Quando ci si confronta con la crisi e col malessere
interiore ci si persuade facilmente che sia in atto solo un guasto, una
minaccia, un che di ostile che mina la saldezza di un modo di procedere che si
considera indiscutibilmente valido e da ristabilire al più presto. Ciò che non
si vuole riconoscere nel proprio stato abituale è il vuoto di sè e di vera
consapevolezza, la mancanza di capacità di visione che sappia cogliere il senso
di tutto ciò che si fa e del proprio modo di procedere, il mancato possesso di
un pensiero che non ricalchi e confermi ciò che generalmente si pensa, sui
binari e nelle guide dei comuni modi di intendere. Non si vuole riconoscere che
senza dotarsi di questa capacità, senza questo bagaglio, senza questo
patrimonio che rende un individuo tale col suo specifico e originale, con la
sua forza di generare risposte tratte da sè, col suo coltivato e sviluppato di
identità e di pensiero, di orientamenti e di capacità di dare loro seguito, non
si è che parvenze di individui. Pur illusi di non essere tali e di avere del
proprio da dire e da realizzare, non si è che copie d'altro, attori o comparse
dentro una scena, secondo un copione già scritto, che nulla ha a che fare con
ciò che sarebbe possibile far vivere se quel vuoto di sè e di consapevolezza
fosse colmato. C'è una parte di sè, intima e profonda, che non ignora il
problema e il vero della propria condizione, che per questo motivo col
malessere batte forte, dando stimoli e imponendo un clima interiore non facile
e disagevole, con lo scopo di rendere tangibile e riconoscibile quel vuoto e di
spingere a colmarlo con un serio lavoro su se stessi. Accade però che questa
iniziativa profonda, tutt'altro che sciagurata o scriteriata, che col malessere
e con la crisi vuole porre le basi della ricerca del cambiamento, sia letta
come disturbo e patologia, confermando così soltanto l'incapacità di
intendere le esigenze personali più autentiche e profonde, ribadendo l'ottusità
e l'incapacità di vedere lo stato attuale vero delle cose. Lo stato vero è di
essere più che incompiuti, più che insufficienti e non certo nella capacità di
far mostra di normalità, di stare in corsa e di dare prova di efficienza
secondo i criteri prevalenti, ma nel possesso di sostanza propria, di pensiero
capace prima di tutto di vedere la verità della propria condizione e non di
raccontarsela a piacimento, trovando riparo e conferma nel pensato solito e
comune, oltre che di concepire e di aprire nuove strade fedelmente
corrispondenti a se stessi. La posta in gioco è notevole, ma rischia di non
essere compresa e ben soppesata. Ristabilire l'ordine solito, battersi per il
raggiungimento di questo scopo, imputando alla crisi interiore di essere solo
un intralcio dannoso e un segno di malattia, travisandola e riducendola a
scoria da eliminare, è la risposta più ottusa e sfavorevole a se stessi che ci
si possa dare. L'autoinganno è di far credere a se stessi che sia stupido e
nemico ciò che invece interiormente è la propria risorsa più affidabile, il
lato del proprio essere più accorto e sincero, il più saggio e provvido.
domenica 24 gennaio 2021
Ciò che non si vuole riconoscere
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento