E’
molto diffusa la tendenza a fare uso disinvolto e sicuro di diagnosi e di
autodiagnosi, unito all’idea di malattia, della sofferenza interiore come
disturbo e intralcio. Supporre malattia, dell'anima o del cervello, nei confronti di parte di sè con cui, volendo, procurandosi l’aiuto necessario e
utile, si potrebbe cercare incontro e dialogo, impegnativo, ma
possibile, credo sia l'equivalente della pretesa di capire un altro individuo,
di dirne, senza entrarci in rapporto e in ascolto. Voglio però ora considerare
non tanto ciò che accade a chi si ferma subito e confida solo nella chimica
come arma e correttivo del proprio sentire, che ormai tratta come presenza
nemica, come patologia da scacciare, salvo ritrovarselo cocciuto e ribelle
dietro ogni angolo e piè sospinto, non perché perfido, ma semplicemente perché
non ci sta a farsi imbavagliare e bistrattare. Voglio ora considerare quel che
può accadere a chi cerchi di avvicinare le cose in altro modo, a chi decida di
impegnarsi a capire. Anche qui accade non di rado che la scelta di capire
discenda e sia tutt’uno con la pretesa di scovare l’inghippo, la causa del
"male", il perché del patimento, che dovrebbe avere alle spalle
qualche esperienza e fattore avverso, qualche spina mai tolta. Si torna anche
in questo caso a supporre, a definire a priori, a pensare l’esperienza
interiore e lo stato ideale con preconcetto. L’approccio stesso all’esperienza
interiore, ai propri vissuti, al proprio sentire, risentono di un simile
preconcetto. Capita che l’esperienza interna e vissuta venga guardata
sbrigativamente, per andar presto a spiegare, a cercare ipotetici perché.
Questo è un modo assai frequente di procedere e di pensare, significativo di una
difficoltà, spesso di un vuoto d'esperienza di rapporto con le vicende
interiori e di ricerca. Seguire il percorso interiore, impegnarsi, accettando
il coinvolgimento pieno nell'esperienza interna, ad avvicinare senza
pregiudizio, ad ascoltare e a fare proprio quello sguardo intimo, è cosa
certamente inusuale, come lo è la capacità di riflessione vera. Spesso si
intende la riflessione semplicemente come rielaborazione e riordino di
pensieri; è già più raro che si intenda la riflessione come il sostare con più
attenzione sull'esperienza in corso, sull'esperienza vissuta. Anche in
quest'ultimo caso di fatto la riflessione spesso si traduce nel lavorio del
ragionamento, che, in separata sede rispetto al vissuto, al sentire, costruisce
ipotesi e spiegazioni sul suo conto, confeziona un vestito cui fare stare
dentro, adattare cio' che si sente, che interiormente si sperimenta. La
quadratura del ragionamento, unico appiglio per non ritrovarsi persi o in balia
dell'incertezza, spesso tanto offre momentanea quiete e dà apparente
soddisfazione quanto coincide, a starci ben attenti, con la sensazione di non
aver trovato vero incontro col sentire, di cui, malgrado il tentativo di
spianarlo o di metterlo in gabbia, si continua a percepire l'estraneità,
l'essere altro e potenzialmente ribelle rispetto al marchingegno della
spiegazione e del chiarimento costruiti, escogitati. Persino la psicoterapia e
il chiarimento o la presunta presa di coscienza che in essa si cerca e si
sviluppa, rischia non di rado, se affidata allo sforzo di spiegare facendo leva
su teorie già fatte e pronte e su sforzi o acrobazie del ragionamento, di
cadere nella stessa trappola. Purtroppo succede che rispetto a cio' che accade
interiormente si sia pronti e inclini in partenza ad applicare mezzi e strategie
per accomodare, per riportare le cose al dritto, supponendo di aver già chiaro
quale debba essere il verso giusto, normale delle cose. Frequentissima la
ricerca, attraverso lo scandaglio di esperienze del proprio passato, di
qualcosa che finalmente faccia trovare la presunta causa di tutto, del
"distorto" modo d’essere e di percepire, dello stato d’afflizione
interno che non dà quiete. Non appena all’orizzonte compare qualcosa che
verosimilmente potrebbe spiegare, giustificare, essere la chiave di volta, ecco
che finalmente pare d’aver trovato il perché liberatorio. Peccato che tutto
questo lavorio nasca e sia conseguenza di un preconcetto circa il significato
dell’esperienza e della sofferenza interiore, che tutto il lavorio di ricerca
si muova stando dentro riferimenti e pregiudizi soliti, che il chiarimento sia
più un ragionato, pur sottilmente, teorema, che una vera scoperta. La
sofferenza interiore non è affatto scontato, come invece pare ai più, che sia
sintomo, segnale di un danno patito, di cui, rintracciate l’origine e le cause,
ci si possa liberare, riportando così dentro se stessi quiete e equilibrio,
benessere. Spesso la sofferenza interiore è frutto e espressione di iniziativa
del proprio profondo, è rottura di equilibri, per generare qualcosa che non
c’è: prima di tutto avvicinamento a se stessi, capacità di capirsi, costruzione
di un proprio modo di vedere e di conoscere, che non ci sono, capacità, che non
c’è, di autogoverno, di farsi interpreti di sé, di avere pensiero e capacità di
condursi autonomi, che rompano con il sostanziale fare leva e rimasticare idee
e modalità comuni, con la dipendenza da convalida e da considerazione altrui,
con la dipendenza dall’offerta di soluzioni preconfezionate e percorsi segnati.
La sofferenza interiore è soprattutto proposta, specchio di verità per
conoscere se stessi e il proprio stato e modo di procedere, è pungolo e guida
di ricerca, inizio di ricerca e di trasformazione. Comprenderla non è facile,
ma offrendole ascolto e non pregiudizio è possibile. Purtroppo la ricerca e la
concezione della cura in ambito psicologico coincidono non di rado con
l'elaborazione di un'ingegneria di risposte e di soluzioni volte, protese dal
principio a mettere in ordine, a sistemare, a manipolare, a contrastare, correggere,
piuttosto che ad ascoltare e a capire veramente la vita e l’esperienza
interiore. In partenza e a priori l’idea che questo modo d’essere e di sentire
o corso d’esperienza interna sia anomalo, che quell’altro sia inopportuno, che
quest’altro ancora sia il più conveniente e giusto. Che presunzione! La psiche
pero' è fatta di espressioni continue che sfuggono, che non stanno dentro lo
schema, è fatta di ostinata intraprendenza e pressione profonde che non si
fanno zittire. L'interiorità che si presume di spiegare e all’occorrenza di
mettere in riga, dice, sollecita, produce, anche in modo disturbante o
dissonante rispetto a gusti o attese, torna a premere anche se inascoltata,
anche se, quando torna decisa a bussare, si parla di “ricaduta” di malattia. E’
raro che le si dia retta, che ci si impegni in un incontro disponibile e
attento con la propria interiorità, nel suo ascolto vero. Purtroppo è persino
possibile che ci siano esperti della psiche e della sua "riparazione"
che hanno avuto accesso più a libri e a insegnamenti, ad apprendimento di
tecniche, che, prima di tutto, al rapporto con la propria interiorità, con cui
non hanno avuto e non hanno esposizione, contatto, apertura vere. L'interiorità
apre percorsi, non casualmente, non disordinatamente o insensatamente, traccia
solchi che, se seguiti e compresi, se riconosciuti in cio' che dicono, che
mostrano, che rivelano, offrono la possibiltà preziosissima di avvicinarsi a se
stessi, di lavorare su se stessi, di vedere con i propri occhi cose importantissime
e di vitale importanza per sè . Se si impara a cercare l'intimo di cio' che si
sente, se si impara a lasciarsi prendere e segnare dal sentire e nello stesso
tempo a cercare di prendere visione di cio' che lì dentro, in cio' che si sta
provando, sta prendendo forma e si sta rivelando di se stessi, ecco che si fa
riflessione vera (come guardandosi dentro uno specchio), ecco che il dialogo
con sè, con la propria interiorità, con cio' che dice anche di sofferto,
comincia a ricomporsi. Non è facile, ma è possibile. Non accade in un attimo,
bisogna lavorarci tanto e a lungo, con pazienza e coraggio, con estrema cura.
Può diventare necessario e utile farsi aiutare a formare e a sviluppare questa
capacità di incontro e di dialogo con se stessi, con la propria interiorità da chi sappia farlo. Se si fa
questo si ha occasione di scoprire che l'interiorità, che la propria
interiorità dice, anima, rivela, crea, anche passando per percorsi insoliti o
accidentati, ma necessari, illuminanti, veri, opportuni, intelligenti. Si puo'
smetterla di fare ipotesi da fuori o congetture circa cio' che è o che vale la
sofferenza o circa le sue ipotetiche cause e se ne comprende la proposta, il
messaggio vero. Si puo' fare. Non c'è cosa che ho scritto che non venga da
rapporto con l'esperienza interiore, mia prima di tutto e d'altri con cui da
molti anni mi confronto, nel tentativo di sostenerne lo sforzo di aprirsi a se
stessi, di prendersi cura di se stessi.
domenica 18 aprile 2021
La vita interiore, capire senza preconcetti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento