senza preclusioni al proprio corso interiore, imparare ad ascoltare la voce e a cogliere l'intima proposta del proprio sentire, capacitarsi dello straordinario lavoro svolto dal proprio inconscio dentro i sogni, intenderlo, capirlo, assimilarlo, farlo proprio, seguire con attenzione il percorso di ricerca e di trasformazione tracciato dall'inconscio attraverso il succedersi dei sogni e dei vissuti... questo un'esperienza analitica ben fatta cerca, fa vivere e realizza. L'inconscio apre crisi, movimenta il quadro interiore, rompe equilibri, per condurci con fermezza, costi quel che costi, verso noi stessi, verso la nostra capacità vera di vedere con i nostri occhi, di pensare, un pensare che abbia guida e fondamento dentro ciò che sperimentiamo intimamente, che sia comprensione fedele della nostra esperienza. Il nostro inconscio spinge perché, non ignari di ciò che siamo e che possiamo, mettiamo al mondo il nostro. Come analista da oltre vent'anni lavoro avendo per maestro l'inconscio. Se aiuto l'altro a rivolgersi alla sua interiorità, all'ascolto del suo profondo, so di non fargli acquisire un armamentario inutile di formule e di spiegazioni, so di non condannarlo a rimanere vittima del suo corto respiro e pensiero, ingabbiato dentro una visione di sé e delle sue possibilità precostituita e chiusa, ma so di avvicinarlo alla fonte della sua conoscenza e della sua rinascita come individuo davvero autonomo, capace di trovare la sua guida dentro se stesso e di dare volto e contenuto propri alla propria vita. (16/4/2007)

mercoledì 19 giugno 2024

Ingenuità e incanto

Com'è facile la presa, la capacità di coinvolgimento di quanto è pronto e ben organizzato, quando, ignari di sè, digiuni di scoperte proprie, si è pronti a farsi istruire e dire, stimolare e variamente soddisfare! Ogni potenziale espressione di se stessi trova aggancio e volano e l'ingenuità di non sapere, di non avere trovato dentro e attraverso di sè risposte originali e congeniali, di non averle cercate e coltivate, fa da slancio a abbracciare in un moto di irresistibile attrattiva ciò che sembra dare occasione di espressione e di realizzazione propria. Accade e non raramente, anzi è la normalità, perciò questo movimento a aderire trova nel così fan tutti ancora più forza di persuasione. Conoscere diventa istruirsi, acculturarsi, casomai viaggiare per darsi nuovi orizzonti, gioire diventa fruire di uso e consumo di piattaforme del divertimento, di quanto è offerto di godibile, di quanto è esaltato di feste organizzate, di appuntamenti da non perdere e di legami da afferrare e di cui non essere privi, la realizzazione personale e la conquista di traguardi significativi diventano la corsa alla carriera, le promozioni e gli attestati vari e quanto dà segno di eccellenza e di raggiungimento di qualche vetta o primato, senza dimenticare che c'è poi, per alcuni a complemento, per altri a consolazione, la conquista mediata e per procura abbracciando una bandiera, tifando per un qualche eroe sportivo, sposando un credo, una ideologia con ben imbanditi valori e ideali, senza scordare che per uscire dalla noia dell'appiattimento del gusto e dell'interesse c'è la tv o la rete, c'è la vita dei famosi da spiare a compensazione di una vita, la propria, lasciata nelle secche dell'inconsapevolezza e dell'abbandono. Com'è bello e seducente il mondo che offre tante risposte e soluzioni pronte e che diventa e si autoproclama come la realtà, la realtà in assoluto come imprescindibile luogo dove stare e tenere ben attivo l'interesse e l'attaccamento, come se null'altro possa esistere e essere riconosciuto come reale e degno di essere abitato, coltivato, amato e fatto vivere e crescere! C'è una parte di se stessi che non cade nell'irretimento, che sa vedere e distinguere il vero dal fasullo, il promettente dal tutt'altro che quello se visto attentamente, che sa riconoscere il risucchio dell'umano nel programmato e già plasmato, che non ha intenzione di rinunciare a rendere acutamente visibile il vero, che non intende desistere dal proporre e dal promuovere altro dall'andare dietro e dal farsi governare da soluzioni e da risposte pronte, che rilancia con insistenza  l'idea "folle" di cercare dentro sè risposte e punti chiave di orientamento, di portare a maturazione autonoma visione, di non concedere a altro di menare le danze, l'idea folle di diventare creatori di un proprio pensiero e scopritori di una idea di vita e di un progetto autonomi e forti di sostanza, di lucida consapevolezza e di  risorse proprie. Questa parte non desiste, dà segnali continui nel sentire e offre con i sogni, preziosissima risorsa, pensiero vero che guarda dentro e in profondità, non ammaestrato e non fotocopia del comune pensato. E' una parte intima e profonda che spinge verso la consapevolezza, che non asseconda ingenuità e incanto, leve e garanzie del perdersi nel realizzarsi secondo stampo. Non ha altra ragione e altro senso il malessere interiore, che il profondo anima e acutizza, non ha altro scopo, anche se stravolgerne la lettura e il significato e considerarlo disturbo o patologia da sanare è operazione assai frequente, normale. Il profondo non rinuncia a spingere per la propria personale  realizzazione vera, per far aprire gli occhi sul vero prima di tutto, per togliere il pensiero dalle nebbie delle certezze prese in prestito, ignare di cosa si sta facendo di se stessi.

domenica 16 giugno 2024

Raccontarsi

Il modo di raccontarsi, sia che lo si faccia in modo appartato con se stessi, sia che lo si faccia in presenza di altri, è spesso decentrato, finendo così e non per caso per racchiudere non poche forzature e omissioni, per vedere l'impiego di più o meno sottili accomodamenti, il ricorso a manipolazioni, a abbellimenti e trucchi, fino alla creazione di veri e propri artefatti. E' decentrato il racconto di sè che non converge sul nucleo del vero, che non fa perno sui vissuti, sul corso vivo del sentire che dentro l'esperienza è la testimonianza, la voce che non mente, il terreno vivo dove è ben documentato il vero. Il racconto decentrato, svincolato dall'intimo che rivela, dal cuore vivo dell'esperienza, viaggia libero, permette di dire in lungo e in largo a piacimento, di forgiare ciò che con parvenza di essere vero, di fatto è solo verosimile. Che questo racconto simil vero sia tessuto in modo grossolano o fine e ben curato poco cambia, sta di fatto che la convenienza del rimodellamento, vuoi per stupire e attrarre plauso, vuoi per stare al riparo da giudizi negativi, vuoi ancora per darsi conferma in ciò che si gradisce pensare di se stessi, il prezzo del sacrificio del vero è ben e volentieri pagato. Va anche considerato che è tale l'abitudine a tenere lo sguardo in superficie e docilmente al seguito del pensato abituale, che tanto è debitore del pensato comune e prevalente, che scarseggia nel raccontarsi tanto la materia prima del racconto veritiero quanto la sensibilità, il metodo e l'attitudine alla ricerca del vero, al suo rispetto. Di quanto si perda di se stessi e della propria storia, di ciò che racchiude, che avrebbe potuto e che potrebbe dare nutrimento alla conoscenza di stessi e alla propria crescita autentica, non è bilancio e valutazione che prema fare o considerare. Persi dietro alle regole del buon figurare, vincolati al bisogno di difendere la parvenza di sè cui si è affezionati, cui è data delega di rappresentare il valore personale, su cui si stringe e si riscalda l'amor proprio, non si ha cura di mettere in discussione e di vagliare il peso e le conseguenze delle forzature del racconto che si conduce, forzature che pure non sfuggono al proprio sguardo. Ragioni di interesse maggiore rendono tutto lecito e ben accetto, l'importante è portare a casa la buona riuscita, la bella figura, la gratificazione del consenso. Le pieghe del racconto possono essere quelle gloriose, sempre a mostrare idoneità e merito di essere all'altezza, capacità di riuscita, oppure quelle del sempre ben accetto vittimismo, dove tutto il negativo, il mancato o il mal riuscito è messo in conto ad altro, dove ciò che conta è essere sempre solo in credito, mai in debito, verso se stessi prima di tutto, di responsabilità da cercare, da evidenziare con cura e onestamente, senza sconti. Maturi si vuole dimostrare di esserlo, ma sempre per merito, per impeccabilità e innocenza, maturità da applausi, maturità del bell'apparire. Così gira, così si ama far girare il racconto di se stessi. 

domenica 9 giugno 2024

Il passato

E' convinzione molto diffusa che, per capire esperienze e situazioni interiori difficili di oggi, si debba risalire al passato. Se l'intento, rivolgendo lo sguardo al passato, è di individuare le cause che spieghino il malessere attuale, l'auspicio è, una volta trovate le cause, di potersi liberare di una condizione interiore giudicata senza alcun dubbio anomala e capace solo di procurare danno e impedimento a un sano modo di vivere e di procedere. E' un modo comune e ricorrente di rapportarsi alla crisi e al malessere interiore, che non appartiene solo a chi ne è coinvolto, ma che trova conferma e diventa asse portante di molte esperienze di psicoterapia. Di fatto la ricerca che, distraendosi rapidamente dall'ascolto del sentire vivo di oggi, si rivolge al passato per cercare le presunte cause del malessere attuale, segna una fuga dall'incontro col presente della propria vicenda interiore, segno dell'incapacità di entrare in rapporto con la propria interiorità, che, dentro e attraverso il sentire disagevole e sofferto, dice, comunica e avanza oggi proposte. Sono proposte utili e importanti, che, girando lo sguardo altrove sul passato, persuasi che il malessere sia solo una situazione anomala e nociva di cui liberarsi, non sono raccolte e comprese. C'è una domanda che però va posta. Esiste un nesso, un legame significativo tra la vicenda interiore dell'oggi e quanto è stato vissuto e si è reso acuto in momenti e in  passaggi precedenti della propria storia interiore? Certamente gli svolgimenti interiori del presente sono in continuità e in relazione significativa con il cammino fino a oggi compiuto. Il passato, il proprio passato, cui in genere si vuole attribuire un peso determinante per capire se stessi e le problematiche attuali, se lo si vuole davvero comprendere e valorizzare, va però recuperato e riscoperto correttamente, non come una selezione ad arte di fatti, di episodi traumatici, di incidenti e di condizionamenti subiti, dove la parte decisiva e determinante è consegnata alla famiglia, all'ambiente, all'educazione e simili, ma come un cammino in cui, anche nei passaggi più ardui, non si è mai stati semplici oggetti passivi. Viceversa, nel succedersi delle vicende personali, il cammino d'esperienza ha visto al centro momenti e passaggi interiori anche complessi di cui si è stati intimamente parte attiva e protagonisti, che, già a volte nella elaborazione immediata e poi soprattutto nel ricordo, sono stati spesso appiattiti, offuscati o del tutto ignorati. Si tende infatti nelle ricostruzioni, nelle rivisitazioni del passato a mettere in primo piano il peso dei fattori esterni, trascurando invece la riscoperta del filo interno di vissuti, di spinte, di risposte intime, che dell'esperienza sono state invece il nucleo centrale, l'anima, la parte essenziale. La vera storia personale non è primariamente fatta o riducibile a quel che altro o altri hanno fatto nei propri confronti e condizionato, ipotizzando tra l'azione del fuori e le risposte del proprio dentro una semplice relazione automatica e meccanica di causa e effetto, ma è da ritrovarsi in quel che, passo dopo passo, è successo interiormente, dove tutto si è svolto in modo ben più autonomo e complesso. In quegli svolgimenti interiori infatti il proprio profondo si è reso presente, ha ripetutamente preso iniziativa e attraverso il sentire ha dato segnali, indicazioni per evidenziare, per rendere riconoscibile nell'esperienza in corso prima di tutto la parte svolta e spettante a se stessi, ciò che si è espresso, che si è fatto. Nei diversi momenti l'inconscio ha, attraverso i vissuti che ha generato, incoraggiato e sostenuto l'impegno e la capacità di lettura autonoma dell'esperienza, la scoperta o l'intuizione di significati importanti, ha stimolato l'insorgere di interrogativi, ha reso acutamente riconoscibili nel vissuto i contrasti, il proprio modo di trattarli e di dare risposta, non ha mai messo in secondo piano la propria personale responsabilità. Non c'è un passato in cui si sia stati semplicemente materia plasmata e, in un modo o nell'altro, la conseguenza e la risultante, le "vittime" di quanto fatto da altri e determinato da circostanze e da fattori esterni, c'è un passato dove, pur non indifferenti alle influenze esterne, pur interiorizzando modi di vedere e di reagire presenti nell'educazione, il filo interno delle vicende e dei passaggi interiori, carichi di significato e di implicazioni importanti, con al centro se stessi, con se stessi in posizione non inerte nel modo di cogliere i significati, è sempre stato interiormente in primo piano. Ciò che l'esperienza interiore nel passato come nel presente è stata e è capace di dire è ben diverso da ciò che spesso si tende a raccontarsi e a spiegare, è ben altro rispetto a certe letture dell'esperienza, niente affatto rare, che cercano cause e spiegazioni chiamando in causa principalmente altri e l'esterno. Il corso dei vissuti, degli accadimenti interiori, ciò che si è mosso e che si muove sulla scena intima è regolato e mosso dal nostro profondo, che in ogni momento vuole mettere in primo piano in ciò che ci accade ciò che ci spetta, che ci coinvolge, spingendoci a cogliere significati anche di notevole profondità, per non lasciarci inconsapevoli e sprovveduti. Nella complessità del sentire, che fin da piccoli accompagna la propria esperienza, riconosciuto e rispettato nella sua integrità e completezza, come possono essere rintracciati i segni di spinte, di risposte interiori originali, di intuizioni capaci di portare il proprio sguardo al di là o in disaccordo con le idee e con la logica dell'ambiente circostante, così non sono taciute la tendenza a scansare e a scaricare interrogativi e difficoltà, a porsi al riparo da tensioni conflittuali, a muoversi nell'adattamento e nell'adesione a ciò che è prevalente e comune, la tendenza a cercare scorciatoie e soluzioni a portata di mano e conformi all'esempio dei più, evitando incognite e carichi personali più gravosi e incerti, seppure per scopi più sentiti e autentici. La parte profonda del nostro essere ha sempre fin dal principio del nostro cammino di vita reso tangibile la sua presenza, non ha mai mancato di dare stimoli e spunti per capire, per approfondire, per metterci allo specchio, per conoscerci nel vero, per capire per tempo questioni centrali, per non esserne ignari, non ha mai trascurato di stimolare la nostra potenzialità di prendere consapevolezza, di crescere in autonomia di pensiero e in fedeltà a noi stessi. L'infanzia non è un tempo di soli giochi, di assenza di responsabilità e spensieratezza, non di rado si affaccia la percezione di questioni importanti, si fanno strada inquietudini non insignificanti. I sogni stessi sono esperienza che fin dai primi passi della propria vita accompagna il cammino personale. L'inconscio interviene e è promotore non dell'adattamento, della presa dipendente da altro che guidi e orienti, che dia risposte e indichi traguardi, che definisca ciò che vale e in cosa si è riconosciuti come di valore, l'inconscio viceversa dà continui spunti e richiami per aprire gli occhi, per trovare da sè risposte, per crescere in autonomia di sguardo e di ricerca. Mi è capitato in alcune occasioni con individui adulti, durante il percorso analitico, di riavvicinare sogni da loro fatti in età infantile, anche molto indietro nel tempo. Motivo di una simile ricerca il rimando presente in sogni fatti oggi a quei sogni remoti. Ebbene quei sogni dell'infanzia già delineavano temi e nodi diventati nel presente cruciali e oggetto di riflessione più avanzata e di ricerca. L'inconscio è presente da sempre nella vita di ognuno e fin dai primi passi fa sentire la sua voce sia nei sogni, sia contrappuntando l'esperienza in ogni momento con vissuti, con stati d'animo, con emozioni, con l'articolarsi di momenti interiori utili per capire i punti decisivi e veri, per alimentare il confronto e il dialogo con se stessi, per cominciare a attrezzarsi di consapevolezza utile e necessaria per cercare la propria strada, per non subire la regola comune e per non appiattirsi sulle concezioni prevalenti. Se è accaduto che in parte questi momenti interiori, perché incisivi e forti, siano stati sentiti cruciali, riconoscendo se stessi soggetti e parte in gioco saliente e decisiva nell'esperienza, non meno delle azioni dell'ambiente, è però successo anche che via via ci si allontanasse dalla vicenda intima per stare sempre più nelle secche del ragionare e del fare, dando primato e prevalente attenzione a circostanze e a condizioni esterne, all'agire piuttosto che al sentire, con gli occhi tutti puntati fuori, fino a abituarsi a considerare decisivo ogni fattore esterno, fino a definire realtà solo quell'insieme e quello scenario esterni. Ho svolto questa riflessione per far capire che, se il passato personale ha valore, lo ha se riconosciuto nella sua vera natura di cammino interiore, unico e originale e non, come nelle ricostruzioni parziali e sostanzialmente infedeli, come racconto fatto soprattutto o soltanto di condizionamenti, di influenze esterne, di reazioni quasi automatiche e condizionate dall'agire di qualcosa di esterno e altrui, di semplice interiorizzazione di modi e di atteggiamenti assorbiti da figure influenti, cancellando o minimizzando tutto l'intimo della propria esperienza. Compiere questa semplificazione e riduzione del proprio a conseguenza dell'agire altrui e di altrui responsabilità è un'operazione di comodo, che libera se stessi da ogni carico e responsabilità nell'accertare e trovare il vero, nel riconoscersi soggetti del proprio destino, delle proprie scelte. Tanto è comoda questa modalità di trattare la propria esperienza, che enfatizzando il peso e l'incidenza di fattori esterni, oscura e non riconosce il primato di ciò che spetta a sé e che è rintracciabile nella propria esperienza interiore, quanto è deleteria per il proprio interesse di recuperare la propria visione delle cose e tutto il proprio potenziale di scoperte e di crescita. Se ci si priva del rapporto col proprio materiale vivo di esperienza, da cui può nascere conoscenza, autonomia e forza di pensiero, capacità di cambiamento, ne consegue che più facilmente e tenacemente ci si lega a altro e a altri e se ne dipende, ci si rifà a idee e modelli comuni e ci si fa portare, anche quando si insista nel contestarli, nel ribellarsi e contrapporsi. La modalità di ridurre tutto a responsabilità, a colpe o a potere di condizionamento di altro e di altri, applicata con più agio al passato, dove le "ricostruzioni" che appiattiscono il proprio e lo riducono a conseguenza d'altro, sono più facili, agevolate dalla distanza temporale che separa dagli accadimenti, è comunque ricorrente anche nel rapporto con l'esperienza attuale. Urge dunque imparare a leggere la propria esperienza, dando riconoscimento e aprendo riflessione su ciò che interiormente si prova, perché è lì che c'è il vero e tutto il potenziale che porta a capirsi, senza semplificazioni e omissioni, a trovare sintonia con se stessi e possibilità di ritrovarsi, di sviluppare il proprio originale pensiero, di crescere in autonomia e in fedeltà a se stessi. Se si lavora sul presente è più efficace questa ricerca, perché tutto dell'esperienza vissuta, del sentire, in tutte le sue espressioni e movimenti, capaci di aprire alla comprensione del vero, è vicino, è vivo e attuale. In ogni caso anche dove ci si aprisse al confronto con momenti e esperienze del proprio passato, è importante rispettare la stessa esigenza di mettere in primo piano e fedelmente ciò che interiormente si è vissuto, per non manipolare la propria storia, per non appiattirla, rendendola sì utile allo scarico di ogni personale responsabilità, alla costruzione di teoremi liberatori attorno al perché dei propri problemi e difficoltà, ma nello stesso tempo svuotandola e privandosi di ciò che potrebbe arricchire, nutrire la conoscenza di se stessi. Il presente, ciò che oggi la propria interiorità sta proponendo e promuovendo è il cuore della ricerca a cui rivolgersi prima di tutto, ma c'è un che di unitario, un filo che unisce il presente e ciò che sta nascendo col passato, col proprio passato. Il cammino, passato e presente, se visto e compreso dall'interno e col contributo fondamentale del profondo, è il proprio cammino, lo è e lo è sempre stato fin dai primi passi. 

mercoledì 5 giugno 2024

Cos'è disfunzionale?

Il termine “disfunzionale” è molto usato, particolarmente nell'ambito della psicoterapia cognitivo comportamentale. Sposa e asseconda perfettamente l'idea comune che ritiene che quando in ciò che si prova, nelle proprie risposte interiori e nei modi di vivere le diverse situazioni, c'è qualcosa che non asseconda le attese e che si scosta da ciò che è solitamente giudicato normale e valido, ci sia un difetto, un funzionamento e una reazione anomali e controproducenti, non utili, anzi dannosi per i propri interessi. Tutto concorda e converge nell'idea della bontà di un intervento curativo volto a ottenere un modo (ritenuto) favorevole e sensato di reagire e di procedere. Muovendo dalla persuasione che ci sia una anomalia nel sentire, ci si dispone a contrastarla, provando a contenerla con farmaci o con tecniche di rilassamento, proponendosi di correggerla, come nella psicoterapia cognitivo comportamentale, con interventi su (supposti) modi errati, disfunzionali di leggere e di pensare le diverse situazioni, che condizionerebbero la risposta emotiva, la reazione giudicata incongrua e limitante, nociva per i propri interessi. La correzione si propone pertanto di ottenere che i modi e le risposte date alle diverse situazioni siano finalmente corretti e validi, favorenti i propri interessi. Tutto sembra non fare una grinza. C'è però, a starci attenti, il rischio di rimanere imprigionati in un modo cieco di intendere le cose. In presenza di ciò che accade interiormente si tende a piegare all'arbitrio della ragione ciò che una parte di se stessi, intima e profonda, sta mettendo in campo nel sentire, bollato subito, se non piacevole e discordante con le aspettative, come anomalo e sbagliato, privo di senso e dannoso. Se ci si leva dalla posizione intransigente e rigida di chi vuole imporre la verità e la regola a ciò che non conosce, in questo caso a una parte di sè poco o nulla conosciuta, può aprirsi una riflessione e riconsiderazione davvero utile e “funzionale” a non rimanere intrappolati nel pregiudizio e in schemi rigidi. Tutto allora può mostrarsi sotto una luce ben diversa. Tenendo conto dello stato del rapporto con se stessi, spesso di lontananza e di non conoscenza del proprio intimo e profondo, disfunzionale, se proprio si vuole usare questo termine, è il proprio non riuscire, in presenza di un malessere interiore e di risposte interiori a prima vista strane e poco piacevoli (siano esse ansia, fobie o altro), a comunicare con se stessi, con ciò che si sente. Disfunzionale, cioè limitante e non idoneo a sostenere i propri veri interessi, è non saper fare proprio ciò che il proprio sentire vuole dire e far intendere, è non comprendere cosa la parte intima, profonda di se stessi vuole condurre a capire di sè, della propria condizione vera. Disfunzionale è insistere nel ripetersi le solite cose, nel volere che tutto giri e proceda a senso unico di marcia, nel concepire come difetto di funzionamento da correggere, per rilanciare il consueto, ciò che invece ha tutt’altro senso, importanza e valore e che origina da tutt’altro sguardo, non estraneo e alieno, ma profondamente proprio, insito nel profondo del proprio essere. Se l'esperienza interiore disagevole che si vive di fatto è stata così insistente e continua a incidere con forza, se ha intralciato e intralcia l’iniziativa verso l'esterno, se non  consente di aderire ai richiami della cosiddetta normalità, del cosiddetto normale funzionamento, con tutte le sue regole, tipo la necessità di provarsi che si è capaci come tutti (sarà poi vero proprio tutti?) di stare sereni e di godersi la vita, è per condurre quasi a forza a convergere su di sè, a portare tutta la propria attenzione su se stessi, perché ci sono in gioco necessità fondamentali di cui prendere consapevolezza e cui provvedere. Alla parte profonda non importa nulla di garantire e di perseguire la normalità, che si faccia come tutti, che si mantenga o si raggiunga quell'efficienza lì, al profondo interessa che si metta assieme ciò che manca e che sinora non si è cercato e costruito: intesa e unità con se stessi, un bagaglio di conoscenze di sè e di guide valide perché non ci si perda, perché, pur illusi di essere artefici delle proprie scelte, non ci si faccia guidare e persuadere da altro, perché invece, compreso cosa profondamente appartiene, si sappia far vivere con fiducia, con determinazione e con passione ciò che si è, che è autenticamente proprio. La lettura in termini disfunzionali di ciò che si  sente e di ciò che interiormente accade, anche se sembra sostenuto da buon senso, anche se sembra una lettura quasi ovvia, non coglie in realtà, non riconosce il significato vero di ciò che la propria interiorità  sta procurando: un forte richiamo, un invito pressante a occuparsi di se stessi, a riconoscere l’inconsistenza delle attuali basi di riferimento e di appoggio, la disunione con se stessi, la spinta a costruire ciò che manca, a comporre l'unità con se stessi di cui non si dispone. Il proprio sentire oggi è come un che di estraneo. La necessità vera non è di proseguire indisturbati, di uscire, fare, procedere come sempre, senza più impedimenti e paura che attanagli, la vera urgenza e priorità, che la parte profonda del proprio essere non ignora, è di costruire un nuovo rapporto con se stessi, di coltivare , in stretto rapporto e dialogo col  profondo (rapporto e dialogo che qualcuno dovrebbe aiutare a cercare e a sviluppare, questa la terapia) ciò che  serve per avere una identità davvero propria e un bagaglio di scoperte, di conoscenze, una nuova  condizione di unità e di sintonia con se stessi, di cui si è privi. Ci si dà come regola quella di ristabilire o di raggiungere la normalità, di riuscire a andare, a fare questo o quello come fan tutti, intendendo questa come la giusta e ovvia regola funzionale per se stessi, perciò ci si definisce e ci si lascia definire come disfunzionali, convinti che sia questo il bene da inseguire, convinti che sia verità evidente che saper vivere significhi ottenere le prestazioni che oggi sono non casualmente intralciate da una parte di se stessi. Questa parte di sè profonda ha giustamente e saggiamente in mente altro per se stessi come urgenza e come bene da cercare e da costruire per affrontare, poggiando saldamente su di sè, con piena aderenza e sintonia col proprio intimo, con capacità di scoprire e sapere cosa si vuole e come lo si vuole, il proprio futuro. I segnali che la parte profonda dà nel sentire sono tutt’altro che segni di malfunzionamento, che risposte alterate che nuocciono e fanno solo danno. Se la costruzione della propria personalità e dell’impianto della propria vita è malfatta, più a copia d’altro, che di matrice propria, se è posticcia e inautentica, perciò incapace di garantire la propria vera e originale realizzazione, l’ansia, il senso di fragilità, di instabilità e di pericolo cui in simili condizioni si è esposti ha sì o no un senso e una capacità di dire? Disfunzionale non è il proprio sentire nelle sue espressioni solo in apparenza sgangherate e anomale, ma è stare al di qua della presa di coscienza del vero di se stessi e della propria condizione, della necessità di profondo cambiamento, che quel sentire sta spingendo a riconoscere, disfunzionale e niente affatto favorevole ai propri interessi è dare per affidabile la marcia solita, insistendo sulla tenuta e sul rilancio di un modello astratto di efficienza e di capacità di riuscita, non dando retta ai richiami intimi e profondi, tutt’altro che stupidi e insensati, tutt'altro che nocivi e sfavorevoli ai propri interessi, che con insistenza si fanno valere dentro di sè. Purtroppo le questioni interiori, ciò che c’è veramente in gioco in una crisi e in uno stato di sofferenza interiore sono spesso incompresi e fraintesi.