Nel confronto con l'esperienza interiore si
tende spesso a separare presto vissuto e pensato, a trattare quanto provato
interiormente solo come vago indizio o pretesto per passare in fretta a
sovrapporgli significati e spiegazioni, tanto in apparenza plausibili e
convincenti, quanto arbitrarie. Perché arbitrarie? Quando ciò che si sente non
è raccolto fedelmente nel suo proporsi, ogni volta rispettandone l’originalità
e non considerandolo copia o ripetizione di altro già sperimentato o
sperimentato da altri, quando non è ascoltato con attenzione nel suo dire, ma
reso solo espressione tipica di qualcosa che si presume di sapere, che già si
ha in testa, che spesso si trae da idee abituali e comuni, ogni spiegazione
messa sopra alla propria esperienza interiore, al proprio sentire è arbitraria,
incongrua, come accade nel rapporto con l'altro quando già si commenta e si
parla sopra ciò che l’altro sta dicendo, senza, stando prima di tutto zitti e
col desiderio di farsi portare a comprendere, stare ad ascoltarlo. Nel rapporto
col proprio sentire, quando sofferto, difficile, è operazione assai frequente
cercare di spiegare il perché e il percome, facendo ricorso a giri di
ragionamento, cercando in cause ipotetiche e plausibili le ragioni del disagio,
riconducendo e incastrando in soliti schemi già noti tutto il senso. Accade
dunque che il sentire non sia ascoltato in ciò che dice e rivela, in ciò che
vuole condurre a riconoscere. Si pensa che ciò che si sente nasca sempre da una
causa esterna e che ne sia risposta condizionata, una sorta di effetto, di
automatica reazione. Il sentire non è conseguenza di una causa, una sorta di
risposta riflessa, il sentire è ben altro e di più, è luogo d'esperienza e di
ricerca, è via e guida di conoscenza. Col ragionamento viaggiamo liberi in
lungo e in largo e costruiamo ipotesi tanto ben disegnate e sagomate quanto
spesso sterili e lontane da ogni relazione con l'esperienza intima, quanto
spiantate e perciò senza alcuna corrispondenza con noi. Il sentire ci permette
invece in una forma sensibile di entrare in rapporto con ciò che abbiamo
occasione e necessità di avvicinare, di capire di noi stessi, un pò come
conoscere una cosa toccandola, sentendola, un pò come camminare a piedi nudi e
sentire il terreno, apprezzando tutte le caratteristiche vere del percorso che
stiamo facendo passo dopo passo. Vale dunque la pena di dare retta al sentire,
di imparare ad ascoltarlo sempre, senza rifiuti, senza separazioni di comodo
tra bel sentire o brutto, di imparare a cogliere ciò che sta rivelando. Per
intima esperienza e imparando a raccogliere ciò che il sentire produce si può
davvero capire, solo così e non invece separando il pensiero dal sentire e
consentendogli di tenere in pugno la conoscenza come ragionamento. Solo facendo
esperienza col sentire e mettendoci, attraverso riflessione, come allo specchio
per vedere cosa succede dentro le nostre sensazioni e stati d’animo, cosa ci
rimandano di vissuto, di attuale e vivo di noi stessi, possiamo fare conoscenza
fondata e vera, utile e feconda. Solo imparando da un lato a concederci al
nostro sentire spontaneo e vero, perché ci permei, ci renda partecipi e
coinvolti e così facendo ci guidi, anche se a volte per percorsi difficili o
dolorosi, solo imparando a riflettere, perciò a rispecchiarci e a riconoscere
ciò che il nostro sentire ci rivela di ben fondato e vivo di noi stessi,
possiamo tenere ben unito il nostro pensare, il nostro intento di vedere, di
capire, col nostro sentire, evitando che il nostro pensiero (raziocinante),
scisso dal sentire, prenda indirizzo avulso, forma astratta e arbitraria,
fuorviante e inconcludente. Va detto poi che il nostro profondo, che genera il
nostro sentire, che ci propone percorsi a volte non facili, ma sensati, attraverso
cui capire, non fuggendo, ma standoci all’interno e dall’interno prendendo
visione e consapevolezza, è anche assai generoso di indicazioni e di
suggerimenti per capire, con lucidità e ampiezza di orizzonte, noi stessi e
quanto sta accadendo, attraverso i sogni. Certo i sogni non vanno letti in
chiave concreta o interpretati frettolosamente e con disinvoltura, esercitando
nei loro confronti lo stesso arbitrio del dare spiegazioni impiegato col
sentire, come ho detto all'inizio. I sogni vanno analizzati con cura fin nei
dettagli e scoperti nella loro originale proposta, perché possano dire e dare
ciò che racchiudono. Sono una risorsa preziosissima, nei sogni c'è capacità,
come in nient’altro, di leggere dentro di noi, di sviluppare pensiero fondato e
non spiantato. La strada per capire noi stessi e il senso di ciò che ci accade
interiormente, accettato e accolto nella sua integrità e interezza, non è certo
facile e immediata, ma possibile, comunque possibile, purchè con ciò che vive
dentro di noi sappiamo aprire un rapporto vero, un dialogo rispettoso e capace
di attingere a ciò che la nostra interiorità sa offrirci e proporci. Se si
tratta ciò che si prova, anche se insolito o sofferto, come cosa, come sintomo
da consegnare a qualche esperto, che, emettendo una diagnosi e applicando un
trattamento, metta se stessi nella condizione di oggetto di cura, volta a
correggere e a contrastare ciò che si sta vivendo interiormente, si sceglie una
soluzione relativamente comoda, anche se destinata a non produrre nulla di
nuovo, anzi a dare conferma alla diffidenza e al timore verso se stessi, verso
parte ed espressione viva di sé, relegata nell'anomalo, nel patologico,
augurandosi solo che passi, che, chissà come, si riaggiusti, che non si
ripresenti. Nulla interiormente accade senza uno scopo. Lo si comprende
cominciando a lavorarci sul serio, dando voce a quella parte di sé che genera malessere
e crisi (e non per fare danno, ma casomai per indurre a prendersi sul serio) ,
iniziando a cucire quel contatto col dentro, a tessere quel dialogo con se
stessi che manca, imparando a raccogliere e a ascoltare e comprendere l'intimo
significato di ogni momento del proprio sentire, dando occasione ai propri
sogni di introdurre alla conoscenza di se stessi e di fare da guida
nel mettere assieme il proprio, ciò che davvero appartiene e che corrisponde a
sé. Un lavoro impegnativo, ma necessario, scegliendo chi sappia aiutare a
farlo, a meno di non voler passare una vita nel lamento, nella paura e
nell'ostilità verso parte di se stessi, casomai cercando consolazione nel
pensiero che cosa analoga accade a altri, nel mal comune cercando mezzo
gaudio.
domenica 28 marzo 2021
Sentire e pensare
domenica 7 marzo 2021
L'unità con se stessi
E’ molto spiacevole e, a pensarci bene, inaccettabile e
tristissimo convivere con la parte intima e profonda di se stessi, che non è certo
insignificante, senza trovare con lei intesa e comprensione, vivendola anzi
come parte nemica, come oscura minaccia, da cui guardarsi. Le espressioni della
propria vita interiore sono a volte difficili da capire, sembrano solo togliere,
sconvolgere, fare danno e minare la propria sicurezza, in una parola sembrano
essere nocive e basta. Non è vero. Nulla di ciò che si sperimenta interiormente
è casuale e insensato, solo negativo e inaffidabile, nulla soprattutto lavora
contro se stessi. Il punto decisivo, se si vuole comprendere il significato
vero della propria esperienza interiore, è un altro, è che si ha dentro e nel proprio
profondo capacità di visione lucida, non condizionata da illusioni e da
interessi di autoconferma, di ciò che si è e che è importante capire,
riconoscere, di ciò che è necessario costruire e mutare, per non perdersi, per
non proseguire il proprio cammino di vita in modo in apparenza stabile e
quieto, ma, casomai nella sostanza, sterile e fallimentare, infelice. Accade
allora che dentro di sè questa parte, che è parte viva di se stessi (non va mai
dimenticato!), prenda iniziativa, a volte forte, interiormente vistosa e
sensibile, per spingere con decisione a entrare in contatto con qualcosa di
meno evidente e scontato di quel che si vede e che si concepisce col
ragionamento, ma che certamente ha più peso e rilevanza per sè di ogni altra
cosa, di ogni ricerca della semplice continuità o del beneficio del quieto
vivere. Insomma, il malessere non è mai un accidente negativo, una disgrazia,
la semplice espressione di una debolezza o di un eccesso di vulnerabilità
personali, non è un agitarsi scomposto, un meccanismo che impazza, è semmai il
contrario, l’espressione di una ferma e lucida iniziativa interiore, per indurre
a dare priorità alla riflessione su se
stessi, a portare lo sguardo su di sè, per guidare a scoprire e a costruire
qualcosa di nuovo e che è profondamente riconosciuto necessario, anzi
essenziale. Dal punto di vista di questa parte viva e profonda di se stessi non
è prioritario stare bene in apparenza e procedere indisturbati, ma vedere con
occhio attento, riflessivo la propria condizione e il proprio modo di
procedere, per raggiungere consapevolezza vera, fondamento del cambiamento e
della crescita personali, non di facciata, ma di sostanza, della conquista
della capacità di fare propria la propria vita, di conoscere prima e poi di esprimere
il meglio e il vero di se stessi. Questa parte profonda del proprio essere, non
ha paura di mettere le cose in discussione e sottosopra, di creare a volte
anche forte intralcio al consueto procedere, ma a fin di bene, del bene vero
del conquistare qualcosa di più consapevole, di più autenticamente proprio,
corrispondente a se stessi, e di più maturo. Certo la via tracciata dalla propria
interiorità risulta scomoda e non
indolore, restituire a se stessi la
responsabilità, riconoscere la verità di ciò che si è, che si è fatto e
che si sta facendo, non eluderla o non ricoprirla di spiegazioni e di significati
di comodo, costa e non poco. Va preso atto che, soprattutto all’inizio, fino alla
scelta di avviare un serio lavoro su se stesso, c’è dissidio, forte contrapposizione
tra la parte più conosciuta e frequentata del suo essere, cui nel tempo l’individuo
si è sempre più legato e affidato, quella dove svolge i ragionamenti e dove prende
decisioni, che è spesso affidata e prigioniera di un pensiero che si
rigira su se stesso e che ricalca il convenzionalmente e comunemente concepito,
e la sua parte profonda (quella che si esprime nelle emozioni, negli stati
d’animo e nei sogni) che vede le cose, certamente con più disincanto e
lucidità, con profondità di sguardo e con radicamento nella esperienza vissuta, con consapevolezza
dell’originale patrimonio personale e del percorso interiore e di presa di
coscienza necessari per portare a compimento il proprio potenziale umano. La parte
profonda, non assoggettata a vincoli di difesa e di mantenimento del già
raggiunto e ottenuto e di aderenza al convenzionale, con più lungimiranza,
scuote gli equilibri soliti, esercita pressioni utili a mettere in moto il
cambiamento di cui conosce fondata e irrinunciabile necessità e utilità. Come
fare per passare da uno stato di disunione, di paura di se stessi e di ciò
che si vive interiormente, a una
condizione invece di dialogo, di comprensione del senso di tutto ciò che
succede nel proprio spazio intimo, di lavoro unitario e solidale con la propria
interiorità, accolta e ascoltata per intero? Questo è ciò che può consentire
una buona psicoterapia, nel segno del promuovere nell’individuo l’ascolto, la capacità
di avvicinarsi e di aprirsi a se stesso, imparando a rispettare e a valorizzare
le proposte e a capire il linguaggio della propria interiorità, sia nei
vissuti, nelle emozioni, pur intense e “tremende“ o in apparenza assurde, sia
nei sogni. I sogni sono il pensiero elaborato ed espresso nel miglior modo
possibile dalla parte profonda del proprio essere, che, se è intransigente e
ferma nello smuovere le acque, nel creare clima di crisi e d’urgenza, è anche
pronta e capace nel dare guide e indicazioni su come procedere nella
riflessione e nella riscoperta di se stessi. Trovare unità con tutto il proprio
essere, unità che restituisca all’individuo la sua vita, le sue vere ragioni e
tutto il suo potenziale, è possibile.
giovedì 4 marzo 2021
La corsa
Se rincorrendo e afferrando questo e quello, che parevano
pezzi pregiati e capaci di darti valore, ti sei perso, se ciò che hai cercato
di non farti sfuggire nei tempi e nelle cadenze già scritte del “così fanno o
farebbero tutti”, ora senti non essere nulla, se il senso di adeguatezza,
l'apprezzamento e la buona considerazione altrui e quant'altro preso da fuori non
sono più efficaci nel tenerti su, se sono benefici che non durano dentro di te,
perché ora, nella presa del tuo intimo sentire, che toglie ogni maschera e
svuota ogni illusione, sai che simili pregi e conquiste non sono sostanza tua
vera, ora sei nel disagio di avvicinarti al vero, ora sei. Non eri tu in quel
che agli altri piaceva, l'apparentemente tuo stava su per gradimento altrui.
Ora la buona prestazione, se anche la pretesa di tornare a produrla non è
finita, è logora e compromessa, è logoro il tuo sforzo, ora tocchi il vuoto,
non ti sono più nascosti gli errori. Ora potresti cominciare a esistere nel tuo
disagio e in ciò che vuole svelarti, a patto che non lo usi, che non lo
strumentalizzi per prenderti benefici da fuori, per darti una parvenza di
dignità, un merito di circostanza, perchè anche il dolore può essere usato,
recitato, esibito, anche se alla radice ora scopri che in te c'è vero dolore,
che non è richiamo e cattura dell'attenzione altrui, un abbellimento, una buona
prestazione residua. Hai in te, nella parte di te più profonda e sincera,
capacità di vedere e non abilità di illuderti o di inebetirti di pseudo
consapevolezza. Ora puoi fermare la corsa, per stare con coraggio nella verità
che ti vuole avvicinare a te stesso, rinunciando a raccontartela come ti pare e
piace, a mettere al primo posto la rassicurazione e la conferma, supporti per
proseguire indenne e per stare su come sempre, per non mollare la presa, che
pure si è rivelata una presa sul nulla. E’ arrivato il tempo di non fuggire,
ora non hai più protezione che ti isoli dal vero, è questa la lezione del
disagio che non ti dà tregua. Ogni espediente per rifuggire la verifica e il
confronto sincero con te stesso ora si rivela fragile, hai scoperto che non c'è
sostegno esterno che possa reggere all'infinito, che si riveli capace di
evitarti di sentirti perso, non c'è autoinganno che possa durare, di cui prima
o poi non ti sia chiesto il conto. La tua interiorità non vuole tenere su la
recita, è stanca, è davvero stanca, vuole spirito nuovo, vuole che tu le creda
in ciò che ti dice, che ti dà schiettamente, senza addolcimenti, vuole che tu
cominci a ritrovarti e a costruire sul vero, sull'avventura umana di un
individuo che non sa solo cercare plauso esterno e conferma prima di ogni cosa,
che vuole confronto e incontro aperto e trasparente con se stesso, fondamento e
alimento di stima interna, di vera autostima e di calore, di calore sincero.
E' arrivato il tempo, stavolta non dettato da fuori, dell'incontro con te
stesso, con la tua interiorità su cui puoi contare.