domenica 18 aprile 2021

La vita interiore, capire senza preconcetti

E’ molto diffusa la tendenza a fare uso disinvolto e sicuro di diagnosi e di autodiagnosi, unito all’idea di malattia, della sofferenza interiore come disturbo e intralcio. Supporre malattia, dell'anima o del cervello, nei confronti di parte di sè con cui, volendo, procurandosi l’aiuto necessario e utile, si potrebbe cercare incontro e dialogo,  impegnativo, ma possibile, credo sia l'equivalente della pretesa di capire un altro individuo, di dirne, senza entrarci in rapporto e in ascolto. Voglio però ora considerare non tanto ciò che accade a chi si ferma subito e confida solo nella chimica come arma e correttivo del proprio sentire, che ormai tratta come presenza nemica, come patologia da scacciare, salvo ritrovarselo cocciuto e ribelle dietro ogni angolo e piè sospinto, non perché perfido, ma semplicemente perché non ci sta a farsi imbavagliare e bistrattare. Voglio ora considerare quel che può accadere a chi cerchi di avvicinare le cose in altro modo, a chi decida di impegnarsi a capire. Anche qui accade non di rado che la scelta di capire discenda e sia tutt’uno con la pretesa di scovare l’inghippo, la causa del "male", il perché del patimento, che dovrebbe avere alle spalle qualche esperienza e fattore avverso, qualche spina mai tolta. Si torna anche in questo caso a supporre, a definire a priori, a pensare l’esperienza interiore e lo stato ideale con preconcetto. L’approccio stesso all’esperienza interiore, ai propri vissuti, al proprio sentire, risentono di un simile preconcetto. Capita che l’esperienza interna e vissuta venga guardata sbrigativamente, per andar presto a spiegare, a cercare ipotetici perché. Questo è un modo assai frequente di procedere e di pensare, significativo di una difficoltà, spesso di un vuoto d'esperienza di rapporto con le vicende interiori e di ricerca. Seguire il percorso interiore, impegnarsi, accettando il coinvolgimento pieno nell'esperienza interna, ad avvicinare senza pregiudizio, ad ascoltare e a fare proprio quello sguardo intimo, è cosa certamente inusuale, come lo è la capacità di riflessione vera. Spesso si intende la riflessione semplicemente come rielaborazione e riordino di pensieri; è già più raro che si intenda la riflessione come il sostare con più attenzione sull'esperienza in corso, sull'esperienza vissuta. Anche in quest'ultimo caso di fatto la riflessione spesso si traduce nel lavorio del ragionamento, che, in separata sede rispetto al vissuto, al sentire, costruisce ipotesi e spiegazioni sul suo conto, confeziona un vestito cui fare stare dentro, adattare cio' che si sente, che interiormente si sperimenta. La quadratura del ragionamento, unico appiglio per non ritrovarsi persi o in balia dell'incertezza, spesso tanto offre momentanea quiete e dà apparente soddisfazione quanto coincide, a starci ben attenti, con la sensazione di non aver trovato vero incontro col sentire, di cui, malgrado il tentativo di spianarlo o di metterlo in gabbia, si continua a percepire l'estraneità, l'essere altro e potenzialmente ribelle rispetto al marchingegno della spiegazione e del chiarimento costruiti, escogitati. Persino la psicoterapia e il chiarimento o la presunta presa di coscienza che in essa si cerca e si sviluppa, rischia non di rado, se affidata allo sforzo di spiegare facendo leva su teorie già fatte e pronte e su sforzi o acrobazie del ragionamento, di cadere nella stessa trappola. Purtroppo succede che rispetto a cio' che accade interiormente si sia pronti e inclini in partenza ad applicare mezzi e strategie per accomodare, per riportare le cose al dritto, supponendo di aver già chiaro quale debba essere il verso giusto, normale delle cose. Frequentissima la ricerca, attraverso lo scandaglio di esperienze del proprio passato, di qualcosa che finalmente faccia trovare la presunta causa di tutto, del "distorto" modo d’essere e di percepire, dello stato d’afflizione interno che non dà quiete. Non appena all’orizzonte compare qualcosa che verosimilmente potrebbe spiegare, giustificare, essere la chiave di volta, ecco che finalmente pare d’aver trovato il perché liberatorio. Peccato che tutto questo lavorio nasca e sia conseguenza di un preconcetto circa il significato dell’esperienza e della sofferenza interiore, che tutto il lavorio di ricerca si muova stando dentro riferimenti e pregiudizi soliti, che il chiarimento sia più un ragionato, pur sottilmente, teorema, che una vera scoperta. La sofferenza interiore non è affatto scontato, come invece pare ai più, che sia sintomo, segnale di un danno patito, di cui, rintracciate l’origine e le cause, ci si possa liberare, riportando così dentro se stessi quiete e equilibrio, benessere. Spesso la sofferenza interiore è frutto e espressione di iniziativa del proprio profondo, è rottura di equilibri, per generare qualcosa che non c’è: prima di tutto avvicinamento a se stessi, capacità di capirsi, costruzione di un proprio modo di vedere e di conoscere, che non ci sono, capacità, che non c’è, di autogoverno, di farsi interpreti di sé, di avere pensiero e capacità di condursi autonomi, che rompano con il sostanziale fare leva e rimasticare idee e modalità comuni, con la dipendenza da convalida e da considerazione altrui, con la dipendenza dall’offerta di soluzioni preconfezionate e percorsi segnati. La sofferenza interiore è soprattutto proposta, specchio di verità per conoscere se stessi e il proprio stato e modo di procedere, è pungolo e guida di ricerca, inizio di ricerca e di trasformazione. Comprenderla non è facile, ma offrendole ascolto e non pregiudizio è possibile. Purtroppo la ricerca e la concezione della cura in ambito psicologico coincidono non di rado con l'elaborazione di un'ingegneria di risposte e di soluzioni volte, protese dal principio a mettere in ordine, a sistemare, a manipolare, a contrastare, correggere, piuttosto che ad ascoltare e a capire veramente la vita e l’esperienza interiore. In partenza e a priori l’idea che questo modo d’essere e di sentire o corso d’esperienza interna sia anomalo, che quell’altro sia inopportuno, che quest’altro ancora sia il più conveniente e giusto. Che presunzione! La psiche pero' è fatta di espressioni continue che sfuggono, che non stanno dentro lo schema, è fatta di ostinata intraprendenza e pressione profonde che non si fanno zittire. L'interiorità che si presume di spiegare e all’occorrenza di mettere in riga, dice, sollecita, produce, anche in modo disturbante o dissonante rispetto a gusti o attese, torna a premere anche se inascoltata, anche se, quando torna decisa a bussare, si parla di “ricaduta” di malattia. E’ raro che le si dia retta, che ci si impegni in un incontro disponibile e attento con la propria interiorità, nel suo ascolto vero. Purtroppo è persino possibile che ci siano esperti della psiche e della sua "riparazione" che hanno avuto accesso più a libri e a insegnamenti, ad apprendimento di tecniche, che, prima di tutto, al rapporto con la propria interiorità, con cui non hanno avuto e non hanno esposizione, contatto, apertura vere. L'interiorità apre percorsi, non casualmente, non disordinatamente o insensatamente, traccia solchi che, se seguiti e compresi, se riconosciuti in cio' che dicono, che mostrano, che rivelano, offrono la possibiltà preziosissima di avvicinarsi a se stessi, di lavorare su se stessi, di vedere con i propri occhi cose importantissime e di vitale importanza per sè . Se si impara a cercare l'intimo di cio' che si sente, se si impara a lasciarsi prendere e segnare dal sentire e nello stesso tempo a cercare di prendere visione di cio' che lì dentro, in cio' che si sta provando, sta prendendo forma e si sta rivelando di se stessi, ecco che si fa riflessione vera (come guardandosi dentro uno specchio), ecco che il dialogo con sè, con la propria interiorità, con cio' che dice anche di sofferto, comincia a ricomporsi. Non è facile, ma è possibile. Non accade in un attimo, bisogna lavorarci tanto e a lungo, con pazienza e coraggio, con estrema cura. Può diventare necessario e utile farsi aiutare a formare e a sviluppare questa capacità di incontro e di dialogo con se stessi, con la propria interiorità da chi sappia farlo. Se si fa questo si ha occasione di scoprire che l'interiorità, che la propria interiorità dice, anima, rivela, crea, anche passando per percorsi insoliti o accidentati, ma necessari, illuminanti, veri, opportuni, intelligenti. Si puo' smetterla di fare ipotesi da fuori o congetture circa cio' che è o che vale la sofferenza o circa le sue ipotetiche cause e se ne comprende la proposta, il messaggio vero. Si puo' fare. Non c'è cosa che ho scritto che non venga da rapporto con l'esperienza interiore, mia prima di tutto e d'altri con cui da molti anni mi confronto, nel tentativo di sostenerne lo sforzo di aprirsi a se stessi, di prendersi cura di se stessi.

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