domenica 28 marzo 2021

Sentire e pensare

Nel confronto con l'esperienza interiore si tende spesso a separare presto vissuto e pensato, a trattare quanto provato interiormente solo come vago indizio o pretesto per passare in fretta a sovrapporgli significati e spiegazioni, tanto in apparenza plausibili e convincenti, quanto arbitrarie. Perché arbitrarie? Quando ciò che si sente non è raccolto fedelmente nel suo proporsi, ogni volta rispettandone l’originalità e non considerandolo copia o ripetizione di altro già sperimentato o sperimentato da altri, quando non è ascoltato con attenzione nel suo dire, ma reso solo espressione tipica di qualcosa che si presume di sapere, che già si ha in testa, che spesso si trae da idee abituali e comuni, ogni spiegazione messa sopra alla propria esperienza interiore, al proprio sentire è arbitraria, incongrua, come accade nel rapporto con l'altro quando già si commenta e si parla sopra ciò che l’altro sta dicendo, senza, stando prima di tutto zitti e col desiderio di farsi portare a comprendere, stare ad ascoltarlo. Nel rapporto col proprio sentire, quando sofferto, difficile, è operazione assai frequente cercare di spiegare il perché e il percome, facendo ricorso a giri di ragionamento, cercando in cause ipotetiche e plausibili le ragioni del disagio, riconducendo e incastrando in soliti schemi già noti tutto il senso. Accade dunque che il sentire non sia ascoltato in ciò che dice e rivela, in ciò che vuole condurre a riconoscere. Si pensa che ciò che si sente nasca sempre da una causa esterna e che ne sia risposta condizionata, una sorta di effetto, di automatica reazione. Il sentire non è conseguenza di una causa, una sorta di risposta riflessa, il sentire è ben altro e di più, è luogo d'esperienza e di ricerca, è via e guida di conoscenza. Col ragionamento viaggiamo liberi in lungo e in largo e costruiamo ipotesi tanto ben disegnate e sagomate quanto spesso sterili e lontane da ogni relazione con l'esperienza intima, quanto spiantate e perciò senza alcuna corrispondenza con noi. Il sentire ci permette invece in una forma sensibile di entrare in rapporto con ciò che abbiamo occasione e necessità di avvicinare, di capire di noi stessi, un pò come conoscere una cosa toccandola, sentendola, un pò come camminare a piedi nudi e sentire il terreno, apprezzando tutte le caratteristiche vere del percorso che stiamo facendo passo dopo passo. Vale dunque la pena di dare retta al sentire, di imparare ad ascoltarlo sempre, senza rifiuti, senza separazioni di comodo tra bel sentire o brutto, di imparare a cogliere ciò che sta rivelando. Per intima esperienza e imparando a raccogliere ciò che il sentire produce si può davvero capire, solo così e non invece separando il pensiero dal sentire e consentendogli di tenere in pugno la conoscenza come ragionamento. Solo facendo esperienza col sentire e mettendoci, attraverso riflessione, come allo specchio per vedere cosa succede dentro le nostre sensazioni e stati d’animo, cosa ci rimandano di vissuto, di attuale e vivo di noi stessi, possiamo fare conoscenza fondata e vera, utile e feconda. Solo imparando da un lato a concederci al nostro sentire spontaneo e vero, perché ci permei, ci renda partecipi e coinvolti e così facendo ci guidi, anche se a volte per percorsi difficili o dolorosi, solo imparando a riflettere, perciò a rispecchiarci e a riconoscere ciò che il nostro sentire ci rivela di ben fondato e vivo di noi stessi, possiamo tenere ben unito il nostro pensare, il nostro intento di vedere, di capire, col nostro sentire, evitando che il nostro pensiero (raziocinante), scisso dal sentire, prenda indirizzo avulso, forma astratta e arbitraria, fuorviante e inconcludente. Va detto poi che il nostro profondo, che genera il nostro sentire, che ci propone percorsi a volte non facili, ma sensati, attraverso cui capire, non fuggendo, ma standoci all’interno e dall’interno prendendo visione e consapevolezza, è anche assai generoso di indicazioni e di suggerimenti per capire, con lucidità e ampiezza di orizzonte, noi stessi e quanto sta accadendo, attraverso i sogni. Certo i sogni non vanno letti in chiave concreta o interpretati frettolosamente e con disinvoltura, esercitando nei loro confronti lo stesso arbitrio del dare spiegazioni impiegato col sentire, come ho detto all'inizio. I sogni vanno analizzati con cura fin nei dettagli e scoperti nella loro originale proposta, perché possano dire e dare ciò che racchiudono. Sono una risorsa preziosissima, nei sogni c'è capacità, come in nient’altro, di leggere dentro di noi, di sviluppare pensiero fondato e non spiantato. La strada per capire noi stessi e il senso di ciò che ci accade interiormente, accettato e accolto nella sua integrità e interezza, non è certo facile e immediata, ma possibile, comunque possibile, purchè con ciò che vive dentro di noi sappiamo aprire un rapporto vero, un dialogo rispettoso e capace di attingere a ciò che la nostra interiorità sa offrirci e proporci.  Se si tratta ciò che si prova, anche se insolito o sofferto, come cosa, come sintomo da consegnare a qualche esperto, che, emettendo una diagnosi e applicando un trattamento, metta se stessi nella condizione di oggetto di cura, volta a correggere e a contrastare ciò che si sta vivendo interiormente, si sceglie una soluzione relativamente comoda, anche se destinata a non produrre nulla di nuovo, anzi a dare conferma alla diffidenza e al timore verso se stessi, verso parte ed espressione viva di sé, relegata nell'anomalo, nel patologico, augurandosi solo che passi, che, chissà come, si riaggiusti, che non si ripresenti. Nulla interiormente accade senza uno scopo. Lo si comprende cominciando a lavorarci sul serio, dando voce a quella parte di sé che genera malessere e crisi (e non per fare danno, ma casomai per indurre a prendersi sul serio) , iniziando a cucire quel contatto col dentro, a tessere quel dialogo con se stessi che manca, imparando a raccogliere e a ascoltare e comprendere l'intimo significato di ogni momento del proprio sentire, dando occasione ai propri sogni di introdurre alla conoscenza di se stessi  e di fare da guida nel mettere assieme il proprio, ciò che davvero appartiene e che corrisponde a sé. Un lavoro impegnativo, ma necessario, scegliendo chi sappia aiutare a farlo, a meno di non voler passare una vita nel lamento, nella paura e nell'ostilità verso parte di se stessi, casomai cercando consolazione nel pensiero che cosa analoga accade a altri, nel mal comune cercando mezzo gaudio.

domenica 7 marzo 2021

L'unità con se stessi

E’ molto spiacevole e, a pensarci bene, inaccettabile e tristissimo convivere con la parte intima e profonda di se stessi, che non è certo insignificante, senza trovare con lei intesa e comprensione, vivendola anzi come parte nemica, come oscura minaccia, da cui guardarsi. Le espressioni della propria vita interiore sono a volte difficili da capire, sembrano solo togliere, sconvolgere, fare danno e minare la propria sicurezza, in una parola sembrano essere nocive e basta. Non è vero. Nulla di ciò che si sperimenta interiormente è casuale e insensato, solo negativo e inaffidabile, nulla soprattutto lavora contro se stessi. Il punto decisivo, se si vuole comprendere il significato vero della propria esperienza interiore, è un altro, è che si ha dentro e nel proprio profondo capacità di visione lucida, non condizionata da illusioni e da interessi di autoconferma, di ciò che si è e che è importante capire, riconoscere, di ciò che è necessario costruire e mutare, per non perdersi, per non proseguire il proprio cammino di vita in modo in apparenza stabile e quieto, ma, casomai nella sostanza, sterile e fallimentare, infelice. Accade allora che dentro di sè questa parte, che è parte viva di se stessi (non va mai dimenticato!), prenda iniziativa, a volte forte, interiormente vistosa e sensibile, per spingere con decisione a entrare in contatto con qualcosa di meno evidente e scontato di quel che si vede e che si concepisce col ragionamento, ma che certamente ha più peso e rilevanza per sè di ogni altra cosa, di ogni ricerca della semplice continuità o del beneficio del quieto vivere. Insomma, il malessere non è mai un accidente negativo, una disgrazia, la semplice espressione di una debolezza o di un eccesso di vulnerabilità personali, non è un agitarsi scomposto, un meccanismo che impazza, è semmai il contrario, l’espressione di una ferma e lucida iniziativa interiore, per indurre a dare priorità alla riflessione su  se stessi, a portare lo sguardo su di sè, per guidare a scoprire e a costruire qualcosa di nuovo e che è profondamente riconosciuto necessario, anzi essenziale. Dal punto di vista di questa parte viva e profonda di se stessi non è prioritario stare bene in apparenza e procedere indisturbati, ma vedere con occhio attento, riflessivo la propria condizione e il proprio modo di procedere, per raggiungere consapevolezza vera, fondamento del cambiamento e della crescita personali, non di facciata, ma di sostanza, della conquista della capacità di fare propria la propria vita, di conoscere prima e poi di esprimere il meglio e il vero di se stessi. Questa parte profonda del proprio essere, non ha paura di mettere le cose in discussione e sottosopra, di creare a volte anche forte intralcio al consueto procedere, ma a fin di bene, del bene vero del conquistare qualcosa di più consapevole, di più autenticamente proprio, corrispondente a se stessi, e di più maturo. Certo la via tracciata dalla propria interiorità  risulta scomoda e non indolore, restituire a se stessi  la responsabilità, riconoscere la verità  di ciò che si è, che si è fatto e che si sta facendo, non eluderla o non ricoprirla di spiegazioni e di significati di comodo, costa e non poco. Va preso atto che, soprattutto all’inizio, fino alla scelta di avviare un serio lavoro su se stesso, c’è dissidio, forte contrapposizione tra la parte più conosciuta e frequentata del suo essere, cui nel tempo l’individuo si è sempre più legato e affidato, quella dove svolge i ragionamenti e dove prende decisioni, che è spesso affidata e prigioniera di un pensiero che si rigira su se stesso e che ricalca il convenzionalmente e comunemente concepito, e la sua parte profonda (quella che si esprime nelle emozioni, negli stati d’animo e nei sogni) che vede le cose, certamente con più disincanto e lucidità, con profondità di sguardo e con  radicamento nella esperienza vissuta, con consapevolezza dell’originale patrimonio personale e del percorso interiore e di presa di coscienza necessari per portare a compimento il proprio potenziale umano. La parte profonda, non assoggettata a vincoli di difesa e di mantenimento del già raggiunto e ottenuto e di aderenza al convenzionale, con più lungimiranza, scuote gli equilibri soliti, esercita pressioni utili a mettere in moto il cambiamento di cui conosce fondata e irrinunciabile necessità e utilità. Come fare per passare da uno stato di disunione, di paura di se stessi e di ciò che  si vive interiormente, a una condizione invece di dialogo, di comprensione del senso di tutto ciò che succede nel proprio spazio intimo, di lavoro unitario e solidale con la propria interiorità, accolta e ascoltata per intero? Questo è ciò che può consentire una buona psicoterapia, nel segno del promuovere nell’individuo l’ascolto, la capacità di avvicinarsi e di aprirsi a se stesso, imparando a rispettare e a valorizzare le proposte e a capire il linguaggio della propria interiorità, sia nei vissuti, nelle emozioni, pur intense e “tremende“ o in apparenza assurde, sia nei sogni. I sogni sono il pensiero elaborato ed espresso nel miglior modo possibile dalla parte profonda del proprio essere, che, se è intransigente e ferma nello smuovere le acque, nel creare clima di crisi e d’urgenza, è anche pronta e capace nel dare guide e indicazioni su come procedere nella riflessione e nella riscoperta di se stessi. Trovare unità con tutto il proprio essere, unità che restituisca all’individuo la sua vita, le sue vere ragioni e tutto il suo potenziale, è possibile.

giovedì 4 marzo 2021

La corsa

Se rincorrendo e afferrando questo e quello, che parevano pezzi pregiati e capaci di darti valore, ti sei perso, se ciò che hai cercato di non farti sfuggire nei tempi e nelle cadenze già scritte del “così fanno o farebbero tutti”, ora senti non essere nulla, se il senso di adeguatezza, l'apprezzamento e la buona considerazione altrui e quant'altro preso da fuori non sono più efficaci nel tenerti su, se sono benefici che non durano dentro di te, perché ora, nella presa del tuo intimo sentire, che toglie ogni maschera e svuota ogni illusione, sai che simili pregi e conquiste non sono sostanza tua vera, ora sei nel disagio di avvicinarti al vero, ora sei. Non eri tu in quel che agli altri piaceva, l'apparentemente tuo stava su per gradimento altrui. Ora la buona prestazione, se anche la pretesa di tornare a produrla non è finita, è logora e compromessa, è logoro il tuo sforzo, ora tocchi il vuoto, non ti sono più nascosti gli errori. Ora potresti cominciare a esistere nel tuo disagio e in ciò che vuole svelarti, a patto che non lo usi, che non lo strumentalizzi per prenderti benefici da fuori, per darti una parvenza di dignità, un merito di circostanza, perchè anche il dolore può essere usato, recitato, esibito, anche se alla radice ora scopri che in te c'è vero dolore, che non è richiamo e cattura dell'attenzione altrui, un abbellimento, una buona prestazione residua. Hai in te, nella parte di te più profonda e sincera, capacità di vedere e non abilità di illuderti o di inebetirti di pseudo consapevolezza. Ora puoi fermare la corsa, per stare con coraggio nella verità che ti vuole avvicinare a te stesso, rinunciando a raccontartela come ti pare e piace, a mettere al primo posto la rassicurazione e la conferma, supporti per proseguire indenne e per stare su come sempre, per non mollare la presa, che pure si è rivelata una presa sul nulla. E’ arrivato il tempo di non fuggire, ora non hai più protezione che ti isoli dal vero, è questa la lezione del disagio che non ti dà tregua. Ogni espediente per rifuggire la verifica e il confronto sincero con te stesso ora si rivela fragile, hai scoperto che non c'è sostegno esterno che possa reggere all'infinito, che si riveli capace di evitarti di sentirti perso, non c'è autoinganno che possa durare, di cui prima o poi non ti sia chiesto il conto. La tua interiorità non vuole tenere su la recita, è stanca, è davvero stanca, vuole spirito nuovo, vuole che tu le creda in ciò che ti dice, che ti dà schiettamente, senza addolcimenti, vuole che tu cominci a ritrovarti e a costruire sul vero, sull'avventura umana di un individuo che non sa solo cercare plauso esterno e conferma prima di ogni cosa, che vuole confronto e incontro aperto e trasparente con se stesso, fondamento e alimento di stima interna, di vera autostima  e di calore, di calore sincero. E' arrivato il tempo, stavolta non dettato da fuori, dell'incontro con te stesso, con la tua interiorità su cui puoi contare.